Da: Partenope
di Antonella Pizzo
I
alla prima piaga ci prostrammo
in ginocchio
un po’ distanti per non toccare
soglia d’assalto ripulsa in estasi
la santa è spiga vuota avena sfatta
oasi invertita sulle strade
confusa e sui raccordi sovrapposta
a peli e ciglia sporche consumate
di vene cinta
interseca le braccia
si nutre a ghiande
che ai porci tanto piacciono
vedi di questo parlano le gambe
raccontano varici e di radici lì dove il blu
sembrava fosse stato
unico colore
nel cielo ora d’amianto
negli occhi larghi
ci abitavano le stelle, la luna al naso
le pendeva ai lobi strisce di galassie
insiemi lattescenti
ai seni pieni gocce di colostro
che del bambino la bocca satollava
s’allarga gola lingua lecca lecca
soddisfazioni mugolii piaceri
se nel concepimento lei fu data e diede
se lei fu presa, ridiede e diede
le anche e i fianchi e i glutei smosse
mari e tempeste e baci di lascivia
ora si stende in questo letto sacco
sacro di plastic fiumane di rifiuti
mali leziosi decantano sul petto
la notte cani le fanno sinfonia
in questo strano mistero di distacco
senza pupille l’orologio muto
rende grazie per il nostro pacchetto
colmo di bordi di pizza margherita.
II
quando arrivammo
s’era già aperta la seconda piaga
putrida puzzolente
nostra signora dei dementi
delle pustole e delle cancrene
della pelle squamata e rossa
nascosta sotto una maglia a scacchi
dacci la direzione perché
è come una croce questa galleria
i chiodi sono i negozi
l’estremo capo profuma di babà:
baroccano le scatole
di ceramiche e d’argenti
calzascarpe d’avorio e tartarughe
ci ammiccano agli occhi.
Stasera sono pettinata alla sciantosa
in gonna a fiori e zatteroni
velo alla grande e barco a navigare
in un sogno di mari a specchio
smeriglio vetro, sanguino lenta.
la meraviglia mi cava un dente
lo faccio d’oro
lo infilo nell’apposita feritoia
non entra e lo forzo e lo sforzo
è masso che mi risuona nel cristallino dirotto
poi mi viene una mestizia quieta
di liquirizia e menta
di buccia di limone
la meraviglia mi toglie una mola
amore e morte
vocale e consonante
nel seno la madre, nel caos a caso
l’imperdibile occasione
d’andare a Pausillipon
lì
dove finisce il dolore
e poi uno disse andiamo
dai, s’è fatto tardi
per oggi abbiamo visto abbastanza
se facciamo il giro dell’isolato
giriamo a destra e poi a sinistra
tempo un’ora arriveremo in hotel
occhi negli occhi
nocche su nocche
mio muscolo mastoideo
oh mio maschio angioino
qui c’è tutto un formicolio di gente
un brulichio di vermi sotto un masso
i piedi prudono sanguinano le mani
ma fai many shopping darling
fai many shopping money money
a toledo fai stima e comparazione
detto fatto siamo già a pezzi
vetrine e prezzi nostra follia
III
occhio nell’asfalto scandaglio di tombini
alla terza piaga lo vedemmo:
tempeste nella barba
le guance tormente
alcune stridevano fra i denti
eccolo è un santone
un primitivo che scava nella roccia
ha una mano
fa come una fossa
un catino lento, un incavo cavo
vano, fa una buca fonda fonda
usa un cucchiaio senza manico
una conchiglia capesanta
oh le nostre borse piene di orpelli
e luccichii di stelle
sono vere e false
derivate da processi di sintesi
sono vuote e piene
ma a scuoterle non escono parole credibili
fossero bisbigli d’acqua
fossero venti sorgenti farebbero sperare
nell’incontro fra un locale idioma
ed una lingua giapponese
che sa di sushi, di code di rospo bilanciate
ma qui non c’è bilancio, non c’è pareggio
qui c’è una marcatura netta
una perdita di liquido
che rosso è il sangue e rosso il conto
fermo il nastro, inciampo alla partenza
è un ostacolo ostico
che non si può saltare
saltare i pasti, forse, questo è possibile
ma lui, il santone, la sa lunga la storia
e la racconta a chi la chiede e vuole
e la scava
a chi ha bisogno di sapere e chiede
e ha chiesto
ai sassi ai folli ai pazzi
ai savi che nelle fronti rughe
hanno scolpito i pensieri netti
(Da “Partenope – sette piaghe e un segno”)
Versi molto belli.
Approfitto per ringraziare il prof. Vittorio Sermonti, il famoso dantista, per le parole che ha avuto nei confronti di Napoli durante l’intervista di Serena Dandini dell’altra sera a Raitre. Chi ha avuto modo di vedere sa di che parlo.
il segno resta dentro, leggendo queste tue Antonella, sai essere così tagliente a volte, entri nel quotidiano come sai fare solo tu, con un misto di cinismo e ironia ben destreggiati, ci fai sbalzare così velocemente tra una vetrina e un’atto di concepimento che
….si rimane sbalorditi, con gli occhi pieni di immagini forti:
“la notte cani le fanno sinfonia
in questo strano mistero di distacco
senza pupille l’orologio muto
rende grazie per il nostro pacchetto
colmo di bordi di pizza margherita.”
Un salutone
carla
Oh, finalmente delle poesie che si possono dire a pieno titolo poesie.
Molto ma molto belle.
già, c’è un tale ordine! c’è una tale soluzione benefica!
già. tutto pulito. rutto aspirato dal folletto. tutto l’attacco è stato procrastinato prima di tutto questo. nessuna pace se la coerenza impera. se la meritocrazia sfinisce come giuggiola di campo increato.
e si arriva con la “e” a inizio di discorso, che non si fa.
e c’è l’attacco e poi le piume di lei che riscuotono tomi delicati intra vos o vox
la cera perugina sfregata sui tanghi dell’omero
mio dio, mia madonna, mio pescato mattutino.
la lingua netta il coltello
la schiena sospende di fottere
è chiaro che l’ingegnere staziona nel suo sesso stenografato
presso il fax dei silenzi in genere.
di tutto il recente incendio delle mie mani
non è rimasto che un boccaporto in cromo: il dolore
dell’intervento e poi la morte e poi le scuse
per essere morta subissate dalle scuse
dell’assassino sono rimasti i ganci palliativi
di una madre inventata e di un paio di ciabatte
comprate al tre di maggio di questo mese porco
che fa acquetta volendo essere maroso.
la madonna è penetrata nei miei sonni ed era quasi un uomo
mattone del castro precipuo dello stantuffo previdente
nel ricordo
buttati là, mi dicesti.
mi buttai di schiena e fu.
dunque adessi quest’alba d’insulina deve essere plagiatamente
dotta, circostanziata al caso di vitamina
basta un abbraccio e un perdono? squisito il kivi del suo glande
squisito il sebo dei suoi capezzoli
squisito il manico dell’inferno che clona la scimmia.
amore nostro. tu baci come una cataratta.
il tuo sudore è un cubo di maiolica in bilico
sulla finestra.
amore nostro. ci baciammo del mio io
del tuo tu, e le vespe mutarono alle strette la nostra carne
la nostra merda
mangiarono il nostro pesce
la nostra casa
il nostro antico calendario. tu volevi che io dimenassi
il rossore per tutte le case
sbucciando di bussare le porte ma così non fu.
fui più coraggiosa di un adulto e più sola ma questo non fa conto
non fa testo
non fa differenza di tolleranza.
[il muscolo crudele è un avvelenato ultravioletto. una chioma]
un saluto e i miei complimenti, antonella-
paola
Una poesia che mi piace, vive nel presente.
Ciao
Marco
E’ bella la fantasia che impone un’atmosfera da favola, ma il solito troppo pieno di metafore, molte delle quali usurate.
che belle le critiche motivate come questa. una volta a un romanziere dissero: bella la prima parte. brutta la seconda. in che senso? domandò il romanziere. in nessun senso, gridò una voce dalla platea.
Credo che l’atmosfera “da favola”, o comunque questo quotidiano straniato sia una cifra stilistica di Antonella. Anche altrove :)
Notre Dame des Fleurs e Il miracolo della rosa, Genet, 1944 e 1946. Place de Verdun, Simone de Beauvoir, Alberto Giacometti, Henri Matisse, Brassaï che bevono Pernot e masticano il rosario del ladro-poeta… “a chi ha bisogno di sapere e chiede, e ha chiesto, ai sassi ai folli ai pazzi, ai savi che nelle fronti rughe hanno scolpito i pensieri netti”… là, il corpo del cavallo sfiancato e il nostro cinto erniario di europei. Un fox trot con Antonella, al Cafè de la Bastille, mentre Roland Subaru modula “Barbara” di Yves Montand… e via così.
cercherò di rispondere in ordine di apparizione
@ bruno esposito, Napoli è una città particolare, ha qualcosa di indefinibile che altre città non hanno, ci sono stata solo una volta, e per non molto tempo, appena tre giorni, e molto tempo del quale l’ho passato chiusa in una stanza con un grande balcone, era di maggio, ricordo bene.. era de maggio e te cadéano ‘nzino, a schiocche a schiocche, li ccerase rosse… Fresca era ll’aria…e tutto lu ciardino addurava de rose a ciento passe… c’era il balcone e ogni tanto mi affacciavo a guardare la città caotica e confusa, ma magica, insomma mi sono venute queste poesie. posso dire che è stato amore a prima vista. non ho sentito l’intervista, mi dispiace.
@ grazie carla, sì vetrine, molte e luccicanti e cani randagi e monumenti imbrattati e bambini tantissimi in piazza plebiscito e barboni tantissimi.
@ cara polvere vedo che spesso i miei versi ti ispirano, infatti questa non è la prima volta che ti accade e ciò mi lusinga molto. grazie
@ marco saya un saluto anche a te e grazie
@oddy le metafore sono volutamente barocche e usurate, perché la città di Napoli è usurata e barocca e rococò, ma mi farebbe piacere sapere a quali metafore ti riferisci in particolare
@sitting grazie :-)
@ vocativo sì, hai già detto dell’ atmosfera da favola e dell’effetto straniente di alcune mie poesie, l’altrove sperò ci sarà presto :-)
@ e poi grande Ruggero che m’hai scritto un commento così poetico che non sono capace di commentare a mia volta. un fox trot… al cafè de la Bastille davvero niente male
@ Marco Saya, Giuseppe iannozzi semplicemente e sinceramente grazie
buona serata a tutti antonella
Dimmi ancora, antonella, di questo fachiro clochard dell’ultima strofa, scavatore di roccia e Caronte che spalanca l’inferno del pensiero.
Ho visto un demone antico o un angelo forse, di quando l’istinto e lo spirito erano ancora fratelli.
nacqui a posillipo e ritrovai qui il segno di ciò che vidi con i miei occhi pieni di golfo e di camorra, un cielo a piombo sul piombo della morte e la pizza c’a pummarola n’coppa. una pizza alla pizzo, d’ora in poi.
oh sì, è proprio quello che hai visto tu, ha una barba lunga e porta in spalla un sacco e dentro il sacco i semi del passato, del presente e del futuro, del bene e del male, delle vocali e delle consonanti, porta i semi di tutte le note e tutti hanno la stessa forma e la stessa natura ma non sappiamo da dove sono nati questi semi, o dove ha trovato il sacco, solo lui lo sa, bisogna chiederglielo e lui qualcosa dice ma non è chiaro. oh ma non è babbo natale :-) babbo natale anche lui è dentro al sacco, e pure tutte le slitte! buon giorno valter. a.
una pizza alla pizzo potrebbe essere un’idea esplosiva. perchè sopra ci mettono il vesuvio e l’etna :-) a.
Anto, la prossima volta non stare solo affacciata. Scegliti un buon accompagnatore e vai in giro per Napoli. Se la sola visione dal balcone ti ha ispirato questo lavoro molto bello figurati che succcederà se ti cali nelle viscere di quel paradisiaco bordello che è la mia città.
paradisiaco bordello? scusa bruno, potresti invitarmi a napoli? sistemami anche in hotel, non c’è bisogno che ti scomodi. ah, sia chiaro, il treno me lo pago io. arrivooo!
bruno in verità un pomeriggio ho fatto mezzo un giro con mio marito, e sono nate le poesie, e le sere poi al ristorante. e siccome mia nonna era salernitana, mio padre canticchiava spesso ‘e spingole frangese e a napoli ho trovato uno col mandolino che ce l’ha cantata tutta, mio papà sarebbe stato contento :-) a.
ps. ehi sitting vengo anch’io?
ps. invitiamo pure litbrother che è nato lì?! :-) a
l’è di vesuvio city il siur litbrother? mica lo sapevo. pensvo fosse di caputmundi.
Antonella, quando sei a Napoli, fammi un fischio, mi offro come accompagnatore…
il litbrother è di posillipe, l’ha detto lui. voc se vado a napoli di sicuro ti chiamo. grazie! questi sono gli amici e non quelli che vai nella loro città e non si fanno vedere :-) a.
A disposizione dotto’. Basta che non parlate di soldi vi porto dove volete e pure gratis.
avete ragione, bruno. tacerò sui soldi. a caval donato…
song’e pusilleco, è o vero. ma la caputmundi m’ha magnato er fegato dopo un anno è mezzo de vita.