Il dolore differito
di Franz Krauspenhaar
E’ un debutto a mio avviso importante questo di Giovanni Martini, (La nostra presenza, Fazi Editore 109 pagg. euro 12,00) narratore romano non più giovanissimo ma – in tempi di pantere grigie che ancora saltano sui palchi di mezzo mondo con una Fender Stratocaster tra le mani – ancora giovane.
Martini è uno che evidentemente – i casi dovrebbero essere due – o se la prende parecchio comoda o è un artista di quelli straordinariamente lenti e riflessivi. Perché – ce lo svela la nota di copertina – il presente libro ha avuto una gestazione di circa vent’anni.
E’ una bella notizia, questa, fin dal principio, anzi fin da prima del principio, prima ancora di leggere il libro, uno smilzo volumetto di 109 pagine. Questo fatto mi ha rincuorato, mi ha fatto pensare che non tutto è perduto, che c’è ancora gente, in questo paese, che lavora vent’anni al proprio esordio, comunque esso vada.
I racconti si leggono con apparente facilità. Dico apparente perché Martini non soffre di quella stramba malattia – o soltanto disturbo – che è l’ansia da prestazione del debuttante, che spesso lavora “ a mettere” anziché “a togliere” proprio perché invaso dall’ansia – perfettamente comprensibile – di dimostrare un valore che fino a quel momento era stato soltanto dimostrato nella sfera privata. Martini, fin dall’inizio, ci dimostra che l’arte è conclusa dall’artigianato; fin dal primo racconto, Al Vicolo Cieco, una storia quasi patetica, una semplice telefonata tra un ragazzo strambo e innamorato e una ragazza imbarazzata e vaga, in ben altre faccende affaccendata. Questo come gli altri racconti procedono anche grazie a dialoghi serrati, molto realistici, propri di una Roma che si esprime in italiano, di una Roma medioborghese un po’ annoiata e spesso silenziosa. E’ come se il Moravia di certi romanzi acciambellati su loro stessi si fosse incontrato a un crocevia dei Parioli con Carver e con Salinger. Andando avanti con la lettura, procedendo con Mia moglie, sorta di sketch dal finale a sorpresa narrante l’incontro tra un sessantenne molto ben tenuto e una giovane ragazza in ambasce, e con Al suono de primo giorno, altro sketch con un giovane ricoverato e la madre fin troppo premurosa al suo capezzale (e anche qui, abbiamo un finale a sorpresa che vira sul surreale) ci rendiamo sempre più conto che Martini gioca a sorprendere ma mai a strabiliare, che la sua scrittura è felpata come fosse quella di un ladro gentiluomo che si è appena introdotto – facendo il minimo rumore – nella vostra casa, e con gentilezza si appresti a rubare tutto quel che c’è da rubare ma con la fluida grazia di un ballerino classico. Martini, insomma, è uno che fa male, ma il dolore che procura all’affascinato lettore non è di quelli lancinanti al primo impatto, bensì arriva, si potrebbe dire, a scoppio ritardato, e dunque a tradimento, nella pausa di ripensamento del bravo lettore, quando questi, magari prima di addormentarsi, ripensa a certe scene, a certi finali, a certe mezze frasi smozzicate dai protagonisti, e viene percosso da una specie di scarica elettrica di basso voltaggio ma di lunga durata.
Seguono altre perle come I dolori riproduttivi, quadretto di una certa Roma trasteverina nella quale aleggia, per mezzo di certi pensieri e comportamenti, una spessa aura di follia; e poi Paglia e veste al giaciglio, quadretto ambientato in campagna, pieno d’astrazione e di un soffuso senso di minaccia come in certi “pezzi” brevi carveriani, e Il limite minimo di resistenza, racconto epistolare di delicata decifrazione, e il cinico e tragico Morte del pittore, fino ad arrivare al racconto che dà il titolo alla raccolta, La nostra presenza: un racconto amaro e disperato, ma anche nostalgico e malinconico, un racconto sull’infanzia che si trasforma, un largo affresco che voglio chiamare “romanzo in sedicesimi”, poiché a mio avviso questo , se opportunamente rimpolpato, sarebbe potuto essere un eccellente romanzo breve. Ma a quanto pare Giovanni Martini, se ha bisogno di vent’anni per sciorinare al giusto modo le sue frasi e le sue storie, non ha bisogno di “truccare” la sua fuoriserie letteraria per tirarne fuori il mostro a dodici cilindri. Anche per questo, dobbiamo essere grati a scrittori come lui, che non barano, che scrivono ciò che vogliono e quando vogliono, e che consegnano il risultato dei loro sforzi all’editore quando sentono che tutto, fino in fondo, è stato compiuto.
(Pubblicato su Stilos il 7.11.2006)
Il solito Franz che fa marchette per Fazi. Ma ci sarà mai un momento in cui si interromperà l’asse franz-fazi?
Ecco, questo è un esempio di commento idiota e inutile, a dimostrazione che i troll continuano a rompere.
Gentile Intemperante, eccola, il solito anonimo che si diverte a fare delle insinuazioni basate sul nulla. Prenderò i dovuti provvedimenti, comunque, ne stia certo.
109 pagine, 12 euro? Olè.
(Oggi ho comprato Lethem, ‘Brooklyn senza madre’ a 8,50.)
Sì, d’accordo che le case editrici più piccole c’hanno bisogno. Ok. Però cioè voglio dire a me cliente che cosa interessa?
veramente il commento di in-temperanza sarà fastidioso ma del tutto legitttimo dove non ci sono iscrizioni obbligatorie dei commentatori.
Franz ne farà quello che vuole ma io lo lascerei e passerei oltre.
ma quello che era successo in questi giorni era ben altro di un commento offensivo o idiota o fastidioso. Era una invasione totalitaria, poi cosa ci fosse scritto nei commenti credo che nessuno lo sappia veramente, perchè era impossibile leggerli tutti, forse non lo sapeva neppure l’autore che si limitava a fare copia incolla per occupare spazio :-)
Almeno io la vedo così
Non è legittimo insultare in modo anonimo, cara Georgia. Nondimeno, come hai potuto vedere, non ho operato all’idiotissimo commento alcuna censura.
In effetti il miglior commento è l’indifferenza…
E’ legittimo franz.
L’anonimato in rete è normale, anche quelli con nome e cognome sono anonimi.
Hai notato che i personaggi di cui parlavo (gli imbrattatori totalitari) usano SEMPRE nome e cognome VERO a cui aggiungono una schiera di nick con cui dialogare? Anzi direi che il loro scopo è di rendere riconoscibili i propri nick (è una forma di violento narcisismo virtuale) lo scopo infatti non è di nascondersi, anzi, ma di oscurare, di invadere di nebbia gli altri, di silenziarli, di annullarli, di renderli irriconoscibili, di distruggere i legami di amicizia fra gli altri. Infatti usano spesso come propri nick i nomi degli altri.
Semmai si può obbligare il commentatore ad iscriversi con nome o con nick (che nessun altro può usare) ma di più non puoi fare altrimenti elimini la spontaneità.
Poi puoi mettere come regola che le offese vengono cassate, quella è una vostra scelta, ma prima di tutto obbligherebbe anche voi a non offendere e … siate sinceri, anche alcuni di voi a volte usano dei nick a questo scopo;-) Io credo pure di riconoscervi.
E poi le offese sono sempre relative … e chi deciderebbe che sono tali?
Alcune sono vistose e indiscutibili e possono (anzi devono) essere cassate se danno fastidio (soprattutto se sono pure maldicenze o atti di razzismo) ma la maggior parte fanno parte della critica cattiva.
geo
beh,
a me Franz mi ha fatto venire proprio voglia di leggere ‘sto libro,
dico leggere,
no comperare, acquistare, sborsare svanziche sghei piccioli muneda soldi……
magari me lo faccio prestare fra due o tre mesi, ecco,
cheneso
MarioB.
Ma scusate, la soluzione più semplice non sarebbe vietare l’anonimato?
Che ognuno scriva quello che vuole ma mettendoci la firma.
Perchè il Net dev’essere un porto franco dalla civiltà?
@geo
“Hai notato che i personaggi di cui parlavo (gli imbrattatori totalitari) usano SEMPRE nome e cognome VERO a cui aggiungono una schiera di nick con cui dialogare?”
Il mio unico nick , per le pochissime volte che sono intervenuto a NI è B.B king, ma, questo, l’avevo già dichiarato. Marco Saya
“E’ come se il Moravia di certi romanzi acciambellati su loro stessi si fosse incontrato a un crocevia dei Parioli con Carver e con Salinger”.
cioè?
voglio dire: fuori di metafora che vuoi dire?
Io mi avvicino ai libri e li tocco li annuso insomma li assaggio prima di comprarli. A volte basta ad attirare il mio interesse anche solo la copertina e la foto del bambino con lo sguardo fuori dal tempo impressa sul libro di G. Martini mi ha intrigato come fosse un altro racconto da aggiungere alla raccolta. Mi piacerebbe sapere qualcosa di più della vita dello scrittore se qui qualcuno lo conosce di persona…
“voglio dire: fuori di metafora che vuoi dire?”
Se è indirizzata a me la domanda non utilizzo alcuna metafora. Commento ciò che mi piace non solo su NI ma su tanti altri siti, non certo per visibilità personale ma solo per avere uno scambio reciproco di idee. La mia impressione è che NI sia, invece, piuttosto chiusa agli “estranei”. O mi sbaglio?
Mavco, il dottov tashtego ha chiesto spiegazioni su un passo della vecensione di Fvanz…
vagazzi, suvvia, una bella tazzina di camomilla e, vi pvego, basta con la logica del sospetto… pvovate a scopave un po’ di più, magavi vi passa.
E’ un frutto prelibato, questo libro, polposo fino all’osso. Scuote le radici che ci legano alla terra.
Ne hai scritto con cuore, Franz, com’è giusto che sia.
Grazie.
@Georgia. Non mi risulta che la diffamazione sia legittima, nè da un punto di vista penale nè, anche, morale.
L’unica differenza tra il web e il mondo di fuori (che poi è lo stesso che “ospita” il web) è che qui io non posso querelare alla velocità della luce l’imbecille figlio di puttana e sucaminchia che si nasconde sotto il nick “In-temperanza”. A ogni modo ribadisco che prenderò i miei provvedimenti.
N.B. Non lo posso querelare, il vigliacco, perchè, appunto, è anonimo.
@Tash. Volevo soltanto dire che su un tessuto linguistico che riporta a una certa romanità seppure in maniera alquanto sfumata, ho trovato nei racconti di Martini delle analogie con una maniera carveriana (e quindi a mio avviso basata sul non detto piuttosto che sul detto) e con un certo taglio salingeriano (un’attenzione quasi maniacale ai particolari e, talvolta, alla descrizione dell’infanzia con tocchi brevi e fulminanti) nello scrivere queste “short stories”; che sono tutte molto brevi a eccezione del racconto “La nostra presenza”, che ho chiamato “romanzo in sedicesimi” perchè secondo me uno scrittore più furbo e opportunista da tutto quel materiale calato sulla pagina ci avrebbe ricavato un romanzo.
Oggi voglio fare la seria poi domani si vedrà quindi dico:
franz io non la farei tanto lunga, il commento ti da fastidio?
eliminalo :-)
Tanto non è che sia un concetto di grande levatura, è chiaro che o è un editore rivale dellla fazi, o uno scrittore bruciato dalla fazi, o un tuo amico/nemico che ti meleggia :-) Chiunque sia è un cretino poteva esprimere lo stesso concetto in maniera intelligente e motivata e magari, anche se cattivo, lo trovavamo intelligente così NON è nulla, nessuno sentirà la mancanza di quel commento se lo elimini , nessuno si è fatto una sua idea sulla fazi o su altro. Solo devo constatare che quel tipo di commenti (insieme a chi dice “fuori c’è il mondo” “scopate di più”) è la maggioranza in NI insieme a quelli adulativi e sinceramente non capisco come mai. Voi postate spesso cose serie e a volte (non sempre) anche interessanti, possibile che i commenti siano solo o adulativi o pillole offensive?
boh … un motivo ci sarà pure.
geo
Comprerò anche io questo libro. Spero sia bello.
E spero soprattuto che Fazi abbia smesso di selezionare gli esordienti in base al numero di amplessi e posizioni erotiche contenute nei loro racconti.
( P.s. : livoroso commento di uno a cui la suddetta rispettabilissima casa editrice ha rifiutato tre manoscritti. Di cui due comunque pubblicati ma sto incazzato lo stesso con loro )
ci sono periodi in cui n i è in effetti infrequentabili, con quei commenti così stupidi e noiosi di cui parlate in questi giorni.
c’è comunque, anche, il rischio di percepirla come una riserva inaccessibile e frequentata solo da saccenti baronetti della cultura ufficiale o alternativa ufficiale.
niente di nuovo, ma ripensare/si costantemente è segno di intelligenza.
bravo franz. saranno anche marchette ma mi vien da fidarmi.
ciao
Io me lo compro… il fiuto di franz è infallibile…
saluti
and
P.s. ( mazze da baseball in alluminio, in puro stile Scorsese, utili per ogni tipo di controversia…;)
Ho già letto il libro e lo trovo molto bello.
@Cristiano Prakash.
Non ci siamo, mi dispiace. O sono marchette, e allora non ti fidi; o non lo sono e allora, forse, se lo ritieni opportuno, ti fidi. Capito? Se dici “saranno marchette, però mi fido” dimostri di non avere il coraggio delle tue opinioni. Hai il sospetto che io abbia fatto una marchetta? Dillo e, possibilmente, argomenta.
Grazie.
Giovanni Martini era un mio amico tanti anni fa, scriveva, ci scambiavamo i nostri racconti, poi è sparito. L’ho rintracciato nel 2004
quando ho cominciato a lavorare in casa editrice e gli ho praticamente
estorto i racconti che ha scritto in 20 anni. Qui in Fazi non lo conosce
nessuno (nemmeno l’editore) perché lui ha contatti (via mail) solo con me, tanto che qualcuno ha pensato che Giovanni Martini in realtà fossi io. Credo sia un’opera letteraria dove finalmente non c’è nulla, ma proprio nulla, se non quello che ci riguarda, “La nostra presenza”, che è anche il titolo del libro. Nonostante lo strillo di Veronesi in quarta di copertina ha avuto soltanto una recensione. E’ un libro antigiovanilista. Scarnificato. Come le opere di Giacometti, se posso permettermi un accostamento. Passiamo a Franz Krauspenhaar. Un giorno ero alla Mondadori di via Appia, a Roma, e l’occhio mi è andato su un’immagine di copertina – probabilmente Getty Images – seppiata. Due ragazzini vestiti da marinaretti, probabilmente fratelli, sicuramente nordici. Ho comprato subito il libro e l’ho divorato. Un po’ di tempo è passato. Ho cominciato a lavorare alla Fazi, ho preso a scarrocciare su Internet, ho individuato tre o quattro scrittori o potenziali scrittori interessanti (uno di questi è attualmente primo in classifica ed è diventato un mostro mediatico), li ho contattati. Quando ho chiesto a Franz di pubblicare il suo quarto romanzo per la mia collana mi ha subito risposto che la cosa gli faceva piacere ma che lui era legatissimo alla Baldini. Allora ho insistito, e gli ho commissionato un libro, un potenziale grande libro, che lui non ha mai scritto purtroppo. Siamo rimasti amici di penna. Gli ho anche proposto di venire a Roma a lavorare a via Isonzo, ma lui niente, ha tenuto duro. Ha continuato a seguire il mio lavoro, di scrittore e di editor e a volte ha ritenuto che quello che facessi avesse un qualche valore, e ha scritto spontaneamente -come nel caso de “La nostra presenza” di Giovanni Martini – una recensione. Questo è quanto.
se avessi sospettato che era una marchetta non avrei scritto che mi fido. la marchetta è il pane quotidiano, per alcuni: come dire, si campa così. in tal caso non commenterei, perchè capisco ma non mi interessa ( tutti si venda qualcosa per comprare qualcos’altro).
la fiducia, invece, è qualcosa di molto prezioso, una rarità ai nostri giorni.
evidentemente mi sono espresso male. credo tu sappia che se non sono d’accordo con qualcuno o qualcosa, non ho bisogno di camuffare con metafore il mio dissenso.
ciao
e a proposito, questo libro, era già stato suggerito da Mia, altra di cui mi fido.
Ah, ecco.
Ringrazio Massimiliano Governi e georgia per i loro interventi attinenti al contesto, in un modo o nell’altro, e ringrazio tashtego perché potrà sembrare antipatico la maggior parte delle volte, ma ci riporta ogni volta al nocciolo delle questioni nei post. Ormai il recensore fa discutere più dello scrittore e credo che l’unica persona insultata dalla sequela di commenti inutili sia proprio il sig. Martini. Fermo restando che ho apprezzato molto il modo in cui è stata condotta la recensione e che i denigratori di franz dovrebbero farsi sentire in altre sedi (si potrebbe inserire su NI uno spazio apposito per le offese più o meno velate ai suoi creatori) – ritengo che un luogo di incontri culturali com’è questo debba avere quel pizzico di serietà e di consapevolezza per non contribuire a rendere la letteratura italiana un flebile richiamo in mezzo al frastuono di commenti inutili. Va bene l’anonimato, va bene la libertà di espressione, andrebbe bene fare anche della “cultura”
Se io lavorassi in una casa editrice farei di tutto, esattamente come Governi, per avere Franz in redazione.
Per il suo entusiasmo, la sua competenza, il suo talento, la sua onestà.
Tutto il resto, tutte le insinuazioni, sono scorregge.
Io ho quest’impressione.
Il commento acido che ha aperto la discussione (proveniente da un nick più o meno pseudo-anonimo) ricalca una formula già vista fin dai tempi dei newsgroup. Spesso, per difendersi da questi atteggiamenti si cercava di neutralizzare il postatore ignorandolo: nessuno cioè rispondeva al suo post e la discussione seguiva la sua strada “canonica”.
Qui, la reazione di fk, così immediata ed energica, ha probabilmente offerto ciò che il provocatore voleva: l’innesco di un confronto sul tema “se esiste un’asse del tipo “scrittore-che propaganda l’editore-che poi promuoverà lo scrittore-che esercita la sua influenza come recensore-ecc.”, con tutti i feedback ad esso correlati. Si è dibattuto più su questo – e sul problema di come fare per selezionare i commenti – che sul libro segnalato, com’era intento dell’articolo.
Tutto sembra dipendere dal dal fatto che fk ha preso sul serio il primo commento, che in realtà già puzzava di provocazione gratuita (e vecchia come il web), dandogli un peso che non meritava. Al punto che perfino l’editore ha sentito di dover intervenire, con opportune (o inopportune?) spiegazioni.
Mi sembra una situazione trita e ritrita, suscitata in mala fede, che crea sangue cattivo inutilmente, visto che il suo peso reale è pressoché nullo (se non misurato nell’incazzatura che può produrre a caldo).
Così si rischia che questo tipo discussione deviata diventi “canonica” rispetto a quella che invece doveva essere, facendoci cadere nella trappola del provocatore. Che, ripeto, andrebbe ignorato.
Le polemiche sulle “marchette”, poi, sono una piaga che non guarirà mai, soprattutto in ambito letterario.
Però per dire.
E NON è IL CASO FK/MARTINI
Una stroncatura sul libro scritto da un amico, è utopia?
Quando i libri di un amico non piacciono, che si fa?
1) Se ne parla bene comunque.
2) Non se ne parla
O è anche possibile: (3) lo si stronca?
L’editore Fazi non ha alcun bisogno di aiuto, sa cavarsela da solo. Io mi fido (abbastanza) di Franz e Governi, quindi leggerò il libro. Saluti e, per favore, lavatevi!
Credo (forse sbagliando) che il caso 1) sia il più frequente.
Così come credo che sia frequente fare “marchette” in tutti i campi: sapeste quante ne ho dovute fare, nel lavoro, per ritagliarmi spazi di sopravvivenza e per raggiungere certi obiettivi. Spesso ci si trova a “prostituirsi”, sopportando situazioni insostenibili, per non subire danni che renderebbero più difficile la vita.
Ma in questi casi, se non si è privi di spirito, ci si sforza di togliere i piedi dal fango per tornare a quell’umanità che sta sfuggendo.
Trovo il caso 3) molto interessante: denota spirito libero e onestà intellettuale, quando la stroncatura è (appunto) onesta e competente. E penso sia più raro.
E penso richieda all’autore recensito grande maturità e umiltà (per non sentirsi ferito e rompere amicizie). Ed anche esperienza, per riuscire a dare a ogni cosa il suo peso reale.
Non mi pare siano rilevanti i rapporti tra Franz e Fazi, né se lui sia amico o meno dell’autore, eccetera.
Franz segnala ed elogia un libro, punto e fine.
Non è nemmeno rilevante il discorso che tutti sarebbero dei marchettari e la fiduscia è rara (signora mia), eccetera: sono, se permettete, stronzate.
La comunicazione è tutto.
I libri sono segnalati e sostenuti dalle case editrici presso le redazioni dei giornali.
Amici, o amici di amici, scrivono recensioni su altri amici, ci si appoggia o ci si osteggia, si esercita o si subisce un potere, eccetera: tutto normale, niente è puro e mai lo sarà.
Questo libro mi incuriosisce e se non ne avessi letto qui la segnalazione probabilmente non ne avrei saputo nulla.
Leggendolo potrò dire se Franz ha ragione o no.
Parecchi degli ultimi libri che ho letto, li ho letti perchè segnalati da NI e, in alcuni casi (Fofi e Siti, per dire gli ultimi), non me ne sono pentito.
@vittorio eremi
io sono simpatico e soprattutto sono buono, anche se non si vede mai.
Bauer poni una bella questione.
C’è da dire una cosa: per chi non lo fa di mestiere (quello del critico, intendo) ma comunque sta “nell’ambito” in quanto scrittore, ha una condizione favorevole: in fondo può decidere cosa leggere e cosa recensire. Quindi la scrematura viene alla fonte: leggo libri che tendenzialmente credo mi piacciano, poi decido di recensire quelli che davvero mi sono piaciuti.
Almeno a me capita così: quelli che proprio mi hanno fatto cagare neppure li termino e di certo non sto lì a farne una recensione.
Quindi, questo, al di là del fatto che siano scritti da sconosciuti o da amici. Se un libro non mi piace credo che la mia migliore stroncatura sia il silenzio.
Questo però non significa che la stroncatura non ha ragion d’essere. Ma, fortunatamente, non essendo un critico di professione non ho il dovere di usare l’arma della stroncatura. In fondo io faccio delle letture, non della critica letteraria.
Non invidio il critico, insomma. Però, quasi, lo ammiro.
A Tash e Ferrucci.
tutto normale, niente è puro e mai lo sarà, dici, Tash.
è vero, hai ragione.
Quello che non capisco è percé molti invece neghino/si sorprendano.
Ci sono (stati) politici, magistrati e quant’altro disonesti. Scrittori, editor invece, anche solo disonesti intellettualemente? Non è proprio proprio possibile?
(LA MARCHETTA ESISTE E LOTTA CON NOI!)
Biondillo fa un distinguo molto utile.
Io, invece, probabilmente, sarei il primo dei marchettari.
Cioè, un mio amico stretto impiega due anni per scrivere un libro ed io ne parlo male a destra e manca?
Non ne avrei il coraggio.
L’appello sulle marchette, allora, forse, non dovrebbe tanto essere indirizzato nei confronti dello scrittore/amico, ma del lettore.
Ma d’altronde non invento nulla: quanti di voi si fidano delle quarte di copertina?
La quarta di copertina, come sappiamo, il più delle volte svolge la funzione dell’immagine che vediamo riprodotta sulle confezioni alimentari, sotto le quali però c’è l’avvertenza: “L’immagine serve solo a dare una rappresentazione del prodotto”, come a dire: attenti, non aspettatevi di trovare un piatto così bello e succoso! Se rimanete delusi, non venite poi a lamentarvi.
Il guaio è che sotto le quarte, o meglio nei risvolti di sovraccoperta, quest’avvertenza non c’è. Qui sorgono i problemi.
Quanto a scrittori ed editor disonesti intellettualmente, sì, credo che esistano.
Ma non penso possano rivaleggiare con il pelo sullo stomaco degli uffici stampa.
“un potenziale grande libro, che lui non ha mai scritto purtroppo”
Secondo me, se non si perde d’animo, lo scrive di sicuro.
Odio la parola “marchetta” e credo non abbia senso, così come secondo me non hanno senso formulazioni come “onestà/disonestà intellettuale”: che vuol dire?
L’intellettualmente disonesto è uno fa o dice cose che non pensa?
Che per “convenienza” elogia libri che nell’intimo disprezza?
Che approva cose che in cuor suo disapprova?
Che ammette di avere torto quando ce l’ha?
E dunque l’intellettualmente onesto sarebbe colui che disce sempre “pane ar pane”, sarebbe quello che “non guarda in faccia a nessuno”, che mai e poi mai parlerebbe bene di cose che invece non gli piacciono, che sempre e subito ammette di aver avuto torto, che segnala prontamente i propri errori, eccetera?
Ma dai.
Ma su: chi è che nella normal-vita si comporta così, sempre? Perché dovrebbero gli intellettuali?
Un amico pittore diceva una volta che lui, quando una cosa di un altro artista gli piace lo dice, se no sta zitto, non dice nulla.
L’emissione del giudizio non è obbligatoria, per fortuna ci si può astenere, si può tacere o debolmente acconsentire, o anche sotto certi aspetti, elogiare, senza doversi sentire dei “disonesti”.
Pensate che bello se la marchetta venisse liberalizzata.
Tipo delle case chiuse con biblioteche in luogo delle stanze da letto, scrivanie al posto dei letti.
Uscire guardingo dall’uffico. Recarsi presso la casa chiusa. Pagare all’ingresso. Entrare nella stanza e trovare un critico occasionale/professionista che prende ad incensare la tua scrittura senza averla mai letta o magari sì.
Sarebbe fichissimo.
(Che poi a me dispiace per il sig. Martini. Dopo vent’anni si fa convincere a lasciasi pubblicare, finalmente viene recensito. Addirittura 40 commenti! Se ne parla del suo libro, eh!. Accede alla sezione commenti, e invece no, perché questi commentatori di N.I. parlano di altro in clamoroso O.T. Probabilmente il sig. Martini penserà: ‘LO DICEVO IO CHE FACEVO BENE A TENERMI FUORI DALLE COSE DELLA SCRITTURA’.)
Quello di Giovanni Martini è un libro bellissimo (finito di leggere da poco).
Giovanni Martini (mi) si dimostra un eccellente scrittore.
Franz Krauspenhaar è (per me) uno dei pochissimi in Italia ancora capaci di scrivere una recensione.
Molte delle recensioni del suddetto Krauspenhaar sono (per me) dei testi in prosa di assoluto valore.
Lo stesso Krauspenhaar è l’autore di un libro, “Le cose come stanno”, passato colpevolmente sotto silenzio, o quasi, mentre (per me) trattasi di uno dei più bei libri pubblicati in Italia negli ultimi anni.
…
Marchette? Ma chi cazzo se ne frega delle idiozie di qualche pirla che sta lì a rodersi le palle! Scrivo esattamente quello che penso e non ho libri da proporre per la pubblicazione/recensione da parte di chicchessia.
Se scrivo che “Gomorra” è un grande libro, cos’è?, sto facendo un pompino alla Mondadori?
Ragazzi, qui siamo al delirio più totale…
Questo conferma la mia prima osservazione di cui sopra: di fatto, ahimé, si è parlato di altre questioni. La trappola iniziale ha funzionato.
Ma questo non credo possa turbare in alcun modo l’autore.
Paradossalmente, invece, ha messo in buona luce fk per chi ancora non lo conoscesse: tutto indica che sia una persona di valore.
Ferrucci, sono perfettamente d’accordo con te: se li ignori, dopo due o tre tentativi tornano nella loro tana con la coda tra le gambe. E invece qui si sprecano, da mesi, quintali di post e commenti in risposta alle loro provocazioni, facendo esattamente il loro gioco.
> Ma su: chi è che nella normal-vita si comporta così, sempre? Perché dovrebbero gli intellettuali?
Se togliamo quel “sempre”, che mal si adatta alla complessità della vita (si può benissimo dover mentire per evitare mali peggiori) la risposta è abbastanza semplice: la falsità è estenuante perché continuamente esposta al disvelamento, e la compagnia dei falsari per nulla piacevole. Meglio essere dei castroni ma in “buona fede”: quando si sbaglia lo si ammette e amen, spesso ci si può pure ridere sopra.
JFK.
Recensore e Presidente.
Niente male.
Proprio niente male.
@wovoka
Nel Seicento era quasi d’obbligo, per l’uomo colto e “di mondo”, non dire mai ciò che davvero si pensava: la “mente barocca” considerava la sincerità un peccato di intelligenza, prima ancora che di cautela.
Quando dire ciò che si pensa non costa nulla, quando addirittura può convenire, allora vedi che tutti si affannano, si affollano addirittura, attorno alla “Verità”, aggiungendo precisazioni e glosse: la sincerità condivisa, addirittura di maggioranza, ha sempre un fracco di sostenitori “sinceri”.
È quando occorre pagare un costo che i comportamenti si diversificano molto.
E poi non creo che realtà, verità e sincerità stiano tra loro in un rapporto semplice, facilmente riducibile a regolette etiche.
Non trovo che la sincerità sia necessariamente un dovere, né un onore, né un merito: la maggior parte delle volte non occorre mentire, basta omettere.
Per esempio, nella mia attività quotidiana non posso dire quasi mai, pienamente, quello che penso.
Ma non tanto per i danni che potrebbero derivarmene, quanto perchè sarebbe inutile (cioè non porterebbe a risultati) e soprattutto molto faticoso: per esprimersi in sincerità occorre condividere con l’inter-locutore un territorio tecnico e culturale di solito piuttosto vasto, occorre tendere allo stesso obbiettivo in cooperazione, eccetera.
Roba complessa: la semplificazione relazionale del dirsi “le cose in faccia”, nella sua stupidità, può andare bene per i reality.
no “creo”, bensì “credo”.
@Tashtego. Penso però che ci sia una sostanziale differenza tra gli eufemismi che normalmente si adoperano per evitare di far “perdere la faccia” a qualcuno, e quella falsificazione che, se smascherata, fa crollare drammaticamente i rapporti mal fondati. La prima è una forma di “saggezza” che, in fondo, non fa che sancire il carattere convenzionale dei ruoli che incarniamo all’interno dei rapporti di lavoro. Nel lavoro, è la necessità ci obbliga a dei rapporti non elettivi, e questo strato “attenuante”, formalizzato, mi appare più che necessario. Nell’arte e nella cultura, si dovrebbe invece attuare prima di tutto quella “distanza dal bisogno” che renda possibile puntare ad una verità più nuda e incondizionata, che non si preoccupi, nel caso, di poter andare ad intaccare le proprie stesse radici. E’ chiaro che se l’arte e la cultura diventano lavoro, ovvero mezzo di sopravvivenza, queste possibilità si restringono ed il campo si insterilisce, almeno in assenza di meccanismi correttivi esterni, come quelli che, nella scienza, puniscono inflessibilmente la frode con una perdita irreversibile di credibilità.
Credo che “Le cose come stanno” abbia ricevuto parecchie critiche positive, io per esempio ne ricordo una su ttL. E non ho mai sentito nessuno di quelli che l’aveva letto dire che non è un bel libro.
@wovoka
Concorderei, in linea di massima con la tua notazione.
Aggiungo che se l’arte “come mestiere” sottende lo stesso tipo di problemi nell’espressione del giudizio “sincero”, l’arte come prodotto, cioè in sé e per sé, non mente mai.
Forse è l’unico modo che abbiamo di dire sempre la verità su ciò che siamo (in quanto artisti, e forse in quanto umani): anche quando stiamo mentendo o stiamo velando, o mescolando le carte, troveremo sempre qualcuno capace di “leggerci”, ammesso che ne abbia tempo, voglia, interesse.
Per questo, alla fine, le recensioni sono importanti: c’è caso che qualcuno ci azzecchi e ti chiarisca cosa stai davvero facendo.
@ a.b.
Erano degli esempi (tratti dalle “mie” esperienze di lettura) di proposizioni facilmente etichettabili (dal solito idiota frustrato di passaggio) come marchette. Dire poi che un libro “è passato quasi inosservato”, non significa che ha ricevuto, per forza di cose, critiche negative: il termine era relazionabile al battage mediatico che incensa tutta una serie di testi(coli) che ben conosciamo. E, in ogni caso, sempre a mio parere, coloro che ne hanno scritto bene, hanno dimostrato soltanto di saper ancora leggere, con onestà intellettuale e senza remore di natura amicale, e non di dover pagare qualche “debito”. Il libro, e se l’hai letto lo sai, è di quelli di valore, così come quello di Martini, che ti consiglio vivamente, qualora tu non l’abbia già letto.
Palladineve mi hai convinto su Martini.
Sul primo commento, secondo me molto semplicemete andava cancellato.
Non conosco il sig. Franz Kraspecc. ma devo dire, come ha detto qualcuno, che le sue recensioni sono veramente molto belle.
franz
mi manchi…
effeffe
anche a me!