Complementarità e dintorni 1
di Antonio Sparzani
Cosa suggerisce questa parola? Suggerisce che a proposito di qualche teoria, o idea, o oggetto del pensiero, vi siano due aspetti, presenti entrambi, che si completino l’un l’altro, che solo se considerati assieme forniscano una conoscenza adeguata dell’oggetto d’indagine. È un concetto, per fortuna, non perfettamente e rigorosamente stretto nelle maglie di una serrata definizione, ma fornisce una traccia, un’euristica, un criterio: un criterio per proseguire nell’indagine, quando non si sta seguendo un cammino nettamente indicato da una catena di sillogismi, ma un sentiero che necessita ad ogni passo, per capire la giusta direzione, di facoltà meno chiaramente individuabili, dette talvolta intuitive, che fanno dunque appello a quel bagaglio di nozioni, schemi di pensiero, ricordi di procedure che sono in un dato momento presenti nello sfondo concettuale di ogni ricercatore, come di ogni essere umano.
La scienza pesca le parole dal linguaggio naturale e poi le fissa come pare a lei.
Niels Bohr, il “fisico danese” per eccellenza, detto anche, ai tempi, e talvolta ironicamente, l’“oracolo danese”, scelse questa parola per risolvere una difficoltà che sempre più fastidiosamente emergeva di mano in mano che, nel terzo decennio del secolo, la nuova meccanica (quella che sarà detta meccanica quantistica, o anche meccanica ondulatoria) veniva formandosi.
La difficoltà era quella dell’incertezza tra la natura ondulatoria o corpuscolare della luce, o più in generale di una qualsiasi onda elettromagnetica. (Perché – tutti voi lo sapete – quella che chiamiamo luce visibile non è che un’onda elettromagnetica con una frequenza compresa in un certo intervallo, anche piccolo, rispetto a tutte quelle possibili). Da Newton in poi si erano alternate varie teorie sulla natura della luce, in un primo tempo su base puramente speculativa, poi su qualche base sperimentale, tuttavia senza mai un test definitivo. Newton pensava ad una luce fatta di corpuscoli, Huygens, suo contemporaneo, era senz’altro per una luce fatta di onde. Ma Newton era politicamente più potente e anche prepotente. Però nell’Ottocento prevalse la teoria ondulatoria, da Young e Fresnel in poi /della serie, alla lunga anche i meno potenti possono prevalere).
Il problema quando si parla di “onda” è che questa parola non sta in piedi da sola. Necessita di un mezzo, di un supporto materiale. L’onda del mare è una particolare e mobile forma della superficie dell’acqua, forma che cambia di momento in momento, così da dar l’idea di spostarsi secondo certe leggi che la fisica può anche studiare, ma che sono comunque sotto gli occhi di tutti. Le onde sonore che permettono la propagazione del suono consistono di particolari movimenti dell’aria, meno visibili ad occhio nudo, tuttavia facilmente rivelabili. Il mezzo, il portatore della propagazione, c’è, si tocca con mano e sono certe sue increspature che costituiscono le onde. L’esistenza delle onde in un mezzo è una conseguenza della natura elastica del mezzo.
C’è stato un periodo in cui le strade di Milano erano piene di scritte tipo: “la chiesa assassina uccide con l’onda”. Io non ho mai ovviamente saputo chi le abbia scritte; e comunque, curiosamente avrei chiesto, con l’onda di che? Un’onda è sempre “di qualche cosa”. E’ come dire “una piega”, una piega di che cosa? Non c’è la piega e basta (veramente, però, quando uno dice: “non fa una piega”?).
E dunque l’ipotesi di una luce ondulatoria richiede prima di ogni altra cosa un mezzo che possa de-formarsi, formando così le onde. Per tutto l’Ottocento gli scienziati che se ne occuparono, Maxwell primo tra tutti, sostennero l’esistenza del celebre etere, l’etere, il mezzo sottile per eccellenza, diafano e impalpabile, cantato dai poeti e invocato dagli scienziati per ricoprire i ruoli più diversi.
Ma qui s’arrestò il Sonno, prima che gli occhi di Zeus lo vedessero,
montando sul pino più alto che mai sopra l’Ida,
cresciuto gigante, per l’aria salisse nell’etere:
così in Iliade, XIV, vv. 286-88, il Sonno, per far le sue trame, deve arrampicarsi, finché l’aria non diventa etere.
La presenza di un tale etere non poté mai essere rivelata dagli scienziati inetti e sordi ad Omero e a Novalis (IV inno alla notte) e a Rimbaud (le bateau ivre), finché Einstein nel 1905 ne decretò la sparizione dalla scena della fisica (non è tutto così semplice, ma se desiderate maggiori dettagli, chiedete). Rimaneva naturalmente il problema della natura della luce. Nel 1909 Einstein cerca di cavarsi d’impaccio con l’affermazione
«Quanto più la teoria elettromagnetica si è sviluppata tanto più s’è spostato sullo sfondo il problema della possibilità di ricondurre i problemi elettromagnetici a problemi meccanici; ci si è così abituati a trattare i concetti di campi elettrico e magnetico, densità spaziale di carica elettrica, ecc., come concetti elementari, che non necessitano di alcuna interpretazione meccanica» (chi vuole gli estremi delle citazioni me le chieda)
Capite lo spirito dell’uomo? “S’è spostato sullo sfondo”, una bella soluzione, basta non porsi più il problema e il problema sparisce. Hoc est.
Però negli anni successivi non si ritenne di sfuggire ad una simile problematica, tanto più che gli esperimenti, che venivano eseguiti sulla base dei suggerimenti provenienti dalle nuove ipotesi teoriche, mostravano senza mezzi termini talora un comportamento ondulatorio e talora un comportamento corpuscolare della radiazione elettromagnetica. A questo non si sfuggiva, era un problema vero, di fronte al quale bisognava muoversi in qualche modo. E la scelta da parte dei fisici che costituivano il forte gruppo delle scuole di Göttingen e di Copenaghen – al tempo la fisica largamente dominante era tedesca, con un’appendice danese – fu una scelta forte, quella cioè di convivere con questa (apparente?) contraddizione, risolvendola però con l’introduzione di una nuova parola. La complementarità, la complementarità dei due aspetti, quello corpuscolare e quello ondulatorio, che solo se considerati in un unico quadro teorico arrivano a dar conto completamente dei fenomeni connessi con la propagazione della luce. È una bella frase, no? “solo se considerati…”, molto convincente.
Qui sta un nodo che va al di là del problema specifico della luce e che ha a che fare col concetto di spiegazione in fisica; cosa significa spiegare, quando dobbiamo ritenerci soddisfatti di una spiegazione? Non è, come si potrebbe pensare, una domanda risolvibile in base a criteri inequivoci e incontrovertibili, la risposta dipende anche dalla personalità e dalla formazione – starei per dire dall’educazione sentimentale – dello scienziato che ha da rispondere. Mentre al gruppo degli emergenti creatori della meccanica quantistica, la spiegazione della complementarità sembrò legittima e soddisfacente, ad altri altrettanto illustri protagonisti sembrò un vero imbroglio.
I commenti a questo post sono chiusi
Molto bello. A me interessa proprio la complementarità come struttura invariante del comprendere. La cosa più profonda che ho letto su questo è “L’opposizione polare” di Romano Guardini, un saggio sull’intelligenza del concreto. E’ un percorso lungo, che passa per le metafore di cui fa largo uso la scienza ma anche per le cosmologie presocratiche, fino alle coppie divine del mito. Un’aspetto della faccenda che mi ossessiona ultimamente è: se le parole sono scritte sulla pagina, dove scriviamo le immagini, qual è la sostanza eterica che le registra? Dato che l’immagine è luce, cioè significato per la mente, che sono le immagini, onde o corpuscoli?
Antonello, f a n t a s t i c o !!! Non ti fermare, vai avanti, facci a pezzi! Post davvero bello e ricco di stimoli.
Com’è che io ho ancora l’impressione che sulla natura della luce parlare di complementarietà non sia altro che un elegante modo per svicolare dal fatto che ancora non sappiamo fornire una sintesi chiara e nuova?
Da buon “purtroppo ormai ex studente di Filosofia”, profondamente interessato a questioni di tal genere, attendo con ansia un “Complementarità e dintorni 2”. Che illumini non tanto alla questione specifica della luce, quanto l’ultimo, cruciale paragrafo del post: in che senso una “spiegazione” può essere sia soddisfacente, sia un “imbroglio”?
(Aggiungerei altro, ma sono le 2.15 di venerdì sera e sono abbastanza sbronzo da rimandare il tutto a un altro giorno. Chiedo venia).
Lei ci svela queste sottili diatribe fra addetti ai lavori che sono veramente deliziose: beati i fisici intenti a discettare sulla complemetarità corpuscolare od ondulatroia della luce, noi per complementarci e complimentarci, banalmente c’innamoriamo, e cerchiamo quella nostra famosa metà che quel dispettoso del padre Zesu ci tagliò via quando si mise a tagliare gli uomini in due come si tagliano le sorbe quando si mettono a seccare, o come si divide un uovo col crine. Tutt’al più accendiamo e spegniamo gli interruttori, se più romantici candele, e fissiamo le fiamme dei focolari affascinati come i primitivi pelosi delle caverne che ogni giorno si chiedevano se dopo la notte sarebbe venuto ancora giorno. Ecco siamo preda di una irrisolta continua complementarità: quella fra il pensiero magico e il pensiero razionale, scientifico. Tocca non farsi vedere abbracciare gli alberi o parlare con i gatti e i vasi di fiori.
Per inciso, a proposito di pensiero magico, ho avuto da bambina, a bordo dei miei schettini con cui percorrevo i viali del Parco Sempione , il piacere di conoscere l’autore delle scritte a cui Lei si riferisce, tipo “la chiesa assassina uccide con l’onda”. Ma anche
“Popolo bue ti uccidono coll’onda”
“Nel mondo esistono onde che torturano e rovinano e uccidono da lontano. Milioni di morti in Italia”
“Nel clero esistono impianti a onde che torturano rovinano e uccidono da lontano”
Se ben ricorda erano firmate C.T.
Caratteri maiuscoli, vernice bianca.
C.T. a bordo del suo bicicarro percorreva la zona intorno all’Arena soffermandosi presso la Fontana dell’Acqua Marcia, e producendosi nei suoi comizi profetici a beneficio di bambini, balie e della corona di vecchietti vestiti di marron e grigio che armati di bicchieri sorseggiavamo l’acqua sulfurea medicamentosa e chiacchieravano a capannelli come stormi di grossi passeri con il cappotto.
C.T. pantaloni tenuti su da una corda, canottiera e capelli all’indietro impomatati, tratti scolpiti di rughe e occhietti vivi e neri spiegava che l’onda era un raggio ultravioletto che scaturiva da un impianto che si trovava in ogni chiesa e che esistevano certi impianti segreti a onde radio elettromagnetiche che da lontano torturavano e uccidevano mirando al cuore. Gli artefici di questo bombardamento di onde erano, secondo lui i Giapponesi comandati dai preti. Sosteneva che in 30 anni c’erano stati milioni di morti, compresi bambini ed animali. Indicava i suoi tre cagnolini, uggiolanti a bordo del bicicarro, di nome Muto, Amore e Umanità., occhi sgranati sporgenti, pelo arruffato, assai rachitici, come vittime certe dell’onda.
Non aveva tutti i torti. A pensarci bene.
era il padre Zeus…
O, abbiamo scoperto la sociologia della scienza. Che pensierino acuto!
Temo che la complementarità sia qualcosa più di una parola “deus ex machina”. Non è l’invenzione della parola che risolve il problema. Questo è l’utilizzo che ne fanno i filosofi troppo pigri per controllarsi gli esperimenti e far di conto.
Complementarità (o il concetto di grandezze “paired”, coniugate, W. Heisenberg, “Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik”) non è nulla più che una parola. Si registra un fenomeno ( o lo si “crea”, poco cambia, visto che è un fenomeno che accumuna tutte le forme di attività intellettuale) e se serve si crea una parola per riferirsi velocemente a questo. Non si può ripercorre impunemente a ritroso questa strada. Prendere la parolina, interpolare la teoria, e poi criticarla, o giudicarla.
Certo i fisici non hanno capito il senso profondo di questo mondo. Sono i filosofi da cocktail (cito) a pensare di avere capito tutto, anche le teorie della meccanica quantistica.
gi.
u, ovviamente non stavo dando del filoso da cocktail all’autore del post. criticavo un attegiamento diffuso, quasi con sfoggio, in tutti i salotti (televisivi letterari poetici mondani radicalchic). il post è chiaro e preciso.
sono andato a leggermi le scimmie.
ora ho bisogno di una punta, giusto una punta, di eroina.
Indimenticabile C.T.!!! Ci sarebbe da scriverci un libro. Tappezzò tutto il periplo del Castello con le sue scritte.
cara così&come grazie, sono andato a leggermi la storia della zia Ada palindroma e del prozio Ugo dalle cupe vocali e si lasci dire che l’ho molto apprezzata. E grazie anche per aver precisato il ricordo delle scritte attorno al parco Sempione che una volta erano veramente dappertutto.
a gi direi e, che di imbrogli (Schwindel) non parlo io ma i protagonisti, come sarà mostrato nella prossima puntata. Son d’accordo nell’evitare i luoghi comuni radicalchic, ma mi pare di esserne abbastanza lontano. Negli anni settanta i filosofi parrucconi alimentavano la polemica contro la sociologia della scienza, solo perché forse non si erano mai occupati dei contesti nei quali i vari sviluppi della scienza si erano dati. Era il tempo dei “filosofi della domenica”. Ma quel tempo è graziaddio passato. Adesso si vanno a leggere i testi originali, lettere e altro, e si pensa con la testa.
biondillo, io mi ricordo che nel 66 quando la nazionale fu buttata fuori dai mondiali dalla corea tappezzarono tutta italia con la scritta edmondo fabbri boia. a proposito di C.T.
complimenti per il suo per sempre giovane, anche se dopo averlo letto mi sono guardato allo specchio e mi sono scoperto più rudere di prima. a proposito, biondillo, lei che è architetto: riatta ruderi?
biondillo, vedo che non risponde. sarà già a sognare quarto oggiaro e l’ispettore ferraro? ehi, guardi che li voglio tutti e due presto qui, sul tavolo! come l’olio sasso… matildeee!!!
(ah, i caroselli, sta cosa di fk mi ha fatto tornare indietro come il gambero, il gambero, il gamberoooo… quello di franco nebbia, ricorda biondillo?)
Il clero da lontano… me lo ricordo anch’io al Parco Sempione: ero una di quelle bambine che giocavano fra il cemento e i trapezi dei prati. (fine anni Settanta?)
Mi ricordo anche il prof. Sparzani ai seminari del Collettivo Galileo alla Facoltà di Fisica (fine anni Ottanta) e quella volta che si parlava della Struttura delle rivoluzioni scientifiche e ci si interrogava se la scienza procedesse per salti oppure per continuità (eravamo studenti di Fisica assetati di filosofia): ero quella studentessa che si era portata da casa “L’immagine del mondo” di Schroedinger (le fonti appunto!) e che avevo letto dei pezzi del saggio “La scienza dipende dall’ambiente?” (anno 1932).
Non so perche’ mi sto intromettendo qui, come non so perche’ continuo a scrivere.
Sono in ritardo e per di piu’ sto leggendo alla rovescia (ho letto prima La stella polare e devo ancora leggere le altre complementarieta’).
Non so neppure perche’ continuo a leggere tutto quello che trovo su letteratura e scienza. Pero’ me ne vanto: spreco di meno il mio tempo.
So solo che sono andata indietro di trent’anni e poi di circa quindici e sono una che odia i “mi ricordo”. Pero’ stavolta mi ha fatto molto piacere!
A proposito di spiegazione e di comprensione Gianni Zanarini in “Diario di viaggio” (in cui parla dei sistemi complessi) fa la distinzione fra l’approccio esplicativo della scienza in cui capire significa ridurre al gioco di elementi semplici e l’approccio progettuale dell’ingegneria in cui capire significa fare (o almeno saper rifare in linea di principio).
Forse non c’entra ma io il discorso dell’onda-particella l’ho capito solo leggendo Feynmann: l’elettrone non e’ ne’ un’onda ne’ una particella perche’ una particella si comporta sempre come una particella e un’onda come un’onda, quindi l’elettrone e’ qualcosa di ALTRO. Mentre a lezione mi dicevano che era sia un’onda sia una particella….
C’e’ mia figlia che mi chiama
vi saluto
Fra