Terra! Marino Niola vs Camorra

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immagine dal sito: www.regardscroises.be

Padri e Figli
di
Marino Niola

I figli siano d’esempio ai padri. Questa massima, che capovolge i tradizionali termini dell’etica e del rapporto tra le generazioni, sembra aver guidato la mano di Patrizio Silvestri, che ha ucciso l’uomo che gli aveva portato via la sua donna, “sua” come una “16 valvole” o come una moto di grossa cilindrata. Nel marzo scorso suo figlio Fabio, quindici anni, per difendere l’onore della “sua” donna da un pesante apprezzamento aveva ucciso un temuto boss della Sanità.

C’è in sequenza di morte un sinistro riflesso di quel giovanilismo così tipico della vita e della cultura contemporanee e che nel caso dei comportamenti criminali viene spesso associato ad una progressiva deregulation della violenza. E’ un giovanilismo di facciata di cui i giovani sono le prime vittime anche se apparentemente sono loro a dettare le regole e i ritmi, entrambi assai televisivi, della trasmissione dei modelli di cultura e di comportamento.

La cosiddetta saggezza tradizionale e il suo equilibrio tra mezzi e fini – fondati su una visione meno integralista e più mediatrice – appaiono oggi sempre più oscurati da nuovi codici che esasperano ogni forma di violenza, comprese quelle tradizionali. L’effetto è quello di una ferocia senza misura, assolutamente inedita. Gli stessi codici trdizionali intrpretati in maniera così conseguenziaria e sproporzionata pongono un nuovo problema agli adulti che lo applicano “di ritorno”, per non essere da meno. La regola viene riaffermata ma in maniera esasperata, senza mediazioni, senza la saggezza di chi è più grande, di chi ha visto più cose nella vita e senza l’elasticità che fa della regola stessa un modello da interpretare caso per caso, prima di applicarla ciecamente. Nel male come nel bene.

E’ vero che il modello in questione, quello dell’onore, è un codice tradizionale dall’ampio spettro mediterraneo, ma lo è molto meno questa sua estremizzazione che risale dal figlio al padre invece che discendere, come avviene di solito nella trasmissione della cultura. Se il figlio ha ucciso per poco a maggior ragione dovrà farlo il padre. Tutto questo ha l’effetto di abbassare la soglia della violenza e della sua legittimazione culturale finendo per diminuire il senso della violenza stessa e il significato di sanzione, sia pur aberrante, che essa ha nella trasmissione e nella custodia dei valori. Un sistema di norme in cui la punizione è sempre la stessa, ottusamente violenta, per qualunque forma di trasgressione, per qualsiasi tipo di “sgarro”, toglie significato ai valori stessi ed all’intera cultura che su di essi si fonda.

Questa feroce e cieca “meccanica del castigo” che non distingue tra le colpe e conosce un solo modo di punire riflette in realtà, nei termini dei comportamenti criminali, lo stesso smarrimento collettivo che investe la vita sociale contemporanea. La trasmissione della cultura avviene oggi ad una tale velocità che rende sempre più difficile pensare, valutare, giudicare e soprattutto distinguere tra le diverse articolazioni e sfumature del bene e del male. Una contrapposizione netta che appiattisce cose, persone e situazioni nei termini schematici e binari di un’etica da referendum. Questo non significa, come vuole un accreditato luogo comune, che la vecchia criminalità avesse un volto più umano di quella delle nuove generazioni. Entrambe allo stesso modo criminali e spietate, la distanza che le separa rinvia ad una più globale differenza esistente tra la società contadina e industriale – entrambe fondate su modelli d’autorità paterni e materni – da quella videocratica del consumo e dell’immagine, in cui nessun modello generazionale possiede più autorità. Tra l’umanità del “Sindaco del rione Sanità” e quella di “Pulp Fiction” la differenza è di grado e non di natura. Ciascuna esprime il male del suo tempo.

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3 Commenti

  1. Carissimo,
    scusa se resto anonimo…
    Pochi giorni fa, nel Casertano è scoppiato il “bubbone”:
    un uomo (che denominiamo Sig.X) percorreva in auto le strade di una
    piccola e tranquilla frazione della città ed all’altezza di un
    incrocio una seconda auto, non fermandosi ad uno stop, gli tagliava la
    strada: cose che possono capitare, compreso il battibecco che ne è
    seguito.
    Alla guida dell’auto che non si era fermata, c’era un farraginoso
    pregiudicato (che denominiamo Sig.Y) con i due giovani figli che a loro
    volta, meno di un anno fa, in una circostanza simile avevano
    accoltellato al PETTO un Dottore. Da precisare che la figlia di Y è
    incinta di due mesi.
    Il Sig.X, avendo capito che aveva a che fare con delle persone poco
    raccomandabili, sale in auto per prendere la via di casa e mettere fine
    alla discussione.
    Ma non aveva fatto i conti col Sig.Y che a sua volta lo insegue (per
    scoprire dove poterlo rintracciare) poi và a casa dove, lui ed i suoi
    figli, si armano di coltelli e tornano sotto la dimora del Sig.X per
    minacciarlo.
    A questo punto scoppia un’ accesa discussione verbale alla quale
    intervengono anche i parenti del Sig.X nel tentativo di “calmare gli
    animi”, ma la lite e le minacce continuano…
    Ad un certo punto il Sig.X torna in casa, prende la sua pistola, e
    SPARA al Sig.Y, il quale morirà dopo un ora in ospedale!

    Premesso che ammazzare non è MAI giusto, come spigare le dinamiche che
    hanno portato a commettere questo gesto estremo?
    Io partirei da Roberto Saviano: i problemi da lui denunciati sono
    realissimi, ma l’aggravante è che oltre ai “soldati della
    camorra” ci sono i freeland e cioè quelli che noi chiamamo
    “spustat è capa”. Questi non appartengono quasi mai a nessuno ed
    agiscono in una realtà dove lo stato, che assolda uomini per fare
    multe, permette che i delinquenti siano recidivi ed abbiano la
    possibilità di andare a casa per prendere le armi e sfoggiarle sotto
    gli occhi dei passanti mentre fanno i “galli sull’immondizia”!
    Questa è un’altra sfaccettatura che si innesta nella realtà
    magistralmente descritta da Roberto.
    Storie di “violenza urbana” finite spesso col morto, te ne posso
    raccontare a decine, ma questa è diversa poiché normalmente sono i
    buoni che soccombono ed i cattivi a rimanere impuniti. Questa volta
    abbiamo due vittime: il buono (Sig.X) ed il cattivo (Sig.Y) e,
    paradossalmente, forse è la prima volta che l’assassino viene
    consegnato alla giustizia!

    Allora io comprendo l’ira del Sig.X, la stessa ira che ha portato me
    lontano dalla mia terra poiché ero stanco di vedere cacciaviti
    piantati in gola in pieno centro in ora di punta, pestaggi fatti senza
    alcun motivo ma solo perché avevi guardato nella “loro direzione”,
    ero stanco di dover scappare quando avvistavo uno “spostato” o di
    non poter scappare quando uno di loro mi fermava e, senza neanche
    sapere chi fossi, mi diceva: “dammi un passaggio”ed io dovevo
    sorridere senza avere neanche la libertà di poter tremare mentre mi
    chiedevo:”chissà dove mi porta…”

    Ebbene è per questo che ho deciso di chiamarmi “evaso” e di
    scriverti per esprimerti la mia rabbia e la mia solidarietà per tutti
    i Sig.X che personalmente ritengo dei martiri di un certo tipo di
    realtà sociale. Non c’è bisogno darci un’identità, siamo tutti
    sotto una pressa ed ognuno reagisce quando può e come può!
    Ciao,
    evaso

  2. e pensare che da qualche tempo sto meditando come Malaparte “una fuga in prigione” ovvero di ritornare a Sud…
    effeffe

  3. A Erba, e non solo, mi pare succeda di peggio.
    L’esempio dell’evaso appartiene a una sfera diversa e la citazione di Saviano e “i problemi da lui denunciati” sono altra cosa.
    La società occidentale tutta si sta imbarbarendo, la violenza dilaga dappertutto, la differenza la fa solo l’impunità, che qui da noi è applicata con metodo cosciente e certosino.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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