Decalogo dell’inerzia
di Antonio Sparzani
1. Quando ti svegli la mattina, mica vorrai saltar fuori dalle coperte appena aperti gli occhi, senza utilizzare quei famosi cinque (si fa per dire) minutini a pensare ai sogni, a quel che hai fatto ieri, a quel che ti piacerebbe fare oggi e a studiare la maniera migliore per sottrarti alle più spiacevoli spiacevolezze.
2. Quando leggi un libro, mica salterai le descrizioni, le apparenti lungaggini, starai invece attento al colore del fazzoletto del protagonista, alle strade, ai passanti casuali, alla sfumatura del cielo. Non potremmo fare a meno di brani come questo:”Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Mica leggerai Guerra e pace solo per sapere di Natascia e del principe Andrea, senza badare alla straordinaria filosofia della storia di Tolstoi.
3. Quando visiti una città, non andrai certo solo a vedere il Museo principale o il Duomo illustre. Ti aggirerai pigramente nelle stradette intorno, ti siederai nei bar con i vecchietti del posto, ascolterai e assaporerai. A Ferrara andrai in via Capo delle Volte e starai lì un po’.
4. Quando dipingi un quadro, mica dovrai solo dipingere il soggetto principale, sia esso una madonna o un saltimbanco. L’ambiente è essenzialmente fatto di mille dettagli. Cosa sarebbe un quadro di Carpaccio senza tutti quei piccoli animali che li popolano? Li guarderai tutti lentamente.
5. E quando costruisci o scolpisci, mica vorrai lasciare incompiute delle parti solo perché “non si vedono”. Diceva Longfellow, e Wittgenstein lo prese “quasi a suo motto”: “In the elder days of art / builders wrought with greater care / each minute and unseen part / for the Gods are everywhere”.
6. Quando spiegherai e insegnerai una grande e importante teoria della fisica, o un secolo della letteratura italiana, ti soffermerai su tutti i cosiddetti dettagli senza i quali non si capirebbe la grande teoria e sui cosiddetti minori che forniscono il contesto per i cosiddetti grandi. Né Einstein né Manzoni sarebbero stati qualcuno senza il loro saporito contorno.
7. Quando mangerai il brasato al barolo con polenta, non vorrai mica trangugiar tutto in due minuti solo perché “sai che è buono”, senza masticare e senza badare ai pezzi di cipollina e di carota che saltano fuori dalla succulenta broda, che invece gusterai uno per uno, cercando anche di pensare all’annata del Barolo utilizzato.
8. Quando discorri con l’amico fidato, quello cui tutto si può dire perché ti conosce e ti vuol bene, mica parlerai solo dei massimi sistemi tutto il tempo a discettare del da dove veniamo e dove andiamo. Dovrai pur dirgli che i suoi calzini sono improbabili, che odi Marinetti e che sei arrivato tardi perché hai avuto un trattore davanti alla macchina per mezz’ora.
9. Quando dovrai preparare un’aiuola fiorita per il compleanno della nonna che ne sarà pazza, mica vorrai piantare subito le rose costose che le hai comprato, senza aver messo a posto la terra, vangato, zappato, concimato, pacciamato, inserito delle piantine da fiore basse che siano uno sfondo degno delle tue rose.
10. Il decimo comandamento dell’inerzia, cari i miei, quello lasciato per ultimo, dulcis in fundo, capirete tutti qual è, è il migliore, il più importante, quello che, se praticato per l’appunto con la dovuta inerzia, dà sale alla vita di ognuno, e io non lo scriverò, per timore di guastarlo. Perché non ci provate voi a scriverlo, nei vostri preziosi commenti?
il decimo, l’improbabile.
quando inviti a uscire una donna che ti piace – o un uomo o quello che vi pare – e vi ritrovate lì, al tavolo, dopo aveer appena finito di ordinare, non gettere subuto i tuoi sguardi negli occhi di lei. indugia, e non poco, su quello che ti ha indirettamente colpito di lei e non hai ancora razionalizzato. su quello che, evidentemente, ti ha inconsciamente rapito e fatto decidere di passare un po’ di tempo da solo con questa persona, per conoscerla, per capire se ti eri sbagliato o no.
Le punte dei sui capelli, per esempio, o il modo in cui incrocia le gambe, ma anche il suo modo di parlare, la sua personalissima inflessione. no, non fraintedetemi, non è un esame, è assaporare chi hai di fronte, indugiare sui suoi contorni: non saltare subito alle classiche e indecenti domande del tipo “cosa fai?” o “che cosa ti piace?”, ma muoversi in modo non centripeto nel dialogo e nell’appuntamento, seguendo la decenza dell’inerzia, quella centrifuga.
Il decimo, personale
e quando indugi in un ricordo doloroso ed insisti a rinfocolare particolari e significarli con involontarie (?) invenzioni nella voluttà di un soffice masochismo, riaprendo tombe sommerse dal tempo e dalla dimenticanza.
10- Quando ti accorgi, dopo che se riuscito con fatica, abnegazione ed esercizio a sconigliare le quotidiane impellenze che reclamano la tua attenzione, solo perchè ti senti rilassato, disteso, intimamente riposato e pronto ad affrontare la routine quotidiana, be’, mica vorrai darti da fare proprio ora, no?
Scusa Antonio la ruvida franchezza, ma non mi convince molto questo decalogo. Esistono davvero persone che con gli amici discorrono solo di massimi sistemi? Quelli che conosco io discutono dei massimi sistemi per pochi secondi e solo se hanno dei problemi digestivi, e poi, come suggerisci tu, immancabilmente fanno notare all’altro “i suoi calzini improbabili”. Rarissimo, e per me da incentivare, sarebbe invece un po’ di sano schifo di sé, magari partendo dall’analisi dei “propri” calzini, che chissà perché tutti trovano perfettamente intonati. Oppure Ferrara, il cui museo principale (Palazzo Schifanoia, che ospita il più importante ciclo di affreschi profani del ‘400) è deserto, non se lo fila più nessuno, son tutti in coda a vedere le mostre evento, cioè le trappole per turisti allestite a Palazzo dei Diamanti. Potrei continuare, ma quello che mi sentirei di consigliare è il pensare con la propria testa, e magari osservare le cose importanti come fossero dettagli, più che soffermarsi soprattutto su questi ultimi. Il querdenker (il pensatore laterale) è essenzialmente uno che guarda in modo diverso, non uno che guarda cose diverse, o che guarda tutto. Nessuno ha tutto quel tempo: mangiare il brasato in due ore, vangare e concimare il giardino della nonna, spiegare un secolo della letteratura italiana per filo e per segno, svegliarsi un’ora prima per riflettere sui sogni fatti durante la notte…E’ un utopistico elogio della lentezza che piacerà alle “tisaniere” (per me una categoria dello spirito, prima ancora che una tipologia di donna), le single sui trent’anni che si fanno sempre una tisana prima di coricarsi, amano klimt, leggono erri de luca, ascoltano i tiro mancino, a parole sostengono di assaporare ogni singolo istante della loro giornata e poi scopri che l’unica cosa che fanno veramente con calma sono le telefonate al cellulare.
caro garufi
trovo perfetto il tuo discorso sulle tisaniere
Sergione,
potrei persino essere d’accordo con te, ma dopo che hai scritto “quello che mi sentirei di consigliare è il pensare con la propria testa” senza neppure arrossire per il luogo comune così smaccato… insomma, da un pensatore laterale come te che osserva le cose importanti come fossero dettagli, cascare così in una frase da giornaletto per adolescenti proprio mi ha deluso.
Eccoti la punizione: mangiare con me e Antonio un brasato con polenta. Conosco un ristorantino dalle parti di Brunate. Si prende la cremagliera, si fanno due passi, si gode il panorama. Tutto con calma, ovviamente. ;-)
Sergio, mi hai fatto rivoltare (nel senso buono) dal ridere.
Il pezzo di Antonio sprizza in sostanza affettuosità per il genere umano, sentimento che non mi sentirei di consigliare…
Il mio decimo punto del decalogo: diventare ricchi e famosi, con lentezza naturalmente.
:-)
giannone, col garbo che lo contraddistingue antonio ci ha fornito un raffinatissimo manuale di comportamento (il brasato col barolo, e magari l’amaro averna alla fine come nella pubblicità). il problema è che io detesto i decaloghi, per raffinati che siano. vai qui, vai là, fai questo, fai quello…il mio invito a pensare per sé vuol dire “fai un po’ come cazzo ti pare”, sbaglia piuttosto ma sbaglia da solo. chissà perché se l’agnello recalcitra a diventare abbacchio gli si dice sempre che lo fa con “frasi da giornaletto per adolescenti”. poi ‘sta cosa della lentezza è una moda ridicola: chi fa sfoggio della propria catatonia oggi è lo stesso che vent’anni si vantava di vivere a bout de souffle. ad ogni modo io non mangio carne e sono astemio, ma grazie lo stesso per l’invito.
Gianno-ne, visto che Sergio-ne declina l’invito a pranzo, prontamente vengo a sostituirlo.
Franz-one
in realtà rifiuto l’invito perché temo di avere dei “calzini improbabili” :-)
Non hai visto i miei… dài, se è solo per questo vai, io, che vuoi, mi mangerò la solita Simmenthal guardando i “pacchi” alla televisione:-)
Tutti a casa di Franz, forchetta alla mano!
Si, ma le forchette – almeno quelle – le ho, non occorre portarle…
no, no, no catatonia, no inerzia uguale catatonia, guardare le cipolline e gustarle non è catatonia, il contrario. Mangiare le cipolline (dentro un brasato, s’intende) comunque si può fare. Invecchiamo lentamente, prego.
Detto tra noi, la classe (di Antonio) non è acqua.
un possibile decimo comandamento sarebbe non usare mai la parola “improbabile”.
è probabile.
grazie Franz, ma aggiungerei “l’amor non è polenta” (ancorché col Barolo del 64). A.
10. Cucina emotiva
AMOR POLENTA
Ingredienti:
200 gr di farina gialla
800 ml di latte
1 bicchiere di olio d’oliva
4 mele
4 cucchiai di miele
100 gr di uvetta (facoltativa)
4 cucchiai di zucchero
mandorle
Preparare una polentina con il latte (bastano venti minuti di cottura), aggiungere il miele, le mandorle tritate, le mele affettate, lo zucchero, l’olio e l’uvetta precedentemente ammollata.
Versare in una teglia unta di olio e cuocere in forno per circa un’ora.
Spolverizzare con zucchero a velo.
Servire con fiocchetti di panna montata.
Sostituire alle tisane cioccolata calda alla cannella.
scusi, lei è libera per natale?
complimenti per la ricetta.
Il punto 9, mi ha fatto venire a galla il ricordo di un bellissimo film, Il giardino indiano, del 1985 regia di Mary Mc Murray, con Deborah Kerr. Un film sull’inerzia della cura.
Il mio 10. Cresci ma conservi la convinzione che in qualche punto del mondo esista un luogo magico, un spazio di un’altra dimensione, abitato da elfi e folletti…forse l’isola che non c’è.
manca il punto G.
come gil, ovviamente.
Alcune cose sono poco convincenti, però ha un buon ritmo, assia piacevole.
Quando scrivi un romanzo, non penserai mica di trascurare la descrizione dei dettagli, precisa al limite del puntiglio: ad esempio la piega che fa la pelle nel punto in cui la natica si fonde con la coscia, la fossetta che si anima all’incresparsi delle labbra, il volume del capezzolo sotto la maglia sottile, l’occhio trasparente come acqua che si posa su di te… E neanche puoi fare a meno di produrre un brano come questo:
“Restò sorpreso a guardare le due donne: avevano la stessa altezza e i loro davanzali si fronteggiavano severi, uno grandioso e mobile, costretto nel rigore del tailleur, l’altro fresco e prorompente nella maglietta scollata di cotone bianco. La direttrice del museo aveva i capelli lisci come fili di rame, mentre la capigliatura della magistrata sembrava un mare in tempesta, nero come le linee di trucco che le appesantivano gli occhi. Nemmeno i sederi si somigliavano: al mandolino abbondante e perfetto dell’una faceva da contraltare il mastodonte dalle forme incerte dell’altra.”
Concordo con Garufi. Non è questione di essere rock o lenti, slow food versus a bout de suffle, meglio un giorno da leoni che…; è questione di consapevolezza. Ciascuno si costruisca il proprio percorso di vita senxza farsi condizionare da decaloghi altrui, questo è l’unico insegnamento che mi sentirei di dare.