Memoria del vuoto
di Gianni Biondillo
Marcello Fois, Memoria del vuoto, Einaudi, 2006
Chiedo al lettore di non cadere nell’errore di leggere Memoria del vuoto in fretta, come si suol dire “tutto d’un fiato”. Perderebbe l’occasione di ammirare il lavoro dell’artigiano che leviga la pagina come una pietra preziosa, del sapiente artista che dopo anni di tirocinio sa usare tutti i trucchi del mestiere trasfigurandoli in oggetti di autentica bellezza.
Il romanzo m’è parso una lotta continua fra la storia, la narrazione che prepotente vuole farsi largo, la storia epica di Samuele Stocchino – prima eroe di guerra, poi bandito datosi alla macchia per questione d’onore e vendetta – e la scrittura che altrettanto prepotente vuole tenere a bada la forza epica del racconto per farsi ammirare, data la sua innegabile preziosità. Che non significa stucchevolezza, né svenevolezza. Fois utilizza tutto l’armamentario a disposizione senza remora alcuna ma con equilibrio: e sono pagine dove l’esperto d’arte fa capolino, poi lo sceneggiatore, lo scrittore d’appendice, lo sperimentatore, il dialettologo, l’archivista, il drammaturgo, l’agiografo popolare. E la Sardegna inizio Novecento che ne scaturisce è del tutto estranea al cascame folkloristico di molti altri scrittori di un sud che è solo negli occhi e nella testa dei lettori di un nord distratto. Il dato magico, l’elemento arcaico, è rivelato con una potenza evocativa che appare persino razionale, ineluttabile.
La Sardegna, oggi, vive una straordinaria stagione fertile di scritture, di livello davvero europeo. E non è un caso che Fois sia tradotto nel mondo intero. Non invidio, vi confesso, il lavoro folle che un traduttore deve fare, pagine alla mano. Smontare e rimontare questa lingua è davvero opera ardua. Ma anche, immagino, entusiasmante. Come tutti i libri di questo autore, che sa cambiare lingua e voce in funzione di ogni suo racconto.
Non amo le classifiche e trovare difetti in ogni opera è cosa persino semplice e inutile. Ma di certo Fois, ancora una volta, si conferma fra i migliori scrittori che le patrie lettere ci stanno regalando. Giù il cappello.
[pubblicato in Cooperazione, n° 44 del 31 ottobre 2006]
L’ho comprato questa estate, e mi ha annoiato a morte. Mi dispiace.
Me ne dispiaccio anch’io, Nick.
D’altronde “de gustibus” etc. etc…
;-)
Consiglio, così, da sardo, per chi voglia effettivamente cogliere in tutto il suo splendore questa “straordinaria stagione fertile di scritture”, consiglio leggersi “Sos chiméntos de s’anzòne” di Gavino Ledda (Scheiwiller editore), al di là di ogni folclore e di ogni cedimento al non-senso del villaggio globale (e al di là de sa borka derra e de su ghirigori de sa merci) … Fois non è un Niffoi qualsiasi, certo; ma resta avvinghiato a sa limba ‘e su badronu, l’italiano letterario che soltanto per piccoli accenni tenta di superare: da applaudire, ma non del tutto. Ecco, consiglio di affrontare Gavino uomo, maschera e personaggio, ostile alla maschera della lingua-padrona e al diavolo delle religioni, così, da sardo, e con il piacere di consigliare una lingua terrestre e cosmica e del tutto magica e materica, lingua dell’alluvione e della febbre …
Non ho letto questo ma altre cose di Fois, come Dura madre.
Hai ragione Gianni, è uno scrittore di pregio.
Non c’entra niente ma sono in cerca per motivi di sceneggiatura di qualche narrazione intensa che peschi nel preistorico della sardegna, o nel nuragico se possibile. Qualcuno sa di qualcosa del genere e può linkare o consigliare?
@valter
Una buona lettura, anche se si tratta di una favola dove storia e invenzione si mescolano (anzi, dove la storia è materia per il mito), può essere Passavamo sulla terra leggeri di Atzeni. Al di là di tutto, è una buona lettura. Altrimenti, per qualcosa di più scientifico, ma molto più tecnico, c’è l’opera monumentale sulla civiltà nuragica di Lilliu, il massimo esperto in materia.
Molte grazie, Nicola
@valter
mi sono ricordato che un paio di anni fa è uscito un testo di un mio omonimo (sempre Frau, ma non c’entra niente con me), che ipotizza che la Sardegna sia l’antica Atlantide del mito. Non so dirti di più perchè non l’ho letto, ma il testo destò abbastanza scalpore allora, anche perché, da quel che ho capito, non si tratta di un’opera del tutto peregrina. Magari trovi qualcosa di interessante
Bella recensione, Gianni. Sintetica ma profonda. I libri ricchi e ben fatti – è la mia impressione – lasciano sempre la necessità di ritornarci su più che il desiderio di descriverli. Richiamano la nostra attenzione sul concetto di circolo ermeneutico e ci ricordano l’importanza di coltivarne la pratica. Sono in tutto d’accordo con te, Gianni, e così giù anche il mio cappello.
Rigrazie, davvero. Domani mi fiondo a cercarli.