Non si puo’ correre il rischio che scoppi una rivoluzione
di Nicolò La Rocca
Sciascia è stato forse l’intellettuale più osteggiato della nostra storia, con lui per qualche decennio il potere (sia quello cattolico, sia quello comunista) ha dimenticato quella sentenza per la quale se vuoi uccidere un libro basta che non ne parli, né bene né male, e questa distrazione il potere l’ha pagato a caro prezzo, perché questo intellettuale non l’ha lasciato in pace (cioè nel suo disordine controllato, la pace della nostra cinica e ipocrita società occidentale) mai, impegnandosi in ogni libro, giallo o pamphlet che fosse, nell’esibirlo al lettore, senza dare spettacolo, senza metterlo in mostra, senza sentimentalismi, ma sezionandolo con la competenza del medico legale e restituendo al lettore la fredda disamina di un mondo dove la ragione può solo morire.
Sapeva che la sua visibilità pubblica doveva considerarla un privilegio, una concessione che soltanto pochi hanno, per rispetto all’eccezione della regola, o solo per caso (i successi editoriali seguono le regole del caso, non c’è mai alcuna spiegazione). Giuseppe Antonio Borgese, per esempio, aveva subito un ostracismo assoluto, per aver usato la ragione, per essere stato né cattolico né comunista, né fascista né partigiano, contro tutti. E allora Sciascia si era scatenato sobriamente, nel suo stile: contro le Brigate Rosse e contro lo Stato che ormai era da buttare; il prefetto Dalla Chiesa? Non ha capito niente, lo dice mentre gli altri si allineano alla facile e pericolosa (perché esclude o addirittura condanna chi non si adegua) retorica del morto ammazzato, lo dice mentre dirlo significa per tutti schierarsi con la mafia, lo dice mentre le signore impegnate e per bene si scandalizzano se ci si discosta di qualche virgola dall’agiografia su Dalla Chiesa che si sta montando in quei giorni. I professionisti dell’antimafia? La nuova porta della retorica. Lo dice rischiando di travolgere anche chi è immune da qualsiasi caduta nel precipizio della retorica, lo dice perché sa che è una verità, la sua, scomoda. E a lui piacciono le verità scomode, perché sa che le verità possono essere soltanto scomode. Le verità sono dei trofei per i quali bisogna lottare, sono oggetti che nascono dall’opposizione. Le verità seguono gli schemi della narratologia, se non c’è contrasto non c’è verità. Se tutti ti dicono bravo allora c’è qualcosa che non va. Lo sa bene, Sciascia. E il potere si era mosso scomposto, reagendo d’impulso alle polemiche di cui lui era un maestro. Sarebbe bastato il silenzio per annullarlo, questo piccolo uomo di Racalmuto, i democristiani lo sapevano bene. E invece no, la reazione fu virulenta, disperata: fioccarono le stroncature, di critici che oggi veneriamo come dei. Tra l’altro, Sciascia era infastidito da una strana conversione all’antimafia dell’intera Italia culturale. Ma per questa conversione (alla moda) nessun altro, a parte i mafiosi (ma solo quelli con coppola e lupara), era da ritenersi responsabile di alcunché… Solo la mafia militare, dunque, come oggi… Così, Todo modo e Il Contesto furono due libri molto contrastati, liquidati come opere banali, presuntuose, esteriormente moraliste. Non rispettavano la vulgata della cultura dell’antimafia. Quei romanzi smontavano la rappresentazione del crimine voluta dalle classi dirigenti, mostrando, con la perentorietà di un atto notarile, che l’ethos criminale non dimora solo nei tinelli, nelle strade e nelle periferie, ma specialmente nelle classi dirigenti di questo occidente, nell’articolazione interna della politica.
Allora mi chiedo: che cosa scriverebbe oggi Sciascia dell’indulto per reati di voto di scambio mafioso, corruzione, per reati finanziari e fiscali nei confronti della Pubblica Amministrazione, falso in bilancio? Riuscirebbe a non farsi depistare, a non farsi distrarre dalle lusinghe di un impegno votato soltanto a narrare le periferie, l’apparato militare delle mafie, i morti ammazzati, gli spacciatori? No, si occuperebbe del contesto. E si attirerebbe una marea di stroncature. Non diventerebbe il Benigni della letteratura che tutti applaudono. Non lascerebbe i veri protagonisti del crimine fuori dalla rappresentazione. Come si fa a combattere le mafie senza colpire chi permette le connessioni politiche ed economiche? Hanno arrestato Provenzano, vogliono abbattere le Vele, hanno arrestato gli scippatori dell’americano brutalmente picchiato a Napoli, i ladri di auto che vivono allo Zen, gli spacciatori di tutte le periferie. E basta. Scriverebbe queste cose, Leonardo Sciascia? O ci segnalerebbe quella teoria del disordine controllato, che il giudice Roberto Scarpinato continua a ricordarci provando a liberarsi dei mille cuscini vellutati che, schiacciati delicatamente ma con fermezza sulla sua bocca, donano alla sua voce un tono ovattato, da convegno, da scarso resto? Questa teoria afferma che in certi quartieri (in certe città… in certe regioni…), dove i contrasti sociali sono più forti e apparentemente irrisolvibili, allo Stato fa comodo delegare l’uso della forza alle organizzazioni militari delle mafie. Nella società tardo feudale dell’Ottocento le mafie fornivano la loro mediazione, si innestavano tra i baroni e i bifolchi, garantivano il disordine controllato. Nel primo Novecento aiutavano il potere politico a contrastare le spinte del sindacalismo combattente. Negli anni Sessanta e Settanta fornivano il loro appoggio alle grandi speculazioni edilizie. E oggi? Le mafie militari non si vanno a incuneare forse tra la cultura populistica e catodica (di destra e di sinistra) degli armenti di elettori e quella di chi occupa le postazioni del potere? Non si occupano della difficile transumanza degli elettori, guidandoli agli uffici elettorali dei pascoli del sud con il voto certo nella matita copiativa? Chi godrà dell’indulto per reati di scambio mafioso e corruzione, del resto, è insieme il prodotto e la causa di quella particolarissima matita copiativa. Non sono gli eletti con la matita copiativa siciliana (ma anche campana, calabrese e pugliese) che si occupano del potere legislativo?
Sciascia, ripeto, che farebbe? Capirebbe la lezione che danno certe sconfitte editoriali, come quella subita da Paolo Barnard quando col suo “Perché ci odiano” edito da BUR invece di allinearsi alla vulgata dell’impegno internazionale che vuole che si parli solo di Hezbollāh e Israele, allarga il suo sguardo sul neocolonialismo dell’occidente, arrivando al punto di non ricevere alcuna recensione – il disinteresse democristiano? Oppure scriverebbe dei bei paginoni polemici sulle attuali coordinate dell’impegno, accettando di veder reiterate le antiche stroncature alla sua opera, fatte di accuse di qualunquismo, moralismo da quattro soldi, giustizialismo, ecc. ecc.?
Ma Sciascia morì il 20 novembre 1989 e muore ogni giorno.
Osteggiato?!? Buon Dio! E da chi, la Rocca?
Perdona il mio stupore, ma io c’ero.
Ha destato molte polemiche, questo è vero, e grazie a dio. Ma dire che era osteggiato…
Queste leggende metropolitane sulla vita dura, la miseria, l’esilio interiore, l’isolamento dei nostri maggiori scrittori, da Sciascia alla Morante fa un po’ impressione.
Magari scoppiasse una rivoluzione! chi “muore ogni giorno” è chi lavora nei cantieri, chi viene rifiutato dai pronto soccorso, chi NON HA LAVORO, etc etc…
non conosco la storia di Sciascia (e neanche i suoi libri), ma visto il commento di temperanza mi (vi) chiedo: era o no osteggiato/ostracizzato? è solo una leggenda metropolitana il suo isolamento da parte del potere? come è possibile una visione così opposta (quella del post adv quella del commento): o la verità sta nel mezzo?
Andrea
Diffido di ogni tipo di santificazione.
Diffido di chi parla del “potere” in modo generico, come se si trattasse di un’unica entità onnipotente.
Diffido di chi punta alla trasformazione di alcuni intellettuali in martiri della verità e della cultura.
Diffido di chi conferisce ad un intellettuale capacità di comprensione super-umane.
Sciascia è stato uno scrittore molto letto e molto ascoltato, non alieno da un certo evidente narcisismo, che ha ANCHE avuto momenti di attrito con questa o quella compagine politica, per motivi diversi, su temi diversi.
Ebbe la possibilità (come del resto Pasolini) di scrivere qualsiasi cosa volesse, ovunque volesse: dunque il fatto che alcuni lo osteggiassero, oltre ad essere un fatto fisiologico, non gli ha certo impedito una larghissima visibilità.
Casomai occorre riflettere sul perchè oggi è impensabile che uno scrittore abbia tanto seguito e risonanza.
“I professionisti dell’antimafia? La nuova porta della retorica.”
Davvero???
ANCHE LA MORTE DI BORSELLINO ERA RETORICA?
Ecco cosa scrisse Sciascia nel famoso (ma che nessuno ricorda) articolo del Corriere della Sera del 10 gennaio 1987 intitolato “I professionisti dell’antimafia”:
“…l’antimafia come strumento di potere [al tempo del fascismo]. Che può succedere anche in un sistema democratico… E ne abbiamo qualche sintomo… Lo si trova nel notiziario… del CSM. Vi si tratta dell’assegnazione del posto di procuratore della Repubblica di Marsala al dottor PAOLO BORSELLINO e dalla motivazione…: “… si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere… che il prescelto possegga una specifica e particolare competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare… con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il superamento da parte del più giovane aspirante.”
[Borsellino, più giovane, veniva prescelto – diciamo per “merito” – superando in graduatoria altri magistrati più anziani]
….
I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale di più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso.” (L Sciascia)
Quale carriera abbia fatto Paolo Borsellino è notorio: così commenta Gherardo Colombo ne Il vizio della memoria (pag. 76), libro da cui ho preso la trascrizione sopra, l’articolo di Sciascia.
“Ma Sciascia morì il 20 novembre 1989 e muore ogni giorno.”
Eh sì, Sciascia è morto senza aver fatto la carriera di Borsellino.
Forse val la pena ricordare che alcune (o molte, non saprei: io conosco solo quelle sui professionsiti dell’antimafia e su dalla Chiesa) prese di posizione di Sciascia, come spesso accade ai bastian contrari, erano critiche sterili o controproducenti per la società.
“Casomai occorre riflettere sul perchè oggi è impensabile che uno scrittore abbia tanto seguito e risonanza.”
Citavi Pasolini, che firmava le prime pagine del Corriere, oggi abbiamo un Alberoni…bella differenza, non trovi? Marco
Costretto a letto per un giorno da un improvvisa influenza (dio o chi per lui la benedica!), ho cercato di addolcire la giornata con alcune letture. Tra queste, “Il giorno della civetta”. Sorpreso dal considerare “stupendo e geniale” quello che “appena” 20 anni fa avevo giudicato “noioso e poco comprensibile”, riflettevo su una frase del libro in cui Sciascia vede l’Italia farsi sempre più simile alla Sicilia…forse questo avrebbe scritto, che il malcostume che si credeva annidato solo in sicilia, ha finito per prevalere e invadere l’intero (ex) Belpaese.
Lo avrebbe veramente detto? E se si, ce lo avrebbero fatto sapere?
Chiedo venia per le virgolette: otto in sole otto righe e mezzo sono decisamente troppe!
Sinceramente mi pare si prendano lucciole per lanterne, come già Temperanza e Tashtego hanno notato. Sciascia è stato anche un provocatore -ma ben altro da Pasolini e a differenza di questi sempre un poco “furbo”. Ha pagato diverse cose in termini di recensioni contrarie: mai di vita, di emarginazione, di esclusione dai salotti. Un “maudit” non lo è mai stato. Ha scritto cose intriganti e cose inutili e sulla mafia ha sempre direi difeso l’idea secondo la quale chi non è siciliano non capisce comunque che significa la mafia -e stia a casa chi la vuole combattere. Ha sempre pensato di essere più di quel che era: uno scrittore, anche bravo; uno scrittore anche sociale ma nulla più.
Solo una cosa a proposito del commento di @Andrea il quale chiede:
“è solo una leggenda metropolitana il suo isolamento da parte del potere?”
caro @Andrea, vorrei che riflettessi sul fatto che sarebbe buona cosa che gli scrittori, tanto più se non solo scrittori di fiction, ma anche intellettuali e critici, dal “potere” stessero alla larga dal potere, che si isolassero ancor prima di essere isolati, perchè quell’isolamento è la sola garanzia di poter dire sempre quello che si pensa, cosa non facile soprattutto in questo paese piccolo, familista e “amicalista”, se mi passi questa orribile parola.
Più si fa parte di un sistema di relazioni, più è difficile dire sempre quello che si pensa.
Detto questo, Sciascia è stato deputato per il partito radicale. Non è stato un emarginato.
E in generale, vista la condiscendenza che leggo qua e là, sarei molto felice se tra i commentatori ci fosse uno come Sciascia.
Non c’è, ci siamo noi.
c’è un “dal potere” di troppo, levatelo a piacere:–)
così, a caldo.
ci sono diversi passaggi notevoli in questa cosa che hai scritto.
tutto vero, verissimo, su Barnard – nonostante la rizzoli e la sua nuova monocromatica collana di grido. il caso determina i successi? sono anni che me lo chiedo, ma non so darmi una risposta – forse perchè non capisco cosa potrebbe propriamente intendersi con “successo”. in una visione evoluzionistica il successo non è mai stimabile nel breve periodo, di questo sono quasi certo. il breve periodo – il lasso di tempo della vita del singolo – tende a custodire gelosamente, come in un seme, le future verità.
di questa tua chiave di volta – il disordine controllato – verrebbe voglia di descriverne i riflessi sul personale, nell’esempio banale del disagio che un’assenza totale di responsabilità nel trasporto pubblico provoca nell’esistenza di un x qualunque che, senza accorgersene, si ritrova a subordinare la sua vita ad un disservizio. capita, e nessuno delegherebbe – credendoci davvero – la propria esasperazione ad uno sciopero, per esempio. ma – appunto – è un caso? i contesti sono un caso, i tempi in cui le cose avvengono pure? sarebbe necessario per me spiegarmi meglio, ma non mi va – era un esempio. eppure la violenza di un sistema criminale, quella visibile, quella del sangue, non potrebbe essere vista, genealogicamente, come epidermide spettacolare di un ipertrofico sistema di difesa dai disservizi che un potere “democratico” (consapevolmente o meno?) garantisce, mo ci vuole, sistematicamente?
di Sciascia ho a cuore la cosa forse meno “politica”, il mare colore del vino. 360 gradi di racconti, tutti i mondi insieme – Crowley e i fascisti, persino! un “maudit” non lo è mai stato: non ne aveva affatto bisogno, se poi decine di pagine a descrivere cazzi succhiati rappresentano la provocazione o la non furbizia di un autore… boh, decidetelo voi.
Io credo che sarebbe interessante indagare che rapporto i commentatori e più specificamente i giovani commentatori (che mi interessano di più) hanno con concetti come “potere” “successo” “establishment”.
A volte penso che li considerino quasi come antità autonome, lontane e compatte. Quasi mitologiche.
entità
ho problemi di occhiali, di tastiera e forse anche di manualità, chiedo scusa
Sciascia ha suscitato dibattiti, discussioni, polemiche, e anche avversione, come accade ogni volta che si discute: ma da qui a parlare di “intellettuale osteggiato” ce ne corre, eccome. Pubblicava per case editrici di peso, ed era libero di lanciarsi nell’avventura della piccola Sellerio. Scriveva sul Corriere della Sera. Dai suoi libri furono spesso tratti film importanti, con attori e registi di rilievo, e talvolta (come con “Todo Modo” e “Il Contesto”) quasi in tempo reale. È stato consigliere comunale del PCI, poi dal PCI ha preso le distanze per entrare nelle file radicali, e con queste in parlamento, dove ha partecipato alla Commissione d’inchiesta per il caso Moro: non è ceto la carriera di un osteggiato. Ha detto molte cose intelligenti, ad esempio sul rapimento di Aldo Moro e sulla natura dei brigatisti, con ammirevole fiuto intellettuale. ma ha anche detto cose sulle quali si può legittimamente dissentire: ad esempio, apparentando Borsellino ad Orlando (tra l’altro: con Borsellino aveva riallacciato i rapporti negli ultimi tempi, chiedendogli di aiutarlo a reperire un documento su Majorana). Sulla mafia mi dava l’impressione (a me come ad altri) che avesse smesso di credere alla possibilità di combatterla e vincerla: e rispondere a una tale, legittima opinione è altrettanto legittimo. E comunque, cosa vuol dire “comunista”? Rossana Rossanda, sul Manifesto, non attaccò Sciascia, lo difese: era comunista e scriveva su un quotidiano comunista.
Che “Todo Modo” e “Il Contesto” «smontavano la rappresentazione del crimine voluta dalle classi dirigenti, mostrando, con la perentorietà di un atto notarile, che l’ethos criminale non dimora solo nei tinelli, nelle strade e nelle periferie, ma specialmente nelle classi dirigenti di questo occidente, nell’articolazione interna della politica» è verissimo: ma cosa c’entra questo con la polemica su «la vulgata della cultura dell’antimafia», che è di un decennio successiva?
Insomma, è proprio necessario per parlare di Sciascia inventarsi uno Sciascia discriminato, osteggiato, ecc.?
Nel suo ultimo film, “L’udienza è aperta”, il regista Vincenzo Marra ha fatto parlare “l’avvocato penalista più famoso di Napoli”. Si tratta del patrocinante in cassazione Alfonso Martucci. Ex liberale, ex ccd, ex cdu, approdato in area democratica, Martucci ha difeso numerosi boss della Camorra.
Il 21 marzo 2006, l’avvocato Martucci ha festeggiato la “Giornata nazionale della legalità”, a Caserta. Iniziativa a cura della Fidapa, presso il Centro Sant’Agostino.
L’Espresso dell’8 settembre 2005, però, spiega che “Alfonso Martucci, secondo i carabinieri, è stato eletto alla Camera nel 1992 grazie ai voti dei clan e ha patteggiato una pena a dieci mesi nel 1997”.
Il 9 luglio del 2004, in una “inchiesta vecchio stile” pubblicata da “Diario” e intitolata “Il libro nero dell’UDC”, il reporter Alberico Giostra aveva raccontato che:”secondo alcuni collaboratori di giustizia, durante la campagna elettorale del 1992, diversi esponenti del clan Schiavone avrebbero accompagnato Martucci agli incontri con gli elettori e avrebbero svolto propaganda presentandosi, anche armati, nelle abitazioni di casal di principe e altri comuni del casertano, impedendo agli altri candidati di affiggere i propri manifesti”.
In un’intervista a Repubblica citata dal Centro Peppino Impastato, la moglie del boss Schiavone ha affermato che il marito, “credente di fede vera”, è un “prigioniero politico” che paga l’appoggio dato al suo avvocato, Alfonso Martucci, eletto sei anni fa alla Camera.
http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=7&year=1998
Della stessa storia aveva già parlato Giuseppe Turani, sempre su Repubblica, l’8 marzo del ’94, in un articolo intitolato “Si sfascia la grande alleanza”. Il pezzo era dedicato alla presunta “cupola” affari-giustizia-camorra scoperchiata nella provincia campana.
“I miei protagonisti”, dice il regista a proposito dell’avvocato Martucci, “sono stati disposti a mettersi in gioco in prima persona, facendomi entrare nel vivo della loro vita professionale, senza paura di mostrarsi”. Non ho visto il film, magari Marra queste notizie le ha già riportate, ma per contribuire al ‘divertimento’ di matrice sciasciana si può aggiungere che:
La notizia del processo a Martucci viene propagata da una miriade di siti e di blog non proprio cristallini: il forum “Politica on line”, per esempio, che si autodefinisce ‘liberale’ ma invito gli indiani a navigare in profondità nei livelli del Forum per intuire che genere di liberalismo sia mai questo.
Chi sono gli autori delle “Storie democristiane” che hanno coinvolto il Martucci, invece, lo deduciamo dal logo testuale del blog che trovate qui sotto, in particolare il sommarietto. http://blogs.it/0100206/stories/2004/07/09/storieNeodemocristiane.html
Quest’altro sito, poi, ha un nome davvero rassicurante:
http://www.p2pforum.it/forum/showthread.php?t=85619
E questi, invece, li conosciamo tutti:
http://www.forzanuovarimini.splinder.com/archive/2004-07
Come dire, più Martucci si spostava da posizioni liberali verso l’area di magistratura democratica, più aumentavano gli attacchi da destra.
D’altra parte, le prime indiscrezioni sul marketing politico praticato dal boss Schiavone a favore di Martucci Alfonso erano iniziate a circolare nella relazione di minoranza presentata dall’onorevole Altero Matteoli, e dal senatore Michele Fiorino, al presidente della Commissione Antimafia Luciano Violante, il 28 aprile 1993 (pag. 1471). Matteoli sappiamo chi è, Fiorino è un nostalgico monarchico.
Qualche considerazione possiamo farla, al di là dell’ala militarista dei Klan. Le dichiarazioni che hanno ‘macchiato’ la toga dell’avvocato Martucci sono state rese da uno dei pentiti di camorra. L’avvocato potrebbe essere stato mascariato, insomma, tanto più che difende (altri) camorristi. Chiunque abbia un briciolo di buon senso garantista lo sa.
Ma come interpretare il suo patteggiamento e la derubricazione del reato?
Il principe del foro spiega alla telecamera del regista-reporter: “Oggi al Sud i giovani si pongono come obiettivo il calciatore ricco e famoso, la star del cinema o il camorrista, che ha potere, denaro e rispetto”. Viene da chiedersi che tipo di obiettivo si ponesse invece Giuseppe Martucci, figlio/nipote/parente? quando decise di entrare nella home page dell’omonimo studio legale. Bello, gaio e sorridente.
http://martucci.net/
Perdonerete questa caduta di stile populista? Ma sul LAVORO a cui fa riferimento Andrea si può leggere l’ultimo paragrafo di: http://www.dsfirenze.it/sg/documenti/assemblea%20iscritti05/Universit%E0definitivo.doc
Per quanto riguarda la domanda di Nicolò LaRocca: “che cosa scriverebbe oggi Sciascia dell’indulto per reati di voto di scambio…?”, non avendo facoltà para-gradolistiche come Prodi, direi che se concediamo l’indulto a una banda di rapinatori di banche, oppure al benzinaio che ha freddato lo stesso rapinatore in un eccesso di zelo autodifensivo, in teoria, dovremmo garantire lo stesso diritto anche ai nipotini di Mani Pulite.
L’indulto è poco. Io tifavo per la grazia. Ma questo è un altro discorso da papista. Meglio i professionisti della retorica.
@girolamo
Vedo che su alcune cose sei informato più di me (non è ironia), quindi ti chiedo:
A commemorare Falcone, poco dopo la sua morte, c’erano, seduti tra gli altri allo stesso tavolo, Borsellino e Orlando, nonostante le polemiche che Orlando aveva avuto con Falcone.
Borsellino ricordò che un “Giuda” aveva impedito a Falcone di diventare procuratore di Palermo (se ben ricordo), e dopo Falcone scelse la superprocura creata per lui a Roma da Martelli & Co. (con altre critiche di Orlando – e pure Borsellino aveva dei dubbi sulla creazione della superprocura).
Non molto tempo dopo l’omicidio Borsellino, Orlando, che in quel periodo è scampato a vari attentati alla sua persona (ricordo il ministro dell’interno Mancino dichiarare al tg che la mafia aveva deciso di ucciderlo, e ricordo la notizia di una macchina piena di esplosivo trovata sul percorso che dovevano compiere Orlando con la scorta), al Maurizio Costanzo, ricordò la commemorazione di Falcone e, come sempre, con il coraggio che gli è proprio, fece il nome del “Giuda” di cui parlava Borsellino. Potrei andare avanti citando l’amicizia che c’era tra Orlando e Caponnetto, che non a caso aderì alla Rete di Orlando.
Girolamo: Orlando ha dei modi che spesso non piacciono neanche a me, ma secondo te erano o no dalla stessa parte (“apparentati”), nei rispettivi ruoli, si intende, Borsellino e Orlando?
Dire che Sciascia è stato isolato o oscurato non mi pare un’affermazione aderente al vero. Era un uomo burbero, forse anche un po’ vanitoso, in personaggi simili è facile trovare l’inclinazione al vittimismo.
Lo Sciascia intellettuale, quello che faceva l’analisi allo stato delle cose, è stato molto ascoltato, ha avuto modo di dire la sua a una vastissima platea, fino a diventare, alla pari di Pasolini, una delle voci più considerate del Paese.Lo Sciascia scrittore ha avuto le sue grandi soddisfazioni e i suoi riconoscimenti.
Penso che la sua figura sia stata ben valutata, oltre non si poteva e non si doveva andare.
@ roberto
Fai concorrenza a Saviano ora ? :))) Il senatore si chiama Florino, non Fiorino e fa parte di quella pletora di deputati ex fascisti che spendono milioni di euro in manifesti, imbrattando le già martoriate mura napoletane, chiedendo che a Napoli trionfi la legalità. Senza pudore.
Questo è il passo del discorso di Borsellino di cui si parla qui sopra:
“Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l’anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell’articolo di Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” che bollava me come un professionista dell’antimafia, l’amico Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica. Ma nel gennaio del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. C’eravamo tutti resi conto che c’era questo pericolo e a lungo sperammo che Antonino Caponnetto potesse restare ancora a passare gli ultimi due anni della sua vita professionale a Palermo. Ma quest’uomo, Caponnetto, il quale rischiava, perché anziano, perché conduceva una vita sicuramente non sopportabile da nessuno già da anni, il quale rischiava di morire a Palermo, temevamo che non avrebbe superato lo stress fisico cui da anni si sottoponeva. E a un certo punto fummo noi stessi, Falcone in testa, pure estremamente convinti del pericolo che si correva così convincendolo, lo convincemmo riottoso, molto riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli.”
Da quel che si vede non ci fu UN giuda, ma molti. Uno certamente non sarebbe bastato. E da quel che leggo Borsellino li individua all’interno della magistratura e delle istituzioni.
Se l’articolo di Sciascia abbia contribuito a indebolire Falcone non so, presumo di sì, certamente Borsellino aveva le sue ragioni nel dirlo. Ma da qui a indicare Sciascia (se ho capito bene il sottotesto del commento precedente) come il giuda responsabile della morte di Falcone ce ne corre. Forse nella ricerca delle responsabilità il Consiglio superiore della magistratura viene prima
@bruno
diciamo che faccio rassegna-stampa. Senza “livori”.
@temperanza
no, non hai proprio capito: se si parla di Giuda è evidente che si parla di uno che sta all’interno della cerchia che aveva possibilità di decidere e che in qualche modo ha tradito una fiducia – non può quindi essere un intellettuale, per sua natura esterno, per quanto possa essere influente.
Quindi Borsellino parlava di uno all’interno della magistratura, come ben si capisce dal discorso da te riportato, e Orlando da Costanzo si sentì di esporsi e fare un nome, che preferisco non scrivere perchè non son sicuro di ricordare bene.
@ Galbiati
Forse è in rete, prova a verificare se coincide con quello che ti pare di ricordare.
Io ho trovato questo
giuseppe-ferrara.aitek.org/geraci.htm – 16k
che fa riferimento a un articolo di repubblica del 25 11 92
sciascia ce l’aveva soprattutto coi leoluca orlando, credo.
gente che ha costruito una carriera politica sugli slogan anti-mafia.
il mondo è grande e terribile e il sud d’italia è il suo insondabile ombelico.
RobertoS, riesco a leggere un centesimo di quel che scrivi (e dei commenti in generale purtroppo), ma ti faccio i miei complimenti.
per tornare in tema
@la rocca, se ci sei.
tu dici “fioccarono le stroncature, di critici che oggi veneriamo come dei.”
sai che non me le ricordo, quali furono quei critici?
E invece sui poteri, questo però @ tutti, perchè parliamo così poco delle big companies? Sono più potenti degli stati, ai quali lasciano la rappresentanza formale della democrazia, tenendo per sè la vera gestione del potere, cioè del controllo totalitario e planetario delle risorse.
@tashtego
Hai un bel coraggio a dire che Orlando ha fatto carriera con slogan antimafia.
Leoluca Orlando ha fatto politica (carriera non direi, ma che male ci sarebbe se un uomo onesto serio e capace fa carriera?) combattendo la mafia e rischiando la vita per questo suo impegno, prova a informarti. Politicamente, pagando sempre di persona per le sue posizioni, come quando, nella DC, si rifiutò di entrare nella stessa lista elettorale con Salvo Lima o come, poco tempo fa, con l’espulsione dalla Margherita per aver sostenuto Rita Borsellino in Sicilia.
Peraltro, Orlando incontrò Sciascia prima che morisse e, come disse in pubblico in più occasioni, aveva stima dello scrittore e dell’uomo ma le loro posizioni sul fenomeno mafioso e su come combatterlo rimasero molto distanti.
PS non son l’avvocato di Orlando, ma ricordo molto bene quegli anni e ricordo molto bene Orlando a Monza, nel 1992, in un convegno, raccontarci che poco tempo prima avevano trovato una macchina piena di esplosivo sul percorso che doveva compiere. Parliamo di uno che ha vissuto per molto tempo, 24 ore su 24, sotto il controllo delle forze dell’ordine e lontano dalla famiglia. Se fosse morto anche lui, in quell’anno, lo ricorderemmo insieme a Falcone e Borsellino.
@temperanza
Sì, Geraci.
@temp: dopo il contesto, per esempio, raboni. vedi qui, se vuoi: http://www.amicisciascia.it/LSW/Nuove/AFM6_5.html.
tu c’eri, ma evidentemente sciascia è passato sotto i tuoi occhi e sotto gli occhi di molti dei commentatori qui su senza lasciare tracce che non siano quelle stereotipate, se permetti, del mafiologo, o dello scrittore-intellettuale che ‘poteva scrivere dove voleva’ negli anni ’70 (che cosa? come? bohh).
o dell’eretico narcisista, dell’anticonformista per forza, del giallista d’antan, dei 7, 8 gialli e dei 3 film; del meridionale disincantato, dello scrittore artigiano discreto; dei tortora (e moro?).
e di borsellino e l’antimafia: avverto che la ‘rassegna stampa’-gossip qui su è piena di sintomatiche lacune: borsellino tornò durante i pochi anni che gli rimasero da vivere in più di sciascia sulla questione, e con toni non ipocritamente distensivi; per quell’articolo, il cui titolo fu redazionale, sciascia subì il primo caso clamoroso di mobbing giornalistico in italia, tanto da dover emigrare dal corsera alla stampa, eccetera (per approssimazioni successive, senza idolatrie del ‘vero’).
conosci la sua passione per manzoni, oltre a quella più scontata per pirandello? e per stendhal? insieme a calvino è l’unico scrittore del secondo ‘900 ad aver ‘adorato’ beyle e ad aver lavorato sul ‘mistero’ della sua scrittura che mescola storia e letteratura, documento storico e trasfigurazione letteraria…. vedi tu se non è attuale questa traccia…
al di là di stereotipi apologetici e retorici, altrettanto sterili e improduttivi, vuoi una miserevole prova della sua inattualità? mi sembra che nella vita di NI1 e NI2 questo sia il primo post a lui dedicato. con risultati non molto brillanti, converrai. tipo, anche a causa dello stesso post, l’appiattire sul finire della sua ‘carriera’ di polemista un percorso di scrittura lunghissimo fatto di generi e di stili plurali e molteplici (3 volumi le opere complete: per bompiani, non tra i meridiani mondadori…) .
è come se di temperanza si ricordasse solo la sua (tarda) ‘attivitità critica’ su NI (l’attività di cui sopra è condivisibile o meno, ma c’è, è di livello…): senza contestualizzare, senza uno sfondo, senza un prima e un poi, senza mezze misure. scusami se è lugubre, e non è affatto ironico. è proprio ‘na schifezza.
@fm
Non basta. Di più. Ancora uno sforzo.
“Lavora(re) sul ‘mistero’ della scrittura che mescola storia e letteratura, documento storico e trasfigurazione letteraria”. Che non vuol dire pensare che la Coca Cola è fatta con il sangue dei vietnamiti.
Bah! Mah! Mhmm..Cado a dormire!
calma, please.
due cose di quelle che ho affermato, oh galbiati, sono vere per tua stessa ammissione.
la prima è che sciascia criticava con forza le posizioni di leoluca orlando.
la seconda è che orlando ha costruito la sua carriera politica su slogan anti-mafia: non sono abbastanza informato su orlando per dire se a tali slogan corrispose un’azione effettiva.
sciascia è un grande scrittore e se vogliamo la sua posizione sui professionisti dell’antimafia in linea di principio è condivisibile.
quello che non mi sembra vero è che sia stato in qualche modo ostracizzato: per es. Todo modo, al contrario di quanto si afferma nel post, fece scalpore e ne fu tratto un film di una certa imporanza (certo qualcuno rimpiangeva la scrittura dello sciascia di Ciascuno il suo, eccetera, ma è del tutto normale che ciò avvenga).
tutto questo non ha niente a che vedere, almeno fino ad un certo punto, con la qualità della sua scrittura.
anche se, bisogna ammetterlo, la sua rilevanza come intellettuale di opposizione al sistema di potere democristiano fu notevole.
sciascia è una delle figure decisive per la formazione civile della generazione a cui appartengo: non è un caso se oggi non se ne parla o se al contrario diventa un martire.
@ Lorenzo Galbiati
Orlando ha combattuto la mafia, o più probabilmente ha creduto di combatterla: molti suoi errori politici (ad esempio la costante sopravvalutazione della propria capacità politica, il non capire che il consenso alla sua persona era comunque minoritario nella società siciliana, ecc.) hanno involontariamente (non sono ironico) favorito la mafia, o la mafiosità di certi politici. Nondimeno, è stato oscillante e ondivago su questioni fondamentali: anche lui, per un certo periodo, ha contribuito alla campagna di delegittimazione verso Falcone (l’accusa di tenere nel cassetto i processi eccellenti e di non voler perseguire il livello politico). Apro una parentesi: a quella campagna parteciparono, con ben maggiore livello di infamia, figure come Vincino, all’epoca ancora “di sinistra”, con le sue vignette sul “ministeriale Falcone” pubblicate su Cuore. Diversamente da Borsellino, credo che, a parte la sincera intenzione di liberare la politica siciliana dalla mafia (ripeto: non lo dico con ironia), qualche calcolo politico lo abbia fatto anche lui. In questo senso distinguo la sua figura da quella di Borsellino. So bene che anche lui era finito sulla lista nera: ma ci finì anche Costanzo. L’ala corleonese della mafia non ha dimostrato la capacità di utilizzare la debolezza dei propri avversari, diversamente da quella mafia che Sciascia descriveva nel “Giorno della civetta”. Tutto qui.
Dopo di che, il post di La Rocca non mi è dispiaciuto: nella seconda parte fa considerazioni non peregrine su Sciascia. Ma tutto rischia di essere oscurato dall’accusa di “osteggiamento”, che è campata in aria. Io continuo a non pensare bene del fatalismo dell’ultimo Sciascia in relazione alla lotta alla mafia: ma se mi attribuisci il merito di essere “informato” è perché l’ho davvero “macinato”, e mi spiace di non averlo letto di più (ma sono ancora giovane, inshallah). La sua scrittura è per me una vera lezione di stile.
@fm
Io non ho dato alcun giudizio su Sciascia.
Contestavo soltanto che fosse uno scrittore osteggiato. E questo perché penso che l’ammirazione non dovrebbe essere sempre drogata dall’eccezionalità, o dalla drammaticità vera o presunta delle biografie. Parlo in generale, non solo per Sciascia.
A parte questo, se rileggi i miei sintetici commenti vedrai che dialogavo solo con gli altri commentatori.
Del resto il post è centrato su Sciascia polemista, anzi, su uno Sciascia polemista ipotetico.
Permettimi di dire però una cosa, io non faccio attività critica, qui, neppure tra virgolette, caso mai criticona, il che mi ha procurato frequenti rabbuffi:–).
Quanto alle critiche che Sciascia si è preso, ricordo a tutti che Citati, quando uscì Palomar, pur essendo amico di Calvino, scrisse una recensione molto negativa, che amareggiò Calvino, ovviamente, ma che non lo fece sentire osteggiato.
Insomma, criticare è non solo legittimo, è l’ossigeno della letteratura, non ci sono visioni letterarie compatte, senza critiche, e non solo senza critica, i libri avvizziscono.
lasciamo il sciasciascià della segretaria, e sintonizziamoci sulla modulazione di frequenza di fm!
non fu criticato, ma osteggiato. se si parla dei suoi testi ‘scomodi’ come il contesto e todo modo, se si parla di certi slogan che gli si appiccicarono addosso come per l’affaire moro e la polemica sull’antimafia. osteggiato, ne fanno fede gli attacchi anche personali e sotto la cintola che scoperchiano, a guardarli ora, certi atteggiamenti della sinistra di allora: come oggi fa napolitano, che si scusa come il papa con galilei per i fatti del ’56…persino le conventicole scientifiche (vedi su majorana) o accademiche (vedi canfora) lo ‘osteggiarono’: nel senso della polemica, polemos.
osteggiato perchè si pensava ancora homme de lettres, moralista ottocentesco, illuminista deluso – il suo mito, assieme all’abate vella, diciamo così, era paul louis courier. e quindi, come nella migliore tradizione degli autori di pamphlettes ( e affaires), agiva frontalmente, come dicono ora, dentro ‘ il midollo o il budello della realtà’ (la mafia ma anche le diramazioni tecnocratiche dei poteri – politici ed economici, finanziari e imprenditoriali, come ci dicono i suoi gialli-parabole ’70 e fine ’80).
da qui a farne il santino di un autore che andrebbe (ri)letto per la drammatica eccezionalità del suo andar controcorrente… ce ne passa. dice bene girolamo: il fatalismo dell’ultimo sciascia. come di una generazione intera (l’ultimo pasolini, eccetera). anche questo non deve essere uno stereotipo: come dice altrettanto bene tashtego, sciascia è uno di quei prismi attarverso cui si può leggere le sorti di quella (e di questa) generazione. mica poco. comunque informami se sui manuali che possiedi, sulle riviste che leggi c’è spazio per questo vecchio siciliano. ripeto: bompiani, come volponi, non meridiani mondadori; ripeto: qui su NI tanto raimo, per dire, poco sciascia; l’ultimo ferroni aggiornato: non una riga; molto manganelli, sempre molto calvino, molto jorge louis (garufi), poco sciascia. ma è giusto così, evidentemente.
@roberto
lo sforzo, tipo la rassegna stampa: l’equipe!, l’equipe! (la redazione!).
da solo no! non ora, non qui!
ma quant’è situazionista ‘sto dj, non vi dico signora mia.
@roberto
situazionista? no, come paolo liguori: di cui si racconta che, anni ’70, movimento creativo ultra-sinistra (sic) e certamente situazionista (sigh), capeggiava un gruppo, di nome ‘gli uccelli’, che nelle aule universitarie per protestare (o per farsi notare) aprivano gli ombrelli. gli ombrelli.
occhio che adesso spunta qualche troll che te le li vuole infilare in culo, gli ombrelli.
com’è che diceva l’altro transfuga della sinistra senza cuore approdato alla soporifera amaca repubblicana? Infilargli un ombrello su per il culo e sventolarlo come una bandiera.
sono stato nominato. non va bene. criptate il riferimento. avevo anche un sito, http://www.pietrocitati.net. ma per scrivere i miei libri raccolgo tutto il materiale in vecchie scatole di scarpe. quindi ho fatto disinnescare il sito, sono all’antica, mica questa spazzatura di internet.
@Temperanza.
Pedullà: “Chiacchiera qualunquista camuffata da riflessione superiore di grande moralista”.
Raboni: “Un raccontino scialbo e pretenzioso”.
Colajanni: “La cosa che mi colpisce di più è la banalità della tesi del racconto”.
Potrei citartene molte altre, ma purtroppo ho lasciato le mie fonti nel mio studio in Sicilia. Adesso vivo a Milano. Vado a braccio. E poi, a pensarci bene non mi piace fare liste di proscrizione. Ma i giudizi che ti ho citato sopra sono famosi e li trovi perfino nell’edizione Bompiani delle opere.
@Girolamo. Di critici incazzati ne ebbe tantissimi: Berlinguer, Scalfari, l’Unità, Macaluso, gli ambienti DC… devo continuare?
@nicolò.
grazie per la risposta.
sono stato nominato. non va bene. criptate il riferimento. sono all’antica, mica questa spazzatura di internet.
@Temperanza. Veramente il post voleva essere centrato anche sull’indulto. Fuori i politici mafiosi e nessuno ha niente da dire. Tutti i girotondini, l’antagonismo sociale da strada, le belle firme dei quotidiani, gli scrittori che lottano contro la restaurazione… dove sono? Ma dico, nessuno che si incazza per questa porcata?
@nicolò
i manettari dei telegiornali hanno da ridire solo su quei fresconi che appena usciti dal gabbio, travolti dalla insana gioia della libertà ritrovata, sono andati ad ubriacarsi. Quando sono riemersi dal bar, però, la madama li ha beccati. Mica a rubare, solo a roteare di felicità.
Gli sventurati reagirono.
Ri-dritto in prigione senza passare dal via.
Oppure quegli altri camorristi che ho sentito oggi al tg2 che si erano fatti il bodymassage la jacuzzi e la lampada e la torta di fragole e i pippotti belli e pronti e i tavoli da biliardo e guarda tu che se la sala giochi se la fanno i camorristi con i soldi dello spaccio è un delitto se invece se la fa il tronchetto coi dollari del foxtrot è alta finanza, direct-marketing o una di quelle cagatine lì. Come puteano, questi bavbavi.
(Se poi aggiungi che guarda caso la brillante operazione poliziesca di scovaggio della salagiochi camorrista è avvenuta dopo le pistolettate di ieri con annessa bimba colpita e ospedalizzata, bah…).
attenzione, la rocca, questo per chi conosce bene sciascia è solo il contorno, la cronaca, nel peggiore dei casi il gossip. ne fa il santino la cui sorte, quando si spegne il cero, è la stessa del nulla di fatto.
è che non mi convince il tono del tuo post, di chi ha poco studiato e ‘macinato’ o è molto preso dal ‘contorno’ (dal contesto), scade nella retorica frontale, spicciola, ideologica, semplicistica, binaria, qualunquista al contrario; e fa registrare certe strane impennate liriche per nascondere il vuoto di un ragionamento e di un post buttato lì (forse per un generoso, ma quanto insidioso!, impeto ‘militante’): “perentorietà di un atto notarile” (il suo stile); “sezionandolo con la competenza del medico legale” (il suo ‘metodo’); “restituendo al lettore la fredda disamina di un mondo dove la ragione può solo morire” (la sua ideologia letteraria: tutta e solo al confine del nichilismo o del fatalismo?)
l’hai detto, forse volevi parlare ‘attraverso’ sciascia di una questione di giustizia. come quando si parlava di mafia, fino a un decennio fa: sciascia era il cacio sui macaroni.
e poi prova a spostare il discorso dal passato e dalla tua retorica dei poteri che, ahimè, presta il fianco ai vecchi saggi qui sopra: proviamo a capire perchè il tuo conterraneo è ignorato come scrittore, è scomparso, detto brutalmente, dalla scena del dibattito letterario underground, da quello ufficiale, ufficioso, redazionale, manualistico… qualcosa vorrà pur dire. un ‘metodo’ inattuale, direi. non fare torto, te lo dico amichevolmente, al conterraneo prolifico e vario che per tua fortuna tieni e tenete.
sono stato ri-nominato. non va bene. sono all’antica, mica questa spazzatura dell’Isola dei Famosi.
Con me il telegiornale cambierà del tutto.
Sono il nuovo che avanza.
ho débordato, pardon, mea culpa, s’è arrabbiata la segretaria: era meglio se sfumavo la dattilografa. rimetto sul piatto fm, il cui refrain fa: pijate ‘na pagìna de sciascià, pijate la civetta ‘n bracci’a tte! Redattori di NI, postate una p. a caso d Il giorno della, e discutiamo insieme come si costruisce un testo, altro che le solite…!
o casomai concentriamoci ognuno per proprio conto su un padre nobile, di sciascia come dei situazionisti: le voilà, et oubliez moi
http://www.forget-me.net/LaBoetie/servitude.pdf
sono stato nominato da un tal dj o jd, ubiqì o ubilì. va benissimo. sono postmoderno, io. Mica quella spazzatura della critica testuale.
ammonizione per @db, jb, lb, ub, dj: gli pesuedonimi in moltiplica sono ammessi solo per henry beyle.
la boetie, celan. edizione critica in fieri, in pillole, di psalm. mica cazzi. e poi al cazzeggio. è la Sua, la linea redazionale. altro che cazzi. sciascia se ne va con l’ama nesciri che è sempre attitudine virtuosa, come dice monsignor ravasi.
qui!: http://www.db.avvenire.it/avvenire/moduli/approfondimento/index1.jsp;jsessionid=46C8504065E1C1F9C71021A0018F7BB4?idNotizia=27631
Quando fanciullo io venni a pormi con le muse in disciplina, l’una di quelle mi pigliò per mano; e poi tutto quel giorno la mi condusse intorno a veder l’officina. Mostrommi a parte a parte gli strumenti dell’arte, e i servigi diversi a che ciascun di loro s’adopra nel lavoro delle prose e de’ versi. Io mirava, e chiedea: Musa, la lima ov’è? Disse la dea: La lima è consumata; or facciam senza. Ed io, Ma di rifarla non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca? Rispose: Hassi a rifar, ma il tempo manca.
scusami tanto posso farti una domanda
metafisica? non che mi aspetti risposta.
quanto alle scuse non credere ch’io pretenda
che tu le possa accettare – così mal poste.
questo supremo scolorare del sembiante
nella chiara penombra delle chiuse imposte
è il fiato del nulla? – se si sperde all’istante
nella sete celeste della sottoveste.
‘notte, db, ‘notte.
‘mmazza, ce mancava pure er prete… e che pprete! er monsignor Ranasi, er teleiggienico!
@ La Rocca
Ce l’ho l’edizione Bompiani. Osteggiare è una parola impegnativa. Io e altri commentatori qui non riconosciamo nell’immagine dello scrittore osteggiato lo Sciascia che abbiamo letto e seguito negli anni. E che tutti, a quanto pare, abbiamo amato e amiamo ancora oggi.
Non so, mi chiedo se questa idea non nasca dalla disabitudine alle vere polemiche, quelle che capto ogni tanto qua e là sono superficiali e si consumano senza veri danni nello spazio di poche settimane. L’Italia di allora era divisa, schierata, ideologica, quel genere di polemica era all’ordine del giorno, se fosse stata davvero efficace e Sciascia veramente osteggiato, non sarebbe stato più letto, e invece era letto eccome.
Pedullà, Raboni, Colajanni, nessuno se li è filati, nei fatti. E i fatti sono le pubblicazioni e i lettori. Uno scrittore osteggiato vive nel silenzio e pubblica per l’editore invisibile.
@ fm
Di Liguori allora ridevano tutti. Era considerato una macchietta.
Ma a parte questo, tu dici
“ripeto: bompiani, come volponi, non meridiani mondadori”
Ma questa idea che i Meridiani Mondadori siano l’eccelsa qualità e “facciano” lo scrittore chi ve l’ha inculcata?
Ci sono Meridiani buoni e Meridiani mediocri. La qualità è molto altalenante. E questa non è una opinione mia, la domanda su “cosa” siano davvero ormai i Meridiani è all’ordine del giorno. I Meridiani sono anche una collana di lusso, e possono esserlo perché la Mondadori è la più grossa e più ricca ed evidentemente meglio gestita casa editrice del paese. E probabilmente riuscirà pian piano a pubblicarli tutti, ma forse la Bompiani è riuscita ad assicurarsi i diritti di Sciascia e non li molla, e forse anche i diritti di Volponi non sono liberi. C’è anche questa faccia della medaglia, i diritti.
ancora @La Rocca
“Veramente il post voleva essere centrato anche sull’indulto”.
Ma sembrava prevalentemente incentrato su Sciascia.
Comunque, quello che ricavo io dalla discussione è che Sciascia è ben vivo e amato dai suoi lettori, e non è una cattiva notizia.
ahi, ahi, vecchio mio situazionista, cercavo solo di redimerti con l’ultimo hit-straniamento che abbiamo in scaletta. perdi colpi, sai solo darne di fritti e già s’è sentito, da queste parti, il tuo ron ron. meglio con celan: per l’ironia, quella buona, ti consiglio la linea svevo-sterne.
se tal supremo scolorare del sembiante
nella chiara penombra delle chiuse imposte
è il fiato del nulla? – no, è l’alito pesante
per la sete pedestre della sottoveste.
noooo. mica non lo so, e ci risiamo, che cosa sono (diventati) i meridiani. era un dato, un dato di fatto. non c’entrano solo i diritti. c’entra la percezione, la ricezione di un autore. le scelte, le mode, le strategie editoriali, le traiettorie della critica, l’orientamento della lettura.
e, ancora una volta, non basta il dato degli editori di fama, e solerti, e rapaci (come adelphi), nel senso di bravi editori-imprenditori che stampano, e continuamente ristampano i testi di sciascia (sempre quelli, se vedi bene: che ne è di nero su nero? persino l’affaire moro….). temp: precisione!
e c’entrano poco i milioni di lettori di sciascia. questo vale per i migliori libri della nostra generazione (come si usa dire) che magari vendono, e bene, benchè ‘scomodi’ e ‘civili’ (la savianeide per esempio). non credi che c’entra anche il modo in cui viene letto un libro, un autore? i modi coi quali si rilegge, o meno, la poetica di un autore in sede critica, di dibattito, di ricerca, di rinnovamnento, o meno, dei punti di vista?. se rileggi i commenti è come se la percezione di sciascia si sia fermata alla nebbia statica e stantia di qualche decennio fa: mafia, politica, antimafia, ambiguità, dalla chiesa, vanesio, narciso; oppure santo subito. non è che proprio lo si legge tanto (bene). meglio di niente, mi rispondo da me.
@tashtego @girolamo
tashtego, pare tu non voglia capire ciò che scrivo né informarti.
Io dico che Orlando non ha fatto carriera con slogan antimafia. punto. sei tu che dovresti dimostrare questo tuo assunto, o meglio: primo, far capire di che carriera parli, secondo spiegare se vuol dire qualcosa aver estromesso gli andreottiani dal comune di Palermo e aver posto alla DC l’aut aut tra lui e Lima alle europee dell’89. E potrei andare avanti a lungo su come dal “dire slogan” è passato a giocarsi la sua vita, non solo politica. Ad es. dalla DC, perso il sostegno di De Mita, se ne andò per fondare la Rete con altri “professionisti” dell’antimafia: Alfredo Galasso, Nando dalla Chiesa, Claudio Fava, Carlo Palermo. Dicevano tutti slogan?
Mi fermo qui.
Ma se ti interessa approfondire
http://www.leolucaorlando.it/bio_it.asp
Girolamo, scusami, ma la tua risposta è molto evasiva. So bene che Orlando criticava Falcone (ma non solo lui, anche GALASSO, MANCUSO, e Caponnetto criticò la creazione della superprocura apposta per lui) e può darsi sbagliasse (purtroppo ero troppo giovane allora e anche dopo non ho trovato molti approfondimenti sulla questione), ma se arrivi a dire che involontariamente ha favorito la mafia dovresti dirmi come e quando. E dovresti dirmi allora se anche tutte le persone che lo hanno sostenuto nel comune di Palermo, nella Rete, in Sicilia, compresi Caponnetto, Dalla Chiesa, Rita Borsellino, hanno favorito involontariamente la mafia.
Ti riferisci a quando si oppose alla superprocura? O a Falcone che lavora a Roma alle “dipendenze” di un ministro il cui partito, secondo Orlando – e molti esperti di flussi elettorali – aveva raccolto in una elezione di allora molti consensi mafiosi in Sicilia sottreaendoli alla DC?
Quando pose l’aut l’aut tra lui e Lima?
Quando amministrò Palermo favorì involontariamente la mafia o la combattè? E quando fondò la Rete?
Se poi mi dici che ha fatto dei calcoli politici, va be’, era un politico, non un magistrato.
Ma abbiamo avuto dimostrazione di quali calcoli faccia anche di recente, quando è stato isolato ed espulso dalla Margherita per aver sostenuto la Borsellino (ed è stato preso nelle Lista di Di Pietro).
@fm
la mia “rassegna stampa” si riferiva a un fatto preciso: vuol dire essere “gossip” questo?
Oppure vuol dire citare un articolo che ha fatto storia per ricordarne il contenuto?
Le lacune sono “sintomatiche”? Perché, se uno riporta un articolo è forse tenuto a essere onnisciente su tutti i risvolti connessi?
Risvolti che peraltro sono insignificanti: il titolo non era di Sciascia? Borsellino ne riparlò in modo disteso? Sciascia fu cacciato dal Corsera?
Questo non cambia di una virgola il fatto che il signor Sciascia scrisse un articolo per denunciare (?) che in Sicilia per far carriera un giudice doveva mettere sotto processo i mafiosi, e prese come esempio Borsellino, che era stato nominato procuratore per merito, e non per anzianità di servizio.
La domande sono sempre quelle: cosa portava di positivo questa denuncia di Sciascia? Borsellino era spinto dal volere fare carriera? E in cosa consiste questa tanto agognata carriera dei magistrati? E ancora, a chi serviva questa critica di Sciascia? Al corretto funzionamento della giustizia? A combattere meglio la mafia?
@tutti: ecco cosa ne pensava RICCARDO ORIOLES (che molti qui su NI conoscono) dell’articolo di Sciascia sui Professionisti dell’antimafia:
L’articolo che segue – e’ di una quindicina di anni fa e venne
pubblicato su Societa’ Civile, la rivista milanese di Nando dalla
Chiesa. Sciascia aveva duramente attaccato i “professionisti”
dell’antimafia Orlando e Borsellino con una campagna pubblicata con
grande evidenza sulle prime pagine del Corriere della Sera (direttore
Piero Ostellino, chiamato da una discussa proprieta’ a prendere, dopo un
breve interregno, il posto di Alberto Cavallari, “fatto fuori” perche’
antipiduista). Il Coordinamento antimafia di Palermo aveva reagito con
durezza all’intervento di Sciascia, e il Giornale di Sicilia (vicino a
discussi imprenditori palermitani e catanesi) aveva pubblicato, per
tutta risposta, nomi cognomi e indirizzi degli iscritti al
Coordinamento: il che, nella Palermo di quei tempi, non era esattamente
uno scherzo simpatico. La maggior parte della stampa democratica prese,
nell’occasione, le parti di Sciascia; unica eccezione Giampaolo Pansa,
che riapri’ la polemica e spinse gran parte dell’opinione pubblica a
comprendere le ragioni dell’antimafia.
Del mio articolo di allora sono abbastanza orgoglioso (anche se fu
scritto a lume di candela e viene riproposto, oggi, in condizioni non
molto differenti): scritto da un giornalista siciliano, pubblicato da
una rivista militante milanese, a rileggerlo oggi fa capire che cosa
avrebbe potuto essere l’Italia se la sinistra perbene, invece di dar
seguito a noi che lottavamo – al nord come al sud, fraternamente -contro
la mafia, non avesse preferito parlar d’altro.
____________________________________________
“Il vate e il potere”, 1987, DI RICCARDO ORIOLES
Lasciamo perdere la letteratura, e vediamo i fatti.
Borsellino. Sciascia mette sotto accusa la nomina del giudice Borsellino
a Marsala perche’ non ha abbastanza scatti di anzianita’. In provincia
di Trapani, negli ultimi tempi, sono emerse le piste piu’ interessanti
sui concreti rapporti fra mafia e politica: una loggia massonica di tipo
piduista e una banca coi dirigenti mafiosi. Il trapanese e’ un crocevia
importantissimo per gli equilibri mafiosi di alto livello; forse il piu’
importante. Catanesi e palermitani vi operano con tutti i loro mezzi,
tanto militari quanto finanziari. L’ultimo “professionista
dell’antimafia” che ha cercato di Indagarci e’ stato il giudice carlo
Palermo; minacciato, bombardato e infine costretto – non innocente il
governo – a cambiare praticamente mestiere. Ora tocca a Borsellino. Del
quale, dice Sciascia «nel momento in cui ho scritto nulla sapevo».
Orlando.
(Sciascia su Orlando ne I professionisti dell’antimafia: “Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno”)
Non si tratta di generiche polemiche sul nongoverno. In questo
momento, in Sicilia, il gioco politico e’ incontestabilemente nelle mani
dell’onorevole Salvo Lima. Ha vinto le elezioni, sfrutta le fortune di
Andreotti, e’ fortissimo nel partito. Adesso, nel momento in cui il Pci
siciliano e’ allo sbando, scavalca tutti e propone alla Dc un’apertura
ai comunisti. Il nome di Lima, come Sciascia sa, ricorre qualche decina
di volte nei verbali dell’antimafia; adesso e’ quello del nuovo
candidato alla guida del “rinnovamento” cattolico. Unico ingranaggio
incompatibile, in questo meccanismo, e’ il sindaco Orlando: isolato,
sotto tiro, scomodo per tutti, e’ nondimeno il segno di qualche cosa;
bisogna passare su di lui prima di dar corso ufficiale alla
restaurazione. E Sciascia individua in Orlando, qui e ora, il politico
da contrastare. E’ suo diritto, naturalmente; e anche di Lima, del
resto; ognuno fa politica come puo’. Che «Sciascia non fa politica,
d’altra parte, e’ un mito da sfatare. Adesso, per esempio, Sciascia fa
sapere di avere il sostegno di quei sindacalisti palermitani che da
tempo cercano di opporre all’incontrollabile” (e indipendente)
coordinamento antimafia un loro piu’ malleabile comitato concordato fra
le forze politiche ufficiali.
(l’articolo continua, per leggerlo: http://www.cuntrastamu.org/mafia/speciali/falcone.htm: IL VATE E IL POTERE)
Infine, ecco cosa ne pensava Borsellino di Sciascia:
(spero che questo basti a comprendere una volta per tutte come valutare la faccenda relativa a quel famoso articolo e i successivi risvolti)
Per cominciare, siamo andati a trovare proprio lui, Paolo Borsellino, oggi procuratore capo di Marsala. La sua nomina a quell’incarico (nel gennaio ’87) rappresentò il cerino che diede il via alla polveriera.
—Sì. Io ero uno dei professionisti dell’antimafia. L’altro, in campo politico, era Orlando. Successivamente Sciascia, quantomeno con riferimento ai professionisti dell’antimafia in campo professionale, ritengo che abbia cambiato profondamente idea. C’è un’intervista poco conosciuta che Sciascia rilasciò al mensile palermitano Segno – credo nell’89 – in cui sosteneva che le sue idee espresse nell’articolo del Corriere della Sera, e in quelli successivi sull’onda della polemica innnescata dal comunicato del coordinamento antimafia (definì Sciascia un quaquaraquà, ndr) erano state parecchio travisate. Sinceramente debbo dire che non fui mai tanto convinto che le sue idee fossero state travisate, però ritengo che lui in seguito ebbe un ulteriore momento di riflessione. E soprattutto con riferimento ai professionisti antimafia in magistratura, cambiò profondamente idea. In quell’intervista a Segno sostenne a spada tratta di non essere stato capito a suo tempo quasi da nessuno. E diede merito a me – a suo giudizio: uno dei pochissimi – di averlo invece capito. Non aveva inteso indicare magistrati, ma aveva inteso criticare un certo metodo di comportamento del Consiglio superiore. A voler essere leali il senso dell’articolo sul Corriere era ben altro.
Attaccava lei?
—No. Non attaccava me. Mi citava come esempio di magistrati che facendo antimafia facevano carriera. Poi Sciascia, rimeditando sulla faccenda, convenne sul fatto che in magistratura con l’antimafia non aveva mai fatto carriera nessuno. Nè tantomeno l’avevo fatta io. Sono estremamente convinto della sua buona fede, e del fatto che lui abbia rimediato, arrivando ad altre conclusioni, anche perchè fu lui a dirmelo personalmente in un paio di incontri che abbiamo avuto, e in un paio di lettere che mi ha scritto.
Un momento. Questa è una novità: incontri, lettere, fra lei e Sciascia?
Prima gli incontri.
—Ero stato appena nominato procuratore a Marsala. E gli incontri avvennero uno a Gibellina, l’altro a Marsala. Era il gennaio 1988, un anno dopo la pubblicazione dell’articolo. Gibellina: fu in occasione del ventennale del terremoto del Belice. Incontro casuale, lui era relatore ufficiale in quella manifestazione. Io che c’entravo? Gibellina intanto era nella giurisdizione del Tribunale di Marsala. Ed è chiaro che intervenni come “autorità”… Sciascia in quell’occasione, lui, di sua iniziativa, mi ha avvicinato, mi ha detto…
Vi conoscevate?
—Mai visti: ci conoscevamo nel senso che io sapevo benissimo chi era Sciascdia, ci siamo incontrati… e Sciascia iniziò un discorso dicendo di questo suo articolo sul Corriere della Sera, e mi disse che era stato travisato, strumentalizzato in malafede da molti, mentre in realtà lui aveva inteso dire tutt’altro, e che assolutamente non aveva inteso indicarmi come esempio di professionista dell’antimafia. Aveva invece inteso indicare il Consiglio superiore della magistratura come esempio di autorità amministrativa che non aveva il coraggio di darsi certe regole e di decidere in conformità alle stesse. Cioè: ricordo che lui insisteva che il Csm si era data la regola dell’anzianità per gli incarichi direttivi.
Non osava cambiarla perchè questo disturbava il corporativismo diffuso fra i magistrati e per riuscire a nominare in taluni posti taluni che non corrispondevano a questo modello di regola faceva i salti mortali… Mentre invece sarebbe stato più onesto se il Csm avesse avuto il coraggio di cambiare le regole. In sostanza la posizione di Sciascia era questa: se voi ritenete che il criterio dell’anzianità non è un criterio valido, che vi può portare a fare scelte sbagliate, cambiatele queste maledette regole, abbiate il coraggio di cambiarle… A Gibellina fu uno scambio di battute, in mezzo alla gente. Cosa risposi a Sciascia? Quello che le dico ora io: su questa osservazione di Sciascia, su questa mancanza di coraggio, o di capacità del Consiglio superiore della magistratura di darsi nuove regole in materia, e di agire in conformità, concordo perfettamente.
Ma lei oggi è procuratore a Marsala. Stiamo parlando anche di questo.
—So bene che la mia nomina fu motivata arrampicandosi sugli specchi. Naturalmente non ritengo allora, nè ritengo ora, che Sciascia, nel suo articolo originario avesse voluto dir questo… Confesso che non glielo feci rilevare: io ebbi l’impressione che Sciascia, nel dirmi quello che mi disse, fosse profondamente imbarazzato nei miei confronti anche se mi parlava sinceramente riferendomi quella che era la sua opinione in quel momento del nostro incontro. A mio parere perchè lui sapeva che nell’articolo originario del Corriere aveva invece detto cose diverse. Bisogna riconoscere a tutti il diritto di cambiare opinione.
Comunque questi concetti me li ribadì, ribadendo che ce l’aveva con il Csm, a Marsala, in presenza del collega Alcamo… […] Anche durante quel pranzo Sciascia ribadì la sua tesi che il Csm da un lato non sapeva rinunciare a certe sue regole, dall’altro aveva fatto salti mortali per lasciare fisse le regole ma nominare me che ero meno anziano. In quell’occasione volle ribadirmi che con i suoi articoli aveva inteso criticare pesantemente quelli che con l’antimafia facevano politica. In seguito avemmo anche uno scambio epistolare. Due lettere che conservo ancora…
un’atmosfera di cordialità e di vera amicizia…
[…]
Fermiamoci un attimo. Torniamo ancora allo Sciascia che solleva pesantemente una questione comunque molto interna alla magistratura, che presupponeva una conoscenza approfondita di documenti del Csm. A suo giudizio, qualcuno richiamò intenzionalmente l’attenzione dello scrittore sulla sua nomina a procuratore di Marsala?
—Intanto, a mio parere, Sciascia era molto preoccupato di un fenomeno che io quel momento si era verificato. L’antimafia era qualcosa che politicamente rendeva, e conseguentemente, accanto a coloro che cavalcavano quella tigre perchè ci credevano c’erano anche molte persone che la cavalcavano per tornaconto individuale. Lui intese indicare questo fenomeno all’opinione pubblica come esecrabile. Il suo intervento ebbe quantomeno il merito di stroncare molte carriere di politici che stavano salendo su quel carro con troppa disinvoltura. Se Sciascia indicò insieme a questi protagonisti politici anche dei magistrati, ciò significa che probabilmente il suggerimento ci fu. Non so da parte di chi.
Ma so bene che all’interno della magistratura l’emergere di un gruppo di magistrati antimafia, che si erano cioè occupati sembra di questo tipo di indagini, aveva creato delle resistenze. A qualcuno non andava giù. Sono quelle stesse resistenze di cui c’è traccia nel diario di Rocco Chinnici: quando parla dell’atmosfera di ostilità che avvertì non appena iniziò ad occuparsi di mafia. E quelle resistenze non nascevano tanto da mancanza di sensibilità antimafia o addirittura dall’esistenza in magistratura di una sensibilità mafiosa. Ma dall’esistenza di una chiusura corporativa di una parte della magistratura che riteneva di finire in ombra proprio a causa dei professionisti dell’antimafia.
Se qualcuno volle imboccare Sciascia, se qualcuno volle dargli un suggerimento mettendogli in mano il bollettino del Csm, va ricercato proprio in quell’ambiente.
Da un’intervista per L’Unità, 1991.
http://www.cuntrastamu.org/mafia/speciali/falcone.htm
E sull’effetto dell’articolo, nel discorso del 25 guigno 1992, su Falcone:
“Ho letto giorni fa, ho ascoltato alla televisione – in questo momento i miei ricordi non sono precisi – un’affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. […]Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988,
se non forse l’anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell’articolo di Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” che bollava me come un professionista dell’antimafia, l’amico Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica.
Ma nel gennaio del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli.”
http://digilander.libero.it/inmemoria/falcone_isolato.htm
@fm
paolo liguori, a quei tempi “straccio” per la magrezza e i capelli lunghissimi, lisci come agretti, nel sessantotto faceva parte del gruppo degli Uccelli, capitanato da Paolo Ramundo e da Branca, di cui non ricordo il nome.
questo gruppo, molto ridotto, di persone, agiva creando eventi sul modello situazionista puntando, tra l’altro al ruolo di coscienza critica del movimento.
la lista delle azioni è lunga.
rimasero famose le visite nelle case degli intellettuali de sinistra.
forse avranno pure aperto qualche ombrello alle assemblee, ma in generale il loro agire era di un qualche impatto.
P. Ramundo tu mi fai gioir…
P. Ramundo, tu mi fai stordir
dentro le stalle a cuore a cuor
è tanto bello il nostro anor.
P. Ramundo tu sei la vita per me
P. Ramundo tutto il mio cuore è per te.
Nei tuoi stracci c’è tanta infelicità
più ti guardo e più mi piaci, P. Ramuuuundò!
Io invece ho cominciato diciottenne al giornale di sicilia dove lavorava il papi. Poi ho fondato la “Lega degli studenti per la rivoluzione”, sono stato corrispondente e redattore del manifesto, poi ho fatto il master alla Columbia University e ho preso casa a Central Park dirimpetto al maestro Sartori, poi me ne sono andato dal manifesto perché non apprezzavano la net-economy, poi quell’impertinente di P.Buttaveleno di me ha scritto che “i miei nemici dicono che passo tutto il tempo a telefono, i miei amici non dicono niente, perché stanno parlando con me”, poi ho fatto il corrispondente dell’Espresso e l’inviato per la Stampa e il Corriere della Sera, poi ho condotto Milano-Italia e Americana, poi quegli impertinenti di Micromega di me hanno scritto che “oggi i prototipi dei giornalisti di successo sono Barbara Palombelli e G. Riotta, simpatici e preparati, ma che se avessero potuto intervistarlo avrebbero trovato tracce di cordialità anche in Hitler”, poi mi sono tesserato al Council of Foreign Relations, poi me la sono presa con quel traditoro di A. Sofri, poi ho titolato “vince Kerry” e quello sì che è stato l’unico, grande errore della mia carriera, poi ho scritto romanzi anche in tandem con U. Eco e A. Tabucchi, poi dalla lega della rivoluzione sono passato alla lega glocale. Sono un moderato, sono il primo vero uomo con la frangetta del partito democratico.
@Riotta
la tua non è una frangetta, è un casco paraurti.
Qualcuno ha qualcosa da ridire sulle frangette democratiche e lo scudetto vinto dall’Inter?
@ fm
tu dici:
“noooo. mica non lo so, e ci risiamo, che cosa sono (diventati) i meridiani. era un dato, un dato di fatto. non c’entrano solo i diritti. c’entra la percezione, la ricezione di un autore. le scelte, le mode, le strategie editoriali, le traiettorie della critica, l’orientamento della lettura.
e, ancora una volta, non basta il dato degli editori di fama, e solerti, e rapaci (come adelphi), nel senso di bravi editori-imprenditori che stampano, e continuamente ristampano i testi di sciascia (sempre quelli, se vedi bene: che ne è di nero su nero? persino l’affaire moro….). temp: precisione! ”
C’è tanta di quella roba vaga e ammiccante in queste tue righe che se il tuo intervento vuole una risposta me la dovresti gentilmente decriptare.
@galbiati
ho letto solo adesso per intero i tuoi lunghi interventi, certo che metti in riga, sembra di dover rispondere a un’interrogazione, e mi è venuta la curiosità (senza secondi fini e se non mi rispondi non me la prendo, mi interessano i toni di voce), insegni a scuola?
Sciscia era senza alcun dubbio quello che i siciliani chiamano un “capobastone”. Gli puzzava la cultura (professionalizzata) dell’antimafia semplicemente perché lui – e ne soffriva -… non l’aveva.
Pochi altri scrittori “romani” (come tutti i siciliani, nella Capitale era nato come intellettuale e scrittore di successo) hanno mostrato una così forte inclinazione all’isolamento guardingo, alla relazione familistica e all’inquinamento delle prove. Ha tentato in più occasioni di “finire” gli scrittori che non gli piacevano (compreso D’Arrigo, lo dico per enricodelai…) con spietato cinismo.
Ah, e naturalmente è stato un grandissimo scrittore.
un “capobastone”.
@fm. Istruiscimi, tu che hai studiato. Pendo dalle tue labbra.
Dallo scrittore osteggiato di La Rocca al grandissimo scrittore mafioso che cercava di “finire” gli scrittori che non gli piacevano con spietato cinismo.
Divertitevi tra voi, se ci riuscite.
Ma forse è tutta una storia tra siciliani in cui noi continentali non dobbiamo metter bocca.
Sciascia si sarebbe incazzato per l’indulto. E non avrebbe avuto timore ad esporsi. Sì, certo, giocava su una pedana stabile, grazie alle copie vendute dai suoi libri. Ma aveva coraggio. Del resto lui stesso ammise di non avere “il dono dell’opportunità e della prudenza, ma si è come si è”. Spesso oggi si fanno discorsi peregrini sull’assenza di maestri di pensiero. Non è questo il punto. Non ho alcuna intenzione di santificare Sciascia, ma è un dato di fatto: oggi chi ha la visibilità che lui aveva allora non muove un dito, una tasto del PC (sto parlando di letterati che scrivono sulle pagine di quotidiani e settimanali con tirature vertiginose) per schierarsi contro l’indulto. Sciascia lo avrebbe fatto. Oggi invece ci dobbiamo accontentare di Beppe Grillo e del suo blog. Punto.
Ah, fm, scusa per l’ennesimo ragionamento semplicistico, binario e liricamente impegnato.
@La Rocca
ma i “letterati che scrivono sulle pagine di quotidiani e settimanali con tirature vertiginose” non hanno l’autorevolezza di Sciascia, né il suo impegno civile.
Sono quasi sempre semplici prestatori d’opera intellettuale. Del resto, dai tempi di Sciascia a oggi molte cose sono cambiate, le pagine culturali del Corriere della sera ad esempio sono finite dopo quelle economiche e anche dopo le lettere al direttore. Mi chiedo chi ci arriva, a parte i pensionati.
Forse sono molto distratto.
Mi sembra che su questo sito, LA POLITICA non sia abbastanza presente.
Ma come?, abbiamo scrittori e intellettuali di vario genere, persone che insomma potrebbero (forse) dare una lettura profonda dell’attuale politica italiana. E invece?
Berlusconi non è più il Presidente.
I primi mesi del governo Prodi.
Il decreto Bersani, le liberalizzazioni.
Non potrebbero essere questi argomenti oggetto di post?
Non è forse un’occasione sprecata non parlare di queste cose?
(Cioè, vanno bene i post sull’idea di romanzo e via così, però però.)
(Sì, è un O.T.)
@ giorgio
“abbiamo scrittori e intellettuali di vario genere, persone che insomma potrebbero (forse) dare una lettura profonda dell’attuale politica italiana”
nomi, please.
@la rocca
prego. forse dovresti dedicarti piuttosto alle castronerie di marco v. (un altro che vedrei bene su dagospia).
lo sai che una sezione intera della vecchia edizione del sito dedicato a sciascia (amicisciascia.it) raccoglieva tutte i resoconti delle polemiche che in vita e post mortem toccarono il nostro? a parer mio, come per il tuo post, non si faceva un grande servzio: era solo cassa di risonanza e allestimento, ancora una volta, di santini e santuari, oppure pretesto per un gioco al rilancio di vecchie ruggini, diciamo così. certo è che, forse escludendo pasolini, il tuo autore è nel secondo novecento il bersaglio più cercato e battuto. perchè? basta la tua requisitoria ‘militante’ contro la banda di timidi fatta di intellettuali e quotidiani, oggi in italia? secondo me nel tuo post manca lo sfondo, l’ottica generazionale, e tante altre cose. ma forse è una mia svista.
@ temp: più chiaro di così non mi riesce. tu dici: è letto, ha tanti lettori, questo basta. io ti dicevo: è vero, lo pubblica di continuo anche adelphi. ma non è il caso di capire, anche sulla base di quanto si produce qui su, come viene letto, quanto e come è conosciuto, riletto, divulgato (la ricezione e la percezione di un long-seller)…? ammicco? ammicco. sarà.
I nomi, sono quelli di chi posta su nazione indiana. Tutti, dico. Senza esclusioni (è un appello ai gestori del sito, una richiesta di correggere il tiro di una ideale ‘linea editoriale’ ).
Da quello che mi sembra di capire, questo è un sito non di pura letteratura, ma con aspirazioni di maggior respiro.
Sì?
@fm
(sto sempre qua perché dovrei lavorare e non ho voglia, mannaggia)
“tanto raimo, per dire, poco sciascia; l’ultimo ferroni aggiornato: non una riga; molto manganelli, sempre molto calvino, molto jorge louis (garufi), poco sciascia.”
Dunque parli di NI. Bisognerebbe chiedere a loro, ma manganelli e calvino io li ho visti citati solo nei commenti, se non ricordo male. NI, anche se a volte passo lunghi periodi senza venirci, mi sembra più orientata all’oggi, dunque è chiaro che vengano postati autori giovani, o cmq che scrivono ora. Non è la sede di riletture critiche, a meno che non coincida con l’interesse di un indiano particolare. E di questo, scusa, non si può far torto a nessuno. La mia impressione è che NI non abbia una “linea”, ma viva delle predilezioni o delle urgenze e delle curiosità di ogni singolo indiano.
E’ un difetto? Un pregio? Non so. ma dietro non vedo un disegno antisciasciano, come non lo vedo dietro le scelte degli editori.
Quella cosa sui diritti, come sai non è banale. I Meridiani sono fatti con gli autori di cui la Mondadori dispone o può disporre dei diritti. Non è la collana nazionale dei classici, è la collana dei classici Mondadori. Se fosse una collana nazionale dentro ci starebbe per esempio, oltre che Sciascia, la Ortese, che però è di Adelphi, e non credo che vorrebbe mollargliela. E faccio il primo esempio che mi viene in mente.
E del resto, non si può costringere il cavallo a bere, magari si può cercare di capire perché non beve, tu evidentemente ti sei fatto un’idea del perché non beve, qual’è? Io non l’ho capita.
Adesso però mi faccio forza e mi metto a lavorare, maledicendo Adamo Eva e la mela maledetta.
@temp
i nomi: Alfonso, per dirne uno. Adriano, per dirne un’altro. Geminello, un altro ancora. Ma vedi tu dove sono finiti i cognomi.
Ci sono quotidiani ancora divisi per compartimenti stagni: reporter che smascherano i nigeraffaire manco fossero Thelma e Louise; salottiere imperlinate insider del palazzo; pagine di cultura oceaniche sui nuovi barbari. A ognuno il suo. La sua pagina, le sue cartelle, la sua pagnotta.
Altri invece hanno capito che non c’è più differenza tra interni esteri politica religione economia cultura, e che tutto è scrittura. Così raccontano il decreto Bersani come se fosse un romanzo sui tassinari oppure l’Isola dei Famosi come se fosse poesia in prosa.
Ti ricordi quello che dicevi sulle università sbrindellate nelle specializzazioni, tipo passare da un’aula all’altra, dalla teoria della letteratura atzeca a storia dei contadini profughi moldavi?
Una volta, invece, si azzannava un autore, un tema, e non lo mollavi più per tutto il semestre. Fortuna ha voluto che trovai una prof che ragionava ancora così: allora non capivo bene perché mi cancellava pagine e pagine della tesi, zac, zac, questo non va bene, questo non c’entra, questo spostalo in nota. E mi ci vollero un paio d’anni per assestarmi, a occhio e croce, su titolo indice e bibliografia strutturata.
Ma senti questa: “Una volta in ogni semestre c’era un cosiddetto dies academicus, in cui i professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell’intera università, rendendo così possibile una vera esperienza di universitas: il fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell’unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva”.
La fonte di codesta citazione mi chiede di mantenere l’anonimato per non scatenare altre rivoluzioni. Che oggi a parlare di “tutto”, di “ragione” e di “responsabilità” ti prendono per uno della prelatura di Escrivà. Molto meglio il Termidoro postmoderno, no? Tipo “l’impatto” e “l’agire” di chi apriva qualche ombrello, no? Sarà che gli ha portato sfiga, aprire ombrello, visto dov’è e com’è finito.
come hai visto, non c’è un movimento critico antisciasciano, se non per quello che attiene alle faccende stranote della pubblicistica e delle polemiche anni ’80. magari ci fosse sul piano critico, sul piano delle predilezioni esibite e articolate, delle stroncature non taciute ma meditate, delle riserve espresse ma ‘macinate’ con pazienza di studio e di letture. niente di tutto ciò: silenzio, oblio, oppure vecchi refrain che non fanno il gioco del tempo, non fanno un servizio al lettore che vuole leggere o ha già letto qualcosa di sciascia, anzi lo bloccano e lo confinano nella sicilia ‘tagliata fuori dalla cultura europea’, come diceva gentile…
ti invito poi a riflettere non su NI, la cui linea redazionale, è cosa nota, è plurale polimorfa intermittente, direi arbitraria (senza polemiche). pensa alle firme autorevoli o ai giovani che qui o altrove ‘fanno’ la critica, ‘fanno’ la scrittura e ci invitano alla riflessione, ci offrono degli stimoli. oltre al nuovo ci sono le generazioni che abbiamo alle spalle, conflitti e aporie lasciate irrisolte, aperte. prendi settanta di belpoliti, che inizia proprio da sciascia, in quel fatidico 1978 dell’affaire moro, per poi tralasciarlo a vantaggio di altre ricostruzioni, altre voci, altre figure (come arbasino, parise, manganelli, l’onnipresente calvino). è solo una questione di ‘gusti’?
e poi io mica faccio il sindacalista di sciascia, tanto meno l’apologeta, è solo che mi sconcertava la poca memoria e l’altrettanto superficiale competenza o dimestichezza o capacità di aggiornameneto che abbiamo dimostrato di avere quando s’è avuta l’occasione di rispolverare un po’ i mobilii e di parlare di un ‘grande scrittore italiano, coscienza civile della nostra generazione’. stiamo bene!
non voglio vaticinare nessuna soluzione, è una questione di traiettorie e di movimenti della critica e della nostra voglia, attitudine o capacità di leggere tra gli autori del nostro passato prossimo (e sciascia, mi pare, sta in buona compagnia: vedi volponi…). da qui, ancora una volta, a farne un santino o un panda da proteggere e compatire, venerare o trattarlo come un cazzone schifoso, ambiguo e carogna (da don mariano arena a borsellino…), ce ne passa.
una traccia? una storia (sociale e letteraria) della nostra cultura, della nostra editoria, della nostra ‘pubblicistica d’autore’ a partire proprio dalla generazione cui sciascia appartiene: non solo pasolini e calvino, insomma, ma fortini, primo levi, volponi, manganelli, e via via fino all’altro ieri. non se ne vede l’ombra. è un bel vuoto, e arriva fino a oggi. ora aprirei un bell’ombrello, per protesta.
@roberto
“Tipo “l’impatto” e “l’agire” di chi apriva qualche ombrello, no? Sarà che gli ha portato sfiga, aprire ombrello, visto dov’è e com’è finito.”
mi pareva di aver scritto che, nella vicenda sessantottara degli Uccelli, la storia dell’apertura degli ombrelli è marginale e non verificata.
liguori non è finito molto diversamente da molti altri, e anzi c’è chi è finito molto “peggio”.
se poi ci spiegherai, al di là delle tue amarezze – comprensibili visto che ci hai messo due anni a scrivere titolo e bibliografia della tesi, sono cose che segnano – cosa sarà mai il termidoro post moderno, e te lo chiedo senza ironia.
magari se lo fai a parole tue senza riportare intere annate del NY times, è meglio.
e già, un vero testone.
Due anni, pensa tu.
“a parole tue”.
Perchè non riusciamo a guardarci da fuori?
nei commenti ci sono alcuni che la prendono troppo sul serio. E andatevi a divertire!
Il termidoro sono io.
Perché invece non (ri)parliamo di identità?
@ Lorenzo Galbiati
Falcone spiegava cos’è la mafia con questa battuta (credo non sua): al concorso per un importante posto pubblico si presentano in tre. Il primo è preparatissimo, il secondo è amico di politici importanti, il terzo è uno stupido e vince il concorso. E concludeva: questa è la mafia.
Orlando è stato un politico ingenuo (non stupido, ma ingenuo si). Ad esempio: la “stagione dei lenzuoli” è stata importantissima, ma l’elezione plebiscitaria di orlando a sindaco, tenuto conto della percentuale di astensioni altissime, non fu maggioritaria. Orlando si illuse di aver già conquistato alle sue posizioni (anti-andreottiane, anti-limiane, giustissime) la maggioranza dei siciliani (igorando il segnale del comune di Catania). Su queste basi sopravvalutò la capacità di attrazione della Rete siciliana, e pose le premesse per il tracollo elettorale del ’94. Potrei continuare. Orlando ha bruciato, per sopravvalutazione del proprio fiuto politico 8lo stesso poptrebbe valere per Occhetto negli stessi anni) quanto di buono aveva costruito: e questo bisogna che ce lo diciamo, perché la sucessiva stagione del riflusso, del “basta con i lenzuoli”, dei Cuffaro (che sono cresciuti all’ombra di Orlando, con molta pazienza, senza che Orlando ne percepisse il pericolo: anche Orlando avallò, assieme a Dalema, il passaggio di Cuffaro al centrosinistra ai tempi del governo Dalema-Cossiga, grazie al quale Cuffaro ha potuto poi candidarsi alla presidenza della regione, non essendo più credibile una sinistra che òlo aveva accolto e legittimato solo pochi mesi prima), l asuccessiva stagione, dicevo, ha trattenuto come unica eredità politica il “caudillismo dolce”: ma con i grandi nomi non si strappa una regione alla mafia, se dietro si è disperso il lavoro politico di un decennio. Decennio nel quale le reali rendite della mafia – edilizia, riciclaggio, mercato del lavoro, ecc. – non è stato minimamente intaccato. Poi possiamo essere d’accordo sul fatto che sia probabilmente una brava persona (non lo conosco di persona, ma sono disposto a pensarlo): ma se il governo-Orlando di Palermo non ha cambiato le cose nella sostanza, se il patrimonio di entusiasmo della Rete è stato sperperato a partire dai personalismi e dai leaderismi di basso cabotaggio (come i veti della componente ex-PCI all’ingresso di Mario Capanna, ecc.), se a parte Palermo i candidati della Rete sono stati sconfitti (vedi Dalla Chiesa contro Formentini), vuol dire che una politica è stata sconfitta, a dispetto delle sue buone intenzioni. Non sto dicendo – lo ripeto – che Orlando abbia fatto la quinta colonna: quelli come Cuffaro sono stati più bravi di lui, e non possiamo non chiederci dove e come si è sbagliato.
Sommessamente avanzo una ipotesi: sarebbero serviti meno personalismo e più fiducia nella capacità autopropositiva dei siciliani, meno “infallibile fiuto politico” e più immersione nei bassifondi della società avrebbero aiutato, meno creduloneria nei sentito dire (ricordi quando, all’arresto di Totò Riina, Fava e Orlando sostenevano che la vecchia mafia era ormai sconfitta e la nuova mafia era costituita dalle mafie cinesi e dagli stiddari? io si, me lo ricordo) e più umiltà nel paziente lavoro di interpretazione della realtà mafiosa fatto da altri (da Falcone, per dire, fino ai tanti bravi cronisti siciliani) sarebbero stati salutari.
chiedo scusa a tutti del mare di refusi nel post soprastante
g.
L’identità è liquida come il piscio, sì sì….
Questo è un argomento troppo complicato. Qualsiasi cosa si dica, vale il contrario. Qualsiasi cosa si faccia, sarà criticata. Peggio, qualsiasi cosa si pensi, può essere onestamente ribaltabile.
Sono siciliana e vivo in Sicilia.
La mia esperienza lavorativa con una persona dello staff di Orlando è stata sufficiente a farmi capire quanto segue: supponenza, arroganza, la figa ce l’ho solo io, purismo di facciata e soprattutto, se mi permettete, uno spaventoso provincialismo.
Anche se si parlava di sarde a beccafico, c’era solo Orlando grande cuoco. Ogni argomento del mondo, anche una gita al mare, diventa l’apoteosi di Orlando supermarinaio. Un monotematismo da cartella clinica. Gente che non ha mai visto la struggente immensità del deserto. Se mi permettete, ci sono contenuti nella personalità che vanno valutati, al di là anche della politica.
@temperanza, ci hai azzeccato, sono un docente di liceo (scienze).
@girolamo
se mi dici che Orlando come politico ha fatto degli errori, come attesta il risultato della Rete del ’94, non ho nulla di ridire: anch’io ci rimasi male e pensai che il personalismo di Orlando non favoriva la diffusione della Rete in tutta la penisola (peraltro gli ho sempre preferito dalla Chiesa che però come politico, o meglio comunicatore e stratega, è ancor meno bravo di lui: troppo timido, troppo professore).
Ma se imputi a Orlando il prosperare della mafia (involontariamente, come dicevi nel tuo precedente commento) o dei Cuffaro, non ci sto più.
Forse dovresti chiederti cosa facevano i capi dei DS o dei popolari per combattere la diffusione della mafia. O per fare eleggere dalla Chiesa. O è colpa di Orlando pure la sconfitta di dalla Chiesa? Non è forse che molti milanesi sono dei pirla – da milanese posso dirlo – ? O si riconoscono meglio in un uomo pratico e alla mano come Formentini? E pensi forse che la sinistra di apparato ami gente come Orlando e dalla Chiesa?
Insomma facciamo tutte le critiche che vuoi ma prova anche a chiederti cosa sarebbero state Palermo e l’antimafia politica senza l’attività di Orlando, che a me non pare proprio non abbia lasciato segni a Palermo (fu anche rieletto sindaco due volte nei ’90), in Sicilia, e anche in Italia.
(Peraltro, sai quanti riconoscimenti internazionali ha preso Orlando per il suo impegno contro la delinquenza organizzata e per la città di Palermo?)
Insomma, facciamo tutte le critiche che vuoi ma non accetto un discorso – e il tuo rischia di esserlo – secondo cui la colpa del prosperare della mafia è dovuta agli errori (ingenuità, dici tu) del principale esponente politico dell’antimafia, persona osteggiata e scomoda per tutti i più importanti esponenti politici di partiti suoi alleati. Chiediamoci piuttosto cosa avrebbero potuto fare questa persona o la Rete o i suoi compagni di strada se la DC e la sinistra dei partiti si fossero mobilitate per sostenerli.
Mi fermo, siamo OT da un pezzo.
Se vuoi continuare, lorenz.news@tele2.it è la mia mail.
@missy
conosci una fan di Orlando con delirio di adorazione: ma c’entra questo con la politica o la persona adorata? O è Orlando ad averla ipnotizzata? ;-))
@Roberto
Giorgio chiede una “lettura profonda dell’attuale politica italiana” agli indiani e anche mi par di capire ai commentatori.
Io non saprei darla. Non sono un’indagatrice di quel genere. Vedo sintomi, cerco di capire, cerco di vedere anche qual’è il disegno che sta sotto le cose, ma al semplice cittadino come io sono servono intelligenze (e fonti) più ampie e più articolate. E la capacità di leggerle, quelle fonti. Capacità che io non ho.
Io credo che abbiamo una visuale molto ridotta delle forze in campo, credo che i governi governino solo alcune di quelle forze, e che molte di quelle che determinano i nostri destini, e quelli di popoli ridotti alla fame e alla schiavitù, sulle cui spalle viviamo, ci piaccia o no, non siano neppure lontanamente alla portata dei nostri governi.
Penso che non siano neppure indicabili con nome e cognome. Conosciamo alcuni nomi, questo è vero. Io penso che Bush sia un fantoccio in mano a criminali molto più grandi e più potenti di lui. Chi ha in mano il petrolio, il governo americano? Non credo proprio. Non in quanto tale. Mi piacerebbe che fosse possibile andare alla fonte e conoscere i nomi occulti che governano le grandi compagnie. Non solo petrolifere.
L’immagine che ho davanti agli occhi è quello di una grande alluvione che cerchiamo di ostacolare portando ognuno il suo risibile sacchetto di sabbia.
Quanti sanno che cos’è il WTO?
Quanti sanno quale politica fa?
Quanti sanno come sono protetti i nostri prodotti agricoli?
Quanti sanno che cosa comporta la difesa delle nostre aziende agricole?
Quante vite umane sacrifichiamo per mangiare una bistecca?
Quanto costa in termini di vite umane il riso delle nostre risaie?
Adesso se ne trova anche in eleganti barattoli sotto vuoto, l’ho comprato ed è eccellente. A quante bocche l’ho tolto per mangiarlo con tanta soddisfazione?
E del resto, se non proteggessi i nostri produttori di riso, che ne sarebbe di loro? Diventerebbero solo meno ricchi o dopo un po’ farebbero la fame?
Quali domande si fa il ministro dell’economia di un paese come il nostro? Può farsi domande come queste? Non credo proprio. Sarebbe paralizzato dall’impotenza.
In un vecchio film, alla fine il solito agente della Cia diceva con aria beffarda al protagonista, vai, vai pure a dare le tue carte al NYT, quando farà freddo e servirà il petrolio vedremo da che parte sarà il popolo americano.
Comunque sono d’accordo, dovrebbero alzarsi voci più ferme, e più numerose. Ma sapendo che se le grandi compagnie, e non solo petrolifere, decidono di imporre la loro politica, quello che facciamo è troppo poco.
Da questo punto di vista anche la mafia è solo un frammento in un ordine che ci sfugge.
Forse sono andata fuori tema, ma mi ci avete portato.
@fm
tu hai ragione, ma sciascia si metteva in gioco anche oltre la letteratura, è lui che porta ad allargare il discorso.
Lo dico pur essendo una che si interessa principalmente di letteratura.
@galbiati
be, almeno una cosa la so fare, ho un buon orecchio:–)
@Lorenzo.
Si dà il caso che quella persona “fan” di Orlando, sia un dirigente di una Amministrazione pubblica, e come tale ha un bel potere, che dimostra di voler/saper esercitare. Ti dico solo che, per esperienza quotidiana, ho a che fare in Sicilia con politici e amministrazioni di destra e di sinistra. Purtroppo per me, in tali ambienti, non è mai facile capirne la differenza e comunque non mi sento moralmente onesta se dovessi dire che i personaggi di sinistra siano più nobili degli altri. Anzi, hanno una bella facciata ideologica a proteggerli.
Quanto all’ipnosi… forse la tua battuta non è poi così assurda! :-))
@giorgio
cos’è che vuoi puntualizzare esattamente?
non è detto che i letterati siano intellettuali, non è detto che gli intellettuali siano politici, non è detto che i politici siano militanti ed eversivi.
Credo che di filosofi e pensatori eretici da Marsilio da Padova in poi ce ne siano stati molti, tutti accomunati non tanto da doti di acutezza o di impegno, quanto da un carattere decisamente eversivo e critico rispetto alla cultura dominante a loro contemporanea.
Questo è un profilo che non si puo’ pretendere, ne imparare, ne imporre. Certamente la politica italiana sta assumendo connotazioni particolari, che oltre al cambiamento di colore, inducono a suppore la possibilità di cambiamento di metodi.
Intanto una maggiore apertura agli scenari itnernazionali, che automaticamente inducono ad un’ottimizzazione, verticalizzazione e ampliamento nelle gestioni, tan’è che il sistema economico-politico delle cordate creative sta saltando in tutte le sue declinazioni.( cirio, parmalat, telecom, calcio,..)
Il nodo è quindi capire il momento e l’opportunità di grande svolta che cio’ comporta, svolta metodologica, non di coalizioni.
Non c’è molto da denuciare o polemizzare, quanto spingere sugli accelleratori economico-sociali perchè inneschino detonazioni in grado di apportare piccole rivoluzioni culturali e quindi politiche-economiche.
Credo che l’elemento facilitante sia appunto l’internazionalizzazione delle imprese private, la nazionalizzazione dei servizi pubblici, evitando come la lebbra queste forme bastarde di economia fallimantare che privatizza il credito e nazionalizza il debito.
@temp (a braccio, perdona la nuvolosità del messaggio)
1) “Io penso che Bush sia un fantoccio in mano a criminali molto più grandi e più potenti di lui”; 2) “Quanti sanno che cos’è il WTO?”;
3) “Quali domande si fa il ministro dell’economia di un paese come il nostro?”. Meglio complicare queste domande. Complicare più che semplificare. Interrogare senza rispondere. Moltiplicare le prospettive piuttosto che cercare punti di vista. Lasciamo l’interpretazione ai professionisti del bloc notes e della telecamera in spalla. Nel mio piccolo preferisco la fiction alla realtà, “la pretesa di veridicità” che porta alla “mistificazione e al pervertimento della vita” come ha scritto stamattina Nicola LaGioia.
1) Pare assodato che Bush sia un fantoccio. Ma si può distinguere tra idealità politica e interessi economici? Il Cespuglio Rinato è figlio dei petrolieri, come dici. Le mani in pasta del suo entourage e la sua provenienza texana lo confermano. Ma c’è anche una mistica nativista del Texas che non può essere derubricata ai pozzi di oro nero, ed è il West, la Frontiera, le Posse evocate da Perle. Bush è uno che da anni riesce a parlare al cuore degli americani evocando queste ‘idee’: parla all’America profonda, alla Bible Belt che l’ha rieletto, a quella prevelenza di americani conservatori che non appaiono nei film di Moore (stesso discorso per la rimonta berlusconiana alle ultime elezioni; anche il Cavaliere parla a un ‘popolo’ che non appare – se non come macchietta da ridicolizzare – nei film di Moretti). Le parole del presidente sono ‘idee’, non solo semplici slogan. E da Barry Goldwater in poi queste parole vengono preparate e promosse attraverso un imponente network di tv, radio, giornali, istituti di ricerca, che è diventato sempre più ramificato, ma che non è segreto, anzi, agisce alla luce del sole. La sinistra e i liberal americani, da Hillary Rodham Clinton a Obama Barack, stanno provando a offrire lo stesso tipo di risposte ma, a quanto pare, non hanno ancora convinto nè il loro elettorato tradizionale nè quello del campo avversario (Kerry che tentennava tra Iraq sì e Iraq no, Medicaid sì Medicaid no). Il presidente Clinton, insomma, è stato una specie di miracolo in un ‘cappotto’ repubblicano che dura (almeno) dai tempi di Regan. Insomma, se Bush è un fantoccio è un fantoccio con delle idee: la battaglia contro ‘l’islamo-fascismo’, per esempio, negli Usa non è certo monopolio delle destre, e in un certo senso lo stesso discorso vale in Europa. Interrogarsi sulla nozione di ‘radicale’ sarebbe un bell’esercizio.
2) E’ vero, ci sono delle organizzazioni sempre più burocratizzate, anonime e sovranazionali. Ma con che cosa vengono identificati il WTO eccetera? E cosa si muove nel nostro stomaco quando evochiamo il G8? Chi sarebbero i grandi burattinai della finanza internazionale? In un’ottica cospirazionista la risposta è molto semplice e copre l’intero spettro politico, da destra a sinistra: il nemico è la sinarchia, il governo-ombra teorizzato da Orwell. Gli agenti-banchieri della Serenissima che, passati in Olanda, solcando i mari sulle navi dei corsari, sono sbarcati al n. 10 di Downing Street e attualmente controllano la nuova “guerra dell’oppio” (il narcotraffico), l’industria del rock e dell’intrattenimento, le stesse chiavi della Casa Bianca. La chiamano sinarchia perché, ovviamente, i cospirazionisti non hanno le palle di chiamare le cose con il loro nome. Dicono imperialisti ma pensano a un’etnia in particolare. A te scoprire quale. Il bello è che a queste teorie credono in molti, in tanti, in troppi. Chi alimenta e rende verosimili queste teorie? Chi spaccia fregnacce? Se ti va, uno dei puttanieri io l’ho pescato. Ti spedirò per posta un soggetto che sto compitando, sarei felice che gli dessi un’occhiata.
3) complicherei la terza domanda con un citazione: “Angelo Rovati e il banchiere Claudio Costamagna, ex top manager di Goldman Sachs, sono molto amici: la scorsa settimana Costamagna è stato testimone di nozze, insieme a Prodi, di Angelo Rovati. Costamagna è legato a Prodi da sempre, ne sostenne la nomina nel board di Goldman Sachs (…). In queste settimane, sotto l’ombrello di Palazzo Chigi, Rovati ha fatto il consigliere del presidente del consiglio e Costamagna il consigliere di Rupert Murdoch, capo di una multinazionale dell’Informazione, New Corps, che trattava con Marco Tronchetti Provera un’alleanza con Telecom”.
Tradotto: il piano di scorporare Telecom per appianare i debiti di Tronchetti è venuto dall’interno della presidenza del consiglio. Ma le dichiarazioni di Prodi che abbiamo sentito in tv andavano esattamente nella direzione opposta.
Scrive Gianni Boncompagni: “Nei bar, negli uffici e negli stadi non si parla d’altro, Tronchetti Provera e la sua appassionante Telecom Story è la vera star di lunghe e appassionate dispute tanto che è allo studio una fiction e forse un reality con con grande felicità di Tronchetti medesimo”. Chi lo condurrà? Afef? Maria De Fox? Lavinia Borromeo in Santoro? Come spero abbia notato anche l’amico Tash, la mia unica “pretesa di veridicità” è la risata che li (ci) (mi) seppellirà.
@ Roberto
Ti dò ragione, anche dietro le tragedie del novecento c’erano delle idee, e idee condivise, o almeno servite su un piatto attraente in modo che fossero appetibili. Penso che Bush sia un fantoccio perché sebbene con poche e semplici idee sappia colloquiare con una certa America, sono certa che la linea non la dà lui. Lo guardo sempre nei filmati dei momenti di crisi, le sue esitazioni, quegli occhietti fissi di uno che resta immobile perché ha imparato a non scoprirsi per non fare errori prima di ricevere l’imbeccata.
E ti do ragione anche sul complottismo, io non sono mai complottista. Non penso che ci siano grandi burattinai, come non ho mai pensato in passato che ci fosse il grande vecchio di cui tanto favoleggiavano i giornali, nè che ci sia un solo Bin Laden. Credo che ci siano piccoli medi e grandi burattini che agiscono in un teatro dei pupi planetario, ognuno a causa della sua pochezza, del suo esclusivo desiderio di mantenere il posto, di fare carriera, di guadagnare uno stipendio più alto, di diventare direttore, vice presidente, presidente di qualcosa, prima piccola, poi grande poi gigantesca. E questi burattini devono avere una figura carismatica, che faccia da reagente, un modello, un politico di riferimento che offra loro una qualche idea, se non una visione, in cui identificarsi, perché sono troppo intelligenti per poterne fare a meno. E soprattutto questa figura carismatica devono averla davanti, per farli sognare, i loro elettori. Credo che la spersonalizzazione e la burocratizzazione degli organismi internazionali sia deleteria perché manca il controllo da parte dei cittadini. Ma non sapremmo neppure come esercitarlo, e questo vale per tutti, i buoni e i cattivi.
Io sono molto curiosa, e così quella gente in passato l’ho sfiorata – adesso è molto che mi sono ritirata a vita meditativa, ma qualche racconto ancora mi arriva – non nelle sedi acconce per capire, ma sfruttando le mie relazioni, a qualche matrimonio, a un paio di cene o altro, a destra e a sinistra. E’ molto difficile pensare che siano dei cospiratori quando li vedi in faccia, spesso non sono neppure troppo goffi culturalmente (tra l’altro quella etnia (etnia?) di cui tu dici non era rappresentata), sono grandi professionisti, grandi manager tutti concentrati a dare il meglio professionalmente, a fare bene il loro lavoro, razionalizzare, fare profitti. Visione non ce n’è che non sia di questo genere. Spesso hanno un autore preferito, (possibilmente romano, o cinquecentesco, i greci riservano qualche difficoltà, ma se greci devono essere, allora Platone), amano l’arte, i più sofisticati quella moderna, fino a Fontana, o i macchiaioli se sono un po’ più provinciali. Vanno alla Scala e adorano la musica, possibilmente l’opera, in palchi presidiati dalle mogli, dove possono arrivare tardi e dormicchiare. Hanno una cultura liceale, perché l’università che hanno frequentato è stata quasi sempre tecnica, ma alcuni vecchio stile e vecchi di anni hanno magari una laurea in lettere o filosofia, mosche bianche.
Non li vedo complottare, salvo i criminali, li vedo lavorare ciecamente, senza chiedersi cosa succederà tra trent’anni, a loro e a noi.
Spero di non essere diventata lirica:–) se fossi un romanziere avrei un sacco di materiale, invece nel mio caso è buttato.
Comunque spedisci
temperanza@katamail.com
se è breve lo leggo subito, se è lungo non prometto niente perché ho cumuli di arretrati.
Platone. E’ lui uno dei Grandi Vecchi.
Spedisco quando finisco.
Grazie e a presto.
invece Aristotele, suo figlio, è il nuovo giovane.
“il tono usato da Oriana è una via di mezzo fra quello di uno stupratore e quello di uno stupratore di fronte alla Fallaci”.
http://www.macchianera.net/2005/06/03/francesco_rutelli_intervista_s.html
la “cagna” di Bush:
http://tiramenti.blogspot.com/2006/05/la-cagna-di-bush.html
“ahahah quanto godo..giuro che quando questa cagna rabbiosa muore mi stappo una bottiglia di champagne e do un party a casa!”
http://obi-wan.kenobi.it/fun_news/archives/000118.html
cagna e puttana:
http://italy.indymedia.org/news/2005/09/864049.php
Ne abbiamo dette tante, da viva, ora pero’, che l’evento apocalittico l’ha ridimensionata, trovo fuori luogo qualsiasi forma di sciacallaggio.
Quindi rispetto, perchè il rigor mortis, ci equipara tutti.
“Con Oriana Fallaci se ne va una giornalista coraggiosa, una scrittrice libera. Le sue interviste e i suoi reportage hanno aiutato generazioni di italiani a comprendere i fatti del mondo, a conoscerne le storie”. (Walter).
@ magda
hai perfettamente ragione, questi insulti sono un segno di inciviltà
“(…) a proposito, oggi sono venuta qui per dire a voi, falsi pacifisti, che state qui giovani e belli, che vi baciate e vi abbracciate, quanto è faticoso abitare al 38simo piano di un attico di Manhattan, per non parlare dello scrivere romanzi per anni e anni senza esserne capaci, con trecento personaggi tutti uguali che poi son sempre tutti uomini tranne una cavalla, che alla fine son sempre io stessa e vi confesso che non ne posso più”.
Voce dal pubblico: “Che ti venisse un cancro!”
(Sabina Guzzanti davanti ai delegati del Social Forum di Firenze, 2002)
Con Oriana Fallaci muore una persona che si è impegnata con militanza e narrazione in cio’ in cui credeva lei, che io assolutamente non condividevo, sopratutto perchè ho sempre avuto l’impressione che fossero forme di concettualizzazioni di personali delusioni, elementi emotivi che lei ha elaborato in forma metalogica. questo è cio’ che non condivido, oltre alle posizioni politiche, ovviamente.
Bisognerebbe capire quanto durante l’adolescenza ha dovuto obbligatoriamente abbracciare dell’antifascismo, quanta fame ha sofferto nel dopoguerra, quanto l’essere una donna libera e occidentale amata da un uomo islamico, nel modo dell’altra loro cultura, abbia segnato i suoi persorsi ideativi.
Questo non giustifica l’invettiva cosmica contro l’islam, ma potrebbe spiegare le sue cosi’ pulsionali avversioni all’oriente una volta amato.
La donna è mobile, ora è immobile.
Certamente ha fatto la fortuna di molti editori, ma ora di tutto questo temo le rimanga poco, oltre all’essere venuta a morire nella sua terra, italiana, non americana, ne islamica.
Non prego, ma un pensiero alla sua caparbietà, e un fiore ad una donna che avrebbe potuto insegnarmi molto, se avesse mantenuto i suoi ideali originari.
“Davanti alla morte e’ sempre un dispiacere, ma sul piano delle idee e del modo di concepire la politica resta un profondo disaccordo”.
Anch’io mi associo al lutto per Occidiana Fallaci.
“Come sta la Fallaci?”
“Male. Continua a vomitare libri”.
(Alessio Atrei, Premio “Satira contro il razzismo”
Meeting Antirazzista di Cecina 1998).
“Hitler spesso diceva ‘volete che i vostri figli facciano da schiavi ai russi?’, la Fallaci invece dice ‘volete che le vostre figlie siano costrette al velo e i ragazzi obbligati ad inchinarsi alla mecca?’ . È legittimo quindi domandarsi se al giorno d’oggi basta plagiare il Mein kampf, sostituendo alla parola ‘ebrei’ quella di ‘musulmani’, per far fortuna”.
http://www.aljazira.it/index.php?option=content&task=view&id=289&Itemid=
Non pensavo potesse esistere un rabbino di Vienna ultraortodosso ed antisionista eppure esiste, è stato ospite ad un dibattito dalle mie parti ed ha addirittura sporto denuncia per un tento rapimento da parte di un paio di individui – forse appartenenti ai servizi segreti israeliani… -(?)… In quest’angolo sperduto ai confini dell’Impero?Soltanto qualche anno fa, diciamo prima dell’undici settembre 2001, me ne sarei stupita ma oggi che questa falsa pacifista – me medesima – non è più giovane e non riesce più a vedere chiaramente la faccia dell’antagonista – del nemico così poco convenzionale – perché non è più in grado di distinguere tra le varie sfumature di grigio onnipresenti… Oh che nostalgia, un tempo c’era solo il bianco dalla parte ed il nero dall’altra, il bene ed il male si sapeva bene dove stessero di casa, ora rimane un’unica certezza: disinnescare la bomba prima che mandi in deflagrazione il mondo.
Mi sento come l’Agnese che va a morire …..
@girolamo (13 settembre)
concordo col tuo commento – molto laicamente sulla sua tomba Sciascia ebbe l’ardire di far apporre un’epigrafe che recita “contraddisse e si contraddisse” – ebbe il coraggio (coi propri limiti, certo) di essere un laico illuminista (come Salvemini, Silone, Bianciardi… ) in un paese sostanzialmente clericale (e certamente non cristiano, a parte i formalismi)