Perché ci odiano
se lo chiede Paolo Barnard in un libro edito da BUR e Marco Albanesi ne ha fatto una lettura per noi
Paolo Barnard, giornalista di Report, ha scritto un saggio che si legge come un romanzo. Manca però il lieto fine. Perché ci odiano non è la domanda di un occidente che non comprende la ragione di tanto disprezzo verso il “nostro mondo”. Al contrario, il libro espone in maniera documentatissima le cause probabili e innegabili di questo odio.
Il libro è indispensabile se si vuole guardare da un’altra angolazione e capire a fondo la questione della lotta al terrorismo o del presunto scontro di civiltà (tra un Occidente ovviamente “nel giusto” cui di solito è contrapposto un nemico generico, intercambiabile di volta in volta – prima l’Afghanistan, poi l’Iraq e ora l’Iran – e mosso dalla volontà sprezzante di annientare le nostre libertà). Barnard scava nella storia, soprattutto nella storia delle politiche estere di alcune nazioni occidentali (USA, Russia, Inghilterra) e di Israele. Attraverso un analisi puntuale e documentata mostra come le radici del terrorismo islamico e anti-occidentale vadano cercate non nel generico disprezzo verso l’Occidente ma piuttosto nell’impatto devastante delle politiche estere portate avanti per anni da alcuni governi occidentali verso quei paesi. Proprio quei paesi da cui ora parte, con ben poca casualità, il riflusso di terrore che è sotto gli occhi di tutti.
La tesi di Barnard è che a monte ci siano state azioni di terrorismo da parte di nazioni occidentali verso Paesi latinoamericani, asiatici o mediorientali. Paesi dove si annidava, sempre e non a caso, un interesse economico o geopolitico occidentale. Azioni di terrorismo guidate, tollerate e a cui alcuni governi (gli USA su tutti) hanno fornito appoggio economico e logistico. Tra gli episodi citati nel libro, uno mi ha colpito su tutti: l’annientamento di un intero villaggio nel Salvador – El Mozote – compiuto nel dicembre del 1981 da parte delle truppe d’elite salvadoregne del Battaglione Atlacatl. Le milizie responsabili dell’eccidio – finanziate dagli Usa e addestrate nella base statunitense di Fort Benning, in Georgia – avevano ucciso oltre ottocento civili, tra cui quattrocento bambini, tutti sgozzati. Solo una testimone si è salvata, colei che ha permesso al mondo di conoscere quel massacro.
Ovvia precisazione: Barnard non giustifica e non tenta di ridimensionare la portata del terrorismo islamico, ma va a scavare nei coni d’ombra delle verità ufficiali. Al lettore rimane, a questo punto, la decisione di rifiutare o meno ricostruzioni e verità parziali, nel duplice significato di “incomplete” e “di parte”.
Tento di concludere con la domanda che troviamo a pagina 181 del libro: “Perchè Bin Laden che arma e sostiene diciannove persone che uccidono tremila americani innocenti è un terrorista, mentre Lyndon Johnson o Henry Kissinger (o Bush, Blair o Putin, aggiungo io) che hanno armato e sostenuto un esercito che (in quel caso) di innocenti ne uccise un milione non lo sono?” Barnard non cerca di stabilire dove siano il torto e la ragione, ma di fornire al lettore gli strumenti per capire oltre quanto concesso dalle verità ufficiali. E facendo ciò, restituisce spessore e valore alla parola “giornalismo”.
Scrivo queste righe dopo aver appreso dell’assassinio di una delle poche giornaliste libere della Russia. Anna Politkovskaya è stata uccisa sabato 7 ottobre da un killer mentre rientrava nella sua casa alla periferia di Mosca. Anna Politkovskaya, reporter della Novaja Gazeta, è stata l’unica giornalista russa, o forse non l’unica ma certo la più nota a noi occidentali, ad aver pubblicamente attaccato con decisione la guerra di Putin in Cecenia, smascherandone orrori e vergogne (un suo libro sulla guerra cecena è stato pubblicato in Italia da Fandango, un altro sulla Russia di Putin da Adelphi). Anna Politkovskaya l’ho incontrata tra le pagine del libro di Barnard. Perché ci odiano è chiuso infatti da un documento sulla guerra cecena di Giorgio Fornoni, collega di Paolo Barnard nella redazione di Report. Nel documento compaiono alcuni stralci di conversazioni tra il giornalista italiano e Anna Politkovskaya.
In Russia, settori di potere facilmente intuibili, hanno tentati di zittire una voce libera con una manciata di piombo. A noi la scelta di rimanere spettatori passivi di verità preconfezionate, cullati dai troppi best seller di pessima qualità o scegliere invece le nostre letture e farci cassa di risonanza per tutte quelle voci libere – come quella di Barnard – che, senza concessioni al potere e senza arrendersi alle verità presunte, ci danno la possibilità di “venire a sapere”. Guardando il mondo con i nostri occhi e, finalmente, capire.
Milano, 19 ottobre 2006
no, la domanda è: perché a fronte delle più cruente azioni terroristiche occidentali non c’è terrorismo salvadoregno contro i “paesi occidentali” mentre c’è terrorismo islamico proveniente da Arabia Saudita, Egitto, Pakistan dove non si annoverano azioni così cruente?
Me l’ha appena chiesto anche un amico cui avevo segnalato il post. Se tentassi di darti risposta così su due piedi sarei certamente saccente (e “cazzaro”, come dicono a roma per indicare chi spara appunto cazzate). Per rispondere dovrei documentarmi.
Tuttavia: la tesi del libro – preciso – non è dimostrare che in ogni luogo toccato dalle politiche estere dei paesi occidentali presi in esame ci stato un rigurgito terrorista. Bensì, che se si vuole parlare seriemente di terrorismo, bisogna iniziare a considerare tali anche azioni portate avanti da alcuni dei cosiddetti paesi occidentali. E che alcune di queste azioni abbiano generato meccanismi come quelli che abbiamo sotto gli occhi.
Poi: in sudamerica sono state appoggiate dittature “simil-occidentali” (per cui veniva a mancare il pretesto dello scontro di civiltà per innescare un “terrorismo di risposta)”. In sudamerica si sono diffusi movimenti terroristici che contrastavano il potere locale senza atatccare chi quel potere lo aveva reso possibile.
Comunque, domanda legittima. Anche se il mio voleva solo un modo per accendere le luci su un libro che mi pare messo un pò in ombra, non volevo certo dar lezioni su un argomento cui sono interessato “a livello amatoriale”.
Comunque, storiella improvvisata:
un uomo tradisce ripetutamente la propria compagna. Va con Maria, Teresa, Giuliana, Sara…etc
Un giorno, i mariti di Sara e Teresa aspettano l’uomo sotto casa e lo gonfiano di botte (“come una zampogna” dicono dalle mie parti). Ora, sotto accusa è la non reazione degli altri due mariti (di Maria e Giuliana, per la precisione), o l’atteggiamento palesemente scorretto dell’uomo che tradisce la compagna e che ha avviato il meccanismo di reazioni palesi o mancate?!
1. Per ora i Salvadoregni penetrano le nostre comunità sotto forma di donne
di servizio. Vi ricordate Jenny delle Spelonche nell’Opera da tre soldi?
Aspettate, vedrete.
2. Chi ha detto che non si annoverano sporcaccionate analoghe nei Paesi
islamici? Semplicemente, il riassunto non parla di queste.
ok, allora attendo il lungo elenco di sanguinosi attentati terroristici finanziati o portati a termine dagli americani negli ultimi 30 anni in Arabia Saudita, Egitto, Pakistan, Iran e Siria che hanno tanto esacerbato il sentimento popolare.
Golpista, invece che attendere il lungo elenco, prova a leggere il libro (meglio di una lista della spesa fatta da me, e certamente più completo).
Haug
Marco
Il terrorismo americano ha un volto sorridente, clintoniano. Si chiama redditività del capitale, distruzione delle economie locali e dei codici comunitari con la corruzione delle elites e la conversione dei produttori alle lusinghe del mercato globale. All’indebitamento senza progresso segue brusco risveglio. A questo punto arriva il cow boy trucido e repubblicano a reprimere le proteste, con le bombe intelligenti. Ma è un gioco delle parti: come il poliziotto buono e il poliziotto cattivo nei thriller di terz’ordine.
L’ho letto. E’ un libro straordinario. Sia perché è un bel libro, sia perché è fuori dall’ordinario.
… ohh, ilgolpita dimentica una cosa FONDAMENTALE. La questione palestinese. Non si può capire nulla della frustrazione, della rabbia di certi paesi arabi – come quelli citati dal golpista – apparentemente immuni dalle azioni ‘terroristiche’ della politica estera occidentale se non si tiene al centro la Palestina. Quella del golpista è una domanda retorica che nasconde una grossa superficialità. Può essere posta soltanto da chi interpreta alla lettera la tesi del libro, nel modo in cui è esposta, ma si ferma lì.
Nonostante l’attenta e non furbesca osservazione del Golpista, il giornalismo di Barnard ha il merito di criticare, dall’interno, il mondo dell’antagonismo nostrano, che negli ultimi venticinque anni non ha saputo opporre all’avanzata delle destre una proposta politico-culturale che andasse oltre gli schemi e le pose movimentiste a cui ormai siamo assuefatti, leziosamente. Barnard denuncia l’isolamento dei giornalisti di Report all’interno del comparto Rai. Sottolinea l’importanza del Trust neoborghese che si è costituito negli ultimi anni, la novità della sua offerta politica, che giunge nel nostro paese con un certo ritardo rispetto alla spinta conservatrice atlantica, proprio quando quell’onda sembra destinata a prosciugarsi, con l’annunciata sconfitta di Bush alle prossime elezioni del Congresso (Rove permettendo). Serve uno sforzo culturale, nei giornali e su internet, che sia in grado di immaginare (e se necessario arginare) il moto rivoluzionario del mondo, come fa Barnard, quando invita a non dimenticare il livello globale, più esteso e rovinoso, della lotta.
La guerra dichiarata dall’islamismo ultraradicale all’Occidente e l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq sono teatri locali all’interno di un più vasto cambiamento epocale, determinato dall’ingresso di nuove superpotenze sulla scena, il continente cinese e quello indiano, i paesi sudamericani e gli stati ‘canaglia’ rimasti nella lista dell’amministrazione Bush. La Russia sembra ripiombare negli anni più bui del comunismo, l’Africa è condannata ai fascismi interetnici: dopo Mandela c’è stato il diluvio.
La quinta e la sesta guerra mondiale saranno quelle combattute dalle superpotenze atlantiche e posterzomondiste per il controllo delle risorse, come dice il mio amico Amhed, confortato da un editoriale di Giulietto Chiesa. Vittoriose o fallite, le guerre nell’Islam faranno sparire il tradizionale cuscinetto che separava atlantici ed europei dal supercontinente asiatico. Milioni di persone si muoveranno sul pianeta, speriamo senza un day after. Quale proposta culturale e politica per questo futuro ravvicinato?
Se il libro parla anche di questo certo è più interessante. Io qui non potevo far altro che “recensire” la recensione.
@marco A quanto ne so il terrorismo palestinese, terribile, ha sempre colpito Israele o, in maniera simpaticamente etnica, gli ebrei, mai direttamente altre nazioni.
Il terrorismo di chi dice di voler aiutare i palestinesi è un’altra cosa.
@golpista
Nemmeno io ho letto il libro. Deduco quello che ho scritto da dichiarazioni di Barnard su internet. Ti invito comunque a ragionare insieme sul ‘terrorismo’ in Iraq. Il mio amico Amhed mi ha fatto appena vedere una foto di un giornale in lingua raba: si vede una pattuglia di miliziani sciiti che blocca una strada a grande scorrimento. Secondo Ahmed, se i sunniti si fermano al posto di blocco sono cazzi loro. Dimmi tu. Se ti interessa approfondire questo aspetto, ho aggiunto un commento a margine del pezzo sul velo, che potrebbe offrirci qualche altro spunto di riflessione (per esempio, è lo stesso terrorismo quello degli ex-baathisti e quello dei quaidisti wahabo-salafiti?).
@roberto
certamente non è lo stesso terrorismo e altrettanto certamente perlomeno metà del “terrorismo” iracheno è stato causato da una gestione sciagurata da parte degli americani ma quali e quante critiche sarebbero arrivate dalla stessa parte se l’amministrazione, la politica e l’esercito fossero rimaste in mano a “ex” baathisti…? “ecco Busch che fa finta di liberare l’Iraq e poi lascia i suoi vecchi amici iracheni al comando”, beh si, avrebbero avuto ragione, se gli Stati Uniti avessero voluto esclusivamente liberarsi di Saddam Hussein e controllare il paese sarebbe bastato fare un po’ di casino e mettersi d’accordo con i quadri militari e politici “collaborazionisti” già esistenti dopo aver cacciato i saddamisti più irriducibili. E’ stata sempre pratica comune quella di utilizzare pezzi “convertiti” della vecchia amministrazione per controllare un paese dopo una guerra vittoriosa.
Perché non è stato fatto? Perché gli Stati Uniti non hanno seguito questa tattica sicuramente più comoda e più rispondente ai loro interessi economici?
@golpista
Gli Stati Uniti non hanno “legioni” sufficienti a tenere in piedi un Impero.
Il motto di Rumsfeld è “less is more”. Come ha scritto il Professor Niall Ferguson, della Harvard University, la guerra è servita all’amministrazione Bush per fare lobbyng e per governare la politica interna, “sottoforma di lotta interna degli apparati burocratici e di manipolazione dell’elettorato”. Gli Stati Uniti non sono come gli inglesi del secolo scorso. Sono un paese di immigrazione, che non è fatto di pionieri pronti a colonizzare i paesi ‘liberati’. In Iraq ci sono solo 140.000 militari americani, lo stesso numero di truppe inviate dagli inglesi negli anni ’20, quando la popolazione irachena era un decimo di quella di oggi.
@roberto
si si, ho letto il tuo commento al post sul velo, interessante. Ma non fa che rinforzare la mia opinione: sarebbe stato non solo possibile ma più conveniente anche per gli obbiettivi che indichi tu assicurarsi una amministrazione senza problemi dopo la vittoria che continuare con terrorismo e guerra strisciante per anni pur di smantellare tutto del regime preesistente. Forse sarebbe meglio dire che si è sbagliato, si è peccato di presunzione o che il progetto era (ed è?) più ambizioso che non fare lobbying e finanziare l’indotto dell’industria militare.
Non solo gli Stati Uniti non hanno le legioni per controllare un impero ma anche una opinione pubblica che non è così facile come sembra ad alcuni controllare. Posso anche convincerti della necessità di andare a esportare la democrazia in Iraq ma se dopo 5 anni quella guerra continua a fare tanti morti…
@golpista
se l’ambizione è quella dei manuali di liberazione nazionale di Frum stiamo freschi.
Ragazzi, mettiamola così: all agente viene proposta una verità che è uguale a una bella favola. Ci fanno sapere quello che dobbiamo sapere, apprendiamo verità e versioni dei fatti se non distorte, quantomwno manipolate. Ecco, volevo sottolineare come barnard azzerasse tutto ciò, riaffiancando la parola “verità” al concetto di “vero”
Haug
Marco
@roberto
magari stiamo già freschi, mi interessava solo capire come come si concilia la strategia adottata dagli Stati Uniti in Iraq con quella che tu chiami “lotta interna degli apparati burocratici e di manipolazione dell’elettorato” non mi sembra sia chiaro. O forse non sono diabolicamente furbi ma solo fessi.
@golpista
credo che un buon esempio potrebbe essere il Nigergate. Vorrei proporre alla redazione un pezzo su questo tema. Staremo a vedere.
Dunque per Paolo Barnard, Bin Laden ha armato e sostenuto diciannove persone che hanno ucciso tremila americani. Avallando la tesi dell’Amministrazione americana sui fatti dell’11 settembre. [?]