Per amore del mio popolo non tacerò
A 12 anni dalla sua scomparsa, attraverso le parole di chi l’ha conosciuto, raccontiamo la vita semplice di don Giuseppe Diana, prete-scout di Casal di Principe che per amore del suo popolo non ha taciuto.
Arrivò in ritardo quella gelida sera di dicembre, si tolse in fretta il cappotto e si sedette tra noi. Marco stava ancora leggendo il passo del Vangelo e non si era accorto di nulla. Quand’ebbe finito sollevò lo sguardo e, avendolo notato tra le camicie blu, capì che era giunto il momento di cedergli la parola. Lui si alzò e cominciò a spiegarci la parabola dei talenti come sapeva fare lui, con le sue tattiche per attirare l’attenzione di tutti. Difficilmente riusciva ad essere serio con noi ragazzi ed anche questa volta aveva esordito con una delle sue battute.
Era un mito, una guida, il nostro amico d’avventure e se non fosse stato per quel colletto bianco non avresti certo intuito che fosse prete. Riusciva ad amalgamarsi così bene a noi che a volte quasi dimenticavamo questo particolare. Sì, un particolare, perché prima di essere un assistente spirituale era il nostro capo scout. Presto venne Natale, le strade delle città erano già da tempo addobbate a festa ed ogni sera si gremivano di gente indaffarata tra i negozi alla ricerca di regali da mettere sotto l’albero. Se scendevi in piazza potevi poi quasi calarti in quell’aria natalizia che metteva allegria e infondeva speranza nei cuori di tutti, speranza in un mondo migliore. C’era infatti in giro un non so che di amaro e sconcertante che ombrava l’atmosfera sobria e pacifica delle feste. Quando dall’altare della sua parrocchia aveva detto che come pastori siamo le sentinelle del gregge e, se non sempre siamo stati vigili e attenti, stavolta il coraggio della profezia e la coscienza profonda di essere lievito nella pasta ci impongono di non tacere, le sue parole avevano riecheggiato per molti giorni a seguire nel mio animo. Amava noi ragazzi, eravamo sempre tra le sue prime preoccupazioni e ogni predica domenicale la indirizzava in primis a noi giovani invitandoci a far sentire la nostra voce, a farci avanti e a partecipare al dialogo culturale, politico e civile. Dove c’è mancanza di regole, di diritto, mi diceva, si affermano il non diritto e la sopraffazione. Le sue parole erano per noi insegnamenti di vita. Seppi da Carlo che a quel bivacco in montagna sarebbe mancato per impegni imprescindibili. Anche altre volte era accaduto, ma la domenica ci aveva sempre raggiunto per celebrare la messa. Adesso non poteva. Mia madre lo aveva visto in televisione alla testa di un corteo, in molti lo seguivano, per lo più giovani, giovanissimi, una fiumana di gente da ogni parte del circondario. Era proprio vero, qualunque cosa decidesse di fare noi potevamo star sicuri che era quella giusta. Negli ultimi tempi si assentava spesso, troppo preso dalle sue iniziative e non era facile stargli dietro. Così di tanto in tanto lo raggiungevo in parrocchia. Di domenica era praticamente un’impresa entrare in chiesa, meglio durante la settimana, almeno riuscivo a salutarlo. Un giorno al termine della messa lo raggiunsi in sacrestia per informarlo della riunione che si sarebbe tenuta la settimana seguente. Si scusò per le sue numerose assenze e mi disse che avrebbe rimediato al più presto. Fu una delle ultime volte che lo vidi. Il giorno del suo onomastico veniva ucciso nel corridoio che dalla sacrestia porta alla chiesa, mentre stava per iniziare la Messa. Cadde in una pozza di sangue senza nemmeno rendersi conto di cosa gli stesse accadendo.
Questo articolo prende il titolo dal documento del 1991 Per amore del mio popolo non tacerò di don Peppino Diana. Quello scritto portò nelle strade di Casal di Principe la più grande manifestazione anti-camorra mai vista.
Il miglior modo per rendere onore alla memoria di Don Diana è quello di non abbandonare Don Merola, sacerdote di Forcella, giovane e coraggioso come lui e come lui sarà presto lasciato solo.