Poecensione di Il carretto fantasma, di Selma Lagerlof
1. ripubblicazione, uh
di un
breve romanzo
del nobel
per la letteratura – nel 1909
selma lagerlof,
storia di intenso impatto
che è una ripresa del
canto di natale di dickens
sul solco
del mito bretone
del carrettiere della morte
ambientato (però)
nel sottoproletariato, e teso
tra forte realismo dell’ambientazione
e la fantastica presenza
del carretto
e del suo cocchiere.
2. trasposto nel cinema
da victor sjostrom
nel 1920,
l’ho letto in due ore (2)
in due ore -sì- l’ho letto (2) e
in sei minuti ho scritto (6)
la recensione e
in due minuti (2)
questa poesia:::
ma è una poesia?
no, no – no no no;
cos’è, allora?
non so
forse la fine
di tutto.
non c’è più
religione:
tutto si sputtana – ecco,
nel tritatutto mediatico
i film diventano catarsi
vontrieriane
la musica blese citazioni – di dj
il romanzo si asservisce
al gender e al trans-gender
la poesia si deforma
con gli oggetti d’uso – bastoni, forconi, pc:
duchamp ci ha rovinati, fottuti
tutti
vergogna!
silenzio!
(3. quand’ero piccolo, invece
scrivevo davvero – o almeno
ci provavo. 1976, liceale
scrivevo
SFOGAZIONE:
cadere nascendo, sul sentiero ero ero…
sentiero vitale che trascende
l’eco di questa corsa
rimembranze ortodosse
lasciate al folle vento del giovedì…
…questa è la prima cosa mia che è rimasta; nel senso che la ricordo ancora a memoria, in originale era un bel po’ più lunga, ma l’ho persa, ricordo solo l’inizio, questo; avevo quindici anni, seconda liceo, credo, erano tempi belli e terribili, erano tempi di speranze affogate/ nella disperazione/ d’aver/ già intuìto/ il futuro.)
(Rielaborazione di una mia recensione apparsa su “Letture”)
Duchamp era necessario all’inizio del secolo scorso, oggi siamo in un altro secolo. Questo è il problema.
sous dechanps
la plage
effeffe
mmmmmm
effeffe
ps
mi servono degli occhiali da vista
e perchè no da udito
negli inizi c’è qualcosa che resta per sempre.
ciao, Franz.
Sì, concordo con Centofanti, Franz dovresti ripartire da quando avevi 15 anni e proseguire la tua sfogazione ;-)))
Franz, mi perdoni se le sembrerò indiscreto, ma perché a un certo punto ha dismesso la sfogazione? Visto che si sfogaziava così bene, immagino che solo la scoperta di una nuova “tecnica”, più adeguata al mutare dei “bisogni”, può averla distolta dalle pratiche sfogazionali. O mi sbaglio?
effeffe, mi perdoni se le sembrerò indiscreto, ma lei ultimamente perde qualche “colpo”. Mi permetta di consigliarle di non perdere di vista…gli occhiali. Lei a sfogazioni giovanili come se la passava?
adesso che c’ho gli occhiali mi accorgo di aver confuso un eccellente maestro d’arti con un mediocre giocatore
me ne scuso
effeffe
Franz, come Picasso, non cerca: trova!
Suvvia effeffe, non faccia così, adesso mi fa sentire in colpa.
Pensi che a me succede, talvolta, di confondere quell’affare lì con una bottiglietta piena di liquido. Cosa dovrei fare?
Piuttosto, vedo che non ci ha parlato delle sue sfogazioni giovanili…
io, invece, ripartirei dal padre di guerra…poemetto con innesto…
“prestissimo tu andavi
verso dove, verso chissà, verso
avanti, sempre avanti, verso dove
dove, chissà, dove che forse – e forse mai;”
Sempre avanti… Franz, la poesia dobbiamo farla “resuscitare” così.
Marco
E per farlo restare per sempre è fondamentale chi conosce il passo dopo, chi prende l’elemento debole e lo recupera, lo sconvolge e stravolge.
Nel senso che per amare Duchamp bisogna far morire Duchamp.
Che poi forse non so, è il senso di .
Beh mi dimentico sempre che le parole scompaiono nelle citazioni.
Era: Che poi forse non so, è il senso di “duchamp ci ha rovinati, fottuti / tutti”.
Però aggiungo che non so se nella poesia si possa parlare di senso. La poesia è qualcosa di nuovo, la ascolto piano, da lontano, credo da scoprire.
il ritorno del Grande Franz, il Barbaro manipolatore delle Lettere..:-)
caro Ugolino, esatto: fu attorno a quel tempo che scoprii…
la donna:-)
@Ugolino
l’herpes mi veniva sempre quando si presentava l’occasione giusta
effeffe
ps
comunque chi ti ha detto che mi sposo?
@a franz e a ugolino
l’attesa
gli occhi s’erano impressi a vetri
e neri come diamanti
graffiavano prigionieri
del raffinato vuoto
la lontananza
-sorride il camiciaio che è all’angolo-
ti aspetto
quest’io scrivetti in queli anni
in genere dell’infanzia si ha un ricordo sfocato, quasi oscuro….ma quando ne riemergono frammenti, allora è come illuminare una stanza, può essere doloroso o gioioso, ma sempre arricchisce il “nostro carrettino”…
che per me simboleggia la tenacia dell’esistere…..
e comunque….è bello frugare nei nostri meandri
un caldo abbraccio
carla
Anch’io, caro effeffe, in queli ani scrivevo peosie. Peosie d’anore.
La mia musa ispiratrice si chiamava Bernarda. Che non era, come qualcuno potrebbe pensare, la mia fidanzatina. Ma sua madre.
Mi permetto di lasciare qui, a futura memoria, un saggio della mia pravura. Mi spiace solo per coloro che, davanti a tanto genio, manifesto già in tenera etade, smetterano di scrivere, non sentendosi, giustamente, all’altezza (e forse nemmeno alla base).
Ecco una delle tante peosie d’anore che scrivevo. Notate che ho sempre preferito il verso corto: un modo come un altro per arrivare subito all’uovo (sodo).
Se qualcuno pensa a chi sa quale altro motivo, si sbaglia. Di grosso.
Ah!…
Ah!….
Che bella pansé che tieni,
che bella pansé che hai…
me la dai?
me la dai?
me la dai la tua pansé?
ah la pensée…
effeffe
et le pansement
Mais oui, mon ami, simplement: le pansement!
p.s.
Doktor Krauspenhaar, voglia scusare l’ IT.
i miei primi versi:
ero
ero
ina
in vena
megl
io
del
la
boro
cil
li
na
Non so cosa darei per poter leggere una poesia giovanile di tashtego…
Gira voce che una delle prove giovanili rechi per titolo “la mia prima comunione”. Ma sarà la solita leggenda metropolitana.
il ragazzo a sei anni scrisse questa in occasione del santo natale.
dio dio mio
ti scrivo io
ti dico io
che tu
non sei nessù
c’è solo il sol
il sol dell’avvenir
viva stalin
viva lenìn
abbasso la lazio
squadraccia fascista
viva la roma
marxist-leninista
rompiamo le palle
ai siori padroni
rompiamo le palle
di tutti i cannoni
mettete dei mozzi
nei vostri cannoni
sparateli bene
sparateli fuori.
Adesso è tutto più chiaro. Ora sì che capisco, finalmente, perché la sinistra in Italia è nelle condizioni in cui è.
Ciò non toglie, comunque, che tash fosse un talento “in erba”. Gli ultimi versi meritano, da soli, di passare alla storia: quattro senari piani, di cui uno spurio, che meriterebbero l’onore dei trattati di retorica e stilistica. Con innegabili doti di preveggenza, comunque. Il ragazzo già vedeva lontano, già ipotecava il futuro:
“mettete dei mozzi
nei vostri cannoni”
E l’apoteosi:
“sparateli bene
sparateli fuori”.
Grazie, zio.