Veltroni, la scoperta dell’alba
di Christian Raimo
Sciascia per esempio, Arbasino, o Sanguineti, Volponi, Natalia Ginzburg: gli scrittori italiani più importanti che negli anni ’60, ’70 decidevano di impegnarsi direttamente, professionalmente, in politica. Nel 1980, una data emblematica, qualcosa è cambiato. Per fare un esempio, Calvino capisce che la figura di “intellettuale impegnato” che fin allora ha inseguito come modello, ha segnato il passo, raccoglie i suoi saggi composti dal ’55 e pubblica proprio in quell’anno Una pietra sopra, il sigillo a una lunga esperienza, conclusa.
Una generazione almeno è passata e oggi l’evento inedito e molto indicativo è La scoperta dell’alba di Walter Veltroni. Un politico al massimo del suo riconoscimento manda alle stampe un’opera di fiction, un romanzo (come ribadisce la copertina Rizzoli) e arriva subito primo in classifica. In sé l’episodio non sembra un’anomalia: Veltroni stesso ha sempre cercato di ritagliarsi un’attività parallela di operatore/divulgatore culturale (dalle recensioni dei film per il Venerdì) e ha già pubblicato altre opere di narrativa (una biografia di un jazzista, un paio di racconti ispirati alle storie dei desaparecidos argentini). E d’altra parte gli editori pare che non aspettino altro che professionisti affermati in altri campi si dedichino alla letteratura tout-court: cantautori, giudici, prefetti, comici, presentatori televisivi, che appunto scrivano non solamente libri di memorie, ma romanzi.
Il libro di Veltroni si inserisce così (anche suo malgrado) perfettamente in quella strana sfera gassosa che è il contesto culturale e politico oggi in Italia (un paese dove, per dire, la direzione dei programmi culturali della tv nazionale è affidata a Gigi Marzullo e quella dei servizi parlamentari a Anna La Rosa). Il pensiero che la letteratura abbia una sua autorevolezza autonoma, una sua specificità, e delle sue regole da imparare e sperimentare prima contro se stessi e poi rispetto a un editore e un pubblico di lettori magari indulgenti, non sfiora per niente Veltroni. Ed è un peccato perché quello che ne viene fuori è un libro molto mediocre, che queste regole ignora, che quest’autonomia non considera, mentre dichiara della letteratura e in generale dell’arte un’idea reverenziale, feticistica.
Ma andiamo con ordine: quali sono i difetti principali della scrittura della Scoperta dell’alba? 1) La mancanza di differenziazione dei personaggi, che parlano tutti con una lingua media bassamente lirica, anagraficamente irriconoscibile; 2) la ridondanza del discorso: nella scena madre Giovanni Astengo, il protagonista, torna alla sua casa di campagna e compone il suo vecchio numero di telefono di quand’era bambino, riuscendo a parlare con se stesso. Lo stupore è così descritto: “Non riuscivo a parlare, il cuore mi esplodeva e un insopportabile disordine mi aveva invaso. Respirai profondamente, pensai che tutto questo non aveva senso”, e qualche pagina dopo: “Mio Dio. Qualcosa, qualcuno mi stava portando a contatto con me stesso bambino, nel momento decisivo di tutta la mia esistenza. Qualcosa, qualcuno mi consentiva di parlare con me stesso bambino a quarantott’ore dalla fuga di mio padre. Era assurdo, ma stava succedendo”; 3) l’incapacità di dar corpo ai personaggi e di gestirli nel tempo. Il romanzo è molto breve (viene chiamato eufemisticamente romanzo un testo di circa 140.000 battute che in una normale gabbia editoriale sarebbero equivalse a 50, 60 pagine e non a 150) e quindi i caratteri non hanno tempo di svilupparsi. I conflitti con i quali si trovano ad avere a che fare vengono presentati per essere, a distanza di poche pagine, evitati più che risolti. Esempio: la figlia di Giovanni, Stella è una bambina down. I genitori – si dice anche se non si vede – ne soffrono, e il fratello sente il peso di una responsabilità eccessiva, ma è buonissimo e la porta in vacanza con sé negli States. Lì trova Stella insopportabile, capricciosa, e chiede aiuto ai genitori, che nel giro di qualche pagina prontamente arrivano.
Se si può riassumere in un’evidenza, il difetto principale di Veltroni è l’applicazione di una retorica specificamente politica all’ambito letterario. L’ignoranza di quel monito cardinale di qualsiasi scrittore, la frase che si ripete a buffo nei corsi di scrittura: Show! Don’t tell!; non dire, mostra; non dichiarare, metti in scena. Lo stupore, la rabbia, il conflitto padre-figlio, il senso di inadeguatezza a essere genitori di una bambina down, ogni sentimento dovrebbe in un romanzo essere declinato in azione, dialoghi, descrizioni, in una costruzione che renda quei sentimenti, e non li enunci.
Mentre, sempre generalizzando, la retorica politica richiede proprio l’opposto: la chiarezza, l’immediata corrispondenza tra parola e riferimento, la psicagogia ottenuta attraverso anche la ridondanza: il piano non simbolico insomma.
Questa differenza tra i piani del discorso Veltroni sembra non ignorarla affatto, e anzi – per una strana forma di ingenuità – pare dichiararla anch’essa più volte all’interno dello stesso romanzo. Tante volte quante manifesta la sua reverenzialità nei confronti dell’arte e del genio in generale, sempre descritti come mondi modello, ma inattingibili, sacri e misteriosi, e mai come ambiti professionali, dove l’arte è appunto anche mestiere o professione. “Mi innamorai della figura di un genio della matematica che si chiamava Paul Erdös. Mi piaceva la religiosità del suo rapporto con i numeri. Mi piaceva il fatto che cercasse il senso della matematica dovunque, sempre. Si poteva presentare in qualsiasi ora del giorno e della notte dai massimi matematici del mondo, vestito a caso, occhiali spessi e barba lunga. «Il mio cervello è pronto» diceva. E mi colpì il racconto della moglie di un suo collega che testimoniò come Erdös e il marito fossero rimasti, una volta, in un convegno pubblico all’università, a pensare per un’ora e mezza, uno di fronte all’altro, senza dire una parola. Poi il marito aveva rotto il silenzio, entuasiasta, dicendo «Non è zero, è uno». E tutti erano impazziti di gioia” (pag. 20); “Così la chiamò «Casa del sertao che diventerà mare» prendendo in prestito questa definizione da un film che aveva entusiasmato oltre ogni immaginazione. Un film brasiliano, di un regista geniale e pazzoide che si chiamava Glauber Rocha” (pag. 33); “Quella sera di dolce magia, davanti a un pubblico estasiato, il pivot dei Philadelphia Warriors, Wilt Chamberlain, realizzò 100 punti dei 169 con i quali la sua squadre sconfisse i New York Knicks. Tirava, volava e segnava. E il pubblico progressivamente cominciò a capire che stava per entrare in una leggenda” (pag. 38); “C’era Moby Dick, che avevo letto lì, gustandolo setttimana per settimana, con l’ansia di ritrovarlo. Quel luogo d fuga, con il tempo sospeso, mi sembrava inconsapevolmente l’unico dove avesse senso condividere la ricerca di Ismaele, la caccia alla balena, alla sua ambiguità, al suo essere meravigliosa e terribile, vulnerabile e inattaccabile” (pag. 54). E ancora il suo omaggio infinito a Italo Calvino, nume tutelare del figlio che divora tutti i suoi libri, ma non in quanto scrittore. Esplicitamente: “Lorenzo,nel mostrarmi queste frasi, sorrideva. Era la conferma della sua opinione. Che, cioè, Calvino non fosse uno scrittore, ma che il suo universo, generosamente divulgato, fosse un modo per intendere e attraversare la vita, un catechismo a posteriori. Che le sue opere, lette con lo spirito adatto, fossero un prontuario di ricette per essere vivi”. (pag. 35); “Gli piaceva che i libri di Calvino fossero geometria e fantasia. Costruzione perfette, combinazioni matematiche, incastri laboriosi. Ma attraversati dalla fantasia pura. Matematica del sogno”. (pag. 28). Se è vero sono frasi scritte in buona fede, in un romanzo, messe in bocca a un ragazzo, è vero anche che sottilmente denunciano un’ideologia della post-letteratura che fa il paio con quella berlusconiana della post-politica.
L’omaggio sperticato alla tradizione della letteratura è l’opposto del confronto e dell’attrito con la tradizione. Anche qui quello che in politica, soprattutto nell’amministrazione di una città funziona ed è spesso debito (intitolare strade, piazze, mercati ai nomi del passato) non vale nel corpo di un romanzo, ma fa l’effetto di una continua epigrafe, di una scrittura che cerca altrove i piedistalli per la propria autorevolezza. E facendo questo, rende sterile la portata culturale di un romanziere. Dove per cultura almeno io intendo la capacità critica, soggettiva, idiosincratica rispetto al mondo. Veltroni sembra avere invece – e anche qui non la nasconde – un’idea di utopia diversa. Sempre utilizzando il modello Calvino, dice: “Se si intende, naturalmente, che la vita sia vissuta non per per se stessi, che è poca cosa, ma per fondersi in mille altre vite. Per essere sempre tanti e non essere mai soli, anche quando lo si è” (pag. 35). Questa meravigliosa definizione della condivisione deve però calcolare la dialettica, l’antitesi, verrebbe da suggerire a Veltroni, e non proclamare una sintesi già avvenuta o immediata. A sua giustificazione sembra esserci sempre la buona fede. E’ come se Veltroni non vedesse o non volesse accettare l’opposizione inconciliabile.
Cosa resta di questo libro allora? Una testimonianza fondamentale, nelle ultime pagine, dove Giovanni Astengo scopre il motivo per cui il padre sparì anni e anni fa: era un terrorista. Si è dato alla clandestinità. Alla fine di un romanzo famigliare pieno di aggettivazione edulcorata, di tantissimi “lieve” e “intenso”, le ultime pagine sono uno stacco deciso, e spiazzano di netto. Rispetto al mondo svagato che c’è stato narrato fino all’ultimo dove le albe si susseguono come un sogno continuo e i conflitti sfumano per evaporazione, la scoperta da parte del protagonista di avere un padre assassino trascolora il tono del romanzo. E la questione che ne scaturisce (proprio per la creazione e la fruizione di questo libro come oggetto politico) si riapre direttamente come un’altra questione: qual è il valore politico della Scoperta dell’alba? Il cosiddetto “veltronismo”, quella pratica della politica che non accetta una lettura di classe delle conflittualità e che in genere soffoca proprio le conflittualità invece di rispettarle in nome della loro alterità, è forse il frutto obbligato della grande ferita politica degli anni ’70, cicatrizzata sì ma solo in superficie? La radicalità di quell’opposizione ha portato sull’orlo di una guerra civile e lutti personali ingiustificabili. Cosa farne dunque se non consegnarla con sempre più forza e sempre più in fretta all’oblio di un qualsiasi romanzo?
Il veltronismo (come, ahimè, il berlusconismo), oltre ad essere (concordo in toto) quella “pratica della politica che non accetta una lettura di classe delle conflittualità e che in genere soffoca proprio le conflittualità invece di rispettarle in nome della loro alterità, (…) forse il frutto obbligato della grande ferita politica degli anni ’70, cicatrizzata sì ma solo in superficie”, resta, invece, avviluppato in quel populismo di lungo corso che caratterizza la c.d. “società dello spettacolo”. Sicchè non riesce ad esprimere (e qui incespica la debole teorica del costituendo Partito democratico), in una società a base invidualistica, neanche una modesta opzione liberaldemocratica (Gobetti Salvemini etc.). E’ l’ecumenismo senza ecumene, la pienezza del vuoto…
errata: “resta, invece” (riga 6^)
corrige: “resta, altresì” (idem)
Da leggere la recensione di Sofri.
ottima la definizione del veltronismo, con la glossa di enrico.
non ho letto il libro e non lo leggerei nemmeno se fosse l’unico libro al mondo, quindi alla recensione di Raimo ho solo da obbiettare che a mio parere veltroni non si considera affatto “un politico al massimo del suo riconoscimento”: l’epoca della post-politica è appena cominciata.
Ma Giovanni Astengo non era un architetto e noto urbanista defunto circa venti anni fa?
Cosa fa lì, chez Veltroni, ora?
MarioB.
Ma Veltroni non aveva promesso che presto ci avrebbe lasciati per dedicarsi anima e corpo all’Africa? …Ooops dimenticavo ora ha una missione ancora più nobile : creare il Partito Democratico ed affossare così in maniera definitiva una qualsiasi speranza che in questo paese si possa assistere a una forma di manifestazione politica che possa dirsi di sinistra nel senso più nobile del termine….a proposito del libro dispiace vedere che Raimo gli abbia dedicato del tempo e una recensione cosa voleva dimostrare ? che i libri più venduti non sono i migliori? ma penso che qualsiasi lettore di nazioneindiana queste cose le conosce da tempo….
Complimenti Christian sei l’unico che tra i romani è riuscito a trovare coraggio e guardar negli occhi il bruco! Davvero bravo.
E-mail – info@angelomai.org
4 ottobre 2006
Veltroni, il sindaco “di tutti”, sgombera l’Angelo Mai di tutti
[da domani mattina su http://www.angelomai.org le foto dello sgombero]
Il buonissimo Veltroni ha colpito ancora
Oggi, 4 ottobre 2006, alle 8 del mattino le forze di polizia in borghese hanno fatto irruzione all’Angelo Mai occupato (Roma) per imporre lo sgombero.
Lo sgombero è arrivato senza alcun preavviso, andando a interrompere la trattativa in corso tra occupanti e Comune e andando contro i precedenti accordi verbali presi tra le due parti nel luglio scorso, che prevedevano la prosecuzione delle attività culturali all’interno dell’Angelo Mai in concomitanza con l’inizio dei lavori di ristrutturazione dello stabile. Questo periodo di transizione e coabitazione tra cantiere e laboratorio culturale avrebbe dovuto consentire che si svolgessero nel frattempo i lavori di ristrutturazione dell’ex bocciofila di piazzale Numa Pompilio, sede alternativa proposta dal Comune per la prosecuzione delle attività culturali. Ad oggi, di fatto, i lavori non sono iniziati veramente in nessuno dei due posti, se si escludono pochi interventi “di facciata”. L’ex bocciofila, dove il Comune di Roma dichiara che la ristrutturazione è “a buon punto”, è uno scheletro di ferro a cielo aperto.
In perfetto stile “bolognese” nessun rappresentante del Comune si è presentato all’Angelo Mai, lasciando gestire la situazione interamente dalla polizia.
Non solo, è stato negato ai rappresentanti istituzionali (senatori e deputati della Repubblica, consiglieri comunali, regionali, provinciali e municipali) di entrare nell’edificio durante lo sgombero. Il consigliere regionale Giuseppe Mariani, che chiedeva di poter entrare, è stato aggredito dalla polizia municipale in borghese. Svenuto, è stato portato da un’ambulanza, arrivata dopo oltre venti minuti, al pronto soccorso dell’ospedale S. Giovanni.
Immediatamente una delegazione si è recata in Campidoglio per chiedere ragione dell’azione ingiustificata delle forze dell’ordine e cercare di incontrare il vicecapo di Gabinetto del Sindaco Luca Odevaine, che per tutta la mattinata non aveva risposto ai numerosi inviti al dialogo. La risposta è stata, ancora una volta, la forza. La delegazione entrata in Campidoglio è stata violentemente respinta dal corpo di polizia municipale, che tra l’altro si è arrogato una funzione istituzionale che non gli compete. Tra le persone che hanno subito quest’ennesima aggressione ci sono stati alcuni feriti.
Nel pomeriggio una decina tra camionette e macchine della polizia hanno invaso il rione Monti e una ventina di celerini in assetto antisommossa sono entrati nell’Angelo Mai, imponendo l’uscita immediata di coloro che erano ancora all’interno dell’edificio.
Visto:
– che il Comune di Roma ha dimostrato ancora una volta la sua scarsa serietà nella gestione delle trattative politiche con chi non è allineato col suo modo di vedere e vivere questa città,
– che non è stato mostrato nessun interesse a tutelare la continuazione delle attività,
– il modo violento con cui il Comune sceglie di “risolvere” i problemi della città,
l’Angelo Mai ha occupato simbolicamente la struttura dell’ex bocciofila a piazzale Numa Pompilio per mostrare alla città intera le reali condizioni dello spazio e le bugie della nostra amministrazione.
Invitiamo tutti
– a venire a constatare di persona le condizioni di questo nuovo e “prestigioso” spazio in via delle Terme di Caracalla 55
– a partecipare all’assemblea cittadina di domani, giovedì 5 ottobre, alle ore 18 allo Strike s.p.a.(via U. Partini 21 – Portonaccio)
non è stato solo uno sgombero, ma una spedizione punitiva voluta da Veltroni ed eseguita da Luca Odevaine e Claudio Minelli
Caro Veltroni,
Roma non te la regaliamo
L’Angelo Mai occupato
http://www.angelomai.org
Non ho letto il libro. Ne ho letto solo qualche pagina, a salti, in tempi diversi. La prima cosa che cerco in qualsiasi libro è che mi catturi la scrittura per la storia che racconta. Che cioè la scrittura sia trasparente, non faccia cioè sentire il proprio peso e la necessità di essere seguita e interpretata in quanto tale. Ecco, il libro (concordo, non “romanzo”) di Veltroni non ha avuto questa capacità nei mei confronti, ed è per questo che non l’ho letto. Questa excusatio non petita è per pararmi il culo sulle cose che voglio comunque dire in proposito. Al diavolo la correttezza, il galateo intellettuale, che vuole che si parli solo di cose che si conoscono. Voglio dire anche di cose che non conosco, o che conosco poco, o che conosco solo per sentito dire.
Mi sembra che Veltroni volesse andare a cercare il colpo di teatro proprio sulla questione del terrorismo e degli oscuri anni settanta. Ho avuto subito questa sensazione quando ho letto a caso le pagine dove si parla dei terroristi come i cattivi che si divertivano a sparare alla gente buona. Ovvio che Veltroni non ha scritto così, ma la sensazione, l’imprinting del libro che ho avuto è quello. La solita retorica diessina che accomuna tutte le anime liberal-neotogliattiane del “grande partito della sinistra”. Se vi capita in mano il memoir di Ingrao e andate subito al capitoletto sugli anni di piombo (quando lui era presidente della Camera), avrete la stessa sensazione che si ha leggendo la fiction di Veltroni. E cioè che c’è stata da parte dei dirigenti dell’ex bottegone un fenomeno di rimozione di massa, che li ha portati a non comprendere proprio nulla di quel fenomeno. Fenomeno ben analizzato in quello stupendo libro di Prospero Gallinari (Un contadino nella metropoli) di cui ho già tessuto le lodi in passato. E dunque il male oscuro della sinistra italiana sta proprio lì, nel non aver accettato che quel fenomeno, il “terrorismo rosso”, era in realtà la logica conseguenza della militanza di tanti (ed erano tanti) compagni e compagne che avevano visto nel bizantinismo berlingueriano, quello delle sue famose considerazioni del 1974 all’indomani della tragica fine del “companhero presidente” Salvador Allende in Cile, un pericolo per chi si riteneva “comunista”. Perché gli Ingrao e i Veltroni (lasciando pietosamente stare, per il momento, monsignor Napolitano e il machiavellico D’Alema) hanno operato questa rimozione, personale e politica? I terroristi che tanto stigmatizzano erano loro compagni, con tanto di tessera, con tanto di lotte e manifestazioni alle spalle. Il comunismo è morto, poi si disse. Il comunismo non è morto, perché non è mai nato.
E devo dire che far passare un teorema politico per, o per mezzo di, un romanzo è veramente squallido. Continuino a ripetere le loro banalità, in maniera peraltro stilisticamente povera, e continui il redento Toni Negri a sproloquiare sul nulla facendosi intervistare dagli editor della Feltrinelli. Per fortuna le lotte vere, quelle dei lavoratori e dei compagni che ogni giorno ricevono umiliazioni e calci in faccia, non hanno niente a che fare con la Sinistra.
cp
roberto, molto ma molto meglio questa recensione rispetto a quella di sofri sabato sul foglio (in cui si ricorre al solito mantra “lamiagenerazione…” e si fa cenno al minaccioso “playlist”, tra l’altro)
Un aspetto che sarebbe buffo, se non fosse irritante, è che i grandi nomi che pubblicano romanzi scrivono esattamente come se scrivessero articoli sui loro giornali, o se parlassero in tv. Lo stile è identico: sembra di leggere un articolo lungo, formule stereotipate, incredibili banalità stilistiche. Mai come in questi casi il concetto di “prodotto” è applicabile al libro: e sono prodotti da supermercato, anzi, da hard-discount.
Nei confronti di Veltroni – oggetto di un continuo sarcasmo che sconfina spesso in vero e proprio odio – io continuo a provare un retrogusto di simpatia, perché l’ho incrociato varie volte in passato, a Roma, quando era direttore dell’Unità. L’ho sempre considerato un tipo attento, curioso, disponibile e con’attenzione particolare verso l’arte e la letteratura. E non fingeva, non ne aveva bisogno.
Poi le cose cambiano, e anche le persone, specialmente se si fanno coinvolgere nelle beghe del potere.
Se la melassa di cui il veltronismo è la massima rappresentazione stesse alla più o meno guerra civile degli anni settanta come la melassa democristiana stava alla necessità di soffocare edulcorando ricordo ed elaborazione di fascismo e guerra partigiana? Non credo di aver detto una cosa particolarmente acuta: era lì che veniva fuori dal pezzo di Christian.
secondo me Veltroni è il “possibile” prossimo candidato del caos primordiale e della natura selvaggia e distruttiva. egli lecca una goccia dalle labbra e avverte il sapore della malinconia – sulla gengiva divina, in una taverna morta, in un letto altrui.
Ancora più sconcertante del romanzo in sé mi pare essere il battage mediatico-pubblicitario scatenato intorno all’esordio di Veltroni.
Una buona rassegna stanpa qui: http://www.oblique.it/images/rassegna/RS_VELTRONI.pdf.
Ieri c’era Saverio Tutino a svendere il suo Premio Pieve Santo Stefano per i diari autografi alla Banca Bassotti Toscana e, peggio ancora, a dar voce non a chi non l’ha mai avuta – come dovrebbe essere secondo lo spirito del Premio –, ma a uno che già ne ha tanta da assordare un sordo. Oggi tocca a Adriano Sofri, a Roma, fare da zerbino e lacchè al campione degli scrittori del nulla: W. Veltroni. «Veltroni è 24 ore su 24 sempre aperto» ha dichiarato. Ma che stronzata! Provate ad andare in Campidoglio alle tre di notte, che se insistete a farvi ricevere dal sindaco Veltroni vi beccate piuttosto qualche strapazzata dai vigilantes. Poi l’ex capo di Lotta Continua, non sapendo che altro dire, s’è esibito in una cinquantina di citazioni, da Klee a Giovanni XXIII, da Modugno a Bergman. Tanto del libro di Veltroni non c’era nulla da dire, se non che con le pagine tutte bianche sarebbe stato meglio. Perdonateli: Tutino e Sofri non sanno più quello che fanno e che dicono, o forse semplicemente hanno bisogno di lenire la solitudine della loro vecchiaia con qualche telecamera, e l’ex compagno divenuto sindaco se ne porta appresso parecchie, tanto paghiamo noi… E soprattutto leggetevi “Il compagno Veltroni: Dossier sul più abile agente della CIA”. Divertimento assicurato e in più molti buoni motivi per riflettere. Lo potete trovare e scaricare, anche per diffonderlo, all’indirizzo su Libera Cultura all’indirizzo
http://www.stampalternativa.it/liberacultura/?p=39.
christian, la noia (di leggerlo) è valsa l’analisi (che ne fai); insomma, hai fatto un lavoro “sporco” ma utile
“Tutino e Sofri non sanno più quello che fanno e che dicono, o forse semplicemente hanno bisogno di lenire la solitudine della loro vecchiaia con qualche telecamera”. Che parole rispettose. Che amor di penna.
Molto in breve e sinteticamente.
Veltroni merita grande attenzione.
Per l’intelligenza, la furbizia e la grande abilità, certamente.
Ma soprattutto perché è il primo politico italiano che si propone di perfezionare la politica della post-realtà inaugurata da Berlusconi.
La politica non più come terreno democratico di espressione dei conflitti (“il raggruppamento amico-nemico” secondo la nota definizione di Schmitt), ma – lo nota Raimo – come perenne nascondimento degli stessi sotto una coltre di fiction emozional-politica, dove ogni ibridazione è possibile, purché resti generica et narrabile come “buona”.
(In proposito, si riveda l’eccezionale acutezza profetica del Caso Scafroglia di Corrado Guzzanti).
La politica che non chiede consenso su un progetto di società e di futuro, ma punta invece allo share quotidiano, alla costruzione di un’immagine personale positiva che ti porti al potere.
Veltroni e Rutelli sono i campioni di una politica che punta a infantilizzare le masse: papà è buono, fa solo il tuo bene, lascialo lavorare, non lo disturbare.
Destra e sinistra (qualora abbia un senso usare questi termini) spariscono sotto questa pappa, dove ogni mossa viene giocata quotidianamente secondo l’interesse del momento e soprattutto secondo una strategia personale di ascesa politica che non è ancora del tutto chiara, ma che lo vede aspirare a diventare il primo presidente (del consiglio? Della repubblica? Di tutt’eddue?) della post-democrazia mediatica, guidata del nuovo partito del nulla, il partito, appunto, democratico.
Berlusconi ha dissodato il terreno, ma chi lo metterà a semina, raccogliendo i frutti, sarà il duo – micidiale – Rutelli-Veltroni.
Il regime prossimo venturo sarà un bicefalo Mostro Mite.
“La scoperta dell’alba” è una delle opere più belle che mi sia capitato di leggere. E ciò non solo per la scrittura chiara e lineare; o per la trama coinvolgente che, a tratti, si colora persino di un fondamentale pizzico di magia. Ma soprattutto perché è un romanzo di puro sentimento. Un romanzo in cui le passioni di una vita – o meglio, di tante vite – vengono messe a nudo o, semplicemente, rivelate nella loro pura esistenza. In un continuo intrecciarsi con le vicende di ogni giorno, rivelate dai giornali o dalla televisione, veri e propri ancoraggi con la realtà presente. Perché “La scoperta dell’alba” è anche questo: un viaggio a ritroso nel tempo senza mai perdere di vista il presente. Con una chiara allusione alla immortalità dei sentimenti: essi esistono oggi come sono esistiti ieri. E sono proprio loro a rivelarci il senso vero ed autentico delle cose che contano: quelle piccole e ricorrenti di cui si compone la vita quotidiana.
Il messaggio finale è chiaro e definitivo: è la forza dei sentimenti, quelli che viviamo tutti i giorni ma che spesso per distrazione o superficialità non riusciamo a cogliere appieno, a svelarci il senso più profondo delle cose. Ma è grazie al potere forte e vivo della letteratura che possiamo dire di aver vissuto per davvero.
Di Valter Veltroni apprezziamo da tempo le grandi doti di scrittore e giornalista; ma il Veltroni romanziere è una vera e propria rivelazione. Ed il suo primo romanzo si colloca, a mio parere, tra le sfere più alte della letteratura italiana degli ultimi decenni.
Se i padroni incominciano a pensarla come gli operai allora ci deve essere qualcosa che non và. Non è una scoperta dell’alba veltroniana ma una frase che ho colto soltanto poche ore fa nella vita reale, quella che i novelli dei dell’olimpo visitano di tanto in tanto ma da privilegiati.
Mettere il libro di Veltroni tra le sfere più alte della letteratura italiana degli ultimi decenni mi sembra esagerato, direi piuttosto che è un buon prodotto commerciale ed il primo posto in classifica lo dimostra, per il resto mi ritrovo nel commento di Helena.
non leggete veltroni. veltroni è il sindaco di una nota città italiana.
un amico.
“nella scena madre Giovanni Astengo, il protagonista, torna alla sua casa di campagna e compone il suo vecchio numero di telefono di quand’era bambino, riuscendo a parlare con se stesso”
non molti sanno che in una prima stesura il numero risultava occupato
Proviamo a rovesciare la prospettiva. Prendiamo lo stesso identico libro e al posto di “Walter Veltroni” scriviamo “Christian Raimo”. Avrebbe avuto lo stesso successo? Non credo, anche a parità di editore.
cp
ma è chiaro, prodan. sfondi porte di saloon aperte.
hai da accendere, già che sei qui?
@tash
ma perché, ora il PD si fa?
che significa “PD?” Visto che sono un “newbie” ero alla ricerca di conferme, tutto qui :-) Anche perchè non vorrei che fosse Padova, Sono le persone così che mandano a rotoli la società di oggi . Non ne posso più di fighe /ragazze medie /cessi che se la tirano . Quanto odio Padova !
Compagni (pardon! ragazzi, amici), smettetela di sparare cazzate su di me e correte in massa a comprare il mio ultimo parto. E prendete spunto, piuttosto, dai veri intenditori di letteratura. Ma l’avete letto Girolamo Lazoppina?
“La scoperta dell’alba” è una delle opere più belle che mi sia capitato di leggere”.
Questi sono i lettori che voglio, altro che tashtego il disfattista e i suoi complici venduti alle avanguardie radicaleggianti e anarchiche.
Colgo l’occasione per anticiparvi i titoli dei miei prossimi romanzi, che usciranno a scadenze semestrali nei prossimi tre anni, poi inizieranno le ristampe:
La scoperta del mattino
La scoperta del mezzogiorno
La scoperta del pomeriggio
La scoperta della sera
La scoperta della notte
La scoperta dell’aurora
p.s.
Comunicato ai romani: o vendo almeno diecimila copie nella capitale, o col cazzo che vi ridò la notte bianca.
Comprate anche l’avvenire: nei prossimi giorni pubblicherà un numero speciale di ventiquattro pagine su di me.
Sto già realizzando una tetralogia, che finirò di scrivere quando sarò in Africa, dal titolo provvisorio “Il ciclo dei vènti”:
La scoperta del maestrale
La scoperta del grecale
La scoperta del libeccio
La scoperta dello scirocco
Ahò so io eh, water nostro de noantri, er sindaco scrittore e poeta.
@ helena, lady lazarus e lucy van pelt
Ingrate! Anch’io sono stato femminista. Ma mi vendicherò: jack carter non ha mai fatto distinzioni di genere.
@ christian raimo
Ragazzo, basta arrabattarsi col solito artigianato poetico, pensa in grande, fai come me: stamattina ho alzato la cornetta (o era il cornetto?), ho chiamato la fondazione palla e ho dettato, seduta stante, il mio primo libro di poesie: La scoperta del verso giusto. Uscirà a natale e sarà abbinato al rinnovo della tessera ds per il 2007. Famiglia cristiana ne sta preparando un’edizione ridotta (365 testi) in forma di calendario da distribuire, allegato al settimale, il giorno dell’epifania. db sta già provvedendo alla traduzione in tedesco e in danese; magdi allam a quella in arabo; magda mantecca a quella in bergamasco.
Christian, leggerti è come guardare fuori dalla finestra e scoprire qualcosa che ieri non avevi visto…
i cartelloni del libro in questione hanno invaso librerie, piazzali, città; forse la letteratura non è più quello spazio di mondo in cui pensare di rifugiarsi/nascondersi/prendere fiato, mentre intorno a te c’è un torneo in atto per decretare chi riuscirà ad annoiarti più degli altri?
la letteratura non è più l’angolo dietro l’angolo in cui aspettare che ti passino davanti per scriverne di tutti i colori?
quando sono il solo che mi abbraccia, rimangono le lettere!!!
a parità di editore, ha scritto il prodiere,
gesummaria, amalia, help, helpp,helppp!!
@roberto
Veltroni ha dichiarato tempo fa di essere molto interessato a lavorare al “nuovo” PD e pure a candidarsi alla Presidenza der Consiglio, purché si designi con elezione diretta.
Il riassunto non è oggettivo, perché la scena clou non è quando telefona, ma quella dopo, quando mi scoperchia. Sennò, perché avrebbe messo il titolo?
I hate veltroni! I’ll kill that fucking bastard! I hate rome and romans. fucking bastards!
I’ll be in rome on sunday. I’ll kill veltroni on monday. I’ll be back in london on tuesday.
best regards,
jack carter – professional killer
Jack usa la tecnica dell infiltrato speciale, si infiltra nelle discussioni dei gruppi in rete, finge di condividere gli interessi comuni allo scopo di convincere i partecipanti ad acquistare qualcosa per conto del mandante di turno.
L ha confessato a “the Scapist”.
Chi ti paga ora, Jack, una fabbrica di armi? W.V. non puà essere perché tanto vende pure troppo.
I am waiting for sunday and haiting for monday…
Maledetta tastiera americana…. non trovo più il tasto dell apostrofo….
huhuhùùùùùùùù santoddiogesummio che gioia che avessi, hummadonna che ce anche padrenostro che io ero un sacco di tempo che non lo vedrei in quel programma che faceva che mi piacesse tanto che tutte le puntate non mele o perse ne meno una che ve lo giuro, che mi ricordo che cera anghe il capitone pernacchia cuello che faceva uscire il sole e anche cuando pioverebbe mioddio che io mi pressionavo ma come farebbe che semprava il maco forlì del lecchino doro che cantavamo i pambini, e poi cera angora cuello proprio che faceva i carciofoli in mezzo alla strata e si bevesse un chinotto che le machine non lo passavano sopra. hùùù che bello che mi mozziono tutta che padrenostro fa i buc anche lui e scopa all’alba che io come lo invidio che io cela facessi vedere se cualquno mi pubbricherebbe il mio, buc che io ce lavrei gia pronto con tutte le paggine aperte dopo i concorsi di frittura creatina che sono fatta. ma ora vela do, la storia che io mi racontassi nel mio buc, più piccolo che laltro non cio angora il tritolo, ma cuesto si chiama la signorina aspettapesce è e la storia motobiocrafica di mia filia salvatrice che cuella povera crea tura che ciabbiamo cuarcosa in comune, che io lo visto solo prima che lei nascerebbe ma lei non la visto ancora e s’offre tanto che non sapesse come e fatto e che a trentaenove anno e non ci sono angora venuta le sue cose cuelle li, è a puro i tendini da latte che li avesse mai scambiati. Io velo devo dire che cio mandato il tram del libbro ai s’ignori casceco e vodca che avevano quel poster strano cualche giorno fa e anghe mi o mandato una mia fotogenica in due pezze che ero cuasi nuta, ma cuelli coi nomi di nicchia non mi anno ne meno risposto che cio rimasta molto male velo direi da vero che e cosi. ma tanto tante tante perzone del mio condom inio mi anno detto che il buc e venuto, bene che la storia di salvatrice che poi scope che il suo papa e come la sua mamma che saressi io, fa piancere. ma ora sono si cura che il sindaco padrenostro mi farebbe pubbricare che lui e un nome di nicchia che io o capito che lui e lei cuella arba paglietti che la fa sembre vedere alla trasmissione che ce la ossi genata che la mia cia i ricci come cuando avrei dicia sette anni. io facessi un cappello agli elettori di cuesto brog che se mi dessero che vorrebbero legere il mio buc io gia sarebbe veramente felice e anghe salvatrice che volesse tando venire puro lei. crazie che mi facete cuesto favore ma come siete cari voi che cico mprate il buc che lavedete che celo anghio come la nicchia del sindaco arba paglietti, razzie ma come siete, buoni voi tutti chevi voglio tanto, bene tutti guanti
amalia, manco sai scrivere sgrammaticato, che per farlo ci vuole mestiere, mi sa.
lady lazarus, have a drink?
tomorrow night, hilton hotel, rome. room 234.
I’ll dress shorts and… my muscles.
see you soon.
yours
jack
ho signor casceco la scuso tanto se mi permetterei ma io cuel mestiero la non lo facessi mai, cuindi e vero che lei pubbricasse i buc ma cueste cose cosi la precherei che non me li dicerebbe piu se no nessuno mi prendesse, piu in considerassione. che lei e molto allabbioso e soscettibile lo sa che se vuole che io non la nominerei piu e ci cancellassi la sua nicchia dal mio conpute, ma lo so che il mio libbro non le piacerei cosa vuole che tanto me lo stampi il suo sindacato alba paglietti, che poi la sgorticata se lo tiene, per lei che sara una brutta malatia e poi nessuno mi vorrebbe più che scriverei. pero che bel nome che cia casceco e come e bravo cuando scrivesse cuei racconti stranieri che lei lo sa che lei sicuramente e di milano ma che bravo che e lei caro anche se mi a scridato tanto
And there is a charge, a very large charge
For a word or a touch
Or a bit of blood
Or a piece of my hair or my clothes.
So, so, Herr Jack.
So, Herr Enemy.
I am living
so far from Rome
furtunatly
My dear Lady Lazarus, non tema, la difenderò io.
Lo sa che lei è veramente adorabile in questa nuova “veste” che si è scelta?
Sì, adorabilmente misteriosa. Misteriosamente adorabile. E leggermente addolcita nel tono, negli accenti, nel lessico, negli apostrofi, nello stile…
Si fidi.
@tash
vero. Non ci sono più i Balestrini di una volta. Quando non si capiva una stramazza lo stesso, ma almeno c’era ritmo.
l’allievo che risponde al maestro! che dialogo edificante in vista del passaggio del testimone: il futuro è già qui.
tuttologo aspirante, esci, fai due passi, magari arrivi dal giornalaio.
i tuttologi muovono le gambe, ogni tanto.
quando tashtego esordiesce con ‘molto breve’ o ‘sinteticamente’
parte l’immancabile sproloquio egoico
è vero che questi stanno, anzi, hanno già, costruito un mondo in cui i buoni sentimenti si comprano in farmacia e le incazzature te le fai passare la sera davanti alla tivù, ma cosa rimane in alternativa?
un ritorno al vecchio motto “conosci te stesso”, diventa individuo e rifuggi dalle offerte speciali di ideologie e religioni?
insomma, oltre la critica, doverosa ma talvolta sfogo semplicistico, come si dovrebbe fare?