Una poesia edita e tre inedite
di Annalisa Manstretta
Sono rientrata in casa stasera
venivo da un po’ più a sud
e c’era freddo.
Come sono grandi le stanze e silenziose.
Ho acceso il nostro albero:
si è illuminato come un dovere.
Fa ancora freddo, c’è questo vento gelato
che non ti fa guarire.
È l’ora che quando ci sei tu
più o meno si va a letto.
Dunque andrò a dormire
perché anche le abitudini
fanno una vita insieme.
Poi mieterò questo vento
e ti regalerò i frutti.
tratto da La dolce manodopera, presentazione di Milo De Angelis, postfazione di Antonella Anedda, Bergamo, Moretti & Vitali, 2006, p. 55
***
Che esseri aerei sono le piante,
sposate con lo spazio.
Crescono senza paura delle grandi distanze del cielo,
di quelle del vuoto sopra di loro.
L’inverno che spoglia i rami,
lo scopre con la chiarezza di un paesaggio nordico
dove ogni cosa sta nel suo contorno senza inganni.
Così ai pioppi, alle robinie e perfino ai tigli
un po’ malati del viale sotto casa
a destra e a sinistra spuntano i rami,
ma fra i rami, guarda, spunta il cielo
cresce e si allarga tutto attorno.
E se fossi nata ieri e non sapessi nulla,
penserei che il cielo nasce così,
nelle notti d’inverno dalle piante
e la mattina è già dappertutto in alto
col suo bell’azzurro e regge il sole.
(inedito)
***
Finiva con la sfera delle stelle fisse
piene di virtù magiche, fatte di quintessenza,
nella buia sfera del fuoco finiva
il mondo sfolgorante del Rinascimento.
Stava ferma, pesante, la terra
correva il sole, correvano le stelle
nel cielo di Cristoforo Colombo;
il mondo di Leonardo aveva pochi secoli
e misurava settemila miglia,
le macchie della luna erano isole scure
erano continenti in un oceano d’acqua luminoso.
Gente di un mondo tramontato, lontano
di loro si dice che c’erano,
come le ammoniti nel golfo padano.
Però li diciamo ancora con rispetto i nomi.
Sono le grandi leggi dell’intuizione e del caso,
ombrose, con muschio e viole, stanno negli angoli,
nei posti dove crescono le ortensie
da lì prendono qualcuno per la schiena
se lo tirano dietro e nel tempo
quello un po’ resiste e un poco si trasforma
come una vivente equazione matematica.
(inedito)
***
Pianura
La pianura è un massimo comune multiplo
spiattellato ai quattro venti.
Alto e stretto, il pioppo cipressino è verticale,
ce n’è una fila qui a ribadire il concetto,
fuori dal paese, lungo il viale.
Il fosso è lungo e stretto, dopo l’orizzonte
un trionfo casalingo unidimensionale;
eppure è sempre lei che ha il suo tornaconto,
salta su, piatta, da ogni particolare.
Come una briscola spazza via tutto
e riporta sempre la sua bassa forma elementare.
La vista in mezzo ai campi è fatta di fatica.
Vicino a Po, dentro ad un paese,
persino il fiume devi immaginare
oppure pedalare un quarto d’ora
senza un’ombra, in mezzo alle zanzare.
Qua tutto è uno oppure è il buio della mente
che sola, senza appoggi, devi illuminare.
In questa terra piatta che divora,
non va lo sguardo acuto, si spunta, sbatte il muso;
ti dà la sua callosa mano il rozzo, così adattato
ai larghi campi bassi, sguardo ottuso.
Vai per le strade sterrate fuori dal paese
a giugno e di qua e di là vien su la camomilla.
Riempie tutto, fino all’orizzonte.
Non farti tentare, non guardare lontano
dove tutto vira a un piatto monocromo padano.
Guarda qui, il modellato vibrante di ogni capolino,
i petali, tutti all’indietro, candidi, in una bella corona circolare,
al centro la semisfera, alta sullo stelo, gialla:
superfici giustapposte, inclinate, volumi pieni
un tripudio in barba alla piattezza generale.
(inedito)
*
Annalisa Manstretta è nata nel 1968. Dal 1997 al 2005 è stata redattrice della rivista “La Mosca di Milano”. Ha pubblicato la plaquette Viaggi, Lietocolle Libri, 2000, con immagini di W. Xerra. Una selezione di La dolce manodopera, con prefazione du Umberto Fiori, è stata anticipata in Poesia contemporanea. Ottavo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni, Marcos y Marcos, 2004. È stata tra i sette vincitori del Premio Montale Europa 2004 per la sezione inediti. La dolce manodopera è il suo primo libro.
mah!
Quanto alti costruiscono gli ospedali!
Scogliere illuminate, contro albe
Di giorni in cui la gente continuerà a morire.
Ne posso vedere uno da qui.
Quanto freddo si mantiene l’inverno
E lungo, ignorando
Il nostro bisogno di gentilezza, ora.
La primavera è entrata nell’anno sbagliato.
Come sono poche le persone,
Tenute separate da acri
Di case, e i bambini
Con i loro piatti occhi violenti.
Poesie dai toni semplici e dimessi, timide, delicate, quasi infantili.
Si sente forte la geologia e la storia dei paesaggi pavesi…
belle e limpide. versi ntidi e cristallini, tanto da sfuggire da una messa a fuoco precisa. il mistero di questi versi è nascosto tra una riga e l’altra, senza bisogno di ricorrere ad un affastellarsi confuso di parole pescate qua e la, come spesso si legge in giro, pretendendo così gli autori di tali ” poesie” di assurgere a ruolo di intellettuali incompresi e maledetti, mentre nascondono semplicemente il nulla. finalmente poesie comprensibili, da non addetti ai lavori. grande.
bella anche quella del traduttore…
posso proporvene una mia?
Sento in questo viaggio d’agosto la polvere e la terra
Ho già sognato abbastanza
e le tue mani non si sporgono ,silenziose
ad un passo dal destino
Per strada sono un lieve corpuscolo vagante
Trasparente a me stesso, eppur materia
Svolgo le mie solite abitudini
Che una alla volta cadono
Come fichi dall’albero in un grigio cortile di provincia
Senza alcun rumore.
Mi piace che mi si canti, oh Musa.
Vi lascio una poesia del mio poeta preferito, il sommo Ghawar lach Mbeb Smith (non so se mi son spiegato…):
Passato, le scrivo da tempo,
se chiederle solo un favore
le reca difficoltà o imbarazzi
mi dica, ma rifaccia il letto
al mattino, riordini in casa,
faccia la spesa, abbassi la voce,
che l’ospite ingrato addolora
il presente s’offende
il futuro m’ignora
grazie per lo spazio, il tempo, e tutte le altre dimensioni.
Ho adorato la poesia edita perché evoca l’isolamento, tema che mi interessa di più. Dice una ferita che non vuole guarire, ravvivata dal gesto quotidiano. Per disattenzione calpesti un oggetto abbandonato oppure trovi una scodella con l’impronta della bocca amata e tu soffri. Il ricettacolo degli oggetti diventa spietato. L’io affronta il ricordo della vita a due (insieme): “Ho acceso il nostro albero
si è illuminato come un dovere.”
Questo gesto è bello: riaccende il ricordo nella sua chiarezza illusoria.
Le tre inedite danno luce al paesaggio padovano che la nitidezza invernale avvolge.
Due versi mi hanno ammaliata: “Lo scopre con la chiarezza di un paesaggio nordico/ dove ogni cosa sta nel suo contorno senza inganni.”
Avevo dimenticato quanto il bianco gelato rende il mundo alla sua verità senza possibilità di riparo.
Spero leggere altre poesie di Annalisa Manstretta.
Ho conosciuto le poesie della Manstretta su un’antologia che riuniva diversi autori. Di lei mi piace l’andamento piano, quasi da prosa, e il respito ampio. W.
Belle, si respira una freschezza autentica! una poesia non manierata, non mi sembra vero!
Marco
l’è dolce e sì, fresco questo poetare. grazie.
brava annalisa
@Rostand
“Svolgo le mie solite abitudini” ?
sì, alcor: gli serve per abituarsi ai suoi soliti svolgimenti.