Siete voi che non vedete
di Walter Siti
A Franco Cordelli e a Enzo Di Mauro ripugna essere apparentati al protagonista del mio libro; niente di più legittimo. Sotto le categorie negative di “narcisismo, esibizionismo, autoelezione e prepotenza” raccolgono una pattuglia eterogenea di scrittori che va da me ad Antonio Moresco, a Tiziano Scarpa, a Michel Houellebecq e a Bret Easton Ellis, fino al pochissimo autobiografico Alessandro Baricco. E aggiungono che quelle categorie negative “nei termini della vecchia politica sarebbero considerate di destra”.
Ovviamente non voglio parlare del mio libro, che verrà giudicato, spero, per la sua scrittura. Ma vorrei provare a riflettere su che cosa sia “di destra” o “di sinistra” in letteratura. Troppo facile rispondere che, riferite alla letteratura, le due categorie non hanno senso; esiste una responsabilità della letteratura di fronte al mondo, e allora parliamo di quella. E riparto da un’altra accusa che Cordelli e Di Mauro rivolgono al mio libro, di “assumere il reality-show a punto di vista strutturale del romanzo”: credo che abbiano ragione, è così. Credo che oggi il romanziere si trovi in una posizione molto simile a quella di un concorrente di reality-show; da una parte deve realizzare una forma, un testo per qualcuno che guarda, o legge – dall’altra per farlo non ha a disposizione che se stesso, il se stesso privo di forma che insiste a pretendersi autentico pur proiettandosi in una fiction. Rischia ad ogni momento di perdere se stesso, la propria ‘faccia’, di fronte a familiari, amici o pubblico, e l’unico contrappeso a questo rischio è la speranza di successo (che sia il montepremi finale o l’applauso della critica).
Ma a Cordelli e Di Mauro, ci scommetto, i drammi dei concorrenti di reality sembrano volgari. E’ giusto chiedere agli scrittori contemporanei di non essere “scimmie del consenso e dell’adattamento” e di rivolgere il loro mirino verso i mostri veri, gli uomini di potere che “sanno tenere la lingua a posto”. Ma è anche vero che non esiste soltanto la politica “visibile”, quella del parlamento, delle lobbies o dei potentati economici. Esistono mutazioni più sotterranee, che non si vedono ma che cambiano la testa delle persone, le loro abitudini percettive, la gerarchia dei loro desideri. Se leggiamo nell’ultimo romanzo di Houellebecq, La possibilità di un’isola, la descrizione di un’orgia desolata, o se in Lunar Park di Easton Ellis seguiamo il trasformarsi in horror di un rapporto figlio-padre, bisogna essere sordi per non sentire quanto tutti noi siamo mutati; quanto l’atrofia sentimentale ci abbia colpiti e quanto le vecchie categorie psicologiche comincino a non funzionare più.
Ma noi chi ? domandano giustamente Cordelli e Di Mauro. Il protagonista di Lunar Park si chiama Bret Easton Ellis, come l’autore del romanzo; non credo sarebbe stato difficile per Ellis (come non lo sarebbe stato per me) dare al suo protagonista un nome fittizio, ed evitare molti sospetti di esibizionismo e di solleticamento del pubblico; se non lo ha fatto, credo sia stato per una scelta di epistemologia, prima ancora che di poetica. Le mutazioni che i romanzieri si trovano a dover raccontare oggi, hanno mutato dall’interno i romanzieri stessi. L’io che usano è un povero io cavo, svuotato dai parassiti, un io come una provetta per esperimenti – una specie di robot, o di clone, da spedire in avanscoperta dove il terreno è contaminato. Quindi, per forza, noi. Noi che non conosciamo più mediazioni, noi che abbiamo troppa fretta di essere felici, noi che ci stiamo disabituando alla cultura raffinata e siamo tornati verso un analfabetismo emozionale, noi che riduciamo il desiderio ad immagine e confondiamo la felicità col possedere, noi che ci curiamo la depressione con lo shopping, noi che siamo ossessionati dal sesso come da una delle poche residue vie forti di comunicazione, eccetera. Siamo tanti, siamo la maggioranza, distribuiti in tutte le classi sociali. Certo alcuni, per privilegio di cultura o di coscienza, possono chiamarsi fuori, dire “noi non siamo così”; buon per loro; ma restare illesi di fronte ai mutamenti (diciamo pure ai peggioramenti) del mondo non è mai stata una buona ricetta per i romanzieri. Ci sono due modi per far finta di niente: o scrivere belle storie che avrebbero potuto essere scritte, tali e quali, trent’anni fa, o congelarsi in scritture stitiche, cerebrali, in cui il mondo è visto attraverso una lente antisettica. Ma se senti l’emergenza, non hai altra scelta che buttarti avanti, magari anche esibendoti, agitandoti forse troppo in posture autolesionistiche; ma non puoi allontanarti da dove sai che c’è la ferita perché ogni altra soluzione ti sembra indecente. Devi utilizzare, come scrivono Cordelli e Di Mauro con bella locuzione, “la tua miseria come architrave della costruzione romanzesca”. Ma una volta la sinistra non doveva occuparsi della maggioranza delle persone ? Non doveva prima di tutto capirle e poi addirittura amarle, e condividere il loro destino ?
(pubblicato su Alias, 16/9/06, riprodotto qui per gentile concessione dell’autore)
I commenti a questo post sono chiusi
Letteratura come emergenza. D’accordo.
Mi sembra che il punto di contatto con Pasolini, di cui Siti è studioso, è la scoperta di una “mutazione antropologica”. Rispetto alla quale poi uno fece il Lutero corsaro, l’altro fa il Nicodemo stanziale. Sarà vera gloria? Ai postumi l’ardua sentenza.
Con l’invenzione dell’ascensore se ne andata una vecchia europa (più di sei piani stancano). Così magrolini scrittori ora arrivano dove prima neppure osavano sognare. Dall’alto, i bivi i semafori, le strisce pedonali, sono giocattoli. Quando pure questo stanca, rimangono i sotterranei i garage e le grate dove sopra passano le signorine con le gonne (Liala, non arrivava lì). Così scrittori d’avventura sono comunicati stampa. Siete figli della sintassi e della grammatica. Tutto qui. (grazie per la gentile “concezione”)
Chapeau.
Qui c’è una dichiarazione di poetica, forse tutta un’estetica, di un romanziere vero, amante devoto e impenitente puttaniere di una letteratura che i suoi detrattori sognano troppo spesso da lontano (distanza critica?), magari con le dita aggrovigliate tra le gambe.
madonna che palle
l’intercalare commerciale
del Chapeau convenzionale
raccolta firme per l’estromizione del Chapeau dai commenti.
Biondillo, dacci uba mano, please.
@ Sud
su chapeau son d’accordo e mi pento anch’io che ho peccato, però non ti fissare sui dettagli,
qua stiamo tutti parlando e manca la faccia, considerà la parola un’espressione del viso:–)
E dicci magari cosa pensi si queste parole di Siti.
@ Michele: hai letto tutti i libri di quelli che scrivono qui? sai la differenza tra singolare e plurale?
@sud
Grazie, anche a te!
la partigiana fallaci era troppo poco comunista per un dedicarle un post?
se schiattava il gatto di diliberto scometto che a glielo dedicavate, il post.
puzzoni sotto il naso!
@ temperanza.
cosa penso?
“Non puoi più leggere. Ma puoi frenarel’arroganza, puoi dominare il piacere e il dolore, puoi metterti al di sopra della fama, puoi non aditarti con chi è rozzo e ingrato, ma, anzi puoi prenderti cura di loro.”
“Pensieri”- Marco Aurelio.
Gli autori, i critici e i lettori dovrebbero prendersi cura degli autori, dei critici e dei lettori; o meglio il lettore dovrebbe prendersi cura dell’autore o del critico o entrambi; e il critico prendersi cura del lettore o dell’autore o entrambi; e l’autore prendersi cura del lettore o del critico o d’entrambi. Sapendo che non esiste una sola estetica, una sola letteratura, una sola filosofia, una sola vita.
MA per dire la mia
mi manca il VIA
ossia
la recensione di cortesia
(cordelli-di mauro)
che non ho letto perché in apatia
e in finanza carestia giornalistica
Ah…
serio.
A suo tempo, studiai in modo approfondito il dibattito culturale (’55 circa) svoltosi tra Pasolini, Fortini, Muscetta e Vigorelli ecc (con deviazioni/devianze Luckas) su come intendere il realismo in letteratura dopo l’uscita dei romanzi di PPP.
Insomma, la storia si ripete, si discute per cose che dopodomani ridiscuteremo ancora e che ancora discuteranno i nostri nipoti delle medesime cose nostre e che discuteranno per l’eterno ritono dona a noi la pace…
chiappa(in italy please)
@ Sud
Spero che non sia un’accusa di arroganza a me. Se ti ho fatto questa impressione mi dispiace e non era nelle intenzioni. Io in effetti cerco di prendermi cura.
Ma al di là di questo, il libro lo hai letto?
Io credo che sia un libro questo che dovrebbe essere letto soprattutto dai giovani scrittori, o dai giovani che vorrebbero scrivere.
Nel libro di Siti c’è molta cura. Molta responsabilità, molto lavoro, capacità di sofferenza, capacità di dirla letterariamente. Capacità di pensare il mondo, il nostro, e la letteratura. capacità di sottoporlo a critica. Capacità di “struttura”.
Cosa che manca quasi sempre alle narrazioni sensibili, viscerali, di pancia, o estetizzanti, letterate, ben circondate dagli steccati noti.
Se un “romanzo italiano” fosse possibile (e pur aspettandolo sono sempre stata scettica che questo paese che non ha più pensiero epico potesse produrlo) questo di Siti ne è una grande parte e offre una nuova possibilità.
Implica molta “fatica”.
A questo punto vorrei dire anche che non conosco Siti, non conosco l’editor della narrativa di Einaudi, non ho alcuna ragione per insistere su Siti se non appunto la “cura” verso un libro e soprattutto verso una possibilità di un occhio diverso sul mondo, un occhio pietoso, rigoroso e (cosa non facile) coraggioso, non fisicamente, ma moralmente coraggioso.
Non mi interessa definirlo, post moderno, pre post post moderno o chissà cos’altro. Lo trovo davvero irrilevante, non scrivo manuali scolastici o universitari. Voglio solo che non ve lo perdiate.
dimenticavo di dire che il dibattito anni ’50 coinvolgeva anche Metello e partecipava il maestro Carlo Salinari.
@ temperanza
“Spero che non sia un’accusa di arroganza a me”
non mi permetterei mai. Mio Dio, NO!
Non ho letto Siti, ma lo farò. Non ho espresso una mia opinione a riguardo, sia perché non ho letto il libro, sia perché non ho letto l’articolo incriminato.
Lei è una lettrice che si prende cura del critico e dell’autore, e questo mi rende felice. Ma siamo in pochi, credo.
E poi, io parlavo di “chapeau”
che trovo un po’ dovunque.
e suggerivo a Biondillo, capo chapeau, di registrare il copyright (se mi sente wuming1 sono guai)
A gianni e roberto: scherzo, non incazzatevi.
“Mi chiamo Walter Siti, come tutti”.
Ma su Paginebianche.it ce n’è uno solo!
«Sono l’Occidente perché odio le emergenze e ho fatto della comodità il mio dio. Sono l’Occidente perché detesto i bambini e il futuro non mi interessa. Sono l’Occidente perché godo di un tale benessere che posso occuparmi di sciocchezze, e posso chiamare sciocchezze le forze oscure che non controllo. Sono l’Occidente perché il Terrore sono gli altri».
Come la vita di un autore c’entra poco con la sua opera, così la sua opera c’entra poco con le sue dichiarazioni di poetica. Difatti Siti premette: *Ovviamente non voglio parlare del mio libro*, ma… appunto. Perciò io direi che chi parla qui in primis del libro, va fatalmente OT.
Spleen
Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l’esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l’horizont embrassant tout le cercle
il nous verse un jour noir plus triste que les nuits;
Quand la terre est changée en un cachot humide,
Où l’Esperance, comme une chauve-souris,
S’en va battant les murs de son aile timide
Et se cognant la tête à des plafonds pourris;
Quand la pluie, étalant ses immenses traînées
D’une vaste prison imite les barreaux,
Et qu’un peuple muet d’infâmes araignées
Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,
Des cloches tour à coup sautent avec furie
Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,
Ainsi que des esprits errants et sans patrie
Qui se mettent à geindre opiniâtrement.
–Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,
Défilent lentement dans mon âme; L’Espoir,
Vaincu, pleure et l’Angoisse atroce, despotique,
Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.
Scusate non riesco a commentare questo pezzo. Ho un chiodo fisso. Penso continuamente al fatto che Biondillo possa scrivere prima o poi un libro su Ivan Graziani, come ha annunciato. Mi dispiace, sono completamente bloccato.
scusate il refuso:
Où Tempérance, comme une chauve-souris,
;-)
@ temp
simbolismo e realismo crudo… Siti come Baudelaire, o noia nel leggere i commenti?
@ Gabriella
La seconda che hai detto.
Mah, se posso intervenire, Tiziano Scarpa è una persona ottima e collaborativa (con le sue esigenze, i suoi rigori, ovviamente), non mi sembra così prepotente… Che poi sia narcisista, auto-eletto, boh… Auto-eletto cosa vuol dire? Non capisco cosa vuol dire auto-eletto…
Manzo A. scrive:
“Come la vita di un autore c’entra poco con la sua opera, così la sua opera c’entra poco con le sue dichiarazioni di poetica.”
Siti W. scrive:
“Le mutazioni che i romanzieri si trovano a dover raccontare oggi, hanno mutato dall’interno i romanzieri stessi. L’io che usano è un povero io cavo, svuotato dai parassiti, un io come una provetta per esperimenti – una specie di robot, o di clone, da spedire in avanscoperta dove il terreno è contaminato. Quindi, per forza, noi. Noi che non conosciamo più mediazioni, noi che abbiamo troppa fretta di essere felici, noi che ci stiamo disabituando alla cultura raffinata e siamo tornati verso un analfabetismo emozionale, noi che riduciamo il desiderio ad immagine e confondiamo la felicità col possedere, noi che ci curiamo la depressione con lo shopping, noi che siamo ossessionati dal sesso come da una delle poche residue vie forti di comunicazione, eccetera. Siamo tanti, siamo la maggioranza, distribuiti in tutte le classi sociali. Certo alcuni, per privilegio di cultura o di coscienza, possono chiamarsi fuori, dire “noi non siamo così”; buon per loro; ma restare illesi di fronte ai mutamenti (diciamo pure ai peggioramenti) del mondo non è mai stata una buona ricetta per i romanzieri. Ci sono due modi per far finta di niente: o scrivere belle storie che avrebbero potuto essere scritte, tali e quali, trent’anni fa, o congelarsi in scritture stitiche, cerebrali, in cui il mondo è visto attraverso una lente antisettica. Ma se senti l’emergenza, non hai altra scelta che buttarti avanti, magari anche esibendoti, agitandoti forse troppo in posture autolesionistiche; ma non puoi allontanarti da dove sai che c’è la ferita perché ogni altra soluzione ti sembra indecente. Devi utilizzare, come scrivono Cordelli e Di Mauro con bella locuzione, “la tua miseria come architrave della costruzione romanzesca”.”
Gabriella cita:
«Sono l’Occidente perché odio le emergenze e ho fatto della comodità il mio dio. Sono l’Occidente perché detesto i bambini e il futuro non mi interessa. Sono l’Occidente perché godo di un tale benessere che posso occuparmi di sciocchezze, e posso chiamare sciocchezze le forze oscure che non controllo. Sono l’Occidente perché il Terrore sono gli altri».
Non ho altro da aggiungere. Se non un caro saluto a Gabriella e Temp.
Buona serata.
Un autore può avere una vita ricchissima e un’opera poverissima (salvo poi riscontrare che neanche la vita poi…), avere un’opera ricchissima e dichiarazioni di poetica poverissime (salvo poi…). Per me, il pezzo riportato da stefano z. stecca. A orecchio, ovviamente.
A me non sembra proprio. Che stecchi. Però se provi a spiegamermelo ti ascolto.
Un caro saluto a te, Stefano@
spiegarmelo, pardon.
A, K.
Arguto amico, tra dire, fare, baciare, rispondo alla tua singolare domanda.
Grazie della domanda con inclusa risposta e dire grazie è già aver risposto. I morti non escono con tavole e chiodi, quelle sono strette nei vostri giovani pugni, pronte a stringere mani (le vostre). Le avventure sono coreografie, cortei, dove l’indice e pollice, cioè l’indice indica il vostro pollice e dopo tutti nell’assicurarsi il mutuo soccorso. Il vostro orientamento a gruppi di quattro cinque: tu al nord, gli altri in “ordine” sparso, regolano l’eterno sud coreografico, per l’est è tempo di mercatini, l’ovest è puntato dopo l’aperitivo, prima del telegiornale. Siamo (siete) tutti d’accordo, la miseria ci scruta e divide il grande senso di religione, profusa e odorosa che volteggia come avvoltoio. Luoghi comuni, pagate penitenza appunto: dire fare baciare…. (chissà se hai capito? Che non c’è nulla di personale
A Sud che scrive:
“raccolta firme per l’estromizione del Chapeau dai commenti.
Biondillo, dacci uba mano, please.”
Chapeau, Sud. Ti darò uba mano.
A Ya Basta che scrive:
“Penso continuamente al fatto che Biondillo possa scrivere prima o poi un libro su Ivan Graziani, come ha annunciato. Mi dispiace, sono completamente bloccato.”
Ma ne farò una ragione, Ya.
Peace and love, friends.
@Michele
Personale? Figurati e direi “magari” (e poi ti ho scritto io dopo…)
Ho capito? Non so se ho capito tutto: a questi livelli preferisco comunicare in modo semplice e diretto; se ho voglia di altro scusami, ma per ora, a te preferisco Molloy.
Siti affronta IL problema per eccellenza: la “posizione del romanziere oggi” (riformulerei solo: la posizione dello scrittore nella realtà – per il poeta dovrebbe essere uguale).
1) A determinarne la novità/mutazione rispetto a ieri, lo paragona al concorrente di reality-show. Mi dispiace, succedeva già a Dickens, dove casomai la “speranza di successo” odierno era speranza di mera sopravvivenza, da fame.
2) Il secondo passaggio è: “Le mutazioni che i romanzieri si trovano a dover raccontare oggi, hanno mutato dall’interno i romanzieri stessi”. E’ come il medico che si becca l’aids, si contamina. Che legge è mai questa? Il Circolo Pickwick è contaminato dalla sublime stupidità dei personaggi? e Bouvard e P.? Quella realtà ha reso più stupido Flaubert?
3) il terzo passaggio è al “noi”: majestatis?
4) …
I romanzieri mutano là dove il terreno è contaminato, così dice Siti. Poi non sono né l’avvocato né un parente di Siti, ma sto leggendo il libro… le tue obiezioni sono deboli, mon cher ami. :-)
La logica fa le pulci al discorso. Il romanziere ha altro da fare.
Se qualcuno me lo regala, leggo anch’io il libro di Siti. Poi vi faccio sapere.
Visto che siamo in tema: qualcuno sa, per caso, se Siti ha un sito?
Interessante questo commento di Ugolino Conte. Mi mancava.
I bassifondi di Londra erano contaminati, ma chérie, alza la gonna su! il ventre di Parigi era marcio ecc. Però Dickens è D. e Sue è S.: uno è superiore all’altro perché ha frequentato di più? suvvia!
4) *bisogna essere sordi per non sentire quanto tutti noi siamo mutati; quanto l’atrofia sentimentale ci abbia colpiti*: cos’è questa chiamata a correo? parla per te, verrebbe da dire! Poe (un altro che tirava la cinghia nel reality di NY) nell’ineguagliata “Filosofia della composizione” diceva che il tasto più sicuro da battere per far successo era il masochismo del lettore. Qui Siti ci strizza l’occhio dicendo: ah, la depression! (nel 700 erano vapori e marasmi).
5) Dunque lo scrittore non registra con la sua arte le mutazioni (il padre di Flaubert era chirurgo, e il piccolo aveva imparò), ma viene da esse “mutato nelll’interno”. *L’io che usano è un povero io cavo … da spedire in avanscoperta dove il terreno è contaminato*. Penso che alluda all’io narrativo, ma allora bisogna intendersi. O c’è un io-scrittore immutato che usa/spedisce sul terreno l’io-personaggio mutato; o è mutato l’io-scrittore, e allora viene a coincidere con l’io-personaggio.
6) Ma ora il coup de théatre: questo io cavo è *per forza, noi. Noi che non conosciamo più mediazioni, noi che abbiamo troppa fretta di essere felici ecc. ecc.*, alla E. Fromm di “Essere o avere”. Nel “noi” Siti comprende sé e i lettori: *Siamo tanti, siamo la maggioranza* – non più tutti, quindi: diciamo chi per un motivo o per l’altro ci sta.
7) …
PS “Troppi paradisi” lo leggerò perché l’ha consigliato temp. Intanto mi sono sciroppato “Gli Schwarz” Einaudi, anch’esso sulla mutazione: una goduria veramente!
Temp, più che un commento, il mio era una richiesta d’aiuto. Qui, ormai, o si mangia o si comprano libri.
Visto, poi, che, a detta di alcuni simpatici troll di passaggio, i critici rivendono i libri che ricevono, io sarei anche propenso a comprarglieli a metà prezzo. Più di questo, attualmente, non posso.
p.s.
Cercherò di essere un po’ più presente, lungi da me il pensiero di provocarti dei deficit di alcun genere. ;)
p.s.s.
Senza entrare nel merito di un libro che non ho letto: ammesso anche che il suo sia un “incidente di percorso” (tutto da verificare, comunque), io continuo a stimare Enzo Di Mauro, come persona e come critico.
p.p.s.s.
Buona notte.
p.p.s.s.s.
E anche come poeta.
@db
Ti chiedo una cosa, ma tu prometti di dire la verità. Quando hai letto l’ultimo romanzo contemporaneo? Perchè se passi da Dickens a Siti così, senza passaggi internedi, potresti avere uno sturbo, bisogna assuefarsi a piccole dosi:–)
@Ugolino Conte
Va bene, perdonato:–)
Un saluto a @Stefano
e buona notte a tutti.
Conte, te lo presto io il libro quando ho finito. E cmq qui non si stanno facendo le pulci a Di Mauro, qui il sig ubique fa le pulci alle dichiarazioni di poetica dell’autore.
Alzo la gonna su, ma che c’entra? Cambiano i contesti, la storia si modifica… epperò com’era bello leggere a lume di candela, era così intimo! il mondo era marcio, ma forse la percezione del mondo oggi (nella realtà) è un po’ diversa, o no?
Ma se il protagonista e il suo compagno non fossero omosessuali il romanzo susciterebbe lo stesso tutti questi entusiasmi? Ne dubito.
Poi ci sono dei discorsi sui pedofili davvero pericolosi e inquietanti
Mi sa che resterò qui a presidiare il territorio.
@occhio
ma sei ancora lì? l’omosessualità messa in scena qui non ha nulla di fascinoso, stuzzicante, pruriginoso, non attira, è solo una condizione umana, la sua, di Siti, dalla quale parte. Il mio “entusiasmo” per questo libro sgradevole e all’inizio anche lento e che non ti fa capire dove vuol andare a parare, che non ti alletta fin da subito con qualche piacevole scritturina fritta, con qualche “bella pagina”. nasce dalla capacità di costruire un romanzo complesso e più che coraggioso, visto il paese in cui lo pubblica. Con materiali sgradevoli (e non parlo solo di orifizi, ma di inopinati “maglioni di cashimire” e vacanze intelligenti che sulle prime hanno fatto venire il latte alle mie ginocchia di vecchia snob) e di farlo diventare un racconto italiano, non un clone americano o cacanico o una scritturina piallata per non far male. Tu sei capace? Io non ho pregiudizi. Scrivi e ti leggerò. Tutta quella melma che ci invade quotidianamente qui un senso e un disegno, viene vagliata da un occhio romanzesco, il che a volte può voler dire anche lento, irritante, forse pure noioso, ma un occhio romanzesco, è perciò critico.
Un occhio critico, è qualcosa di raro.
@via le mani
sì, sì, anche sade è pericoloso, e una sfilza di altri gentiluomini, denuncialo, così ti metti la coscienza a posto e ti senti puro e responsabile.
“ha” un senso e un disegno
“e” perciò critico
Ma la ragione che mi fa tornare qui così spesso è anche un’altra, l’irritazione di vedere che (come quasi sempre) non si parla dell’arrosto, ma dei bordi del piatto.
Mangiate l’arrosto, e se siete inappetenti parlate del bordo del piatto in modo da insegnarci almeno qualcosa sulla manifattura.
7) la mutazione è “destino”, quindi “per forza noi”: “non hai altra scelta che buttarti avanti, anche agitandoti in posture autolesionistiche; ma non puoi allontanarti da dove sai che c’è la ferita”. La ferita è la tagliola che stringe fatalmente tutti, compreso lo scrittore (masochismo). Ma
8) lo scrittore opera “una scelta di epistemologia, prima ancora che di poetica”: quindi può scegliere, e la sua libera scelta rientra nella “responsabilità della letteratura di fronte al mondo”. Così si spiega come ciò che per la maggioranza silenziosa è “destino” sia per lo scrittore una “ricetta” (e difatti, mentre il destino è uno, le ricette sono molte).
9) …
@ temp: non è poi che di Dickens sappia molto… più che altro, sceneggiati. Ma non sono totalmente digiuno di (post)modernità: Piccolo mondo moderno, Demetrio Pianelli, Il mulino sul Po, Libera nos a malo li ho letti, e adesso Gli Schwarz, a colmare una lacuna anche geografica.
Si può aggiungere al bordo del piatto che “Alias” dovrebbe chiamarsi “Adelphi’s” perché un poco snob, ma mica tanto…
@qp
Lo sapevo che ti eri fermato qualche decennio fa:–)
Il romanzo contemporaneo ha una sua trista storia, soprattutto qui da noi, e mi pare chiaro che tu non la frequenti.
E’ perchè sono stata per tanto tempo in astinenza che sostengo Siti.
Cmq cher ami, i filosofi disprezzano la letteratura, questo lo so per esperienza personale, non la capiscono proprio, troppo opaca, incoerente, capricciosa. Si fermano alla poesia, e non a tutta. Mostrami la tua bravura su Penna e farò in modo di farti avere un paio di buone bottiglie. Ma Penna voi in qualche modo lo schifate. Volete Celan, Höderlin, al massimo Rilke:–)
Hölderlin, che Dio mi punisca!
d’accordo, quelle (sui pedofili) sono idee del personaggio, non dello scrittore, conosco la solfa, ma resta il fatto che su argomenti del genere bisognerebbe andarci molto ma molto cauti. Altrimenti con questo ragionamento lo scrittore si deresponsabilizza completamente, può dire quello che vuole, e se qualcuno obbietta, risponde: ma quello non sono io, quello è il personaggio che ragiona così… Cara Temperanza, non mi devi convincere che il romanzo di Siti sia bello e importante, ma fammi capire qualcosa su questo problema.
Adelphi non è interessata al romanzo critico, men che meno contemporaneo. Il difetto che le trovo è proprio questo, non rischia, cerca la narrazione piena o almeno rigorosamente non realistica, il grande intrattenimento, e finisce per trovarla nell’esotismo alla Niffoi.
E nei ripescaggi. Morselli non l’avrebbe mai pubblicato, ai tempi giusti. Poi una volta morti li piglia. Morselli Ortese Landolfi, persino la Prato, che credo abbia avuto duecento lettori (io appassionata, per esempio, ma so di essere quasi sola, anche se scrive in un modo incredibile). Ma se un agente gli offrisse la Prato di oggi, dubito che Calasso direbbe di sì. E credo per un difetto dell’occhio e una lontananza dell’anima, non per snobismo.
L’accusa di snobismo è ingenerosa. Al massimo, con tutti quei morti, gli vedo una parentela con la famiglia Addams.
@via le mani
Io? Dovrei farti capire qualcosa sulla pedofilia? E che c’entro? Non è il mio campo.
“Ma a Cordelli e Di Mauro, ci scommetto, i drammi dei concorrenti di reality sembrano volgari…”. Non solo a loro, puoi starne certo, Walter. Ci sono molti nasini all’insù, ma forza, dai, non buttiamoci giù. Meno male, comunque, che dopo il nazybunker di MariadeFox è tornata la cara, vecchia, isola equadoregna. Spenderei una parola anche su Nerds&Pupe, anche se, a prima vista, le pupe non sono poi così pupe (i nerds invece sì).
Cambiando discorso, e visto che non c’entra niente, ho appena finito di leggere il reportage di Gatti sull’oro rosso della Puglia. Medita Nikita, medita, che tra un po’ te ne restano solo cento, di giorni…
Una chicca di Aldo Grasso su Annozero: “Per fortuna è tornato, con i suoi apostoli guidati da don Sandro Ruotolo, con Marco (Manetta, ndr.) Travaglio, Vauro e Rula Jebreal che intervista Fausto Bertinotti: ‘un rivoluzionario che è diventato presidente della camera’. Rivoluzionario?
Forse ci siamo persi qualcosa”.
La Adelphi ha pubblicato la Ortese dandole la tranquillità anche economica per scrivere. Non so cosa vuol dire questo discorso sui morti un po’ demenziale. Come è demenziale il discorso su cosa farebbe Calasso.
Io SONO demenziale, in effetti.
e un’altra cosa, @a.b. tu non sai quanto mi trattengo e quante cose non dico io qui, ti prego, lasciami perdere, polemizza con qualcun altro, è una richiesta da essere umano a essere umano.
Ma chi vuole polemizzare? hai scritto una fesseria sulla Ortese e la Adelphi, ho solo corretto, come hai fatto tante volte tu in tanti commenti. Lo faccio perché è tra le cose migliori che ha fatto Calasso.
A volte non si può non intervenire, come quando Garufi semina le sue frecciate contro bersagli che vede come vuole lui.
Non vedi che anche Candida è intervenuto per dire una parola civile su Scarpa. A voi non viene mai di dire una parola civile invece di fare salotto?
Orsù, apri completamente il tuo cuore, Temperanza…
Ascolta @ab, negli ultimi tempi ti ho seguito, e ho visto la tua capacità di entusiasmo, la tua capacità, in sé bella, di credere a qualsiasi cosa ti dica una persona che ritieni amica, e portarla avanti come se fosse una certezza assoluta, ma anche la tua carica di livore, la tua ottica amico/nemico. Non mi piace, urta il mio senso estetico, tra le altre cose.
Quanto alla Ortese:
La Ortese se non ricordo male è una tua recente scoperta, benvenuto tra i suoi lettori, meglio tardi che mai.
E in effetti ho scritto di getto e l’ho messa tra i morti, mentre quando è entrata in Adelphi era vecchia ma viva. Quel che penso però delle scelte adelphiane nel campo della letteratura italiana resta. Sono scelte legittime, ma io le ritengo un difetto. E lo dico da lettrice molto “vicina”.
Detto questo, dopo aver letto alcuni tuoi attacchi virulenti a varie persone spero che in futuro non ti rivolgerai a me, se lo farai non ho intenzione di risponderti, Grazie a dio gli interlocutori si possono scegliere.
giusto!
Be’ Temperanza, che dire, quando Picasso dipinse il ritratto della Stein, le ingiuse di assomigliargli. Ma almeno era Picasso: nel senso che non ho nessuna intenzione di assomigliare al ritrattino bruttarello e piegato che fai di me. Sulla cosa dell’interlocutore sì-no, non volevo interagire con te ma solo correggere un’informazione sbagliata che data nel modo giusto avrebbe incrinato un po’ il tuo ritratto di Calasso avviando il lettore di passaggio a un’idea più complessa, più vera, della cosa.
In genere a me non piace interagire con te perché i tuoi sono sempre discorsi normativi travestiti da aperture. E poi manca qualsiasi sensibilità nelle parole. Ovvio, essendo parole di chiusura e di ordine.
Marco Candida il 17 settembre 2006, poco sopra:
“Mah, se posso intervenire, Tiziano Scarpa è una persona ottima e collaborativa (con le sue esigenze, i suoi rigori, ovviamente), non mi sembra così prepotente… ”
Marco Candida il 18 settembre 2003:
(https://www.nazioneindiana.com/2003/06/16/bloggers-siete-peggio-di-liala/)
“Scarpa, sei un povero fascistello con una pseudo puzza sotto il naso, che non so da cosa ti derivi. Non sei tu che hai scritto della tizia che si spalma di sperma la faccia per farsi passare l’acne? (O di quello che caga al gabinetto e intanto legge le istruzioni dei cosmetici?) Pensi che tu scriva letteratura che resisterà?”
Insomma Candida, si decida, Scarpa è un “povero fascistello” o una persona “ottima e collaborativa”?. O forse, più probabilmente, l’uno o l’altro a seconda dell’attenzione che le dedica partecipando o meno ai corsi che lei organizza?
Ci faccia sapere, siamo curiosi noi.
@occhio alle palle
in effetti il romanzo che io amo di più è Il bosco della notte di Djuna Barnes… un tripudio di omossessualità ( stavolta al femminile)… così oltre a psicanalizzare gli scrittori, ora possiamo pure psicanalizzare i lettori. Yeah!
Ancora una precisazione, Temperanza scrive dell’Ortese:
“E in effetti ho scritto di getto e l’ho messa tra i morti, mentre quando è entrata in Adelphi era vecchia ma viva.”
Il fatto è che si può avere un bel po’ di anni ed essere vivissimi e creare, così come se ne possono avere di meno e essere zombie sterili.
pro_domo_sua è talmente poco intelligente che non ha capito una cosa: tutti hanno pregiudizi, ma non tutti se li tengono per la vita.
Andrew, io ti voglio bene ma parlare di pregiudizi in questo caso è oltremodo demenziale. E uffa, è mai possibile mandare in vacca sempre tutto? Cosa avrà mai detto temperanza di così terribile? Ortese a parte, temp sull ‘Adelphi ha ragione. E poi hai mai letto Calasso? io sì. Lasciamo perdere.
9) *alcuni, per privilegio di cultura o di coscienza, possono chiamarsi fuori, dire “noi non siamo così”*. il privilegio di cultura lo posso capire: ma il privilegio di coscienza? la coscienza è un privilegio?! Anche perchè
10) *Ci sono due modi per far finta di niente*, e quindi casomai sarebbe un privilegio d’incoscienza. E le 2 “ricette” sono:
11) *o scrivere belle storie … o congelarsi in scritture stitiche, cerebrali, in cui il mondo è visto attraverso una lente antisettica.* la prima chiamiamola estetismo, la seconda scientismo.
12) …
@temp: ma cosa dici, se il mio poeta preferito è il calzolaio Roberto Amato, un Penna matto di Viareggio (Le cucine celesti, Diabasis 2004, è il mio vangelo, ma temo che sarà l’unico, perché il santo che l’ha premiato col Viareggio dopo poco è spirato)?! Mi costa ammetterlo, ma la tua carica di livore, la tua ottica amica/nemica non mi piace, urta il mio sesso estetico, tra le altre cosce.
scusa il refuso: *il tuo ottico amica/nemica*
Cara Gabriella, mi stavo rivolgendo a Pro-domo-sua per fargli capire che tutti abbiamo pregiudizi (me e te compresi) ma non tutti ce li portiamo addosso per sempre (almeno non gli stessi). Perché mi sono rivolto a lui dicendo queste cose? perché rimproverava a Candida un cambiamento di rotta, insinuando che fosse dovuto a vantaggi “materiali”.
Credo che il tuo post venisse da questo equivoco, che io mi rivolgessi a Temperanza.
Così si dissolve mi pare anche il problema del “mandare in vacca”.
@ q/p d/b
:–)
Sbam! Un cazzotto sullo stomaco proprio adesso che ho appena mangiato. Paragonare Penna ad Amato! (l’ho letto, che ti credi)
Vedi, mi dai ragione, filosofi, tornate a Hölderlin!
Oh octopus! nell’immagine finale del primo commento c’è qualcosa che mi ricorda Vernes.
Il discorso che Siti abozza – non si può dire approfondisca – è di mio grande interesse, soprattutto in considerazione delle domande finali, dove si chiede cosa voglia dire fare letteratura di sinistra:
“Ma una volta la sinistra non doveva occuparsi della maggioranza delle persone ? Non doveva prima di tutto capirle e poi addirittura amarle, e condividere il loro destino ?”
Il che mi fa venire molte domande. Ho 36 anni e non conosco bene la storia della sinistra, quindi mi chiedo: da dove viene l’affermazione secondo cui la sinistra DEVE occuparsi della MAGGIORANZA delle persone? Sono sinceramente ignorante, è forse una frase famosa di un filosofo o di un intellettuale?
Non è una domanda fine a se stessa perché Siti in questa maggioranza mette dentro un po’ tutti: lui, Ellis, tutti coloro che fanno shopping perchè depressi e insomma tutti noi – a parte qualche eccezione, persone rimaste “illese”: chi? qualche suora di clausura? -consumatori frustrati dell’Occidente capitalista, senza troppe distinzioni di appartenenza sociale.
Questa posizione mi pare andrebbe approfondita perchè gravida di conseguenze. Io, sarà perché per la mia (de)formazione scientifica mal sopporto il fare di tutta l’erba un fascio, rimango molto perplesso di fronte a questa visione omologante della società e a questo impegno di rappresentarla che viene offerto come dovere alla sinsitra.
Personalmente sono rimasto all’idea che la sinistra si deve occupare prima di tutto dei più deboli e se anche – come pare sostenga Siti – fossimo tutti deboli, credo che non si possa dire che lo siamo tutti nello stesso modo.
Ma mi piacerebbe leggere altre interpretazioni, se non approfondimenti.
Lorenz
Il discorso che Siti abozza – non si può dire approfondisca – è di mio grande interesse, soprattutto in considerazione delle domande finali, dove si chiede cosa voglia dire fare letteratura di sinistra:
“Ma una volta la sinistra non doveva occuparsi della maggioranza delle persone ? Non doveva prima di tutto capirle e poi addirittura amarle, e condividere il loro destino ?”
Il che mi fa venire molte domande. Ho 36 anni e non conosco bene la storia della sinistra, quindi mi chiedo: da dove viene l’affermazione secondo cui la sinistra DEVE occuparsi della MAGGIORANZA delle persone? Sono sinceramente ignorante, è forse una frase famosa di un filosofo o di un intellettuale?
Non è una domanda fine a se stessa perché Siti in questa maggioranza mette dentro un po’ tutti: lui, Ellis, tutti coloro che fanno shopping perchè depressi e insomma tutti noi – a parte qualche eccezione, persone rimaste “illese”: chi? qualche suora di clausura? -consumatori frustrati dell’Occidente capitalista, senza troppe distinzioni di appartenenza sociale.
Questa posizione mi pare andrebbe approfondita perchè gravida di conseguenze. Io, sarà perché per la mia (de)formazione scientifica mal sopporto il fare di tutta l’erba un fascio, rimango molto perplesso di fronte a questa visione omologante della società e a questo impegno di rappresentarla che viene offerto come dovere alla sinsitra.
Personalmente sono rimasto all’idea che la sinistra si deve occupare prima di tutto dei più deboli e se anche – come pare sostenga Siti – fossimo tutti deboli, credo che non si possa dire che lo siamo tutti nello stesso modo.
Ma mi piacerebbe leggere altre interpretazioni, se non approfondimenti.
Lorenz
@ galbiati
Quella frase di Siti che riporti nasce come risposta a un passo della recensione di Cordelli/Di Mauro su Alias, a mio avviso molto appiattita (e non in modo innocente, se sono buoni lettori come io credo) sulla “lettera” diciamo così, del libro.
Il passo è questo:
“Ma, in ultima analisi, la felicità qui coincide perfettamente con l’idea e l’ideologia del successo. E – si sa – anche nella letteratura, e segnatamente nel romanzo, la strada del successo è spesso lastricata di pessimi propositi, nella fattispaecie il narcisismo e l’esibizionismo, l’autolezione e in definitiva la prepotenza (camuffata, in questo caso, da mediocrità), cioè tutte quelle virtù psicologiche che tradotte nei termini della vecchia politica sarebbero considerate di destra, e che vengono assunte proprio come punto di vista etico-politico (da Michel Houllebecq ad Antonio Moresco, da Bret Easton Ellis a Tiziano Scarpa fino ad Alessandro baricco)…”
Insomma, a parte l’insalata mista di scrittori diversissimi, un discorso che riporta tutto a una visione del libro immobile, peggio, a fotocopia autore/personaggio, vecchie categorie, e anche ingenue. Per questo non gli credo.
@Ugolino Conte stima Di Mauro, e io stimo lui, ma qui o Di Mauro ha cannato o è una presa di posizione da schieramento delle truppe. Delle truppe io diffido, ma non le temo, passano gli anni e le truppe si dispongono sul tavolo come nelle battaglie di soldatini. I libri restano e fanno la loro strada.
A meno di non cercare in un romanzo chiavi di interpretazione politica o di programma politico, un romanzo può essere critico solo in quanto romanzo. Se è buono. Altrimenti è propaganda.
Questa almeno è la mia poco autorevole opinione.
Errata corrige:
fattispecie
autoelezione
@ temp
“Senza entrare nel merito di un libro che non ho letto: ammesso anche che il suo sia un “incidente di percorso” (tutto da verificare, comunque), io continuo a stimare Enzo Di Mauro, come persona e come critico”.
Il mio pensiero era più o meno questo: se una persona che stimo (mettiamo temp) mi consiglia di leggere un libro (mettiamo quello di Siti) e io, a lettura ultimata, mi faccio l’idea di aver buttato via i miei soldi, ciò non comporta che la mia stima, nei confronti di chi me l’ha consigliato, venga, o possa venire, meno.
Rigiriamo la frittata: se un intellettuale che stimo, un critico rigoroso e preparato, restìo a qualsiasi accomodamento d’occasione, bravo perché comunque coi suoi interventi ti fa discutere, pensare, incazzare di brutto quando è il caso (mettiamo Di Mauro, ad esempio, che, a scanso di equivoci, non conosco personalmente) scrive una recensione su un libro (mettiamo quello di Siti) che io, avendolo letto, trovo di valore superiore o, nella peggiore delle ipotesi, completamente diverso e migliore rispetto a quello che emerge dalle sue note critiche, ciò non comporta (necessariamente) che la mia stima, nei confronti di chi l’ha ridimensionato, venga, o possa venire, meno.
Da un critico, in generale, soprattutto se degno del nome, mi aspetto rilievi, aperture, scavo, intelligenza, dubbi, pensiero che si offre alla riflessione altrui, provocazioni intelligenti, stimoli: non unanimismo di facciata. Dico questo perché, se si rileggono alcuni commenti, sembra che Di Mauro e Cordelli siano due pirla di passaggio che, non avendo niente da fare, si sono messi a smontare un libro, magari senza averlo nemmeno letto. E questo non è. Anzi.
p.s.
Approfitto per rinnovare l’appello: compro, da critici o criticonzoli, copie a metà prezzo dei libri che ricevono in lettura. Posso pagare anche in natura.
Frutta e verdure di stagione. Ogni altra natura, invece, in caso di critiche o criticonzole.
@ugolino
Ma non sono mica in disaccordo con te. Non conosco Di Mauro, e mi fido di te, ma potrebbe aver ciò nonostante cannato, e potrebbe aver anche schierato le truppe.
E potrei aver cannato anch’io (ma non credo, ero così irritata, leggendolo, che il mio giudizio positivo è positivo NONOSTANTE la mia irritazione e l’iniziale fastidio)
Parlo di truppe letterarie, ovviamente.
Forse avrei dovuto usare una metafora meno guerresca, ma ogni tanto mi faccio prendere dal colore.
Ci sono molti schieramenti nelle cose letterarie, determinati da appartenenze di generazione, di sensibilità, di scuderia (a questo però credo poco, non sono complottista) idee sul romanzo, visioni del momdo ecc ecc.
Io vivo molto isolata, questo è male, ma è anche bene, a volte, credo.
PS
io mi libero solo di quello che non mi piace, preso per sbaglio, dunque non posso essere utile:–)
Non ho letto il libro di Siti, non ancora.
Non ho neppure letto tutti i settanta e passa commenti qui sopra.
La risposta di Siti a Cordelli e Di Mauro, mi interessa molto, perché efficacemente riassume le molte parole che spesso ad alcuni di noi servono per esprimere l’agghiacciante percezione dei mutamenti antropologici in atto.
Tuttavia la risposta alla domanda di chiusura dell’articolo, “Ma una volta la sinistra non doveva occuparsi della maggioranza delle persone ? Non doveva prima di tutto capirle e poi addirittura amarle, e condividere il loro destino ?” non può che essere un deciso NO.
No, non era questo, una volta, il compito della sinistra.
Non c’era nella sinistra la volontà di condivisione del destino dei più, ma casomai il contrario.
C’era una volta, cioè, la volontà di mutamento del destino dei più attraverso la mobilitazione di minoranze di classe, capaci però di “fare storia” mediante il processo di emancipazione.
E nemmeno l’amore e/o la comprensione era una volta nel programma della sinistra essendo piuttosto roba per i credenti che agiscono nell’intento della carità e della fede per salvare innanzi tutto l’anima propria.
Solo forse la com-mozione, nel senso di muovere con sé, del condurre con sé (i deboli e i sopraffatti e gli sfruttati), era una volta nelle intenzioni della sinistra.
Naturalmente concordo sul trovare non-sensata la valutazione dell’appartenenza di un testo alla destra o alla sinistra.
Ma non tanto perché la letteratura è soprattutto responsabile “di fronte al mondo” (che anzi una tale responsabilità – la cui natura sarebbe comunque da chiarire – giustificherebbe un giudizio politico…), quanto perché non siamo in grado, oggi, non solo di tracciare un segno di demarcazione tra destra e sinistra, ma anche di descrivere a chicchessia cosa eventualmente caratterizzi ciascuno dei due “territori”.
Dunque la scrittura di libri (non mi azzardo ad usare il più liceale “letteratura”) lungi da potersi valutare da un preciso sentire politico (che forse una volta esisteva) contribuirà casomai, nei casi migliori, a costruirlo, cioè a costruire nuove possibili, oggi non-pensabili, appartenenze.
12) Né estetismo né scientismo sono “buone ricette” perché in entrambi si resta “sordi” e “illesi” rispetto a una realtà ritenuta “volgare”.
13) la “buona ricetta” è il contrario: lasciarsi “contaminare”, “ledere” e “autoledere”, “esibire”.
14) Così lo scrittore viene a coincidere con la maggioranza grigia, ne assorbe l'”atrofia sentimentale/analfabetismo emozionale” la “miseria”. Ma come farà poi a distinguersi da questo “noi” amorfo? Ché, se bastasse coincidere, avremmo una maggioranza grigia di scrittori. Perché solo lui scrive? Perché evidentemente non ha perso la bussola nel maremagnum, ha sempre avuto un margine di distacco, e quando diceva “noi”, era una bugia (come il giornalista di repubblica che si finge extracomunitario).
15) …
@temp. 6 carica di livieri (e di arno e palasciano), il tuo ottico non mi piace, urta il mio sesso tra altre cosce: non è che di cognome fai Sgarboli?
@db
acqua acqua!
“illese: chi? qualche suora di clausura?”.
Ditelo alle Corti Para Talebane.
Ma di quante pagine è ‘sto libro? Perché lo stile del post mi sembra un po’ troppo dindondante: ad es. “analfabetismo emozionale”, non poteva essere più coinciso, tipo banalfabetismo?
Paragonare Siti a Easton Ellis?o a Houellebecq?
Ma per piacere?!…
Mi riesce difficile paragona re, o avvicinare Siti a Easton Ellis.
15) la differenza quindi tra Siti e gli illesi è solo quantitativa, una specie di salto in corto a chi è più vicino alla realtà. Ma introducendo la quantità, e cioè la misura, si va nei casini. Chi è più vicino infatti? Visto che le mutazioni sono presunte antropologiche, è più vicino il giovane antropologo che si fa il culo sul campo o il gran vecchio che coordina da casa le ricerche? e con che metro si misura? a ore? Fosse così un professore universitario di lettere avrebbe già perso in partenza, rispetto ad es. a anfiossochescive (digita google) E Proust, rinchiuso in un confessionale-reality a ricostruire una realtà bell’e sepolta? E il Conte, che da un buco ha scritto una diagnosi Sui costumi degli italiani (digita google) che vale ancora adesso? Vale la distanza o valgono le antenne?
16) c’è una via yoga alla realtà, una via tantra, una via strada ecc., che coesistono e si misureranno solo sui risultati. Invece: “ogni altra soluzione ti sembra indecente”.
17) …
Ma 30 anni fa come e cosa si scriveva? Io qui del 1976 ho un romanzo di Pietro Chiara che non è fatto solo di belle parole, e lo si capisce già dalla trama. Oscar Maffei, tornato in Italia dopo essere riparato in Svizzera per truffa, girovagando sul Lago Maggiore si imbatte casualmente nell’Orimbelli, ambiguo personaggio anche lui appena tornato dopo dieci anni di assenza. Invitato dall’Orimbelli nella sua abitazione detta “Villa Cleofe”, il Maffei conosce l’attempata moglie e il bel cognato vedovo. Oltretutto trascorre la notte nella stanza del vescovo dove viveva durante le vacanze un prozio della moglie stessa, morto in circostanze misteriose anni prima.Tra i due uomini nasce un rapporto che prima li porterà entrambi ad alcune avventure piccanti, poi quando l’Orimbelli intuirà un certo interesse del Maffei per il cognato, confessa al più giovane amico che esiste già una relazione segreta tra il cognato e lui. Finché un giorno la moglie dell’Orimbelli muore annegata… Finale drammatico con la scoperta della colpevolezza dell’Orimbelli, il suo conseguente suicidio alla Condé nella stanza del vescovo e per ultimo il rifiuto del Maffei, sempre spettatore di tutta la vicenda, ad andare a vivere col cognato nonostante l’attrazione reciproca.
mai ricevuto un libro in lettura.
credo sia una cosa orribile.
riceverne, dico.
libri che si propongono, non richiesti, come puttane da trivio.
ma gratis.
invece di farsi desiderare e corteggiare e alla fine comprare, magari rifilandoti più o meno regolarmente una sòla.
come si cancellano i commenti?
Si cancellano sotto lauto pagamento. Ché le cose gratuite (tipo i libri a casa) sono orribili… ;-)
‘Poiché sei tu [Siti] a scivolare continuamente dall’opera alle pulsioni di Pasolini, dai testi alle frustrazioni del loro autore, ti meriteresti, per contrappasso’. Così Carla Benedetti, il 30 aprile 2003. Lo si trova nell’archivio di NI. Cordelli e Di Mauro sono degli esecutori testamertari.
merda, ho moncato la citazione.
manca un: ‘che si leggesse così anche la tua opera’
m
pro_domo_sua il commento è di tre anni fa…
Vi avviso che è uscito ora in traduzione francese “Trop de paradis”. Ho notato però che la prima frase (mi chiamo Siti), non c’è, e il romanzo attacca con
La sottise, l’erreur, le péché, la lésine, occupent nos esprits et travaillent nos corps, et nous alimentons nos aimables remords,comme les mendiants nourrissent leur vermine. Nos péchés sont têtus, nos repentirs sont lâches; nous nous faisons payer grassement nos aveux, et nous rentrons gaiement dans le chemin bourbeux, croyant par de vils pleurs laver toutes nos taches. C’est le diable qui tient les fils qui nous remuent Aux objets répugnants nous trouvons des appas; chaque jour vers l’enfer nous descendons d’un pas, sans horreur, à travers des ténèbres qui puent.
Il romanzo di Siti è un romanzo importante (il che non significa che non vi abbia trovato inutili lungaggini e ammiccamenti irritanti). La discussione sull’autobiografismo rischia di essere fuorviante, perchè il vero oggetto del romanzo è l’identificazione dell’io con le rappresentazioni mediatiche del desiderio e questo, se permettete, è l’unica vera malattia che ci sta uccidendo. L’io del protagonista, si chiami o non si chiami Siti, è fittizio per definizione e per dichiarazione: “Mi chiamo Siti, come chiunque altro”.
E’ un romanzo sulla finzione che assorbe la realtà.
Il delitto perfetto, direbbe Baudrillard.
@D.Lemma: perché passare da 13 a 14 lettere, se il banalfabetismo si può chiamare più semplicemente oralfabetismo?
@Temperanza: da che pagina esatta il romanzo cessa di essere noioso? (giusto per risparmiare tempo, ché per il resto l’ho già comperato)
17) ogni scrittore ritiene giusta la propria soluzione/ricetta, sennò la cambierebbe: ma perché ritenere errate quelle di altri scrittori, e per di più “indecenti”? Indecenza è mancanza di decenza, e decenza = “rispetto dovuto alle esigenze della collettività”, Devoto/Oli. La collettività esige che si obbedisca alle sue norme, alla sua etica: chi se ne allontana, viene considerato eticamente indecente, poiché manca del rispetto che dovrebbe portare alle norme. Nel post, la collettività è la maggioranza grigia-anaffettiva – ergo indecente è chi se ne allontana, chi la critica e non la rispetta. E chi formula tecnicamente la condanna? Il leader della maggioranza, in questo caso Siti.
18) mutando in toto l’affermazione dei 2 critici, Siti infatti pone la sua “miseria” a “architrave della costruzione romanzesca”. NB: la miseria (che è sua per modo di dire, in quanto l’ha già dichiarata fusa con quella della maggioranza), non è semplicemente il materiale di costruzione, ma l’architrave, l’asse portante quel materiale stesso. Che architettura ne verrà fuori? Una fiction o una fusion?
19) Nella professione di voto finale, Siti rienumera i passaggi della sua poetica/ricetta: “occuparsi della maggioranza delle persone, prima di tutto capirle e poi addirittura amarle”. Occuparsi = “nutrire un interesse attivo per una data materia”, Devoto/Oli. Questo occuparsi si articola in due momenti: capire e amare, ossia occuparsene con la mente e col cuore. Ma:
20) cosa c’entra questo col “condividere il loro destino”?
21) …
non male nemmeno la gatta morta riciclata al circo.
Il canottiere poi, matriii…
@sciur biraghi (l’è lei quelo del biraghino? complimenti, l’è propri pratico sullo spago al pom)
scusi neh, sciur biraghi ma esistono lungaggini utili?
la ringrassio.
Contesto al Consorzio Indiano l’utilizzo di post qualitativamente in deroga alle norme sanitarie UE, con un contenuto di spore da 6 a 9 volte superiore al mio biraghino, e l’uso di conservanti. Questi post consumano parte del q.d’i. disponibile, che viene così a mancare a chi produce commenti elementari. Il buon commentatore, così, deve pagare una multa per sforamento della quota di 689 bit (per post che deve pagare 580 lire al litro…), a favore di chi produce fuori dei parametri igienico-sanitari e qualitativi del latte alimentare.
dotur, ma alura il vero biraghi, è lei! che piacere immenso conoscerla! ha ragione, eccome! le spore, santapaletta!
mi mudestament sono industriale della panificasione, vero, faccio sfilatini, michette, pane francese, pure quello siciliano, dotur!
se mi consenta, siamo abastansa coleghi: io il pane, lei il companatico!
complimenti ancora e grassie, scusino tutti, di esistere!
Il mio nome, ora, è molto comune e abbastanza plebeo, Biraghi. Dico “ora”, poiché solo da poco tempo mi chiamo così, avendo adottato legalmente questo cognome l’anno scorso, per potere ricevere una cospicua eredità lasciatami da un lontano parente, Dino Biraghi. Il legato portava la condizione che io prendessi il nome del testatore – quello di famiglia, non quello personale. Il mio nome di battesimo è Dario Napoleone Bonaparte, o meglio, sono questi il mio primo, secondo e terzo nome. Presi il nome di Biraghi con qualche riluttanza, poiché del mio vero patronimico ero piuttosto orgoglioso, di un orgoglio perdonabilissimo – credevo infatti di poter riportare la mia discendenza fino all’immortale autore dell’”Armònia”. E, a proposito di nomi, dato che siamo su quest’argomento, ricorderò una singolare coincidenza di suoni nei cognomi di alcuni dei miei antecedenti immediati. Mio padre era un Calasso dell’Adelfi. Sua moglie – mia madre, ch’egli sposò quindicenne – era una signorina Cacasso, la figlia maggiore del banchiere di questo nome; la moglie di questi, sposatasi a soli sedici anni, era la primogenita di un tal Vittorio Checcasso. Il signor Checcasso, per strana combinazione, aveva sposato una signorina dal nome simile al suo, signorina Chiccasso!
L’ho finito, anche a me è parso un grande romanzo. Riesce a tenere insieme, raccontando, molte contraddizioni: lingua basso-parlata con incastonamenti alti, pieni di inventiva, sicura, particolare, “italiana”; realtà (realismo) e irrealtà, corpo e immagine, indifferenza e amore ecc. Non so, detto così forse non si capisce: sembra un po’ generico, se non vagamente trombonesco. Per me è la prima volta che uno scrittore italiano riesce a raccontare il mondo di tutto ciò che consumiamo e ci consuma (merci, immagini, emozioni, corpi, storie ecc.) così dal di dentro, non dentro la Rai, ma mettendocisi dentro ed è forse per questo che sfora completamente dall’altra parte- ho in mente i Doors quando cantano”Break on through to the other side”-, che non assomiglia proprio per niente a un reality o a una fiction (vi ricordo l’interessante recensione di “Fiona” di Covacich scritta da Tiziano Scarpa che dovrebbe stare qui negli archivi). Nella lotta per molti aspetti impari col reality e con le fiction vince la letteratura: perché è più ricca, complessa, perché può osare di più, perché può mandare in cortocircuito emozione e pensiero, perché in tal modo può essere o apparire più reale.
A differenza di Zelda capisco bene che Siti accenni a delle affinità implicite con “Lunar Park” di Ellis, altro romanzo importante sul nostro diventare fantasmatici a noi stessi.
E davvero mi colpisce questa sorta di “niet” da parte di Cordelli/de Mauro. Perché finché si tratta di de Rienzo sul Corriere, pazienza. Il libro non è di quelli che si prendono col té delle cinque.
Ma qui, boh.
Tash ricorda giustamente che la sinistra (di matrice comunista e marxiana aggiungo io, per fare la pedante) non è che avesse scritto sulla bandiera: “amiamo il popolo” o “il proletariato” (il sottoproletariato, men che mai…) Non quello così com’era, ma come sarebbe diventato dopo la rivoluzione. Una delle storie del signor Keuner di Brecht diceva più o meno così (perdonatemi, mi tocca andare a memoria). “Cosa fa il signor Keuner quando ama una persona?” “Ne fa un disegno e ce la mette tutta affinché gli assomigli”. “Chi, il disegno?” “No, la persona.”
Domanda: ora che facciamo noi, se non crediamo più nella possibilità che le persone possano prima o poi essere realizzate secondo disegno, nemmeno secondo il migliore? Che facciamo se ancora ci sentiamo “di sinistra”?
Ci rimane una crosta, una specie di imprinting che rischia di scletorizzarsi in qualcosa di snobistico e fondamentalmente conservatore o ci rimettiamo in gioco e navighiamo a vista, magari finendo in acque territoriali che sono state più esplorate da chi è partito da destra, o da matrici religiose, o da “torri d’avorio”, o da eclettici di varia provennienza?
E, a parte questo, che magari è una pista cieca, non è che un narratore, un romanziere ( di destra, sinistra, alto, basso ecc.) trova il suo specifico proprio nella capacità di tenere insieme, raccontando, quelle contraddizioni che un saggio dovrebbe perlomeno dipanare con l’analisi se non risolvere in un giudizio.
Scusate la molta carne al fuoco, messa lì un po’ alla garibaldina.
ps. sottoscrivo in pieno la gran parte di ciò che ha scritto temperanza
ce vojono i cojoni, per prenderlo ‘n ter culo! arridatece er venditore de collant!
21) sì, la ricetta giusta per scrivere (e non solo) è “prima di tutto capire la maggioranza grigia e poi addirittura amarla”: anzi, meglio ancora sarebbe farlo contemporaneamente. Dilthey 100 fa la chiamava Einfühlung/immedesimazione, la Stein 50 anni fa empatia. Vale per gli storici, gli antropologi, gli scrittori:don Manzo scriveva a un amico che era addirittura infognato nel Seicento, pieno di sin-patia coi suoi personaggi (ah, il color Alessandroni!); messer Niccolò sfiorava addirittura il ridicolo travestendosi la sera da antico romano (ma s’era ingaglioffato tota die giù al pub) – capirai se poi ci son persone vive, gente gente! Se gioiscono, parteciperai delle loro gioie, se ingrigiscono soffrirai: in una parola, con-passione.
22) certo “amarla” è un po’ durotta, se vale il quadro che se n’è fatto righe prima: ma de gustibus… Certo però che l’amore è proprio cieco, e difatti alla fine, in una fusione ultrawagneriana si arriva a
23) “condividerne il destino”: una comunione dei mali insomma – matrimonio s’ha da fà, e NB di strettissima osservanza cattolica: quei mali infatti non sono passeggeri, manco nel lunghissimo periodo, poiché sono un destino = “l’insieme imponderabile delle cause che si pensa abbiano determinato eventi decisivi e immutabili”, Devoto/Oli.
24) …
Leggendo il post, mi è tornato in mente “Quanti padri di famiglia” di Flavio Mazzini, che avevo letto l’anno scorso con soddisfazione. Difatti lui fa proprio la cavia, e però è davvero coinvolto coi problemi delle persone. Copioincollo da google, ma sarebbe interessante mettere a confronto i due libri
“La mia fortuna è stata questa: se avessi scritto un libro sulle formiche rosse, non sarei riuscito a mantenermi nel periodo di studio.”
Vita e peripezie di un prostituto intelligente recita il sottotitolo di questo memoriale romanzato, spiazzante, ricco di humour e letterariamente elaborato: tanto da desumere che l’autore che si cela sotto pseudonimo faccia il verso alla voga degli instant-book e dei “diari” dedicati ai mignotti.
Un’affabulazione che a tratti richiama i dialoghi sadiani de La filosofia nel boudoir e l’eloquio maniacalmente “gossipparo” delle narratrici di Salò o Le 120 giornate di Sodoma, ma anche gli intricati plot di certa pornocinematografia gay. Picaresco e crudele al tempo stesso, disincantato e a tratti arrendevole, il nostro sex-worker impara presto ad assecondare i complicati fantasmi dei suoi insospettabili clienti, a riscaldare la loro solitudine, a smorzare i loro deliri d’onnipotenza: tanto che il libro, disseminato com’è di consigli e annotazioni estremamente divertenti, assume a tratti il profilo di un “Galateo del perfetto battone”.
La scrittura è una forma di libertà personale. Ci libera dall’identità di massa che vediamo formarsi intorno a noi.
carissimi, anch’io non ho voluto perdere l’appuntamento con la lettura del gagliardo romanzo di walter siti. da psichiatra, posso affermare – con il beneficio d’inventario che complessivamente credo mi sia concesso dall’essere un umano che puo’ sbagliare- che il romanzo di siti va a colpire i punti nevralgici della malattia superiore che conchiude tutte le altre: lo sfaldamento graduale e inesorabile dell’identità dell’uomo contemporaneo. ho trovato agganci robusti col musil de l’uomo senza qualità, per esempio. fatto sta che il romanzo di siti, a mio modestissimo avviso, si muove su tacchi alti in quel territorio melmoso che la no man’s land di territori londinesi che sono la londra della civiltà occidentale. la londra dei teatri di posa di pinewood e la tv che cortocircuitano una sorta di corto di mario soldati restaurato nel 2003. siti riesce a pescare nel torbido (e a ciurlare nel manico) molto più di easton ellis (non ho apprezzato lunar park, perchè lì l’identificazione viene annientata, addirittura, dalla fiction stevenkingiana, e dunque il romanzo viene ammazzato dallo stesso romanzo, insomma trattasi di suicidio). con siti ciò non succede. il suo nome e cognome diventano elenco telefonico di roma, di milano, di new delhi, del mondo intero. è come se troppi paradisi fosse una guida telefonica del mondo che porta il nome di walter siti, di nessun altro. strabiliante. l’idendità personale diventa identità mondo, il personaggio walter siti diventa l’uomo walter siti attraverso le sue pagine. è come se l’esistenza di siti si sostanziasse soltanto attraverso la scrittura, la pubblicazione e la lettura del suo romanzo.
da un punto di vista psicologico – e qui parlo davvero di ciò che conosco – credo di aver capito che siti è un uomo che ha risolto parecchie contraddizioni attraverso la scrittura. non usando questa come terapia, ma come drammaturgia del sè.
ringrazio walter siti, se leggerà questo modesto intervento, per aver scritto un’opera importante, che a tutti consiglio caldamente.
@dottor galbiati.
mi permetto, a proposito del suo continuo parlare di SINISTRA – peraltro intelligente – di consigliarle, attraverso il suo medico di base, di assumere 10 gocce al dia di haldol, un neurolettico sul mercato da più di 20 anni e che credo le sarebbe di grande aiuto. eventualmente lo può associare con 30 gocce al dia di alprazolam forte, una semplice benzodiazepina.
nel caso non dovesse sortire l’effetto di calmare il suo bertinottismo onnicomprensivo, proverò – sempre che lei lo voglia- ad indirizzarla presso un mio collega di milano, dato che io ho lo studio, come lei forse saprà, a perugia.
la saluto con la più viva cordialità.
suo,
dott. gerardo carotenuto – specialista di psichiatria.
ma parliamo dello stesso SITI? è l’elenco telefonico di Roma o il quotidiano milanese che distribuiscono gratis in metrò?
Siccome sono stato chiamato in causa per il mio libro della Castelvecchi, confesso che il mio pseudonimo è stato anche una forma di omaggio. Mazzini è uno dei padri della patria ma è anche il cognome di Mina. Quanto a Flavio, volevo ringraziare Flavio Merkel, storica Pumitrozzola e attivista gay, la cui immensa intelligenza e generosità ho avuto la fortuna di conoscere: è il più grande signore – e signora! – che abbia incontrato.
Quanto a Siti, che conosco bene, ha avuto i suoi buoni motivi per scegliersi questo pseudonimo: solo che mi sembrerebbe scorretto che li rivelassi io.
Flavio è stato quello con cui più ho legato ai tempi dellePumitrozzole, quello che era prima il KTTMCC, il primo gruppo teatrale della scena gay italiana. Lo conobbi a Parma, nel 1976, in un pub dove c’era questo gruppo di travestite, genere “non faccio la bella figa ma tiro fuori il mostro che c’è in me…” e restai folgorato. Qualche sera dopo già facevo parte del gruppo dove, con un accenno di timidezza, debuttai. Flavio è il mio passaggio dall’incertezza alla decisione: un insegnante perfetto, metodico, per niente improvvisato, in grado di traghettarti dalle nebulose del gusto fino alla scoperta di un tuo stile di vita, con posizioni che un’esistenza appena borderline comunque implica. Quando nacque “Babilonia”. Teobaldelli e Cossolo c’invitarono al party per l’apertura del giornale, al teatro Quartiere di Milano. Flavio era la Mina secca, la prima, io l’ultima, quella grassa. Proprio quella sera le Pumi dicevano addio al teatro impegnato e militante. Flavio (detta anche la Faga, una contrazione da Frocia Gotica ma anche l’italianizzazione di faggot) fu implacabile: le Mine dovevano esserci tutte, chi calva, chi con la barba, chi sbodenfia. A un certo punto viene a salutare un tale e Flavio, presentandolo, mi dice: Questo è Mario, Mario Mieli, viveva da me a Roma?”. Sorrideva Mario, e a bassa voce sibilò: “Siete oltre ogni regola, non rispettate nemmeno quelle dei finocchi… pazze!!!” Flavio fu tra i fondatori del Mina fan’s club, ufficialmente poi riconosciuto come “legittimo”, e qualche anno dopo avrebbe scritto per lei le parole di “Diva divina”, sigla della trasmissione Effetto cinema di Raiuno, di cui era autore. Nello show Producer, condotto da Serena Dandini, appariva anche brevemente come “L’espertone”, e in un rarissimo filmato di Gianni Amelio interpreta (guardacaso…) Mina. Pace all’anima sua.
PUttaneMIgnotteTROieZOccoleLEsbiche
it.wikipedia.org/wiki/Pumitrozzole
Lo chiamo Porco, Porco Dio come tutte.
24) fuso d'”amore” con la maggioranza, vittima complice di quel rio “destino”, una cosa diversa lo scrittore però ce l’ha: la penna, la scrittura. In una parola, parla, mentre la maggioranza è silenziosa. Essendo però fuso con essa, per forza il suo parlare sarà un parlare a nome di: lo scrittore è letteralmente rappresentante. Ovvero: rappresenta non nel senso consueto di dipingere un oggetto da una certa distanza, ma rappresenta l’oggetto rispetto a qualche altra istanza, come ad es. un rappresentante D.C. rappresenta il suo elettorato in parlamento. E difatti Siti, rappresentante della maggioranza grigia, lancia l’anatema:
25) le altre ricette sono “indecenti”, e lo sono perché quei cuochi stanno distanti dalla massa, si staccano dal gregge. Indecente infatti significa contrario alle convenzioni della maggioranza.
26) dicendo indecente, Siti non tenta di richiamare i dispersi, anzi, li anatemizza, ossia intende farli letteralmente fuori, confinarli.
27) nel post (ma di cos’altro si può/deve parlare qui?), Siti è semplicemente un fascista.
28) ???
NBnon intendo fascismo politico, bensì psichico (ossia il peggiore, e il più diffuso), nel senso ad es. in cui ne parla Carlo Levi in Paura della libertà, o Elvio Fachinelli in La freccia ferma.
sono Uomo, Uomo Qualunque come tutti. Votatemi!
Mi chiamo Tweety, Silvester Tweety come Titti.
Me ciamo Tuti, Mario Tuti come tuti.
@prof. dott. carotenuto
L’autobiografia come cura di sé, no?
gentilissimo roberto, si e no. non sto qui a dirle. ho avuto per ben 6 anni uno scrittore piuttosto noto in terapia. posso rivelarle solo le iniziali: a.p.
ebbene, tale scrittore, ormai di media età, dotato di un repertorio di eccezionale eccezionalità, maestro del calembour, famoso per scrivere sempre di sè, un rivelatore di sè ossessivo-complusivo come – per farle un esempio – l’ henry miller di sexus- cadde in depressione. mi disse che il motivo era sentimentale. l’autore, noto donnaiolo, era però incappato due anni prima in una giovane fidanzata della quale si era perdutamente innamorato, ricambiatissimo. la ragazza però gli aveva fatto pagare certe sue intemperanze e – è triste dirlo per uno psichiatra cattolico e fedele ai dettami di santa romana chiesa rappresentata da sua santità joseph benedetto ratzinger di markt am inn, a pochi chilometri da altoetting, dove sta la madonna nera alla quale anch’io sono devoto – ma, gentile roberto, non la voglio tediare- ebbene, è triste dirlo, ripeto, ma il pagamento che la ragazza riscosse fu a causa di alcune sue infedeltà, per lui assolutamente passatempi da annoverare tra le birichinate di nullo conto, per lei no in quanto la ragazza visse le infedeltà come tradimenti. (non è una battuta). in realtà, dopo 6 anni di trattamento, scoprii dopo una lunghissima analisi che la depressione del bravissimo scrittore non dipendeva dal suo troncato rapporto con la fidanzata, bensì da una immedesimazione ossessivo-compulsiva con l’alter-ego presente nei suoi romanzi. gli prescrissi 150mg di haldol, 300 mg di grapacemlidolo forte, 60 gocce di alprazolam, 250 mg di halcion, 400 mg di litominolo cadaverinato al dia. lo scrittore, nel giro di pochi mesi ha ripreso tutte le sue funzioni e sta benissimo. dunque, caro roberto, l’autobiografia non è cura di sè, quasi mai, a mio modestissimo avviso. per alcuni puo’ esserlo, ma sono pochi. il caso di siti si situa nella drammaturgia del sè, più che nell’autobioografia, a mio modestissimo avviso. la saluto caramente.
suo,
dott.prof.gerardo carotenuto – specialista in psichiatria
Egregio dott. Cartotenuto (ma dall’umanità che traspira dalle sue ascelle sarei portato a rivolgermi più intimamente/carinziamente/brevemente con: caro dott. Tenuto), sono reduce da un’esperienza non proprio felice col dott. Felix Peyote. Invece di ricostruire la mia autobiografia, alla fine sono coinciso col paziente che ci andava prima di me e che sfioravo solo di struscio durante il cambio di guardia (W. S., uso le iniziali perché è uno scrittore noto). In più ho psicosomatizzato il tutto perdendo quasi completamente l’udito, mentre da qualche giorno non controllo più il getto, pur essendomi anni fa ferlicemente operato di prostata. Insomma, vorrrei passare dall’autobiografia all’otobiografia, e da un santone a un oturino – a lei insomma, che mi è stato detto avere la specializzazione. La saluto e ringrazio velocemente, perché mi scappa.
mi chiamo Zenga, Walter Zenga come Totti
Prima che mi si scarichi il pc: caro db, negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non si è fatto e avremmo potuto fare, e si spreca il presente rendendolo un’altra occasione perduta.