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Parlare sottovoce

di Giorgio Vasta 

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Qualche sera fa ero al cinema con una mia amica romana, una ragazza che ha una cadenza riconoscibilissima, romana in ogni parola, romana anche quando dice sì o no, romana nelle sillabe. Durante il film la mia amica ha fatto un paio di commenti e, sottovoce, la sua fortissima cadenza romana era scomparsa (mi sono persino girato verso di lei, mentre mi parlava all’orecchio, perché mi sembrava non fosse più lei a parlarmi, come se nel buio fosse avvenuta una sostituzione, uno scambio di persona e di voce, e quindi nel buio guardavo verso di lei e le guardavo la bocca e le guardavo in bocca cercando di riconoscere le parole romane che però all’improvviso non c’erano più).

Allora ho deciso di fare un esperimento. Ho chiesto ad alcuni amici di città diverse – tutte persone dalle cadenze molto nette – di dire qualcosa a bassa voce. Pressoché in ogni caso l’esito è stato lo stesso: la cadenza si è ridotta tantissimo, se non si è addirittura annullata (nel corso di questo esperimento si è verificato ogni volta lo stesso fenomeno di spaesamento che si era verificato al cinema quando la mia amica mi parlava all’orecchio, nel senso che ogni volta mi è sembrato che la persona che mi stava parlando all’orecchio non fosse la stessa che conoscevo e che fino a un momento prima mi stava parlando con voce normale e ogni volta mi sono girato a guardare la bocca e in bocca per capire questa specie di maschera, questa calza di nylon neutralizzante calata su voci diverse improvvisamente tutte uguali. Perché anche questo è venuto fuori dall’esperimento: che sottovoce le voci delle persone non soltanto sono sostanzialmente diverse da quando parlano normalmente ma sono anche molto simili tra loro, si assomigliano, si sovrappongono, come se fossero rettangoli di carta di dimensioni diverse ma tutti dello stesso identico colore).

Mi sono fatto delle domande.

Parlare a voce normale significa rivelare una serie di caratteristiche della propria voce – il timbro, il tono e soprattutto la cadenza, ovvero la specifica inclinazione regionale o cittadina, il fatto che le vocali siano più o meno aperte o chiuse o socchiuse, il modo in cui risolviamo l’intralcio di alcune consonanti nelle nostre bocche, le rotacizzazioni, le “esse” sibilanti e tutti gli altri microfenomeni microcataclismatici cui diamo luogo parlando. Parlare a voce normale è l’equivalente di un’impronta digitale, è un’impronta fonetica, qualcosa che ci individua come parlanti “locali”, ovvero come vettori linguistici di una serie di costanti proprie di uno specifico territorio, e come parlanti individuali, attraverso i segni più idiosincratici della nostra voce, i vizi e le virtù del nostro modo di esprimerci (un mio amico parla con una voce che mescola sardo ed emiliano, come se Cossiga avesse ingoiato Peppone, e viceversa, in un imprevedibile confinare delle due regioni e in un successivo reciproco sconfinare; un altro parla come se avesse un criceto – un criceto catanese – dentro la bocca e a ogni movimento della bocca impegnata a fare le parole le ossicine del criceto venissero frantumate e il pelo raschiasse contro la gola e il parlare fosse una frantumazione continua e un affogare e una spremitura di sangue buccale – il dolore delle parole).

Se però, al cinema durante lo spettacolo, o a scuola mentre c’è lezione, oppure nella stanza di un ospedale, intorno al letto di un malato, ci mettiamo a parlare sottovoce cambia tutto. Cambia tutto perché il sottovoce determina lo smaltimento delle caratteristiche formali e sostanziali della nostra voce, azzera le differenze locali e le specificità individuali, producendo una lingua sovranazionale e, direi, persino sovralinguistica, o meglio ultralinguistica, perché parlare sottovoce è al di là del parlare, perché il sottovoce esprime qualcosa che trascende l’intelligibilità delle parole, la loro specifica comprensione, e al posto della comprensione instaura una piccola legge emotiva, una legge orale-affettiva, la legge per la quale il sottovoce ci racconta già, da solo, prima e oltre le parole pronunciate, che al suo interno viene tramato un segreto, una confidenza, una preoccupazione, uno scrupolo, un rispetto.

Chi parla sottovoce parla la lingua internazionale dei cospiratori dell’emozione, sceglie di far esistere la sua voce in una forma attenuata e insieme vibratile, semiclandestina, una voce più vicina alla respirazione che a una vera e propria fonazione, perché nel sottovoce noi respiriamo masserelle di parole nell’orecchio del nostro interlocutore. Solo nel suo orecchio. Perché parlare sottovoce vuol dire anche questo: scegliere un interlocutore, eleggerlo, esserci solo per lui. Ed è questa la ragione, credo, per la quale quando qualcuno ci parla sottovoce ci sentiamo oggetto di una specie di investitura, perché diventiamo i destinatari di un “a parte”, veniamo appunto eletti. E dentro di noi, tra orecchio e cuore, si dilata il piacere di essere stati scelti.

Parlare sottovoce, commentare la realtà sottovoce, è la scelta di chi la realtà vuole scardinarla con un’arma immateriale, invisibile, arcaica e potentissima: il soffio.

 

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24 Commenti

  1. affascinante. si. molto.
    non credo di avere letto mai nulla di simile sulla voce di sotto.
    la voce di sotto”, il sottovoce, la voce che sta sotto la voce… la risposta nella parola?
    la voce emozionale. azzardo: la voce che sussurra mentre si fa l’amore?” quella. che non si tiene a bada(?)
    un saluto
    paola

  2. “fare l’amore” in senso lato.in quel senso.

    per me essere sola a parlarmi, o quando abbraccio un amico o amica, quando veglio una persona che sta morendo. ecco tutto mi parlano come “un fare l’amore”.
    la voce di sotto, che allinea i nervi, li riordina. li ammansisce. una cosa così.
    p

  3. Parlando di lingue sovranazionali: l’anziano padre di una mia cara amica diceva spesso che i bambini del mondo ridono tutti nella stessa lingua.

  4. Un’intuizione semplicemente sublime! complimenti davvero per avere rilevato questa percezione del soffio che nell’indaffararsi della vita quotidiana si perde nelle urla, nei frastuoni e non si riesce davvero ad Ascoltare. Unico dettaglio in cui differisco è quando dici che sottovoce le persone sembrano tutte uguali….discordo…alcuni “soffi” sono pieni di brivido e sensazioni ..altri meramente indifferenti. E, soprattutto, ho notato nella mia vita che non tutte le persone sono CAPACI di parlar sottovoce….forse perchè non vogliono davvero lasciarsi andare.

  5. caro giorgio
    bel testo e ricco di implicazioni.
    che ne dici di una frase che ho sentito una volta e che diceva che un urlo è un urlo anche a bassa voce?

  6. parlando sottovoce mi sono accorta che in una regione che non è la mia, quando parlo ..non sono guardata come un’appestata, perché checchè se ne dica ognuno “accetta” solo la cadenza della propria terra, quelle altre sono sempre guardate “con sufficienza”. E questo riguarda, secondo me, qualsiasi regione, e forse anche qualsiasi città di una stessa regione.
    Un caro augurio di Buone Feste

  7. Intenso
    questo sentire
    dovremmo più spesso cimentarci
    ad ascoltarci…

    è come quando scriviamo col cuore.

    ciao
    carla

  8. «Chi parla sottovoce parla la lingua internazionale dei cospiratori dell’emozione…» è una frase strepitosa! Pure il concetto lo è.

  9. quel tuo splendido soffio è il colmo dell’inerzialità. Iniziare a parlare sottovoce non è facile, bisogna spingere qualche bottone giusto. Grazie Giorgio. a.

  10. “Parlare sottovoce, commentare la realtà sottovoce, è la scelta di chi la realtà vuole scardinarla con un’arma immateriale, invisibile, arcaica e potentissima: il soffio.”

    Perdonatemi: il letto ed il commentato pare a me una simpatica costruzione “intellettuale” con qualche fascino ma “altrove”. Si parla sottovoce quando le diverse situazioni lo richiedono, ed il parlante non muta: come potrebbe mai?
    E’ sempre lo stesso ed il livello della voce lascia tutto integro, interessi noia passioni storia, nulla muta e nulla si rivela comunque si ponga il cursore: semmai le parole, ma non sempre e non necessariamente.

    “quel tuo splendido soffio è il colmo dell’inerzialità.”

    Ecco, non capisco davvero, e certo per mia insufficienza.
    Si parlava sottovoce in laboratorio per non disturbare i vicini, ma scevri da pensieri sull’inerzialità. Ed anche si parlava sottovoce al fianco di una donna, sovente dopo momenti di più alti livelli, restando gli stessi amanti delle grida, nulla modificando del poco o tanto che s’era, nulla distroggendo e nulla costruendo per quella strada “sommessa”.

    Il primato resta sempre alla concretezza degli eventi delle parole e delle emozioni, comunque siano espresse/inespresse: altro non sa dire un vecchio “scienziato” privo d’indagini sul mondo delle costruzioni immateriali. Probabilmente un’omissione grave ed oramai irrecuperabile che gli ha precluso una fetta di “mondo” e fors’anche di una qualche forma di gioia.

    Mario

  11. Contesto l’esperimento. Quando la mia ex fidanzata mi parlava sotto voce nell’orecchio dopo aver fatto l’amore, si sentiva che era calabrese.
    Chissà in che dialetto pensiamo…
    cp

  12. tesi molto letteraria, tranne lo splendido “microfenomeni microcataclismatici” che è un bel delirio.
    è vero anche che sottovoce non è possibile riconoscere la voce maschile da quella femminile.
    l’accento dialettale forse si cancella, ma la costruzione dialettale no: se la ragazza al cine avesse detto sottovoce una cosa tipo “se ne annamo peffavore che me so’ un po’ rotta le scatole de ‘sto firm” magari la riflessione sulla potenza del soffio (nell’orecchio, certo), vasta non la faceva.
    non gliene veniva l’ispirazione.

  13. “è vero anche che sottovoce non è possibile riconoscere la voce maschile da quella femminile.”

    mapeffavore!

  14. Bello, proprio bello questo scritto. Grazie. Il problema è che tutti noi abbiamo una voce che soffia e una voce che urla. Diciamo anche una voce di sopra e una voce di sotto, una voce dentro e una voce fuori, una voce alta e una voce bassa. Sia l’una che l’altra ci servono, sia l’una che l’altra ci confondono. Dovremmo cercare di usarle meglio, cioè anche a sproposito. Queste due splendide metà potrebbero diventare presto vasi comunicanti. Hai visto mai? Secondo me, anche le persone che dormono si assomigliano un po’ tutte, ma non i gatti acciambellati sulle nostre ginocchia. Vasi comunicanti i gatti lo sono individualmente, noi imparando da loro.

  15. Heh. Vero. Anche se ci sono delle ragioni. L’inflessione dialettale è data principalmente dalle vocali “o” ed “e” quando si trovano nella sillaba sulla quale cade l’accento tonico, e che possono essere “aperte” (ovvero quando l’accento è grave) o “chiuse” (ovvero quando l’accento è acuto). Le inflessioni dialettali ci portano a sbagliare l’accento (e quindi a pronunciare una “e” o una “o” aperte quando dovrebbero essere chiuse e viceversa). Oltre alle vocali, ci sono alcune consonanti (“s” e “z”) che devono essere pronunciate sorde (senza emissione di voce) o sonore (con emissione di voce), e che nelle inflessioni dialettali si sonorizzano quando non dovrebbero o viceversa. Nel parlare sottovoce (e qui intendo proprio senza emissione di voce, solo a bisbigli e sussurri, non a voce bassa) le differenze di accento fra le vocali e la sonorità o meno delle consonanti “s” e “z” si riducono estremamente e quindi può davvero in un certo senso sparire l’inflessione dialettale, salvo l’uso di lessico e costruzione di frase specifici. Ciò detto, splendido pezzo davvero.

  16. Questo bel pezzo di Vasta mi ha ricordato alcuni versi che non posso mettere ora qui, in più le lezioni di canto lirico che presi molti anni fa. La maestra di canto seguiva una tecnica di un’altra cantante (se non ricordo male, russa) che mi affascinò: si doveva sviluppare la “piccola voce”. Insomma, in breve, bisognava evitare per molto tempo l’uso “forte” della voce perché così si cadeva facilmente nel canto di “gola”, col risultato di rovinarsi la voce e di cantare male. Ricordo certi strambi esercizi! ve ne dico uno solo: dovevo fare i vocalizzi tenendomi la lingua con un fazzoletto… Il fiato (il soffio?) doveva uscire senza spingere…

  17. la mia donna quando urla mi piace meno di quando sussurra. quando sussurra dice cose diverse di quando urla. quando parla normalmente è più gradevole di quando urla ma meno di quando sussurra, e dice cose quasi sempre diverse di quando urla e sempre diverse di quando sussurra. dovrebbe fare la suggeritrice, invece fa tutt’altro. quando mi suggerisce qualcosa non sussurra mai, parla a voce abbastanza alta, anche se non urla. quando ero in collegio militare un mio amico sussurrava nella camerata di quanto si sentiva solo. la mia donna a volte nella camera da letto mi sussurra che si sente fortunata: il sussurro è molto diverso. forse per quello che dicono, dissero? faccio un esperimento: mi faccio sussurrare dalla mia donna “oh come mi sento solo caro ponzio qui al collegio militare”, e il risultato è che questo sussurrare è gradevole, mentre quello del mio amico non lo era, era un lamento goffo e patetico. allora, per essere ancora più sicuro, dico alla mia donna di andare in una caserma abbandonata. lì ci abbandoniamo su una branda sbrindellata e le chiedo gentilmente di ripetere il sussurro del mio amico: ecco, il risultato è sempre lo stesso, è proprio la persona che è diversa, c’è sussurro e sussurro.

  18. Non parlo mai sottovoce
    Quando parlo, dico forte e chiaro
    Quando faccio l’amore sussurro imploro prego
    Tutto il resto, è “letteratura”
    baci
    la funambola

  19. Sottovoce, un modo per conoscere e per conoscersi, percorsi umani e professionali, quando un giorno, vista l’ora, è appena finito, e un nuovo giorno è appena cominciato. Un giorno in più per amare, per sognare, per scrivere :-)

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