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Anteprima Sud: Renata Prunas vs Anna Maria Ortese

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Anna Maria e gli anni della Nunziatella
di
Renata Prunas

Gli anni della Nunziatella iniziano nel 1945.
Tornati a Napoli, dopo gli anni difficili vissuti da sfollati, inseguiti dai bombardamenti e dai rastrellamenti a tappeto dei ‘traditori italiani’, da parte dei tedeschi in ritirata, La Nunziatella apparve a tutta la famiglia come un meraviglioso, inespugnabile e solido ‘Castello’, nascosto in cima ad una strada dal nome più che rassicurante: Monte di Dio!
Tutto evocava finalmente una protezione e forse un po’ di serenità.
Si lasciavano a valle strade devastate, ostruite da interi palazzi in macerie e la città ridotta ad un “paesaggio con rovine”, come la definirà lo scrittore Samy Fayad.
Dalla sconfitta alla pace, dunque, un ritorno esaltante e dirompente di pensieri liberi e di un futuro ancora possibile. Quelle rovine, in realtà, emanavano ora energie, quelle stesse energie che spinsero anche Anna Maria nel nostro Castello… la Nunziatella, appunto.
Così, come rassicurò noi, quel luogo accolse e rassicurò anche tutti i giovani intellettuali di SUD, che lo frequentarono a lungo. «I ragazzi di Monte di Dio», come titola il libro di Atanasio Mozzillo, oppure «Le giacchette grigie della Nunziatella», come li chiamerà la stessa Anna Maria in un suo scritto, ricordando quegli anni, in occasione della ristampa di SUD, nel 1994.

La Nunziatella, con la sua grande casa che abbiamo abitato dal ’45 al ’50 -assegnata a mio padre come Preside e non come Comandante del Collegio Militare, in quanto declassato a Collegio civile dagli alleati – e la redazione di SUD ricavata al suo interno, diventano ben presto il fulcro del fermento culturale napoletano di quei primi anni del dopoguerra.
Nell’ estate del ‘45 è già in preparazione il primo numero e mio fratello, che ne è fondatore e direttore, è alla ricerca di giovani collaboratori per il suo giornale.

«Un giorno apparve Pasquale Prunas che chiamò a raccolta noi giovani dispersi,
ricorda Luigi Compagnone, dove ci aveva mai pescati, quel giovane esile e pensoso? Era venuto a ripescarci su “IX Maggio”, l’ex giornale dell’ex GUF (Gruppi Universitari Fascisti) napoletano; giornale sul quale avevamo scritto tutti, per far la fronda al regime.»
«Fu proprio Pasquale ad avvicinare Anna Maria, scrivendole per chiederle di collaborare, ricorda anche Carla de Riso, a Napoli era già nota per il suo libro di racconti «Angelici dolori», edito nel ’37 e poi nel ’42 da Bompiani. Se avesse accettato, ma non ne eravamo poi così sicuri non avendo una lira da offrirle, la Ortese sarebbe stata senz’altro una ‘firma’ di prestigio per il primo numero del giornale.»

Ma di questa sua fama Anna Maria non ne era assolutamente convinta, anzi, così dirà anni dopo:
«Quando tornai a Napoli, nel dopoguerra, ero ridiventata una sconosciuta, ma “vidi” la città per la prima volta. Da ragazzina non avevo avuto alcun contatto con la realtà. Le cose terribili cui assistetti mi sconvolsero.»
Riapparivano così le sue angosce, le sue incertezze ed il timore di non essere più accettata nel mondo letterario la rendevano estremamente fragile e quasi infantile nel suo continuo dolersi e scusarsi.
Ed è palpabile questo suo stato d’animo proprio in una delle prime lettere che Anna Maria invierà a Prunas, dopo aver accettato di collaborare, nel marzo del ’46.

Prunas, sono ancora una volta dolente di aver fatto ritardo.
Certo la cosa non vale più, Lei non potrà pubblicare. Glielo lascio perché lo legga; se le va, può farmelo sapere e andrò a batterlo a macchina in qualche posto, ne farò una copia linda. Servirebbe così per la prossima volta. Se non le va, non mi dica niente, capirò da me e cercherò di preparare un racconto diverso. Questo comincia in un modo ordinario, forse, e poi mi sembra… Insomma, forse non è pel suo giornale. Mi piace molto, Sud, sa, e vorrei collaborarvi degnamente. Può scusarmi se Le ho fatto perdere del tempo?

Il racconto di cui parla la Ortese, «Dolente splendore del vicolo», fu pubblicato su Sud in due puntate e mai titolo fu più appropriato per questa sua reale e ‘dolente’ fatica.
Cominciò così la collaborazione al giornale di Anna Maria che ne divenne nei mesi successivi anche una redattrice, fino all’ultimo numero che uscì nell’ottobre del ’47.
La sua presenza da noi era ormai abituale e familiare. Con entusiasmo affrontava la lunga strada che da casa sua la portava a Monte di Dio e infine nella ‘mitica’ e affollata redazione immersa in nuvole di fumo, animata da propositi e conversazioni senza fine dove entrava silenziosa, quasi in punta di piedi. Non la vidi mai comoda su di una poltrona. Il suo posto preferito era una sedia che occupava solo a metà, come fosse uno sgabello. Composta, attenta, nulla doveva essere perso di quel ‘fumo’ e di quella ‘sostanza’.

Rovinosamente timida, si diceva di lei, ma anche intransigente nel pretendere un aiuto, un soccorso immediato: una sigaretta, un chicco di caffé per non disturbare; una matita, almeno quella, per poter scrivere, l’Olivetti è rotta!
Anna Maria stava lentamente recuperando la sua grinta tenace e silenziosa ed ora il suo desiderio di socializzare la rendeva finalmente più sorridente e disposta all’amicizia soprattutto con alcuni dei redattori più assidui che diventarono poi i protagonisti involontari del racconto «Il silenzio della ragione» che conclude il libro di Anna Maria «Il mare non bagna Napoli», uscito da Einaudi per ‘I gettoni’ di Vittorini nel ’53.

Quegli amici e collaboratori di SUD, di cui anche lei era stata parte integrante, che con la loro intelligenza, la passione, la carica di rinnovamento, rappresentavano la ricchezza culturale non solo del giornale ma anche di una città in rianimazione, vissero quel racconto, che ne descriveva con cura meticolosa una precoce disfatta, come un tradimento che da alcuni non fu mai perdonato.
Sarà proprio Luigi Compagnone, uno dei più risentiti verso Anna Maria, «per averci ‘raccontati’ tutti senza pietà e con nome e cognome», a ricordare invece e sempre con malinconia e rimpianto, quegli anni di SUD e ‘Pasqualino’ (come amava chiamarlo), ideatore e costruttore paziente di quel coraggioso progetto giornalistico e letterario che fu SUD.

«Vivevamo all’interno di un gruppo stupendo e irripetibile, ed Anna ne ha goduto con noi e forse più di noi i suoi frutti. Quando lessi “Il silenzio della ragione”ne rimasi sconvolto e mi parve di aver perso davvero la ragione» mi disse in un’ultima conversazione che ebbi con lui, «Sud era una confraternita laica, non ci legava un’ideologia ma un vero e proprio progetto di aggregazione poetica tutta da inventare.»

E ribadirà La Capria in una intervista:
«…in quegli anni a Napoli, cercavamo di diventare quello che già eravamo. E per grande tradizione: scrittori di una città europea, illuministica e civile.»
Ma la vita e gli eventi della famiglia spesso si intrecciavano con quelli del giornale e una strana ed improbabile intesa si stabilì fra mia madre Marianna, che svolgeva opera di volontariato nelle Dame di carità andando nei luoghi più degradati di Napoli, e Anna Maria che mostrava molto interesse per questi giri ‘caritatevoli’ facendole spesso timide ma pressanti domande, “per i suoi articoli”, diceva scusandosi.

Un giorno fu mia madre a chiederle a bruciapelo: «Ortese, ma lei ha mai visto i Granili? Se non lo ha fatto le consiglio di andarci; sarebbe utile che lei vedesse e ne scrivesse di quell’inferno che anche Dio sembra aver dimenticato.
Credo sia giusto che anche altri sappiano, e lei ha le capacità per farlo. Vedrà che le sarà difficile fermare i tasti della sua Olivetti! »
Anna Maria, non perse tempo e pochi giorni dopo era lì.
Il reportage era destinato probabilmente al settimanale CITTÁ, il nuovo giornale fondato e diretto da mio fratello Pasquale nel ’49 dopo la chiusura di SUD e al quale la Ortese collaborò con un paio di articoli di cronaca napoletana. CITTA’ chiuse dopo soli cinque numeri ed il reportage sui Granili, antica caserma borbonica interamente occupata da migliaia di poveri sfollati, rimase impubblicato. In seguito Anna Maria lo dirottò sul MONDO e successivamente, con lo stesso titolo, «La città involontaria», divenne il quarto racconto di «Il mare non bagna Napoli». La gelida descrizione di quel ghetto inimmaginabile che aveva scoperto, in ognuna delle sue due versioni, lasciò il segno.

Camilla Cederna, dopo l’uscita dell’articolo sul MONDO, le scriverà da Milano il 16 gennaio del 1952:
«Mi faccio viva per dirle quanto mi sono piaciuti i due suoi ultimi articoli sul Mondo (“La città involontaria” e “La bambina con gli occhiali”), quali doti di superba scrittrice-giornalista vi ho riscoperto.»

Severo e lapidario, invece, il giudizio dato a distanza di 40 anni su quel racconto da Erri De Luca, apparso sul Corriere della Sera in occasione della riedizione del Mare nel ‘94.
«… muoversi tra le corsie d’emergenza dell’umanità, introdursi nella miseria senza compassione è violazione di domicilio e intimità.»
Ma le curiosità di Anna Maria e le occasioni per scrutare la città e la sua anima in tutte le sue pieghe, passavano anche ed ancora sui vari argomenti o storie che venivano vissute da tutti noi, ai margini della redazione ‘impegnata’ situata a pochi metri di distanza.
Fu così che Anna Maria un giorno venne a sapere di una visita di devozione che stava per fare mia madre al Monastero delle suore di clausura di San Gregorio Armeno, dove vi erano custodite le spoglie di santa Patrizia e l’ampolla con il suo sangue che ripeteva il miracolo della liquefazione, ma solo in presenza dei più ‘degni’!

Anna Maria, incredula, le propose di accompagnarla, “sempre per i suoi articoli”, si giustificò. A loro decise di unirsi anche Carla de Riso, redattrice di Sud ma anche amica di famiglia. Ma dopo quel primo entusiasmo di natura giornalistica e di scetticismo dichiarato, Anna Maria fu presa dall’angoscia di un giudizio negativo da parte della Santa.
«Non posso sottopormi a questo esame, non me la sento!» continuava quasi ossessivamente a ripetere, continuando a rimandare quello strano pellegrinaggio.
Ma un giorno si presentò decisa: «Andiamo!» disse, «Non credo poi di essere così ‘indegna’…» e con tono quasi di sfida aggiunse: «…avendo tanto sofferto sarò certamente giudicata con misericordia. »

Andarono. Ed anche un po’ segretamente.
La Santa, da vera santa qual’era, fu misericordiosa, sciolse il suo sangue in modo inequivocabile ma dopo ben 15 minuti di attesa e di panico delle tre buone peccatrici finalmente appagate.
Questa piccola storia, diligentemente taciuta a lungo, che coinvolse in modo affettuoso Anna Maria in un evento anomalo per la sua natura, mi fu raccontata molto tempo dopo da mia madre e da Carla de Riso. Si rivela così un modo d’essere poco noto di Anna Maria: il suo perenne ed inesauribile bisogno di confermare se stessa con quell’affetto e complicità amichevoli che, a suo dire, trovò sempre fra di noi e che l’aiutarono a superare le profonde difficoltà di vivere, comunque sopravvissute intatte per tutta la sua lunga vita.

*Sintesi dall’intervento di Renata Prunas al convegno
Anna Maria Ortese – le carte

Convegno di studi 7/8 novembre 2006 – Archivio di Stato – Napoli

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3 Commenti

  1. Grazie francesco, è interessante questo scritto. Molto interessante, intelligente e ricco di informazioni utili, ma mi lascia come un po’ d’amaro in bocca.
    Non so … sarà una mia idea, ma ci sento una punta acre di risentimento, come se anna maria ortese non fosse stata abbastanza riconoscente per il “gran bene” ricevuto … e per questo ci avverto come una incapacità di capire veramente la scrittrice e soprattutto le sue nevrosi che, va ricordato (perchè questo solo conta), le hanno permesso di scrivere con quella magnifica scrittura corposa, magica e sontuosa.
    Ad ogni modo è un pezzo scritto bene che dà l’idea della grande fragilità di anna maria ortese, fragilità che è stata però la sua forza di scrittura.
    E interessante leggere questa descrizione della Ortese vista dal di fuori, e confrontarla poi con il racconto “incriminato” che denuncia invece una personalità forte, acuta, implacabile, che oltrepassa gli amici e vede la storia dentro le persone che le sono davanti, nei loro gesti, nei loro calzini, nei loro tic che e per questo è necessariamente impietosa, crudele … grande.

    Siccome le stesse nevrosi, insicurezze, bisogno sempre insoddisfatto di affetto, ansia dolorosa di riconoscimento, sono riscontrabili in moltissimi grandi scrittori, mi domando se siano naturali, parte del loro carattere e che la scrittura diventi quindi come un rifugio, una “cura”, o se siano invece, al contrario naturale conseguenza di un continuo distruttivo tentativo di consumare se stessi per vivere sulla pagina.
    Su Erri de luca invece ormai mi sono fatta l’idea che non abbia un alto QI.:-)
    geo

  2. sai Georgia, una punta di amarezza l’ho provata anch’io quando ho letto lo scambio epistolare tra Vittorini e la Ortese, dove lo scrittore siciliano insiste a che il racconto “terribile” del mare non bagna Napoli riporti i nomi e cognomi degli intellettuali napoletani da sacrificare sull’altare di un J’accuse alla società delle lettere che Sud rappresentava. E non parliamo certo di autori minori rispetto alla Ortese. I soli nomi di Compagnone (che è stato un grandissimo scrittore ma quanto conosciuto ? o di Scognamiglio le cui vicissitudini esistenziali ricordano da vicino il vostro, perchè toscano, Dino Campana, basterebbero a capire l’amarezza che Anna Maria Ortese, com’è splendidamente notato da Renata, aveva nella consapevolezza della scrittrice di avere tradito i suoi amici.
    Il che non toglie assolutamente valore alla figura letteraria della Ortese, e del resto condivido il tuo giudizio sulla fragilità di certe “grandezze”.
    Ma la storia letteraria (e non solo) è ricca di queste icomprensioni. Per il solo novecento basti pensare ai processi interni al surrealismo, alla rottura tra Sartre e Camus, ai situazionisti e allo stesso ultimissimo Houellebecq con il suo gruppo letterario d’origine legato alla rivista Perpendiculaires.
    E’ importante però testimoniare questi eventi anche per capire
    effeffe

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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