Una cattiva notizia spacciata per buona
di giuliomozzi
Nel supplemento del venerdì del quotidiano “La Repubblica” distribuito il 18 agosto c’è, alle pagine 86-89, un articolo di Emanuele Coen intitolato: «Nuovi talenti? Gli editori li pescano con la Rete». Nelle due pagine d’apertura, foto belle grandi di Roberto Saviano e di Valeria di Napoli alias Pulsatilla, e un po’ più piccole di Andrea Bajani e di Marco Rovelli; nella pagina a seguire, una foto di Julie Powers (blogger newyorchese che ha pubblicato un libro di un certo successo) e un banner – praticamente una piccola inserzione pubblicitaria – del blog di Beppe Grillo.
Attenzione: questo non è il solito articolo nel quale si dice che i giornalisti della carta stampata non capiscono niente della rete. No. Qui riassumo un po’ l’articolo, poi cerco di esporre una questione, e di passaggio faccio notare un furto. Il pezzo è un po’ tirato via, sto scrivendo in un internet point con una tastiera impossibile.
L’articolo comincia così: «Mai più senza blog. Per scoprire nuovi talenti, i grandi editori scavano tra i diari on line, spulciano i post, seguono su Internet le furiose polemiche tra i lettori. E alla fine riescono a individuare lo scrittore su cui puntare. […] Per l’Italia il fenomeno è nuovo. Ma non è un caso che tre dei giovani autori più interessanti della loro generazione – Andrea Bajani, Marco Rovelli e Roberto Saviano – firmino regolarmente su Nazione indiana (www.nazioneindiana.com), uno dei blog letterari più fecondi e frequentati della Rete. In modo schietto e diretto, senza retorica, i tre scrittori descrivono la vita dei lavoratori preari, i Cpt, i famigerati centri di permanenza temporanea per immigrati, la mattanza quotidiana tra i clan dell’hinterland partenopeo». Più avanti: «Resta il fatto che senza Nazione Indiana, Vibrisse (www.vibrissebollettino.net), Lipperatura (http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura), Carmilla (www.carmillaonline.com), I Quindici Wu Ming foundation (www.iquindici.org/news.php), Il primo amore (ilprimoamore.com) molti potenziali scrittori sarebbero rimasti nell’ombra. Ed è forte del suo cliccatissimo blog http://pulsatilla.splinder.com che la 25enne scrittrice foggiana Pulsatilla ha trovato la strada della libreria, con La ballata delle prugne secche (Castelvecchi), con una sorta di anti-Bridget Jones di provincia che spopola tra i ventenni. E’ un mondo, quello degli scrittori-blogger, sempre più fertile e popolato». E ancora: «Ma resta un dato di fatto: le vie dei blog sono infinite. Da un diario on line ne nasce un altro, da un libro può nascere un blog. In lageritaliani.splinder.com, Marco Rovelli documenta giorno per giorno il suo viaggio attraverso i centri di permanenza italiani».
Nell’articolo c’è una dichiarazione di Antonio Riccardi, direttore editoriale libri hardcover Mondadori: «E’ la curiosità a orientare il nostro lavoro. I blog rappresentano per la casa editrice un terreno di ricerca abbastanza continuativo, un’area di carotaggio importante e per certi versi necessaria. Però bisogna stare attenti a non cadere nell’equivoco che tutto ciò che viene pubblicato in Rete sia interessante, occorre usare un fortissimo filtro qualitativo». Altra dichiarazione, di Maurizio Donati, editor di saggistica della Bur: «Un testo che produce molto dibattito in Rete ha la forza giusta per sollevare interesse e curiosità. I blog rappresentano oggi un importantissimo spazio di autenticità. La Rete è anzitutto uno strumento e va vissuto come tale. Posso servirmene per tirar fuori stimoli, suggerimenti, sollecitazioni anche editoriali. Ma questo lavoro di acquisizione e registrazione di informazioni ha bisogno di un’idea, di un riferimento e una sensibilità radicata nel mondo in cui viviamo».
Allora: secondo me, non c’è da rallegrarsi tanto se Roberto Saviano o Marco Rovelli o Andrea Bajani scrivono in Nazione Indiana. L’articolo in questione è, come tanti articoli che parlano della rete, un tantinello euforico: ma questa euforia mi pare proprio fuori luogo.
La domanda è: ma perché Roberto Saviano, Marco Rovelli o Andrea Bajani non scrivono in «Repubblica», o almeno nel «Mattino di Napoli» o nel «Secolo XIX» o nella «Stampa»? (Magari adesso ci scrivono, peraltro; adesso). Se questi ragazzi hanno così tanto talento (e nel caso di Saviano c’è un consenso quasi universale), perché per anni e anni hanno dovuto ridursi a pubblicare i loro testi in rete, ossia – in sostanza – ad autopubblicarsi? Sarà stata scelta loro? Va bene: sarà stata scelta loro. Ma se anche è stata scelta loro, perché questa scelta? Non l’avranno compiuta, questa scelta, semplicemente perché i giornali e i settimanali sembravano (risultavano) loro inabitabili?
La notizia è, allora, questa (è la scoperta dell’acqua calda, lo so; ma a me non interessa dare la notizia, che peraltro tutti già sanno; interessa far notare uno dei modi con i quali la si traveste): la grande stampa periodica (ma anche quella media e piccola) ha smesso un tot di anni fa di dare spazio agli scrittori e agli intellettuali. E’ stato messo un blocco:chi c’era c’era, e chi non c’era non poteva più entrare. (In tempi recenti fa eccezione, come noto, certa stampa “di destra”: perché, secondo alcuni, ha bisogno di “imbarcare”; o perché, secondo altri, in quei giornali le pagine di cultura non interessano a nessuno, e quindi ci si può pubblicare qualsiasi cosa; raramente si fa l’ipotesi che, di fatto, nelle redazioni di certi giornali, oggi, ci sia più libertà di parola che nelle redazioni di altri). E quindi, per un’intera generazione – faccio un discorso deliberatamente generico; le eccezioni ovviamente ci sono – l’accesso a certi luoghi autorevoli è diventato semplicemente impossibile.
“Non ci sono più i Calvino, i Pasolini, quegli intellettuali che sapevano intervenire ecc.”: questa è la cantilena. Invece ci sono: solo che un tempo il “Corriere della sera” si onorava di ospitare Calvino e Pasolini (o, se volete: li ospitava per darsi una patina di progressismo, per fare marketing verso le giovani generazioni ecc.), mentre i Calvino e i Pasolini d’oggi devono accontentarsi dell’autopubblicazione in rete, cioè di uno mezzo di comunicazione che li mette, per certi aspetti (non proprio trascurabili), allo stesso livello del ragazzino che si fa il sito o del distinto signore che, vistosi rifiutare da tutti il suo orribile romanzo, lo “pubblica” (osservare le virgolette, please) in formato pdf su tutti i siti di pubblicazione automatica che gli capitano a tiro.
“Questa è la democratizzazione”, si dice di solito a questo punto: e si dice una gran fesseria. L’Italia non diventa più democratica se i mezzi di comunicazione di massa decidono di non dare più spazio a chi può scrivere cose intelligenti e, in quanto intelligenti, disturbanti; o a chi, entrando nel “giro”, potrebbe mettere in crisi la carega di chi è già dentro. “Così oggi l’intellettuale, lo scrittore, la loro autorevolezza se la devono guadagnare da soli, non stanno più nelle gabbie dorate ecc.”, si dice ancora, di solito, a questo punto: altra gran fesseria. Se un intero sistema culturale-industriale decide di sbarcare intellettuali e scrittori, togliere loro credito, proletarizzarli, costringerli ad arrangiarsi, è tutto da dimostrare che questo sia un bene.
Nessuno mi venga a dire, ora, che Saviano Bajani Rovelli non sono all’altezza di Calvino e Pasolini. Io non dico che lo sono. Dico che il confronto è insensato e stupido, perché Calvino e Pasolini (che prendo qui come semplici “campioni”) sono diventati ciò che sono diventati anche perché a un certo punto hanno avuto accesso a dei veri mezzi di comunicazione di massa. Scrivere su un mezzo che raggiunge tutti i giorni un milione di persone è cosa assai diversa che scrivere su un mezzo che raggiunge tutti i giorni forse un migliaio di persone. Scrivere su un mezzo che raggiunge tutti giorni un milione di persone è cosa che ti fa proprio diventare diverso. Scrivere su un mezzo che raggiunge tutti i giorni un milione di persone è esercitare un potere mica da ridere. Certo: un potere che ti è stato concesso. Che non è tuo. Ma sempre potere è. Ed esercitarlo con ardimento e prudenza ti fa diventare altro da quel che eri (non m’interessa se diventi migliore o peggiore; m’interessa che tu cambi).
Alla domanda: “Dove vuoi arrivare?”, rispondo: “Da nessuna parte”. M’interessa solo far notare che una cattiva notizia (l’espulsione degli scrittori dai mezzi di comunicazione “nobili”) viene fatta passare per una buona notizia. L’articolo comparso nel supplemento di Repubblica non è un articolo che – come mi ha detto l’amico che mi ha telefonato per segnalarmelo – “finalmente rende giustizia ai blog”. E’ un articolo che certifica la ghettizzazione degli intellettuali – fatta salva la possibilità per l’industria culturale di prenderne qualcuno al volo, e tirarlo fuori. Ripeto: non è certo cosa che si scopre oggi; voglio solo far notare come l’internet-euforia serva anche a nascondere queto fatto.
[Dicevo che volevo anche denunciare un furto. Nell’articolo, il libro (assai deludente) di Pulsatilla viene descritto come il libro di “una sorta di anti-Bridget Jones di provincia”. Ora, “Il diario di un’anti-Bridget Jones” è il titolo di un libro uscito l’altr’anno, firmato da un’altra blogger, Pornosnob (il blog, trasformatosi in libro, ora non è più leggibile). E il libro di Pornosnob è, a mio giudizio, molto, molto più interessante di quello di Pulsatilla].
Non vedo l’esclusione di intellettuali e scrittori dai mezzi di comunicazione di massa tradizionali (offline) come un fatto del tutto negativo se lo consideriamo solo dal punto di vista della visibilità. Anzi penso che il futuro della comunicazione, di qualsiasi tipo, è destinato a passare sempre di più attraverso la rete. I mezzi tradizionali esauriranno, e forse hanno già esaurito, la loro spinta propulsiva.
Online c’è una modalità comunicativa diversa, e in gran parte ancora da reinventare, e sicuramente cambia il rapporto produzione/guadagno. L’aspirazione per uno scrittore, o un intellettuale, è sempre stata quella di poter campare dignitosamente del proprio lavoro, e di essere per questo amato e riconosciuto socialmente. I mezzi offline tradizionalmente offrono questa possibilità, la paga e la visibilità, e danno anche ulteriori possibilità di lavoro e di guadagno, visto anche il grande pubblico che raggiungono (Ma quale pubblico poi? Quello delle pagine culturali, o quello che sfoglia solo le pagine dello sport, piuttosto che quelle della politica e via dicendo? I lettori o spettatori dei grandi mezzi in realtà non costituiscono un’entità omogenea, ma sono la sommatoria di tanti piccoli soggetti sociali). La pubblicazione online tradizionalmente non porta guadagni, la tendenza è quella di avere tutto gratis o quasi. Come si concilia questo non tanto col diritto d’autore (che andrebbe abolito), quanto piuttosto con la legittima aspirazione di chi scrive a veder riconosciuta la propria attività come una professione? Questo è un bel dilemma, che temo non abbia soluzione. Ma la cosa tragica che temo ancora di più è che l’avere anche fior di pensatori e scrittori gratis online diventerà sempre di più un’abitudine, una cosa naturale e scontata, della rete. Questo potrebbe portare alla scomparsa dei “dinosauri” e questa, dopo quella delle “lucciole” di pasoliniana memoria, sarebbe una vera sciagura. Nei mezzi offline rimarranno solo gli intellettuali/scrittori o pseudo tali che sapranno essere anche “businessman/woman” o strumenti di “business” (e in genere non sono dei bei personaggi). Gli altri, i dinosauri, rimarranno confinati nei blog a fare i predicatori di sé stessi, cercando accoliti e fedeli (o tifosi) e incontrando spesso anche odi e gelose ostilità, spesso anche esagerate. In ogni caso, e da entrambe le parti, un panorama triste.
Che fare? Trovare delle forme organizzative online?
cp
il pezzo pone questioni molto interessanti, a mio parere.
non so però se condivido la tesi centrale, la ghettizzazione degli intellettuali, ci sto ragionando su.
mi pare che gli autori citati, pulsatilla rovelli e saviano (non so bajani) siano giovani e vengano dal loro primo vero libro di un certo impegno editoriale. non trovo pertanto strano che non facciano gli editorialisti per il corriere: pasolini e calvino quanti anni avevano quando han fatto storia le loro dispute sui quotidiani? io non lo so, dovrei controllare, però credo fossero già scrittori affermati.
aggiungo due considerazioni.
primo. la stampa di destra lascia più libertà nelle pagine della cultura, perché? mozzi cita due ipotesi e ne propone una terza: che alcune redazioni siano più libere di altre. a me pare che la terza ipotesi di mozzi possa essere un effetto delle prime due: la redazione culturale della stampa di destra risulta FORSE più libera di quella di sinistra perchè ha bisogno di “imbarcare” e perché i lettori se ne fregano o quasi – il che peraltro equivale a dire, con buona approssimazione, che non esiste una cultura di destra in italia degna di questo nome (dove per nome mi riferisco a “cultura”).
secondo. sulla ghettizzazione di intellettuali, scrittori, artisti in genere.
quanti erano coloro cha erano laureati o avevano accesso alla cultura solo un secolo fa? quanti si cimentavano – o avevano i mezzi per cimentarsi – seriamente con il cinema, la scrittura di un libro ecc.? io credo molti meno di oggi.
insomma, il livello culturale medio si è alzato, chi sono gli intellettuali degli ultimi vent’anni – in italia – che contano? quali faranno storia? quali sono gli scrittori che rimarranno? a me pare molto più difficile rispondere “oggi” – rispetto a “ieri” – a queste domande, e non credo che coloro che hanno accesso all’editoria o alla stampa o alla tivù siano solo dei mediocri raccomandati – o omologati – mentre su internet girino la maggior parte dei geni. il punto, credo, è che ci son certo logiche di favore e di omologazione, d’accordo con mozzi qui, ma teniamo presente che oggi sono – anzi “siamo” dato che scrivo commenti su un portale che a quanto pare ospita pezzi grossi della cultura anche tra i commentatori ;-) – in tanti ad avere qualcosa di interessante da dire e a possederne gli strumenti culturali – se non tecnologici.
Lorenz
ps a proposito di scrittori intellettuali a livello di Pasolini e Calvino, di quelli cioè che contano – e che forse “rimarranno” – c’è un certo antonio tabucchi che forse sarebbe bene considerare di più in italia (all’estero mi pare si siano accorti più di noi) e che ha scritto e scrive articoli su L’Unità (per nulla omologati con la linea editoriale del giornale), Manifesto e Micromega, oltre che per giornali europei.
E’ da poco uscito un libro che ha raccolto molti suoi articoli e che esprime bene, fin dal titolo, la storia dell’italia da un secolo a questa parte, “L’oca al passo”…o il passo dell’oca?
Tutto questo – ma quale tutto? c’è niente, a parte la solita costola d’Adamo spacciata per novità darwiniana-freudiana – esprime, casomai ce ne fosse bisogno, che la meritocrazia in Italia non esiste ma solo c’è la solita catena dell’amicizia, quella del Griso del Manzoni. I blog che diventano libri, o i blogger che diventano libri perché una casa editrice li ha scoperti è come la leggenda metropolitana che nelle fogne ci stanno i coccodrilli geneticamente modificati. E poi, al solito si finisce col citare i soliti quattro blog, quelli che sono già in mano a case editrici: “che senza Nazione Indiana, Vibrisse (www.vibrissebollettino.net), Lipperatura (http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura), Carmilla (www.carmillaonline.com), I Quindici Wu Ming foundation (www.iquindici.org/news.php), Il primo amore (ilprimoamore.com)”. La cosa mi fa sorridere. In effetti, gentile Mozzi, è una brutta notizia fatta passare per buona: ma non vedo alcun ghetto, proprio no. C’è invece che troppi intelletti – i soliti poi, più quelli che poi si mascherano da anonimi – se ne stanno “pure” in rete a dettare legge, a occupare sempre più spazi e spazio, così un articolo di Wu Ming o Evangelisti ecc. ecc. me lo trovo su carta stampata e replicato su almeno altri cinque blog di grande gittata (quelli già citati), la qual cosa mi fa cadere le palle. E mi spinge a non leggere i blog.
Poi che sarebbe questo distinguo “mezzi di comunicazione nobili”? Perché la rete è, è per chi? Poveri intellettuali. Proprio poveri e ignorati, e ghettizzati per giunta Ma non diciamo belinate, per cortesia.
g.
P.S.: Ma c’è del gaddiano qui.
“lavoratori preari”
“queto fato”
Così è un minestrone. Tutto è minestrone, G.M è pronto. (a proposito “di cosa bolle in pentola?”)Promuoverà forse nuovi autori. Si “costruisce” il comitato di lettura (chi giudica chi?). Forse “dilettanti” che giudicano dilettanti? Ma perchè? Per la cultura? E poi chi è il dilettante e chi decide chi dovrà decidere. Questa è (sarà) solo promozione, come è promozione l’artico del “Venerdi”. Ma promozione di che? (forse)Di se stessi? (vero gm, niente di personale) Si usa “qualcosa” per se stessi? Si consuma per essere visibili? E poi, cosa si dirà? NUOVI scrittori! Si pesca sempre nelle stesse unità di misura. Una catena di S. Antonio. Promesse e sotto intesi. Una piccola parte di potere esercitata dialetticamente e scandita con sotto intesi e con gruppi quasi “gruppi”. Una sinistra o una (forse) destra. Non sapevo che le immagini avessero un senso d’orientamento, ma questi discorsi sono complicati. E chi vuole vedere e bene che inizzi a usare altre parti del cervello che non siano le solite. Che impari a usare un sistema di pensiero che non preveda la parola, difficile?. Quasi imposibile visto i risultati. (l’insensatezza è il vecchio trucco (a volte inconsapevole) di chi insegna a leggere e a scrivere).
Che bello! Il mio commento non l’avete fatto passare.
Ne ero certo.
Ditelo che i “blog” sono “CENSURATI”, e non solo NI.
C’è un gran bell’articolo su Avvenire di Oggi, Bulli & Web. Dovreste proprio leggervelo approfonditamente. Chissà: la speranza è l’ultima a morire perché è già morta sepolta riesumata e portata via dal vento che ne ha sparso le ceneri per il mondo.
E in terza pagina, finalmente, un articolo su Alda Merini. In terza pagina, per Gesù: era ora che Le si desse un po’ di spazio ad Alda Merini, la più grande poetessa del Novecento italiano.
Adieu
g.
E non finisce qui, parlavo giusto l’altro giorno con una ragazza stagista RAI del Tg Lazio della progressiva scomparsa e/o mutazione delle pagine culturali ridotte a paginoni pubblicitari sul prodotto in perenne bundle (dal lunedì al venerdì non v’è mai schietto schietto il quotidiano, sino a raggiungere l’abisso del Corriere venduto in parecchie regioni in allegato alla Gazzetta dello Sport, sarebbe il contrario ma qui chiedono la Gazzetta e ti danno ANCHE il Corsera).
Di primo acchito sotto il sole di Scopello mi sembrava davvero una buona notizia ma il punto di vista di Giulio è uno sguardo-attraverso interessantissimo. Da recuperare anche Lavagetto e la sua eutanasia della critica, che sia in buona parte anche colpa di una politica selvaggia di allegati non v’è dubbio. Col tramonto della terza pagina non resta che giudicare indipendentemente la qualità delle nuove scritture, che, è questa è davvero una buona notizia, arrivano ugualmente a pubblicare: per dirla con Vinicio “Come impedir che corra il fiume al mare?”
quello che scrive giulio è purtroppo quasi scontato. l’evidenza del paternalismo padrista che si riscontra nei giornali italiani è come dire la versione meno livida delle accuse di restaurazione che muovevano benedetti scarpa moresco un paio di anni fa. ma secondo me non è vero che sia solo una questione di accesso bloccato. l’ideologia della cultura italiana è, come noterebbe un qualsiasi nipotino di adorno e horkheimer, Sistema (ma sì, S maisucola). non è facile diventare operatori culturali perché quello che serve non è tanto una preparazione poliedrica, capacità critica, quanto una condivisione strutturale direi di un’ideologia del consumo culturale. prendiamo la prima pagina di un giornale come repubblicapuntoit oggi: accanto alle notizie imposte, cosa propone repubblica come scelta editoriale diciamo? c’è un uomo con due peni, la corsa sui tacchi a spillo, il mondiale di strip-poker, il vibratore che fa da i-pod, il solo articolo presa per il culo di berlusconi, la polemicuzza sui film gay… questo sulla homepage del sito di informazione più visitato in italia. due scrittori – paolo rumiz e alessandro baricco – vengono ospitati uno a parlare dell’italia semituristica, l’altro a fare divulgazione narrativa direi. a essere semplicemente “inattuali”. è difficile, non per loro colpa, che da quello che scrivano esca qualcosa di dirompente. l’accesso è quindi sì bloccato ma non in senso anagrafico, ma in senso ideologico appunto. agli scrittori è richiesto di occuparsi di costume. non di letteratura, né tantomeno di politica. che poi tutto questo renda cronicamente infantili gli scrittori italiani (e non mi escludo) è un risultato piuttosto ovvio.
Minch**, pensavo che erano esagerazioni di Christian Raimo, invece è tutto vero (compreso il duplice pene). Purtroppo.
Caspita,in tempo reale! scusate, ho appena finito di leggere l’articolo sul venerdì, da anni scrivo per me stessa immaginando possibili interlocutori, sono affamata di feed back, commenti e critiche, così alla tenera età di 34 anni scopro che c’è un luogo di scambio , mi sono tuffata con entusiasmo, non avreste da consigliarmi da dove partire? effetto articolo sul venerdì di repubblica, una neofita chiede aiuto per partire alla scoperta di questo “nuovo mondo”, è anche questo parte del vostro dibattito in fondo, un effetto collaterale….spero non troppo fastidioso per chi è già ad un altro livello di internità e di dibattito…sinceramente…busso alla porta con passo felpato…si può…? LNat
Anch’io come Laura alla scoperta di questo nuovo mondo! Tutto serve , anche due pagine su Venerdì di Repubblica. Schemi nuovi in vecchi schemi
e via alla ricerca della notorietà con tanti distinguo e valutazioni del caso.
Alla fine dato che ciò che conta sono riconoscimenti e gratificazioni è bene studiare le tappe del percorso per arrivare a quello.
Ma in un mondo che nega la creatività e che fa dell’appiattimento , del tutto scontato e tutto previsto il suo modo d’essere è opportuno inseguire quello che non potrà mai essere?
Solo stanchi scrittori, solo creativi in disarmo sanno ciò che è giusto : dire no!
In tempo reale anch’io. Sarebbe bello abbatterla, la Legge dico.
La Legge e l’ignoto. A patto che dopo, l’ignoto, quando sarà stato noto, non divenga Noto.
Argh, che pasticciaccio! Mi si perdoni il ghirigoro lessicalmente vomitevole. Solo che quello è: alla fine ci fanno vomitare.
Ci costringono. Ci stringono a loro e ai loro idealuzzi parvenu. Mi si passi il sostantivo in funzione d’aggettivo. Oh, che palle. Non mi viene più nemmeno un’ideuzza… solo star qui a scusarmi.
Colpa loro. Obnubilatori…
Dunque inter-net se rimarrà i e mai I,allora (anacoluto) saremo salvi, maybe.
Senno fottuti. In Rete i Raccomandati, quelli che sbagliano gli accenti e gli apostrofi e scrivono mercì o the per dissetarsi e scrivono in Rete a pallafaitu, da oratorio. Poco adorabilmente…
Ogni forma di trasporto non soltanto porta, ma traduce e trasforma il mittente, il ricevente e il messaggio. L’uso di un qualunque ‘medium’, o estensione dell’uomo, altera gli schemi d’interdipendenza tra le persone come altera i rapporti tra i sensi.
Marshall McLuhan – “Gli strumenti del comunicare: Mass media e società moderna” (1964).
L’apologia della rete come luogo alternativo? se è promossa da chi in rete produce è onesta, diveramente è un’azione di rinforzo dei potentati editoriali perchè chi scrive in rete ci rimanga.
Esiste comunque un notevole scarto tra i due sistemi, le tirature sono diverse, ma è molto diversa anche l’attenzione dei fruitori.
Il quotidiano è ormai diventato un business della chiacchiera asfittico e sterile, una cassa di risonanza del già noto, che sortisce una fruizione passiva e distratta, orientata più dall’abitudine che dall’attenzione.
In rete invece si sceglie, si interagisce, si produce informazione in modo circolare condivisa e costruita orizzontalmente. Quindi un rapporto meno asimmetrico rispetto alla lettura di un quotidiano.
I giornali sono ormai delle lobbies, non dei produttori d’informazione, tant’è che percipiscono finanziamenti a fondo perduto sia dallo stato che dai partiti.
Repubblica non sembra essere esente, tanto più che ultimamente la qualità degli interventi riportati è veramente imbarazzante, cito per esempio il paragone recentemente operato tra la ragazza pachistana uccisa e le primizie di stagione.
@raimo
Pensi veramente che se Baricco (che sembra diventato il classico controesempio di ogni discussione) volesse scrivere di politica su Repubblica non lo lascerebbero fare? Non credi, Christian, che pensare allo scrittore come vittima del Sistema sia una forzatura ideologica? Gli scrittori, come tutte le altre persone, possono decidere se stare dalla parte delle vittime o da quella dei carnefici. Tu dici che non è “per loro colpa” che gli scrittori-baricco sono “inattuali” in quello che scrivono. Penso invece che sia tutta colpa loro e che, anzi, è molto probabile che di essere “attuali” a questi non gliene freghi proprio niente.
Diverso è il problema degli scrittori non-baricco che non hanno la possibilità di accedere ai mezzi di larga diffusione. Per loro non c’è possibilità di libera scelta. O provano anche loro a “imbaricchirsi” o rimangono in eterno nel limbo, e nel ghetto, del “giovanilismo”. E questo è un vero dramma. Ma la cosa veramente triste è che quei pochi fortunati che riescono ad “arrivare”, una volta al sicuro, si autocondizionano e si “imbaricchiscono” anche loro. Omologazione, si diceva una volta. Ma l’omologazione, come ama dire la Ravera, non è un reato…
cp
Trovo difficile che un intellettuale provvisto di forte mondo interiore autonomo e obiettivi di parola possa essere compatibile con l’infotainment odierno: non è acquario suo, continuerà a preferire due lettori attenti (magari impliciti) a due milioni di dementi. Non è poi vero che si debba per forza mangiare la mela, così come è vero che qui parliamo di e su gente che la mela l’ha mangiata da un pezzo. Di tutti questi e di noialtri fa testo solo l’opera e simile cercherà simile e si rispecchierà di esso, dentro o fuori la rimbombante gerarchia mediatica.
sarà che la notizia viene spacciata per buona e non lo è..ma larticolo su il venerdì di repubblica è servita a qualcosa..ora io sto scrivendo questo messaggio grazie a quell’articolo, che ho diligentemente strappato e conservato nell’ultimo libro che sto leggendo, così, per non dimenticare di accendere il pc e collegarmi a questo blog. cercavo notizie su Saviano, vorrei entrare in contatto con lui, parlare con lui..
Si va bene , ma è il gioco di specchi, l’immagine che si vede è quella iniziale, la finale non esiste. Quindi la rete. Il minestrone dei media è sempre fatto con due verdure al massimo tre, qui invece, nel maregnum telematico l’offerta è veramente infinita….lo spettro di dicibilità ha un’orizzonte molto vasto, e la soglia di scelta-attenzione fa la differenza.
Cio’ che conta non sono gli autori di articoli uniformati, diluiti e strumentali, ma la matrice dell’informazione, e in questo senso, la rete detta legge.
E’ la rete il concentrato, il doppio estratto di pomodoro, che diluito all’ennesima impotenza, annacquato dal battage, diventa poi la carta che accompagna ogni mattina il nostro risveglio: cappuccio, brioches, e carta, che poi sia stampata, è indifferente.
Vi dedico una canzone che conoscete benissimo:
“Mi cade schifato dalla mano
ogni giornale italiano insulta il mio capire
m’opprime di mode, modi
psicologia per conti che devono tornare
leggo Le Monde
difficile trovarlo non lo sciupo
buona motivazione, faticante, in francese
guadagno in comprensione
diffido del facile, gratis, tutto per tutti in ogni situazione
si può verificare, ha ragione Federico
– comunicare fa male –
Ah! Le Monde! M’incanta il mondo
m’incatena
diffido di ricette per ogni stagione
mai una colpa propria mai espiazione
la colpa è di, l’ho detto sempre
Le mani nella merda? Io? Le mani nel sacco?
il problema è assoluto, nel relativo è un complotto
al lupo al lupo al lupo! e finalmente viene
s’abbassa la testa, si nasconde la mano
cose ben più importanti
ben più vicino, molto più lontano
Mesto solenne si diffonde un canto
gracchiato da un altoparlante
vespo tra mare e monte in Cilento
piazza repubblicana
lapidi ai patrioti sui muri delle case
Ah! Le Monde! m’incanta il mondo.
m’incatena.”
LGF in PGR
a me sembra un po’ esagerato il padrinato e il sistema concentrato che tutti ci osserva, ci legge e ci sceglie. Detto francamente, il sistema editoriale è fin troppo ‘aperto’, se venisse meno questa ‘apertura’, semplicemente, farebbe bancarotta.
C’è un’apertura e un flusso di informazioni e di esperienze al vertice del sistema, nella ristretta fascia di autori promossi dalle corporations. Quelli che ‘tirano’, insomma, che ‘vendono’, che vengono sfottuti da “Lucignolo” perché quando ti trovi davanti una letterina, intellettuale o no, sono cazzi, lo diceva anche Eco ricordando il periodo in cui lavorara in Rai. I venditori più bravi, dunque. Quelli delle classifiche e delle recensioni a ripetizione. Anche se poi bisognerebbe verificare chi gonfia e chi no, e chi scrive la stroncatura su chi.
C’è un’apertura, un flusso intermedio, che agisce da filtro verso il paradiso dei grandi nomi. Questo purgatorio fatto spesso di attese tradite e promesse mancate attraversa le piccole e medie case editrici che, anche in questo caso, non mi sembrano poi un parco così ristretto (discorso diverso per gli editor, tutti impiegatizzati, rari quelli con partita i.v.a. e auto propria). In questo campo medio si fa le ossa chi sta per fare il botto con Einaudi, dimostrando di riuscire a rivolgersi a una precisa ‘nicchia’ di pubblico, che è fondamentele in tempi di allargamento della base imponibile, come fa notare Prodan.
L’osservazione che ho già fatto in passato a Raimo – che mi sembra di aver capito, da quello che scrive, lavori per M.F. – è che in questa fascia intermedia, purtroppo, ci sono poche collane editoriali che si rivolgono alla letteratura italiana (dico collane assimilabili alla ‘sinistra’, sulla destra qui ho letto le solite generalizzazioni). Non quella dei ‘giovani’, che ne abbiamo i cojoni pieni del generazionismo e delle voci contro. Ma di ripercorrere le tracce dei dimenticati, dei dispersi, le centinaia di manoscritti di cui parla Fortini, che arrivarono nelle redazioni dopo la Seconda Guerra mondiale (e lì rimasero).
Che fine hanno fatto gli autori di cui parlava Fortini? Qualcosa si muove. In autunno ripubblicano “Fabrizio Lupo” di Coccioli che, per trovarlo, una volta, fui costretto a litigare con il commesso della Biblioteca Nazionale.
Se mi guardo in giro, però, ho l’impressione che gli editori piccoli e medi, forse per una scarsezza qualitativa, o quantitativa, o semplicemnte per un fatto di buona educazione (gli autori stranieri sono più educati di quelli italiani), danno molto spazio, forse uno spazio eccessivo, alla letteratura americana, ma anche indiani, sudamericani, giapponesi, consegnandoci ancora una volta il ritratto di un’Italia letteraria che deve fare i conti con Pulsatilla e i suoi fremori e feromoni.
Infine c’è l’inferno – così, almeno lo descrive Mozzi – dei pretendenti alla letteratura che scrittori non sono ma chissà perché riempiono gli archivi delle piccole e piccolissime case editrici, delle agenzie editoriali, o nel peggiore dei casi delle tipografie e dei fotocopiari che s’improvvisano editori.
Il discredito che leggo sulle pagine di NI ogni volta che si parla di pubblicazione autofinanziate, autoprodotte, con contributi per le spese di stampa e allestimento, è deprimente, pari solo all’aggressivita pauperista di quelli che mi attaccano quando provo a sostenere la tesi che dovremmo far pagare l’accesso a NI, a maggior ragione adesso che ci leggono anche i republicones. Ricordo che il manifesto, attualmente, ogni tanto, costa cinque euro e quello del sabato due (se non sbaglio).
Quel discredito è la solita porta in faccia tirata dai gestori del letterario, su vasta scala e su scala ridotta, contro quei fetentoni di autori che hanno voluto fare di testa loro. Autori con i controcojones, secondo me, che invece di aspettare l’editor di Mondadori che scende dal cielo per farti campare a vita di diritti d’autore – invece di sentirsi per forza “quelli giusti”, quelli che col dissenso hanno fregato il mercato (con i cpt, le gomorre, il noir, la letteratura da gallinelle, etc…) – si scrivono e si stampano il loro libro da soli (loro sì che sono i veri inattuali), appoggiandosi a reti distributive ‘mirate’, anche locali, provinciali, mettiamoci pure le edicole (esistono distributori appositi, anche nel vituperato meridione), e se per caso incontrano un editore che non si spaccia per tale, che non è uno squalo, voglio dire (qui tocca ripeterlo, ogni volta), e magari ha un minimo di familiarità con il marketing editoriale, riescono pure a esaurire la tiratura (ho prove certe per i più diffidenti).
Invece no. Non va bene, non è ‘regolare’, come se invece quando firmi il contratto che ti spediscono dalla sede legale di Mondadori fossi alle prese con un tenero, solidale angioletto interessato unicamente alla promozione della cultura. A ‘sto punto ha ragione Prodan a chiedere la fine dei diritti, non sono d’accordo con lui ma almeno demistifica certi ragionamenti.
L’ho detto che la metafora paradiso degli artisti contro gironi dei perdenti era calzante. Se la discussione continuerà, dunque, proverò a fare un piccolo esercizio di sociologia letteraria, per vedere cosa scrivono e cosa hanno da dirci, al di fuori del Circo Massimo, e lontano dalla Storia, questi disgraziati. Chiamateli “dannati della penna”.
Un’ultima cosa. Secondo me sono due le invarianti fisse che decidono la sorte di un autore. La fortuna e il suo destino. Poi viene tutto il resto. La bravura, le idee, la capacità di imporsi nel mercato editoriale.
la scrittura è una falla – l’intrattenimento una bolla – internet una burla – i giornali una balla.
Si potrebbe ballare su internet burlandosi dei giornali coprendo di bolle l’intrattenimento fallace. Ma – fatto questo – in quale misura potremmo dire di aver dato il nostro contributo? Perché in fondo di questo si tratta, vero? La questione alla fine è sempre la stessa: Scrittori e Popolo, o mi sbaglio? Forse a volte ci si danno troppe risposte per nascondere l’angoscia di una domanda desolante. Che cosa ci stiamo a fare Qui. Il noi è fin troppo esplicito (in fondo anche questa è una casta ;-), Qui è il Mondo. Perché stiamo al mondo??? Ma se ci chiediamo l’inverso… (perché il Mondo non sta con noi) il problema non diventa… come dire… quello di una carenza… ehm… – scusate il termine – metodologica? Salut, andrea
Non mi pare sia proprio così. Nelle note di copertina di Gomorra è scritto che Saviano, oltre a collaborare con Nazione Indiana, scrive anche su Manifesto e Corriere del Mezzogiorno. Sono giornali pure quelli.
E l’autore di quell’articolo, inoltre, tralascia colpevolmente di argomentare sulle case editrici italiane. Ormai il grosso del circuito è in mano a una mezza dozzina di nomi che fanno il bello e il cattivo tempo e gli autori esordienti e/o “emergenti” ( bel modo per dire che non conti una mazza ) devono ripiegare sull’editoria minore. Ma non è poi un gran danno. Sono uno di questi autori e sto per pubblicare il mio secondo libro con un editore ancora più piccolo di quello che mi ha pubblicato il primo ( faccio carriera al contrario ). La piccole e media editoria, che si ritrova una volta l’anno a Roma, a una gran bella fiera, è viva e vitale e ci sono molte opportunità per chiunque abbia talento e voglia di scrivere senza pretendere da subito un posto in classifica. Tanto per fare dei nomi penso all’esempio della mia concittadina Valeria Parrella, un talento esagerato, e alla sua casa editrice, la Minimum Fax, ovvero l’editoria dal volto umano.
Insomma, a me sembra che di spazio ce ne sia abbastanza per tutti e se il Corsera o Repubblica non danno credito ai vari Saviano o Parrella il problema, a mio avviso, è solo del Corsera e di Repubblica.
@roberto
leggo di scrittori inattuali con i contro…. che si autoproducono e possono fregiarsi – quanto pare – del titolo di “inattuali”. Magari loro potranno più di altri scrittori “patentati”, ma darei al termine un’accezione diversa che non semplicemente quella di esclusi. Per dirla spiccia direi inattuale qualcuno che continuerà a essere “en passant”, blanchottianamente controvoglia, fuori dal coro non per il suo dire “emarginato”, ma perché nella sua voce è il nulla che risuona del fuori-senso. Kafka, Rimbaud, Amelia Rosselli per aiutarmi con qualche esempio e rendere più chiaro quanto esposto frettolosamente.
Alla fine del post leggo però una resa alla forza invisibile del destino; non me l’aspettavo dopo tanto fervore per sostenere la causa degli invisibili e credo che il fatalismo possano permetterserlo soltanto le élites. Di una cosa sono convinto però, e spero che l’esperimento si faccia davvero: leggere questi esclusi e commentarli qui credo aprirebbe lo sguardo su risvolti impensati e più che interessanti. Aspetto con ansia di saperne di più, andrea
Mah, io sarei più ottimista (e paziente): l’autopubblicazione su Internet mi pare un progresso enorme rispetto agli autori a spese proprie (meno carta sprecata quindi meno alberi abbattuti.) Inoltre il “pubblico” che ottieni, per quanto esiguo, è reale, e spesso elettivo. E comunque, il numero di postazioni dalle quali raggiungere “tutti i giorni un milione di persone” è (e sarà sempre più) sproporzionato alla lizza dei concorrenti: quelli che li occupano appaiono più una scelta arbitraria che non una scelta sbagliata. Dunque mi sembra futile avventurarsi in giudizi prematuri sopra ad una trasformazione epocale (fra le tante che incombono). Prima mostratemi quale sarebbe il genio misconosciuto, l’intellettuale imprescindibile, e dopo lotterò con tutti i miei mezzi affinché vada a prendersi il posto di Baricco su Repubblica – del quale sto peraltro apprezzando moltissimo “i Barbari” – gratis, ci mancherebbe!
Quindi esisterebbe un sistema editoriale meritocratico, aperto, rappresentativo.
Se il grado di civltà di uno Stato è percepibile dalle opere prodotte dai suoi parlanti, scriventi, e producenti all’interno della sua lingua, non saprei come definire il grado di civiltà italiano.
Quindi o il sistema editoriale essendo aperto e meritocratico, produce i Barricchi perchè è rappresentativo della mediocrità italiana, oppure non è affatto rappresentativo, e quindi l’assunto di mercato aperturo è falso.
Perchè dunque non sarebbe rappresentativo? forse perchè la produzione editoriale non è solo meritocratica e quindi di valore, ma si muove tra funzioni variabili quali il marketing, la visibilità, la permeabilità alle elites già costituite e la “normalità”.
Mi sembra quindi piu’ interessante la concezione delle minoranze creative che si autocostituiscono in mercati dall’andamento carsico ma piu’ incisivo.
Questo diviene un problema se si pensa all’artista come promotore di intellettualità formativa a fruizione universale, data la difficoltà di reperire e consocere questi innovatori della parola.
Insomma, rendeteci la vita più facile attraverso una maggiore informazione, non necessariamente ufficiale, riguardo proficue incursioni tra produttori di nuova letteratura.
Marco Belpoliti, se non erro, è stato l’ultimo a ripetere recentemente, forse su repubblica, la cantilena: “ma dove sono i calvino e i pasolini di una volta?” Bisognerebbe segnalare in un listone coloro che si dedicano di tanto in tanto a questa cantilena, con l’aria di farsi belli, e appunto insoddisfatti. Qui Mozzi dice particolarmente BENE e CHIARAMENTE le cose. Sono risapute? Chissenefrega. Sono gravissime. Ma non è tutto. Qualcuno è in posizione sufficientemente privilegiata per opporsi a questo stato di cose. Molti altri no. Non hanno sufficienti energie per combattere contro l’esclusione e per trovare tempo per scrivere cio’ che credono importante scrivere. Che di tanto in tanto si apra una fessura, e qualcuno venga accolto con tappeti rossi, è solo triste. E suggerisce solo l’idea di una cooptazione aleatoria o disperata. (Si fa entrare qualcuno a caso, o quando ormai diventa controproducente tacere) Antonio Riccardi che parla di “filtri” severissimi lo sa meglio di tutti. Quei filtri sono le difese corporative per tenere fuori gente che ha molto più da dire, di quei quattro navigati carrieristi che si conservano col coltello tra i denti il loro ruolo editoriale di spartitraffico.
ah ecco, mi pareva che i conti non tornavano…..
Leggo dal sito della SIAE (www.siae.it):
“La SIAE è la Società Italiana degli Autori ed Editori. La sua funzione istituzionale è la tutela del diritto d’autore. La SIAE amministra le opere di circa 80.000 aderenti facendo sì che per ogni sfruttamento di un’opera sia corrisposto all’autore e all’editore un adeguato compenso. Di fatto, rappresenta uno sportello unico per la cultura. In un mondo caratterizzato da una sempre più vorticosa diffusione delle opere, la SIAE è, infatti, l’interlocutore per conto degli autori e degli editori di radio, televisioni, produttori discografici, organizzatori di concerti, impresari teatrali, editori e di chi diffonde la cultura ad ogni livello e con ogni modalità. Di tutti coloro, insomma, che utilizzano le opere dell’ingegno, con lo scopo di assicurare il pagamento dei diritti d’autore a chi crea un’opera.
La SIAE è, dunque, un punto di riferimento per gli autori e gli editori, ma anche per gli operatori dello spettacolo: un’unica società (nel linguaggio delle società d’autori si definisce “società generalista”) che rilascia migliaia e migliaia di autorizzazioni per l’utilizzazione di ogni opera, facilitando così l’attività delle imprese per la corresponsione dei diritti e garantendo il lavoro degli autori.
Vi aderiscono volontariamente autori, editori ed altri titolari di diritti d’autore, per tutelare economicamente le loro creazioni”.
Altrove, sullo stesso sito, apprendo che:
“In Italia, l’attività di intermediazione è riservata dalla legge alla SIAE in via esclusiva. L’ autore può comunque scegliere di aderire ad altre Società di autori di Paesi stranieri.”
IDEA:
Perché non fare una battaglia, questa sì democratica, promuovendo magari un referendum popolare, per togliere l’esclusiva di intermediazione alla SIAE?
Questo consentirebbe la nascita di una o più anti-SIAE, o organismi di intermediazione concorrenti. Questi organismi incasserebbero i soldi (e sono veramente tanti) dello sfruttamento delle opere dell’ingegno dei loro soci (autori e editori). Una di queste società potrebbe benissmo inserire nel proprio statuto il principio di finanziare le case editrici e gli autori “emergenti” (semplifico per necessità di spazio) per esempio.
Tutto sarebbe più semplice no? In teoria quest’opera di promozione culturale la dovrebbe fare anche la SIAE, ma non credo che, oltre alle borse di studio e simili premiucci, questo venga fatto seriamente e disinteressatamente. La SIAE è in mano ai soci “forti”, che sono i soliti noti (grandi editori, major discografiche, ecc.).
Sono un ingenuo? Mi sfugge qualcosa?
cp
Non è necessario che un autore, grande o piccolo che sia, si iscriva alla Siae. Molti non lo fanno e, per citare un grande nome, anche Eduardo De Filippo non era iscritto.
Il punto della questione, a mio avviso, andrebbe capovolto. Se è vero come è vero che le grandi “voci” del giornalismo e dell’editoria non danno spazio ai talenti emergenti è pur vero che il pubblico fa pochi sforzi per premiare chi porta il suo contributo con mezzi limitati. Prendo a esempio l’ultimo lavoro di uno dei più grandi poeti italiani contemporanei, il mio amico Claudio Lolli. Pochi, anche i suoi estimatori, sanno che Claudio ha scritto un libro di poesie l’anno scroso ed è tornato di recente a incidere dischi. L’ha fatto con un piccolo editore Stampa Alternativa e con una piccola casa discografica che vende in rete i suoi prodotti, Storie di note. Per scoprire questo e altri avvenimenti del genere bisogna prendersi la briga di consutare di più l’informazione non ufficiale. Ho citato poco fa la fiera della piccola editoria di Roma, qualcuno cita i Blog, l’autoproduzione e così via. Bisogna anche sforzarsi di ascoltare chi parla a bassa voce.
@maldoror
Gli inattuali 2.
Chi sono e cosa scrivono.
Prendiamo dieci manoscritti inediti. Facciamo una prima scrematura dividendoli per ‘forma’ (narrativa/saggistica/poesia); generi letterari; autori (età, sesso, formazione, modelli).
Naturalmente il campione è molto ridotto, ma per esperienza credo che la scala 10 possa essere riprodotta, senza grossi traumi, su scala 100 (mi riferisco esclusivamente a testi inediti e destinati, probabilmente, a rimanere tali).***
Lo scopo di questo elenco è di mostrare che non c’è una grande coincidenza tra gli inediti e quello che poi viene effettivamente pubblicato. Vedremo perché.
Abbiamo:
FORMA
– 3 testi poetici
– 7 testi di narrativa e saggistica;
GENERI
– Testi Poetici
1) liriche d’amore e sentimentali, poesia d’occasione
2) componimenti di ispirazione religiosa
3) poesia ‘sperimentale’, postavanguardie
– Testi narrativi e saggistici
1/2) romanzi di fantascienza
3) romanzi fantasy
4) racconti di formazione e generazionali
5) memorialistica, racconti sulla provincia italiana
6) saggi parapsicologici, cospirazionisti, inchieste
7) diari, scrittura autobiografica
AUTORI
– Testi poetici
1) over40, uomo, professionista
2) over50, donna, alfebetizzazione media
3) under25, uomo, laureato
– Testi narrativi e saggistici
1) (sf) under 30, uomo, studente
2) (sf) over 40, uomo, professionista
3) (fantasy) under25, donna, studentessa
4) under 30, uomo, precario, laureato
5) over 60, uomo, alfabetizzazione di ‘ritorno’
6) over 50, uomo, autodidatta, alfabetizzazione media
7) under 35, donna, laureata
Avvertenza/ 1: nei 10 manoscritti campione sono capitati 3 testi firmati da donne, ma questo non significa che in Italia non ci siano scrittrici (o che non ci sono, mettiamo, scrittrici transessuali). Insomma, il meccanismo va oliato per verificarlo nelle sue concordanze e discordanze. L’analisi sociologica non può pretendere di essere esaustiva. Serve solo a dare delle tracce, un indirizzo. E’ un percorso, non il punto d’arrivo della ricerca.
Sottoscrivo in pieno l’intervento di Andrea Inglese (e l’articolo di Mozzi, in generale, con un paio di piccole (non influenti) riserve).
Qual’è il contrario di sottoscrivere? Il fatto è che le aggregazioni su Internet sono ancora al livello di banda e di villaggio – basta vedere cosa succede quando delle comunità rivali vengono a contatto: una delegittimazione reciproca e feroce. Gruppi che si occupano delle stesse cose non risultano d’accordo su NIENTE, neppure se gli autentici poeti di un secolo si debbano considerare nell’ordine di grandezza di 4, 40, 400, 4000 o 40mila. La cosa è in fondo comprensibile, perché le persone da considerare sono tantissime, e per considerarle con giustizia servirebbe un tempo di conoscenza, una lenta sedimentazione di disposizioni, che pochissimi individui possono permettersi. L’unica speranza è che questo enorme lavoro venga suddiviso svolto in comunità basate su logiche davvero autonome, che non guatino continuamente le “macchine per l’ottundimento delle menti” in mani altrui (macchine che diventerebbero improvvisamente “buone”, se le carichiamo con le nostre munizioni) per impadronirsene. Solo questo potrà condurre al formarsi di credibili gerarchie alternative. Ma ci vorrà tempo. Nel campo del software però questo è successo davvero: vi sono comunità estese, che condividono un’etica, e raggiungono dei risultati a volte formidabili.
pezzo intelligente, che tocca verità importanti, ma che andrebbe integrato con una questione ulteriore. giulio scrive: “La domanda è: ma perché Roberto Saviano, Marco Rovelli o Andrea Bajani non scrivono in «Repubblica», o almeno nel «Mattino di Napoli» o nel «Secolo XIX» o nella «Stampa»? (Magari adesso ci scrivono, peraltro; adesso).”
giusto. eppure, anche la domanda-specchio è quasi spontanea: come avrebbero potuto pubblicare su «Repubblica» senza una “gavetta” provvisoria? senza farsi conoscere in qualche modo e mettere in luce le loro (innegabili) qualità? non sto dicendo che il blog sia IL mezzo mediatico per farlo: è senz’altro quello di questa epoca, ed è senz’altro uno dei più comodi.
quindi: se vogliamo denunciare le difficoltà con cui giovani autori di talento riescono ad approdare ai quotidiani, va benissimo. ma dire che “adesso ci scrivono”, come per sottolineare il fatto che avrebbero dovuto scriverci PRIMA, rischia di diventare una critica a vuoto. perchè non si capisce (o almeno, io non lo capisco e non lo so) come avrebbero potuto segnalarsi in precedenza.
la verità, credo, è che c’è una certa misinformazione di fondo su tutto l’ambiente della cultura. sul come accedervi in particolare. non invoco un “manuale”, intendiamoci. ma almeno più trasparenza.
tutto qui.
In questo paese, l’Italia, non esiste né libertà di stampa né libertà d’impresa. Quindi l’idea che ci siano dei privilegiati che occupano posti di potere anche nell’industria culturale non solo è sensata, ma è una triste realtà. Che la libertà della rete dia fastidio ai potentati della cultura è un’altra realtà. Ma vi ricordate – solo per citare un caso tra i tanti – quella legge liberticida sull’editoria che impedisce ai siti internet di pubblicare riviste o quotidiani online senza che ci sia alle spalle un’impresa editoriale con tanto di direttore responsabile regolarmente iscritto all’albo dei giornalisti? Questa è legge dello Stato italiano. La legalità come formidabile strumento di repressione. Non è questo regime? O la vogliamo chiamare libertà questa? Una “libertà” che trova i suoi paladini tra i post-fascisti, la chiesa cattolica, i neostalinisti della sinistra di governo e la mafia. E non mi si venga a dire che le imprese editoriali sono delle attività private che hanno la facoltà di decidere liberamente chi pubblicare e chi no. Questa libertà gliela concediamo noi cittadini, ogni giorno, con le tasse che paghiamo e con il nostro sudato lavoro. E queste imprese sono tanto indipendenti quanto lo è stata la FIAT da quando esiste.
cp
“Sottoscrivo in pieno l’intervento di Andrea Inglese” significa che sono d’accordo con le sue considerazioni sull’argomento. Volendo far conoscere il mio pensiero sul tema dibattuto, ammesso che interessi qualcuno, ritengo più corretto avallare lo scritto di qualcuno, nel quale mi ritrovo, piuttosto che ripetere gli stessi concetti, magari usando parole ed espressioni diverse. La semplificazione degli interventi potrebbe rendere la discussione più fluida e più facilmente seguibile, secondo me.
Niente bande, quindi, né rivendicazioni di appartenenza che, qui in rete, lascerebbero il tempo che trovano; anzi, servirebbero soltanto, a qualche troll in libera uscita, per sparare la consueta cazzata sulla ricerca di “padrinaggi”. Sempre per restare nell’esempio: domani Inglese, o Mozzi o chiunque altro, scriverà cose sulle quali non sono d’accordo, e allora sarà naturale intervenire, argomentando, come giusto che sia in questo caso, il proprio punto di vista contrario o dissenziente.
Continuo a ritenere che la fotografia che emerge dall’articolo di Mozzi e dal commento di Inglese sia quella più vicina alla realtà in oggetto. E resta inteso che è una “mia” idea. “Quei filtri sono le difese corporative per tenere fuori gente che ha molto più da dire”: è proprio così. A un poeta che conosco e che si muove nell’ambito di quella che si potrebbe chiamare “poesia di ricerca”, tanto per fare un esempio facilmente esportabile in altri settori culturali, il signor Antonio Riccardi disse (scripta manent) che le collane da lui dirette andavano alla scoperta dell’innovazione (sic!) ed erano aperte a testi più sperimentali (sic!) di quelli che gli si presentavano… Antonio Riccardi? “Lo Specchio”? La Mondadori? Testi innovativi e sperimentali? “Ma ci faccia il piacere”, per piacere!!!
@ roberto
Il punto di partenza per un’analisi dei manoscritti inediti che arrivano nelle piccole e medie case editrici mi sembra buono, anche se personalmente (intendo per esperienza personale) penso che la saggistica meriti ben più del 10% del totale, e senza essere limitata ai “saggi parapsicologici, cospirazionisti, inchieste”. Certo poi bisogna tener presente il catalogo di ogni casa editrice e quindi la specializzazione delle sue pubblicazioni, anche perché intuitivamente mi sembra che molti di coloro che inviano manoscritti facciano a loro volta una selezione tra le decine, centinaia di case editrici, dopo averne visionato il catalogo (in una casa editrice che non pubblica testi di narrativa nel suo pur piccolo catalogo, la percentuale dei testi di narrativa che arriverà nei suoi uffici non sarà del 90, ma del 30).
Ad ogni modo, concordo riguardo l’assoluta divergenza tra quei manoscritti pieni di belle speranze e ciò che poi arriva in libreria, sia nel “genere” sia nel “numero”, potremmo dire. E anche su ciò che arriva in libreria, da queste piccole e medie case editrici, bisognerebbe interrogarsi: quanti di quei libri vengono pubblicati a spese dell’autore (quindi senza grossi investimenti da parte dell’editore) e quanti no? Quanti di quei libri delle oltre 5000 piccole e medie case editrici italiane meritano davvero una recensione su NI? Davvero troppo pochi, pochissimi. Appunto per questo vorrei smorzare i facili entusiasmi di chi propone “proficue incursioni tra produttori di nuova letteratura”: come si riesce a trovare quei pochissimi libri di valore in un mare magnum di pubblicazioni, se non inutili, almeno superflue? Come scoprire i testi di quelle case editrici che non arrivano alla distribuzione nazionale, perché le case editrici che li pubblicano non possono permetterselo perché trovano il “filtro” dei mega-store?. A meno che, certo, non si faccia rientrare tra le piccole case editrici anche Stampa Alternativa, come si è anche scritto, perché allora stiamo (o meglio sto) parlando a vuoto.
No Giulio, non sono d’accordo quando usi il verbo “ridursi”: ridursi a pubblicare online invece che sul Corsera.
Sì, Giulio, sono d’accordo quando dici che il Sistema ha, da tempo, chiuso le porte e chi è dentro è dentro e chi no peggio per lui.
Mi sembrano due aspetti diversi della faccenda. Nazione Indiana ha, immagino, lo stesso numero di lettori e la stessa forza di penetrazione culturale di una rivista letteraria e non puo’ che essere così.
Nazione Indiana, lo dico da lettore, anche se si puo’ non essere d’accordo, ha avuto e ha (insieme ad altri) il merito di rendere la rete un luogo autorevole di per sé, non un succedaneo del mondo reale. Non un una catacomba. Non un posto di riserva (per questo odio le riprese di articoli usciti su Stilos o non so su dove altro: allora sì che non serve a niente).
Per dire: in ambito scientifico la querelle carta/elettronico è finita da tempo, a tutto vantaggio della rete. Chi si ostina a voler leggere aulle costose riviste patinate gli articoli invece che consultarli sul PC è considerato un dinosauro rompipalle.
E’ chiaro che in ambito letterario e non specialistico le cose stiano in modo diverso, ma i processi economico-industriali e culturali connessi alla pubblicazione tradizionale non possono che agire come agenti se non rivoluzionari, almeno riformatori. Masse di lettori (masse?) si sono spostate e si sposteranno sulla rete a tutto vantaggio della cultura.
A che serve lamentarsi che Rovelli non abbia fin qui scritto sulla Stampa e Saviano sul Mattino? E che BombaSicilia non abbia la stessa diffusione di Nuovi Argomenti?
Resta, certo, il dato inoppugnabile delll’impossibilità di una nuova classe intellettuale a godere delle stesse opportunità di cui qualcuno (pochi) ha potuto giovarsi in passato.
Ma gli spazi si occupano o si creano. Vedere vizzire il Corsera di Pigi Battista e la Repubblica dei Citati e la morte dei pomodori (signora mia) ci riguarda? Crepino, mi viene da dire, strozzati dal loro milione di copie.
Ezio
Leggevo sul Corrierone qualche giorno fa di Anceschi (l’insigne critico) che si lamentava, una manciata di decine di anni fa, della triste condizione delle patrie lettere che consideravano Vittorini o Pasolini grandi scrittori. (quelli che noi oggi diremmo: “non ci sono più i Vittorini, non ci sono più i Pasolini”, etc….) Insomma, niente di nuovo sotto il sole.
E’ per questo che sono d’accordo con Giulio ma anche molto d’accordo con Ezio.
Il blog (e la rete) ha permesso la creazione di percorsi “alternativi” alla scrittura e al pensiero, altrimenti bloccati (penso, su tutti, alla poesia). Che la carta stampata ormai se ne renda conto dimostra la sua lentezza ma anche la scommessa vinta da molti scrittori già “ufficiali” (come lo furono a suo tempo, per fare un esempio fra mille, i fondatori di NI: Scarpa, Moresco, Mozzi, Janeczek, etc.) ad usare questo mezzo e a dare spazio a chi “ufficiale” ancora non era. E c’è gente che (anche) in rete si è creata la sua autorevolezza – WM, Genna, etc.- e ora scrive normalmente anche sulla carta stampata. (ovviamente non credo che questo percorso sia necessariamente virtuoso e unidirezionale, ma semplicemente l’allargamento di opportunità, strappate con i denti ad un certo lobbismo tutto italico).
I lettori di NI sono numericamente molto meno di quelli del Corrierone? Ma dobbiamo anche chiederci chi sono. La loro qualità. (quanti lettori fa “Nuovi Argomenti”, in fondo?) Fra questi ormai sempre più molti intellettuali tecnologicamente giurassici, che snobbavano il mezzo, e che nel tempo stanno correndo ai ripari. Case editrici comprese.
Io sono uno di quelli che se può vede il bicchiere mezzo pieno, insomma. Cerco il potenziale positivo dell’articolo del Venerdì (che non ho letto, se non negli stralci qui riportati).
Non discuto le opinioni.
Giuseppe Iannozzi ha scritto: “E poi, al solito si finisce col citare i soliti quattro blog, quelli che sono già in mano a case editrici: “che senza Nazione Indiana, Vibrisse (www.vibrissebollettino.net), Lipperatura (http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura), Carmilla (www.carmillaonline.com), I Quindici Wu Ming foundation (www.iquindici.org/news.php), Il primo amore (ilprimoamore.com)”. “.
Qui Giuseppe Iannozzi scrive come uno che dà un’informazione. E l’informazione è falsa.
Rispondo per me. vibrissebollettino non è “in mano” a nessuna casa editrice. Il dominio è di mia proprietà. L’affitto del server, la banda, eccetera, sono tutte cose che pago io. Le persone che ci scrivono sono invitate da me. E’ vero (l’ho forse mai nascosto?) che lavoro per un editore (Sironi). E’ vero che in vibrissebollettino i libri che escono presso questo editore anche grazie al mio lavoro vengono regolarmente segnalati (faccio una più o meno regolare rassegna stampa): dovrei forse ignorare, in una pubblicazione curata da me, il mio lavoro?
Quando Giuseppe Iannozzi scrive che alcuni blog, tra cui vibrissebollettino, sono “in mano a case editrici”, diffonde un’informazione falsa. Perché lo faccia, sono affari suoi. Lo invito a rimangiarsela: qui, in questo stesso luogo dove l’ha diffusa.
Rispondo per Nazione indiana. Dica, Giuseppe Iannozzi, “in mano” a quali editori è Nazione indiana. Così ci facciamo quattro risate.
Gli ultimi 2 libri che ho letto sono Il leviatano di Auster EINAUDI e Gomorra di Saviano MONDADORI. Il primo ha un numero incalcolabile di svarioni: dico incalcolabile perché avevo iniziato a fare 1 orecchio sulla pagina per ogni svarione, ma poi mi sono stufato e ho cominciato a usare il libro come schiacciamosche, esattamente alla p. in cui sta scritto: “i diritti e i poveri” (giusto per sfogarmi in modo costruttivo). Anche MONDADORI non scherza: però lì ho corretto a mano perché il libro deve leggerlo per le vacanze mia figlia. Insomma, che ci stanno a fare i redattori? o sono stati tagliati? che industria è quella editoriale? come se la FIAT facesse auto con le portiere che non si chiudono. Almeno in rete si può segnalare lo svarione e provvedere immantinentementenente!
@andrea inglese
Al domandone (“Chi è il nuovo Pasolini) risponderei così: non è importante scoprire chi è il talento che i manager avrebbero rinchiuso nei lager virtuali, per non farcelo leggere (quali segreti nasconderà mai!?), quanto piuttosto riuscire a capire perché LA TEMPERIE che circondava Pasolini, e Calvino, e Sciascia, cioè l’aria che respiravano durante i loro incontri (e scontri), quella ‘Stagione’, insomma, oggi non c’è più (o la ‘stagione’ sono i blog di Wu Ming, Genna e Lipperini, o peggio ancora noialtri? ma dai…).
@cristoforo prodan
L’idea di spezzare le reni alla SIAE non è male, ma dove sono i nostri avvocati che si mettono al lavoro per realizzarla? Ecco perché bisognerebbe aprirsi, il più possibile, ad esperienze che non siano per forza letterarie. Ad ogni modo, per me, il primo passo è pagare gli autori quando pubblicano su NI. Pagarli noi, non la SIAE.
Come si pagano gli autori? Si SOSTIENE LA NAZIONE. Non con le collette tipo manifesto, ma facendo partecipare, effettivamente, attivamente, i lettori, gli autori, i naviganti, al progetto nazionale. Avete presente wikipedia? Anche lì non si diventa ricchi, ma se permettete potremmo riuscire a fare qualcosa di meglio dell’enciclopedismo cliccarolo e linkarolo.
Il problema resta il progetto, che non c’è (vedi punto uno, la fine delle ‘stagioni’). Ma aprirsi ad altre esperienze potrebbe essere un modo per trovarlo. The Project for A New Italian Write Century. Adesso qualcuno mi mena. Già m’immagino che faccia farà Galbiati.
Scherzi a parte, servono avvocati, fiscalisti, assistenti sociali, giornalisti, economisti, esperti di marketing e pubblicitari, anche i politici o i loro consulenti, che detto così sembra la lebbra. Imbarchiamo tuti, ognuno con il suo sapere parcellizzato e sottopagato, che andrebbe allargato, riscoperto a vantaggio degli altri. Siamo in rete oppure no?
@Gilliat
“Quanti di quei libri delle oltre 5000 piccole e medie case editrici italiane meritano davvero una recensione su NI? Davvero troppo pochi, pochissimi”.
Il discorso sulla qualità dei testi per me resta collegato ai tre gironi danteschi: ci sono penne buone e cattive in ogni cantica. Principesse che danno il voltastomaco e chiaviche che possono farti piangere di gioia o ridere dalla disperazione, non foss’altro che per la loro scemitudine (che difendo, a me gli intelligentoni dopo un po’ stancano, a meno che non sono Stendhal).
Il discorso non è “quanti” o “quali” sono i testi da recensire su NI, questo mestiere lasciamolo ai solerti compilatori di “Tirature”. Il problema è “come” farli arrivare a destinazione. Cioè il problema è trovarli, editarli, pubblicarli. Sapete, in giro c’è un sacco di gente che scrive semplicemente per il gusto di farlo. Propriò così, perché si diverte. E basta. Non gliene frega niente di Stilos, di Piros e di Milos.
Suggerisco due ipotesi di lavoro: 1) smarcarsi come editor, liberalizzare ‘sto cazzo di mestiere che in Italia è più corporativo della Rifondazione Tassinara. Diventare noi stessi i cacciatori di frodo che, nascosti nelle frasche, fanno il watchdog del complesso editoriale, fregandolo sul tempo, battendo palmo a palmo la provincia e le borgate in cerca di voci che abbiano qualcosa da raccontare, anche se al momento i ‘dimenticati’ sono troppi e non sono tutti in grado di farlo da soli (cioè di raccontare ‘come si deve’).
E quindi, 2) lavorare sulla didattica della scrittura. Che non è solo correggere qualche bozza e vedere se il discorso fila. Ma è la ricerca di un ‘metodo’ di lavoro condiviso (come la ‘stagione’). Metodo che non c’è ma che potrebbe esserci. Se mettiamo gli autori nelle condizioni di scrivere (e di leggere).
Gilliat, grazie per la risposta attenta, liscia liscia. So bene dei saggi, ma il campione come al solito era induttivo. I dieci manoscritti sono ‘estratti a sorte’. Il campione può essere modificato, ma conserva delle invarianti fisse (dai narratori di provincia agli indemoniati religiosi, passando per i posseduti da Tolkien***). In ogni caso cercherò di essere più preciso. Se ci riesco domani concludo la campionatura.
***Questa settimana ho letto il testo di una under 20 che ha scritto un fantasy di seicento pagine (600). Al di là della qualità, la ammiro per la costanza. Secondo me si è divertita da matti.
@abbicci
spero perdonerà i refusi.
Io non capisco mai bene gli ariticoli di Mozzi, ma fa l’istess.
So solo una cosa:
che io ho parecchi libri lì sul tavolo sul comodino e loro stanno lì,
aspettano, dormono prendono polvere e li sfoglio assai poco perchè ormai leggo molto più sulla rete, disordinatamente fin che si vuole, ma leggo, mi diletto, mi incazzo, mi scrivo, mi informo e via.
Ne so un’altra e l’ha rilevata benbene Roberto:
sta povera Italia è il paese dei fasci e delle corporazioni, come diceva i Buce, basta vedere che cosa non bisogna fare per diventare giornalista, se lo diventi poi ci hai dei privilegi, pure se diventi tabacchino, notaio tassinaro e se poi riesci ad entrare nella casaforte superblindata dei politici di professione, uuhhh, ti sei protetto( vuoi parato il cul) per il resto della vita e ci dai lavoro ai figli, ai nipoti, anche alle cognate (per dire).
Ne so ancora un’altra:
Qui ci andrebbero delle liberalizzazioni vere, democratiche,
non quelle tipo alla russa che poi i beni pubblici vanno ai gangsters,
cioè le liberalizzazioni interiori,
cioè buttar via gabbie di privilegi reali o ideali che sono vive come ostaggio e retaggio mentale nelle teste di molti, di troppi.
Io sento ancora una cosa:
mi diceva un amico di qui, di NI( il furlèn):
molti vogliono dare l’assalto al Castello, la Rete, ma nel Castello ci siamo già a piedi uniti (e a volte non ce ne rendiamo ben conto)
La corporativissima SIAE si propone di proteggere i diritti degli autori e degli editori, di fatto, si autoprotegge come istituzione tendente all’imperituro mantenendo a buon stipendio ed a tempo indeterminato una schiera di funzionari puzzoni e fascisti ( nella testa, dico).
A me ne è capitata una bella, rarissima, per dire, tre anni fa:
Un sito letterario belga mi ha pagato diritti di autore per tre anni per tre miei racconti sul web, in francese, guardà lì; ed io non sono quasi nessuno.
Che là la pensino e poi agiscano diversamente?
MarioB.
Sottoscrivo, parola per parola, l’intervento di Giulio e quello di Andrea Inglese. Leggere certi articoli ‘repubblichini’ è davvero un incubo.
lv
@roberto
Hai ragione, anche solo per arrivare a formulare una proposta referendaria che abolisca l’esclusiva siae ci vorrebbero degli azzeccagarbugli che ci capiscano di cose al confine tra legge e politica. Però è strana l’epoca che stiamo vivendo. Negli anni di piombo in Italia c’erano gli avvocati di Soccorso Rosso (e forse ci sono ancora) che difendevano gratuitamente i brigatisti in carcere, c’erano (e forse ci sono ancora) gli avvocati del Tribunale dei diritti del malato di Giovanni Moro che prestavano il loro patrocinio gratuito ai parenti delle vittime della malasanità. Possibile che per una causa così nobile, com’è una qualsiasi battaglia per la sopravvivenza della cultura, non si trovino degli avvocati, e altre figure professionali, in grado di dare una mano? Dai politici non c’è da aspettarsi un gran che. Ma dalla cosiddetta “società civile” ci dovrebbe essere una maggiore sensibilità.
Per quanto riguarda il pagamento su NI, il discorso è interessante e NI può essere un laboratorio in questo senso. Una cosa, molto semplice, si potrebbe fare già da subito. Tra i tanti pulsantini in calce agli articoli (e, perché no, anche ai relativi commenti) si potrebbe aggiungere il puslantino di “donazione” attraverso PayPal (rif.: http://www.paypal.it), ovviamente che faccia capo non al singolo postante ma a NI come entità giuridica senza fine di lucro (tipo un’associazione culturale o una fondazione). Il pulsantino dovrebbe essere accompagnato da una scrittarella del tipo “se ti è piaciuto questo articolo ti invitiamo a sostenere l’iniziativa, ecc.”. I soldi incassati in questa maniera (e vi confesso che qualche volta io, qualche euro, quando ne ho la possibilità, ce lo butterei; moltiplicate questa potenzialità per le centinaia di lettori di NI…) dovrebbero essere amministrati e redistribuiti tra i vari postatori (tipo le mance che i banchisti del bar si dividono a fine giornata). Il criterio di suddivisione dovrebbe, come dire, essere “equo e solidale”, secondo la vecchia, ma secondo me sempre valida, formula “da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i propri bisogni”. La cosa è fattibile in termini pratici e senza spese. Male che vada all’inizio si incassano pochi spiccioli. E inoltre la cosa va pensata bene, con regole precise e condivise, per evitare la ressa dei poveri al camion degli aiuti umanitari. Ma non importa, si comincerebbe ad affermare un principio, un’ipotesi alternativa al Sistema. Anche la banca di microcredito Grameen Bank ha cominciato con un’idea semplice e alternativa al Sistema (mafioso e clientelare) degli aiuti ai paesi poveri, ed è riuscita in pochi anni ad affrancare dalla povertà milioni di persone nel terzo mondo. Basta avere la volontà di fare e di organizzarsi. Io ci sono e sono a disposizione. Ecco la mia email: cristoforo.prodan@gmail.com.
Ultimo ma non ultimo. Sono stato e sono un libero redattore di Wikipedia per alcune voci di interesse musicale. Non credo che il progetto sia da liquidare negativamente come “enciclopedismo cliccarolo e linkarolo”. Si tratta di una grande risorsa e la democratizzazione del sapere, con la possibilità di dare il proprio contributo liberamente, non è così negativa come sembra. C’è in realtà un capillare “controllo sociale” su quanto viene scritto virtualmente da chiunque abbia qualche conoscenza da condividere. Un progetto, in questo senso, rivoluzionario, che non a caso è stato oggetto di uno dei primi strali di papa Ratzinger. Lì non ci si guadagna nulla, ma non vi nascondo il fatto che Wikipedia mi è stata utile in moltissime situazioni e quindi, già solo per questo, si è ripagata.
cp
Dice Mozzi;
“La domanda è: ma perché Roberto Saviano, Marco Rovelli o Andrea Bajani non scrivono in «Repubblica», o almeno nel «Mattino di Napoli» o nel «Secolo XIX» o nella «Stampa»? (Magari adesso ci scrivono, peraltro; adesso). Se questi ragazzi hanno così tanto talento (e nel caso di Saviano c’è un consenso quasi universale), perché per anni e anni hanno dovuto ridursi a pubblicare i loro testi in rete, ossia – in sostanza – ad autopubblicarsi? ”
Non drammatizzerei tanto. Saviano non ha nemmeno trent’anni e da un pezzo lo vedo giustamente anche su alcuni giornali. Se non sono troppo distratta anche Rovelli e Bajani sono giovani.
Le meccaniche di cooptazione sono sempre le stesse e viene cooptato non solo chi ha talento, ma anche chi ha alcuni difetti e qualità (ci vogliono entrambi). Per chi non li possiede è faticoso non solo farcela ma anche restare lì dove è stato cooptato. I prezzi a volte sono alti. E questo da sempre.
Noto, nel pezzo di Mozzi e anche nei commenti, un inconsapevole riferimento al “male” a qualcosa di negativo che come la maledizione della terza madrina nella bella addormentata si stende sul popolo della cultura e dei talentosi, qualcosa di negativo e soprattutto “voluto”, una “volontaria” esclusione dalle fonti della visibilità, del successo e del potere di un gruppo da parte di un altro, di una generazione da parte di un’altra.
Dice Mozzi. “la grande stampa periodica (ma anche quella media e piccola) ha smesso un tot di anni fa di dare spazio agli scrittori e agli intellettuali.”
Vorrei fare un piccolo esempio personale. Tempo fa avevo proposto a un mio amico che aveva una posizione di un certo peso in un giornale locale della catena di repubblica i pezzi di una ragazza che mi parevano buoni e interessanti. Li ha letti, gli son piaciuti, mi ha chiesto se glieli doveva pagare (!) Io ho detto, beh, qualcosa almeno. Lui ha detto va bene. E poi lei non ha voluto per fatti suoi. Un bel pezzo non troppo caro che sia in sintonia con il giornale e che non possa già fare un suo giornalista il giornale lo vuole. E anche un bel libro che possa trovar spazio nella collana adatta l’editore lo vuole. Certo, non il bel libro che quel gruppo di persone che dentro la casa editrice prende le decisioni trova lontano dalle proprie posizioni e destinato a non vendere se non venticinque copie.
Di recente un editore prima medio e ora assorbito da uno grosso mi ha detto noi “leggiamo tutto”. E so che è vero. Sono in caccia di libri. E la libraia di Pieve di Soligo, una donna simpatica e intelligente con cui parlavo l’altro giorno mi diceva che ne fanno troppi e ne fanno troppi sulle spalle dei librai che intanto pagano.
Ora, se è vero che gli scrittori sono meno presenti di una volta sui giornali (e credo sia vero, o almeno sono raccolti -potrei dire “ghettizzati”, ma sono certa che non è la parola giusta- nelle pagine culturali, lette solo da quelli che leggono letteratura e che non sono moltissimi) mi chiederei anche perchè, e mi risponderei che forse non sanno più parlare a tutti, o che non sono interessati a parlare a tutti. Io per esempio, se fossi una scrittrice, sono certa che scriverei di cose che interessano a pochissimi, sono certa che nessun giornale mi vorrebbe se non parlassi almeno a un venti per cento dei suoi lettori, quello che mi avesse cooptata verrebbe cazziato, o -sia pure non cazziato- cazzierebbe me.
Ma “cosa” viene giudicato buono?
La domanda che un redattore si farà può essere formulata così: questo articolo/ libro “prende”? Tocca tematiche nuove e rilevanti? Ha un progetto narrativo forte e visibile? Presenta una qualche novità? Ha valore?
C’è però anche una richesta di base, al fondo, taciuta ma anche lei presente e operante: questo libro che pubblico, questo articolo che pubblico, questa persona che coopto avrà successo? E, avendolo, porterà successo a me che lo ho proposto o cooptato? o anche, semplicemente, avrà quel tanto di successo da permettermi di continuare a fare questo lavoro che amo e che è il mio? o sarà un fallimento e mi verrà imputato? C’è sempre un lavoratore dipendente, sia pure ad alto reddito, a volte, dietro a queste scelte, non dimenticatevelo.
Quanto alla rete, dal punto di vista dell’editore su carta la rete comincia a essere un interessante serbatoio da prendere in considerazione, purché le proposte arrivino filtrate da gente di cui per ragioni di vicinanza varia si fidano.
Chissà perchè tutto questo mi fa pensare al vero problema dei nostri tempi, la democrazia non è minacciata dai governi, ma dalle grosse corporations, organismi non democraticamente eletti e abitati da batteri, germi che cercano di ottenere il massimo per sé e la propria azienda-organismo.
Bisognerebbe capovolgere le cose, e vedere criticamente il mondo dall’ottica del consumatore, invece che da quella dell’elettore, forse capiremmo di più e potremmo anche fare di più
Per completezza (?): anche se in maniera un po’ astigmatica rispetto al post di mozzi, della faccenda si parla pure qui:
http://www.untitlededitori.com/adr/2006/8/20/il-tonno-che-si-taglia-con-un-pennino.html#comments
@cris prodan
@jan (che ne dici?)
Cristoforo Prodan è una persona con le idee chiare. Propositiva. Ho l’impressione che non abbia villette a Capalbio dove ritirarsi per scrivere il romanzo del secolo, al riparo dal mondo.
Ottima l’idea del clic, pago quello che davvero mi piace leggere, tenendo presente, però, che molti indiani non hanno mastercard o bancoposta e quindi conviene anche aggiungere la tradizionale opzione versamento su conto corrente (mettiamo, io per leggere un pezzo di Gina su Hirsi Ali sarei disposto anche ad andare in posta per fare il bonifico).
Per evitare la ressa da campo profughi, be’, credo che la strada maestra sia un network di micro-redazioni territoriali (più agili), spontanee, autogestite (ma che si coordinano tra loro), dove organizzare la parte pratica e il progetto culturale nazionale (la vedo dura, ma si può provare).
Questo consentirebbe, soprattutto su scala locale, anche le prime incursioni in università, circoli, associazioni, perché dobbiamo portare NI fuori dal sito, esistere anche ‘fuori’ pur restando collegati in rete (‘dentro’).
Era la parte ‘didattica’ del mio commento precedente, 1) didattica online per i nostri autori ‘dimenticati’; 2) didattica offline per le scuole, gli istituti, le fondazioni; 3) offerta formativa per le aziende, cioè comunicazione aziendale e italiano professionale (tipo corsi di scrittura web).
In effetti sono stato un po’ ingeneroso con i wikimen (come farei senza di loro!), ma era stanotte, e il caldo e la mancanza di sonno incattiviscono chiunque. Era per dire che si può importare il modello wikiano a patto che rientri nel ‘progetto’ più generale, che non sia, cioè, solo flusso informativo, ma corrente ideale, proposta politica, testo inedito e irripetibile, insomma noi siamo qui, siamo questo, scriviamo così, e voi?
@fabio
e se proponessimo quel che resta di Iter alla Nazione?
Roberto, scusa se sono indiscreto, ma chi è “fabio”?
Fabio e roberto sono due gemelli monozigoti che tentano di fondare un’impresa, riproducendo anche qui i meccanismi che hanno portato le grandi imprese editoriali e mediatiche (quelle che ce l’hanno fatta) a essere quello che sono. Il che mi sembra non nelle corde (sbaglio?) di NI
Se questo è il vespaio creato dall’argomento ufficioso riguardo i diritti d’autore, m’immagino la competitività quando se ne parla in maniera ufficiale su mezzi istituzionalizzati….mi sorge il dubbio che sussista il pericolo che gli autori sperimentali della rete possano in qualche modo riprodurre le dinamiche predatorie del mercato editoriale classico, divenendone una brutta copia. Speriamo che ciò non avvenga, diversamente sarebbe inutile adottare metasoluzioni e metalinguaggi.
Grazie, temp: un alter ego, dunque, un interlocutore privilegiato. Mi piacerebbe leggere anche qualcosa di suo e, soprattutto, sapere se è sempre d’accordo con quello che il buon Roberto scrive.
Tempe sei una strega…giuro che non sapevo cio’ che stavi per scrivere! secondo me compriamo le stesse pietre alchemiche dallo stesso stregone…
Magda, mi sa che anche stavolta hai visto giusto… Al contrario di Gianni Biondillo, io sono uno che, per esperienza diretta, vede sempre il bicchiere mezzo vuoto, e non riesco proprio a non chiedermi chi si è bevuta l’altra metà. Avrei bisogno anch’io di un alter ego più positivo, ma finirei per confliggere sicuramente.
Applicare criteri classici editoriali alla rete, nata per superarli e neutralizzarli, è qualcosa di profondamente perverso perchè snatura il senso oroginario del web.
@Cato
di Fabio trovi qualcosa qui.
https://www.nazioneindiana.com/2006/04/29/a-gamba-tesa-quiero-no-quierolettera-aperta-ad-aldo-nove/#comments
Ma anche a margine di Gomorra, Forlani, eccetera.
D’accordo quasi mai, grazie a dio.
Non so se mrs. Friendly, in passato, abbia mai usato l’espressione ‘compagno’ (u’ cumbà).
perverso come travestire la propria moglie da bambola gonfiabile.
@mgd
è possibile, ultimamente ho comprato parecchio su molti mercati:-)
@fabio/roberto
se con mrs friendly intendi me, che ti importa? sono fatti della mia padrona, io, il suo nick, dico quello che penso, giudicami per le mie parole.
denaro sesso e potere sono sempre state le molle che hanno mosso il mondo, qui si analizzano le varianti, la variante che interessa me è la grande o meglio ancora, mega-impresa spersonalizzata, che ha vinto. E ho la sensazione a volte che io nostri discorsi (anche miei) siano sempre un passo indietro rispetto alla marcia del capitale e della sua organizzazione impersonale. Dunque patetici. Sia quelli di chi lo critica che quelli di chi lo venera.
Un passo avanti, anche da parte mia, of course & friendly, sarebbe un sorso d’acqua fresca, una possibilità, forse una new entry:–)
Però @mgd i classici (anche i criteri classici) facendoci capire bene il passato ci aiutano a volte a capir meglio il presente, dunque in un certo senso l’accostamento rete/editoria classica, a parte le intenzioni del popolo della rete, potrebbe non essere peregrino.
@ roberto/fabio
ma forse ti ho frainteso e intendevi “compagno” in senso non epico (ormai é epico, ahimè, se incontrassi Fassino non mi verrebbe in mente di dargli del tu e chiamarlo compagno, cosa che con Berlinguer avrei fatto, e certo non per colpa di Fassino medesimo. I tempi cambiano, pur restando nella stessa famiglia.
ho l’impressione che non ci sia alcuna volontà precisa, da parte dei mezzi di comunicazione di massa, di “non dare spazio a chi può scrivere cose intelligenti e, in quanto intelligenti, disturbanti”. gli spazi culturali sono ridotti perché il pubblico cui si rivolgono è ridotto, e i tentativi di allargare quel pubblico e quegli spazi finiscono per snaturarli, per renderli intrattenimento. guardate l’informazione dei telegiornali: voi vedete molta differenza fra lucignolo bellavita e studio aperto? e non vi sembra che quel virus stia gradualmente contagiando pure il tg5, o il tg1? più o meno la stessa cosa sta succedendo sulle pagin culturali, dove si concede sempre più spazio alle polemiche (houellebecq antislamico, grass giovane SS), perché si pensa che senza quel pepe gli stessi libri interesserebbero molto meno. poi ci sono i beejay di pui parlava tiziano, quelli che segnalano le mostre e i libri, che vengono spacciati per critici (vedi d’orrico). poi ci sono i libri, quelli che vendono di più, vero e proprio litertainment (©); come la pulsatilla, che per me è una littizzetto che fa la copywriter in un’agenzia di provincia. cosa resta, che spazi restano all’inattualità, come dice bene christian? poco o nulla, e allora ci si affida ai dinosauri consacrati, vedi magris sul corsera e citati su repubblica. noi, gli eccentrici e anacronistici appassionati della Letteratura, siamo come gli amish, ogni tanto ci vengono a visitare e a compatire le famigliole in gita. non è neppure questione di reddito, o di titolo di studio: briatore e un medio avvocato leggono gli stessi pochi libri e nello stesso periodo: il codice da vinci, le barzellette di totti, sulla sdraio o poco prima di addormentarsi, alla stregua di un tavor. non è che i libri belli disturbano, è che non interessano a nessuno.
@Gilliat
@Maldoror
Gli inattuali 3 (testi narrativi; non saggistici, non poetici).
Confrontiamo il nostro campione con quello offerto da “Tirature 2005”. L’osservatorio di Vittorio Spinazzola offre un quadro abbastanza equilibrato sulle tendenze editoriali e di mercato in atto.
1.
Ci accorgiamo subito che non c’è coincidenza. Secondo Tirature, la parte del leone la farebbero ancora gli Under 30 (questo è vero se si parla delle uscite, del venduto, ma non vale per gli inediti). “I Cannibali”, dunque, che però, secondo Gianni Turchetta, “non mordono più”, i nuovi Werther, i nuovi Ortis e le Soncine di tutto il mondo unitevi.
Nel nostro campione, invece, c’è un solo del testo del genere, mentre emerge che i giovani autori scelgono sempre più spesso la via della fiction, quella pura, arcipopolare, postsalgariana. La narrativa di genere, insomma (più il fantasy e la sf che il noir e le pulpitazioni).
Il vantaggio, per questi autori, è di rimodellare i loro testi grazie a una scrittura ‘visiva’ che gli viene non solo dai romanzi che hanno letto, ma soprattutto dal cinema, dalla tv e dai fumetti (ne parla spesso Luca Raffaelli).
La non-coincidenza dimostra che il generazionismo è stato e continua ad essere spremuto dagli editori, che il tondellismo paga (poveri noi, ancora per quanto?), ma che sostanzialmente è un fenomeno indotto, pompato, un modello ancora influente ma che non può reggere la concorrenza di altre scritture in grado di fagocitarlo.
Il fantasy a cui mi riferivo ieri (testo 3), infatti, contiene inserti in prima persona, di stampo chiaramente autobiografico, generazionale. Il testo 2 (sf) è scritto da un autore che sa di cosa sta parlando, essendo ingegnere appassionato di componentistica spaziale. Anche in questo caso la fiction diventa il pretesto per narrare il proprio vissuto, senza drammi.
2.
Occupiamoci delle “ragazze cattive” e di Chick Lit. Anche in questo caso le librerie negli ultimi due o tre anni si sono riempite di Melisse e “porno-rosa”, a scuola la mattina (a pippare), a casa la sera non ci torno (preferisco farmi scopare); oppure abbiamo avuto le conversioni delle buone e pie(caso raro come la Tamaro); e chi voleva riprendersi i pantaloni, salvo poi ricordare con nostalgia i tempi delle nostre madri e delle nostre gonne.
Quest’ultimo passaggio segna l’avvento delle “gallinelle”, le Brigitta Jones, con il loro speculare ritratto boybello tipo Hornby (vedi caso umano Fabio Volo), e quindi che figata quelle scarpe di Armani, aiuto mi viene la shoppinghite, mamma mia non sai come scopa bene quello, e dovresti vedere come trivella quell’altro, ma com’è che sono finiti non solo i Pasolini di una volta, ma anche i veri maschi e mariti integrali? caramia soffrono tutti di peterpanismo.
Anche in questo caso non c’è coincidenza. Nel nostro campione il testo assimilabile al fenomeno bad-chick-girl si riduce a un solo manoscritto (testo 7), che è molto, ma davvero molto diverso dal libertinismo pipparolo (nel senso della polvere bianca) e scoparolo che ci vendono anche in edicola (ventisette modi per incastrare il tuo partner con un figlio).
L’autrice del nostro testo ha ambizioni molto più modeste: scrive un diario lineare, facendo i conti con gli istituti repressivi tipo paese mio, padre padrone, ti mando dalle suore, che ci ricordano il nostro recente passato talebano.
La scrittura è più semplice, meno brillante, non c’è ‘cattiveria’, al massimo una depressione con cui fare i conti, quotidianamente, sperimentando il lato buono dell’autobiografismo (come cura di sé). Ma questo genere di diari “neopopolari” non vende, quelli briggettiani sì. Evidentemente le pompinare di Sex and The City hanno fatto scuola.
3.
Infine c’è il mistero degli scrittori scomparsi, gli anziani (testo 5, autore over 60, uomo, alfabetizzazione di ‘ritorno’). Molti di loro sono gli sconosciuti a cui si riferiva Fortini, che dalla Seconda Guerra mondiale in poi hanno deciso di riprendersi la parola, anche a costo di scrivere come uno studente di terza media (ecco ‘il ritorno’).
Questi scrittori vogliono testimoniare un’esperienza irripetibile: la lotta partigiana, il destino dei soldati italiani abbandonati al fronte e trascinati dai nazisti da un campo di concentramento all’altro, i fuggiaschi, i reduci e i disertori. Eccoli i subalterni, i Nuto Revelli, i ‘dimenticati’: http://www.libreriamilitare.com/cgi-bin/select.cgi?cat=181
Li avete mai visti esposti sullo scaffale?
Tirature se la cava citando “Il sangue di Pansa”, le inchieste sui fascisti che hanno favorito l’appeasement tra nipotini di Stalin e di Salò. Ma il groviglio di emozioni, esperienze umane, atti di coraggio e gesti vigliacchi, nobiltà d’animo e miseria morale, conservato negli archivi segreti dell’inedito che non conosciamo (perché non è utile, politicamente ed economicamente, parlarne, e quindi meglio non renderli noti), è un pezzo della nostra storia pubblica che grida vendetta, al di là dei revisionismi e delle inchieste (pure utili) di un giornalista scafato come Pansa.
Sono gli inediti che preferisco. Racconti sul fascismo, la guerra, il boom e lo sboom. La provincia e la borgata. Le scritture innominabili.
Arrivederci a tutti.
@garufi
@inglese
@raimo
gentili amish, ma perchè voi, voi che potete, che ne avete di doti e, spesso, di spazi riconosciuti di espressione (e di ‘azione’), indulgete troppo spesso nel soffermarvi (ancora, e ancora) sullo status (quo) dell’arte e sulla condizione di salute dei bersagli grossi, e come la croce rossa, de ‘centro-destra’ (briatore, l’avvocaticchio di provincia, citati e magris: che a parer mio troppo vicini non dovrebbero esser messi, ma comunque; d’orrico, tg e stampa generalista, bestsellers feromonici, ecc…). E non, infine, sul ‘sistema’ culturale de ‘(centro-)sinistra’?
questo strabismo (di venere?) mi insospettisce alquanto. dico, vecchio discorso, per dire, che ne è dell’unità e del manifesto (alias)? certo, lì uno come saviano ha avuto porte aperte (anche se molto, moltissimo, andrebbe precisato sui meccanismi di reclutamento, sulle ‘regole d’ingaggio’, sui diritti che lì i lavoratori possono vantare, o meno, su come si lavora come collaboratori esterni, mettiamo, in quelle ‘cooperative’ che hanno le stampelle dorate dei sovvenzionamenti statali, tra quei ‘compagni’…: sulle dinamiche di ‘potere’, anche lì…). ma c’è dell’altro.
sullo sfondo della tendenziale ‘unidimensionalità’ del sistema editoriale (ma è un facile luogo comune, ormai), ‘nel fitto’ delle battaglie politico-culturali che la nuova destra sta esercitando con una certa efficacia da un decennio circa qui da noi (vedi, per tutti, il foglio di quella serpe obesa), piange e barcolla l’idea di un discorso chiaro, ‘nuovo’, preciso, riconoscibile, del ‘sistema’ culturale, per semplifcare, di ‘sinistra’. non parlo tanto dell’editoria (lo fa, dati alle mani, il commento qui sopra di roberto), ma proprio del lavoro di idee (nei metodi, nelle forme, nei contenuti) che si vede sulla stampa (non solo cartacea, direi). sulla stampa a noi ‘familiare’.
quest’estate leggevo un giovane critico bravo bravo, gabriele pedullà jr (d’ora in avanti pedullino), alle prese con un’introduzione al suo fenoglio di ‘una questione privata’. com’è come non è, si era alle prese, fra storia e letteratura, con una nozione (rivisitata, aggiornata) di ‘realismo’ (e come se no, visto che il pedullino cura anche l’edizione sempre einaudi dei ‘racconti della resistenza’?). ebbene pedullino si produce poco tempo dopo (poco tempo fa), sulle pagine (cir)confuse di ‘alias-il manifesto’, in una inopinata tirata, come sempre ben scritta e documentata, stimolante e seducente, su cortazar e la periferia non solo geografica della letteratura ‘fantastica’ che egli incarna, che impersona, in alternativa alle egemoniche (?) e asfissianti (per lui, per pedullino) nozioni e pratiche di ‘realismi’. certo, l’eclettismo (e ci sarebbe comunque da parlarne). ma dov’è la chiarezza di un discorso politico-culturale, di una battaglia di ‘estetiche’ ‘coerente’? come si fa battaglia di idee da quelle parti? come si ‘orienta’ ‘sto pubblico che secondo gli amish è tutto ‘civilizzato’, nella sua iredimibile barbarie, e come i forzati di massa delle vacanze steso a cuocere al sole dello stivale con la settimana enigmistica (gran cosa) o i libri sponsorizzati da d’orrico, magari, sulle ginocchia pelose? punto e a capo. davvero così poco e così confuso? come la mettiamo?
@temp
Off topic, cara @ temp, se mi permette. pure tu, caro roberto, potevi scrivermi in effetti un sms (ma chi se ne frega). e allora OT pure io, zà zà.
cara @temp, avevo promesso (e chi se ne frega) di non abboccare più, di non scrivere più (e chi se ne frega). e di studiare, di studiare, come consiglia la maestrina. magari dopo quattro giorni al mare o a leggere sui tetti.
ebbene, cara @temp, qui anche per merito Suo si respira l’aria per cui se uno oltre ai ragionamenti (astratti) fa proposte (concrete), è tacciato non capisco bene di che cosa (“Fabio e roberto sono due gemelli monozigoti che tentano di fondare un’impresa, riproducendo anche qui i meccanismi che hanno portato le grandi imprese editoriali e mediatiche quelle che ce l’hanno fatta a essere quello che sono. Il che mi sembra non nelle corde sbaglio? di NI).
ebbene, cara @temp, lei non capisce una acca di quanto possa essere gratificante essere (non fingersi) un ‘narratore-pensatore’ furfante, trikster, disinteressato a ‘riprodurre’ alcunchè, e ‘dilettante’ (lei ne sa qualcosa, immagino, del significato più pregnante della parola). Le è estraneo, mi duole constatare, il dono, tendenzialmente, di restare un po’ ‘puer’, o ‘divino briccone’. che scrive, oltre a leggere e far le pulci ogni due per tre, e produce, e si diverte, e fa cose serie. magari utilizzando un blog non per esporre il proprio ego del giorno, o per tirarsi dietro qualche prevedibile accolita di facili consensi (facili facili), ma come palestra e ‘laboratorio’ di scritture e di idee precise, e di proposte (che mi pare, fra l’altro, la funzione eminente da difendere, e da cui partire, per i discorsi non OT sull’on-line…). chi diceva che l’infanzia fino all’adolescenza è l’unico ponte ancora disponibile per riallacciare nei tempi borghesi natura e civiltà (come per un puer aeternus, come difesa estrema dell’humanitas)?.
ma chi se ne frega? insomma, non mi spinga a formulare uno di quei sintagmi molto made in blog, che mi fanno venire tumultuosi brividi di piacere. Tipo: “se ho capito bene ciò che intende, anche se OT, la prego di scusarsi, gentile signora, e in pubblico, e presto, perchè le sue parole sono moleste e pericolose (sic) non solo per me medesimo (lasci stare i gemelli, per cortesia), ma per la comunità (sic)”. ci metterei un tout court.
E io dovrei spendere dei soldi ma sopratutto del tempo per comprare questi libri che non leggerei nemmeno se mi pagassero.
Pulsatilla? ma voi parlate seriamente?
@ Garufi
Sono d’accordo con te, oggi sul Corriere (ma immagino anche su repubblica perché le notizie di varia sono sempre fotocopie identiche per tutti i giornali) c’è un articolo sugli iPod che titola “Generazione iPod, 15 ore al giorno con la musica”
Ottimo. La ascoltano anche facendo i compiti. E “accusano” i loro prof di non sapere cos’è. A parte il fatto che non credo sia vero, se una parte del tuo cervello ascolta musica, un testo complesso che ha bisogno del cervello intero non lo leggi. Leggere quelle letture che hanno bisogno di un cervello intero costa impegno e fatica e quindi gente che voglia applicare il suo cervello e il suo tempo nell’orror silentii ce n’è poca. Questo non è modificabile, credo. Perso il centro in molte cose non si poteva non perdere anche il centro dato dalla parola pesante. E così ha acquistato più spazio la parola leggera, che si può scorrere anche facendo altro. Questa disabitudine alla capacità di concentrazione tutti la conoscono e ne traggono le conseguenze. Editori compresi, anche piccoli. Qualcuno si è offeso mesi fa, se non sbaglio, quando qualcuno parlava di perdita di centralità della letteratura: energie mal spese, la letteratura non è più centrale, viviamo da molti punti di vista in un arcipelago, ognuno nella sua isola, con qualche meritorio traghetto che fa la spola.
“non è che i libri belli disturbano, è che non interessano a nessuno.” A nessuno è dir troppo, ma a poca gente. E soprattutto pochissimi, come diceva Fofi in risposta a Paccagnini, hanno il tempo e il modo per farsi il “palato”, e se manca il palato chiunque ritiene letteratura quella a cui si è o l’hanno abituato. Insomma, una cosa sempre più da carbonari.
Mi sento quasi obbligato ad intervenire su ciò che è stato scritto qui. Percarità, giustissima la tua opinione personale inerente all’articolo de Il Venerdì, ma è personale, e nel frattempo ha portato perlomeno curiosità l’articolo in discussione.
Se però mi dici che in certi giornali c’è più libertà che in altri, allora cadi inesorabilmente nel tunnel della preferenza politica o perlomeno di un gusto personale.
L’idea di lasciare la letteratura al di fuori di testate importanti magari non è neanche tanto male; quando qualcuno vuolfarsi un giro e cercare qualche scritto nuovo, originale, che non siano i soliti scontatissimi che troviamo nelel librerie, può cliccare su un comunissimo motore di ricerca e trovarsi a che fare con una miriade di link di blog.
Se un poeta, un filosofo ed io, scriviamo ognuno nel proprio blog per me è democrazia, per te no. Se loro scrivono su testate nazionali perchè hanno il loro nome che fa “bello”, ed io resto a scrivere nel mio blog, non mi va bene. Mettiamo il caso ch’io scriva cose simili, esempio poesie, magari altri hanno maggiore visibilità per il loro nome, io no perchè non sono nessuno. Nel web, nel mondo dei blog, almeno in questo, cerchiamo d’esser sullo stesso livello. Non ho pubblicità, non ho migliaia di visite, non ho riviste che parlano delmio blog, a differenza di quello di Beppe Grillo o di altri, ma alla fin fine, sia io che Beppe Grillo, scriviamo sui nostri rispettivi blog.
Sono felice e soddisfatto dell’articolo su Il Venerdì.
Arrivederci.
Non ho capito bene cosa @Fabio mi rimproveri.
Di essere maestrina? Boh, perché no? Non mi offendo.
Di avere un ego? Beh, senza mi sentirei deprivata, cerco solo di mantenerlo di dimensioni normali.
Se qualcosa rimprovero io, invece, ai divini gemelli è la mancanza di chiarezza che mi porta – questo è vero – a non capire un acca. Mica altro.
Le proposte concrete non mi scandalizzano certo, dico solo che quelle che ho intravisto non mi sembrano delle gran novità e questo mi fa dubitare che dietro alle proposte concrete ci siano ragionamenti astratti efficaci.
just a little OT. alla fine – sociologicamente parlando – si scopre che l’attenzione del lettore indiano medio (il campione e costituito da: ME in un attacco di solipsismo condito di modestia) si sposta dal nocciolo del discorso… – ehm.. qual era sto nocciolo??? – alla domanda “ma perché dopo un po’ di post ci si trova a leggere cose stile ‘arbasino quando pippa’ (cfr. fabio) VS altre in stile ‘arbasino quando non pippa’ (resto del mondo)? Cercasi Spitzer in grado di dirimere la quaestio.
P. S.: a scanso di querele, l’Egregio Signor Arbasino non pippa sul serio, il mio era solo un postar figurato. salut, andrea
IL SIG. GIULIO MOZZI HA RAGIONE SU TUTTI I FRONTI POSSIBILI E IMMAGINABILI E NON IMMAGINABILI E IANNOZZI INVECE HA TORTO MARCIO SU OGNI FRONTE.
GIUSEPPE IANNOZZI
@ temp
Le posso girare un altro OT (ma in questo caso di pregevole fattura, che trascende, ben inteso, i nostri micragnosi ombelichi)? poi torno a studiare, e fare nanna. (le/i maestre/i, però, a parer mio, si scelgono – se si potesse sempre usufruire della propria libertà -, si desiderano, si cercano, non dovrebbero imporsi: perchè non esercita il mestiere anche sulle scritture semplici di un raimo, per dirne uno, senza rancore?)
‘la difficoltà, l’oscurità, il fumo si accompagnano necessariamente ad ogni discorso che si rifiuta a dispiegarsi perchè ha come proprio centro una proposta […]. in prosa […] voleva dire far cozzare fra loro il maggior numero possibile di elementi contraddittori, procedendo per grumi e magari per gridi, per accenni, per sottigliezze. […] sono, nonostante tutto, così persuaso della necessità profonda di insegnare la complessità, di lottare contro le semplificazioni apparenti e ingannevoli, che la sola via dritta a dire una cosa mi pare quella obliqua (stavo per dire: quella dialettica, se la parola non fosse quasi malfamata)’.
F. Fortini
Condivido l’analisi fatta da Giulio e postata su NI .Pero’ c’è un punto su cui nessuno ha messo il dito. Perchè dei quotidiani che non sono più quello che erano, dovrebbero avvalersi di firme prestigiose come un tempo? Perchè la letteratura che deve svolgere un’azione di mise en abyme, di critica e anche di presa di rischio dovrebbe accettare la mollezza delle linee editoriali espresse da quelle tre quattro testate che fanno l’Italia. MA a Repubblica lo sanno che cè una crisi della stampa a livello mondiale? Che Liberation ha licenziato insieme a
un terzo (credo ) degli effettivi il suo direttore fondatore? E che a finanziarlo sono dei banchieri? Che per le monde è la stessa cosa e via dicendo? Che l’unico giornale corretto (non politically) è l’ Internazionale soprattutto per il fatto che ci mostri come le notizie siano trattate nel resto del mondo? E che nelle sole pagine italiane sono stati pure capaci di inventarsi Melissa P come commentatrice fissa? Che quando un giornale serio come repubblica quando si tratta di francia non trova di meglio nel panorama francese che di chiamare Ben Jelloun . Insomma il problema non è nostro. Se ci sono tra noi dei Pasolini, Calvino, Moravia, non lo sappiamo ancora e comunque se si decide di fare i conti con la
letteratura si deve anche accettare questa ipotesi, mentre quello che sappiamo già da ora è che:
1) le testate nazionali tranne rarissimi momenti alti non presentano linee editoriali potenti – o almeno non mediocre
2) le testate nazionali sono destinate a scomparire (la cosa non mi diverte affatto)
3) Perchè in Italia non c’è una testata di satira ( come in francia le canard o charlie hebdo) che ricordi l’immenso “il male” di sparagna e compagni?
effeffe
mediocri invece di mediocre
f.forlani
egregio dott. andrea, @ maldoror, intendevo, senza pippe: ci si accontenta di stra-parlare ancora di d’orrico/citati&comp., di stra-lamentarsi dei mala tempora (lucignolo!), di stra-constatare che i lettori non leggono, o leggono ‘male’, che la letteratura quella ‘buona’ è ghettizzata, etcetera???
oppure, così, senza pippe, val bene un’occhiata e un affondo su quanto la cultura (la critica) che a parole si oppone sdegnata a cotanto sistema fa, o non fa; pensa, o non pensa; sperimenta, o meno; mette o non mette in pratica, oltre alle reprimenda (o alle lagne) sui cattivi costumi del presente? così, e salutandola le lascio i suoi arbasinii (il n. 1, secondo me, pippava eccome, o giù di lì). per la querela eventuale c’è il soccorso rosso, mi pare.
@Fabio
Mica mi impongo, grazie a dio qua uno legge chi vuole e salta chi gli pare. Questa la chiamo freiheit (così non facciamo torto a una delle lingue forti della comunità europea).
Quanto a Fortini, parla di complessità. E’ un po’ facile, e rischioso, citare Fortini a proposito dell’oscurità, solo perchè ho la battuta pronta e magari anche pungente potrei dire che certo, su Heidegger mi posso impegnare… Ma la farei troppo facile anch’io e mi trattengo.
Io qui non penso di potermi permettere di chiedere a nessuno di fare troppa fatica per leggere un mio commento, sono una banale commentatrice che potrebbe anche star zitta e se proprio vuol dir la sua ha un dovere di cortesia: farsi capire.
Anche perchè i commenti sono scritti in corpo minore.
@forlani
‘le testate nazionali tranne rarissimi momenti alti non presentano linee editoriali potenti – o almeno non mediocri’.
appunto, cosa si oppone ‘da sinistra’ a questa deriva generalistica della stampa (o della cultura) italiana? è, insieme e prima della sua scomparsa, un vuoto lasciato aperto, che può essere colmato da esperimenti ‘potenti’, e precisi. se manca la ‘precisione’ (delle battaglie, delle idee), tutto rimanda a tutto il resto, in fin dei conti, tutto si fa specialismo o accademia o bazar vicario. allora perchè lamentarsene? a meno che, per carità, non si resti a coccolarci con il nostro rispettivo lavoro e impegno individuale, generoso, quando capita onesto e coerente, chiaro, se si riesce.
Fabio, te la prendi se ti dico che preferisco Roberto? ;-)
Ma cosa dite?
Ma Umberto Eco, Claudio Magris, Aldo Busi, Marco Lodoli, Michele Serra, Tiziano Scarpa, Aldo Nove, e gl’altri, non sono intellettuali? E non hanno spazio sui giornali? E addirittura non disertano la televisione?
Capisco le autopromozioni di Nazione Indiana che deve gonfiare il suo nome apparso su un quotidiano, però non fate figuracce.
Per Calvino. Sarà anche come sostiene il mozzi che certe posizioni ti cambiano (scrivere su un muro ti cambia rispetto che se scrivi sul Corrierone) però anche Calvino la sua gavetta se l’è fatta per bene. Scriveva lettere di lamentela dove affermava di essere pagato pochissimo dalle case editrici e di vivere tra gli stracci. Però il Calvino qualcosa di buono l’ha fatto, lo vogliamo riconoscere? Saviano e Rovelli hanno solo cominciato – e beati loro che hanno cominciato dall’alto – da mondadori.
Vi ricordo, signori, che siete in pubblico.
Non fatele, le figuracce.
@cato
anch’io, ci mancherebbe. i gemelli diversi, neri per caso, paola e chiara.
io preferisco le more, nonostante tutto ;-)
Ora che ho tempo lo scrivo in chiaro. L’articolo del Venerdì e questo post di mozzi hanno in comune una cosa, un sentire che è di tanti anche in questa nostra rete che è davvero di provincia.
La rete è sentita come il mondo dei peones, dove devono ancora arrivare i magnifici sette a insegnare l’autodifesa. Ma chi scrive in Rete non è sempre e solo in cerca dell’occasione di adoperarla come una scala per salire a bordo delle barche da pesca dei grandi editori. E non mi riferisco solo a quelli che con la rete ci cazzeggiano e basta (che poi …) La rete non ha, almeno da noi, il potere che ha un giornale che vende un milione di copie, scrive mozzi, per questo, intanto, gli editori – di libri e giornali – setacciano il mare del web con un’azione che sa di colonizzazione. O almeno di paternalismo. Un’azione che qui è stigmatizzata ma solo apparentemente.
Prodan e fabio la buttano lì, ridendo e scherzando, una proposta di cambiamento, di autonomia della rete ma è facile non crederci e raccogliere scetticismi.
Eppure, saper stare nella rete e, soprattutto, non sentirsi, se si scrive in rete, solo dei pesci che non cercano altro che di essere riscattati dalla loro respirazione branchiale (magari per essere poi infarinati e mangiati) sarebbe già qualcosa. ” io non l’ho mai detto che a canzoni …” e figuriamoci a suon di post. Le rivoluzioni (ovvero lo spostamento dei fulcri del potere) le fanno i mezzi ma non di produzione – e tanto meno delle idee – bensì di trasmissione, di trasporto. Ruote a raggi, staffe per i cavalli, ferrovie, navi a vela orientabile, navi a vapore, reti. Ovvio che gli editori cerchino di appropriarsi del web e mettano i filtri (“di qualità”?) che vogliono. Protestare perchè non allargano i filtri sarà pure realistico ma si può anche fare altro, se non proprio di più. Sento forte questa esigenza di autonomizzazione della scrittura in rete forse anche perchè a me, come donna, e per di più impegnata in un’attività editoriale che è proprio nata dalle rete, ha dato fastidio, nell’articolo del venerdì, più che l’esclusione degli “intellettuali” dalle pagine dei quotidiani, l’immagine che viene trasmessa al mondo offline delle scritture femminili in rete: la pulsatilla con le prugne secche e la julie powers col ricettario. A questo punto mi fa un po’ ridere leggere il piagnisteo degli “intellettuali” esclusi dalla redazione di repubblica.
@ caracaterina
Sono d’accordo con te, anche perché, tra le altre cose che pure condivido, il tuo commento ruota intorno a uno dei rilievi che anch’io avrei mosso all’articolo di Mozzi, pur apprezzandone, nel complesso, lo spirito e la sostanza.
Non ricordo chi, nei commenti, si domandava come mai Baricco, su Repubblica, invece che di barbari non parlasse di politica.
Il fatto è che se anche Baricco (o chi per lui: Voltolini o Camilleri, Moccia o Mozzi) volesse scrivere di politica o, poniamo, sul Medio-Oriente, o sulle riforme economiche, insomma svincolarsi da quel recinto di libero cazzeggio che viene concesso solitamente allo scrittore oltre all’ambito specificatamente letterario (in soldoni: lo scrittore può occuparsi solo di letteratura o, al massimo, di un generale e impalpabile Varietà, a metà tra costume e “bella pagina”), quale legittimità avrebbe a parlare? Da quale autorità ricaverebbe la forza pubblica delle sue parole? Su quale “sgabello” si terrebbe in piedi? Quello che gli risponderebbero i “guardiani della soglia” –ché chiamarlo Sistema mi fa sentire in un romanzo di Pynchon –è che non ha alcuna legittimità a farlo, a prendere la parola su ciò che non è il suo ambito specifico, non più di quanta ce l’abbiano Ligabue, Vasco Rossi o qualsiasi altro esponente dell’intrattenimento. Anzi: meno di un cantante, perché questi almeno (direbbero) “rappresenta i giovani” o “parla a nome di una generazione”.
Lo scrittore di oggi non parla a nome di nessuno tranne che di se stesso.
“Di oggi” da intendersi come scrittore uscito da metà anni ottanta in poi: quindi non “grandi vecchi” –o vecchie cariatidi a seconda di come li giudicate –tipo Eco, Magris o simili che ancora “fruiscono” della situazione precedente, eredi o residui.
Pasolini, Calvino e compagnia parlavano a nome di se stessi in quanto rappresentanti di quel qualcosa chiamato letteratura, o meglio –per fuggire rischi spiritualizzanti –in quanto membri di un campo letterario. Era quest’appartenenza al campo (ognuno con posizioni diverse, da quelle più eretiche a quelle più conformiste) la forza, il capitale sociale, necessario per dare autorità alle loro prese di posizione: per essere presi sul serio.
Sottolineo presi sul serio perché la questione non è tanto il semplice scrivere di qua o di là, perché alla fine mi sembra che non sono tanti ma non sono neanche pochissimi gli scrittori più o meno giovani che hanno degli spazi su quotidiani o settimanali, il problema è appunto di “essere presi sul serio”, ascoltati, e non essere solo alcuni tra i tanti opinionisti o tuttologi che ci sono in circolazione. Un diverso spessore della parola pubblica. Il “mettere sullo stesso piano” l’opinione di tutti la scrivono democrazia ma si legge populismo.
La differenza tra allora e oggi, mi sembra, è che ieri esisteva ancora –o si faceva finta che esistesse ancora –un campo letterario autonomo, uno spazio sociale, cioè, regolato secondo leggi sue proprie e non sottoposto a vincoli “eteronomi” (successo commerciale ma anche fedeltà ideologica, ad esempio): nel momento in cui quest’autonomia è stata sistematicamente smantellata è caduta anche ogni distinzione tra letteratura, intrattenimento, spettacolo, mercato culturale (come dice Raimo). Ha perduto la sua “universalità”. Nel momento in cui la letteratura non è più un universale, ma solo un particolare, lo scrittore non ha più alcuna autorità per parlare di qualcosa che non sia la sua specializzazione.
Il caso degli scrittori citati nell’articolo del Venerdì mi sembra proprio una dimostrazione di questo: se da una parte sono tre autori che si sono volti ad argomenti, diciamo per semplificare, “sociali” è anche vero che quando vengono accolti sui giornali vengono chiamati per la loro “specializzazione” sul tema particolare. Col rischio di finire ghettizzati loro malgrado.
Poi è ovvio che la situazione è più sfumata di quanto possa apparire da questo schemino (più teorico che altro): ci sono zone grigie di intervento, di smarcamento, cambiamento, negoziazione, confini porosi oggi come allora. Deprecabili ambiguità, direbbero i duri e puri. Straordinarie occasioni di effettivo intervento, dico io.
@ caracaterina
“gli editori – di libri e giornali – setacciano il mare del web con un’azione che sa di colonizzazione. O almeno di paternalismo.”
Non credo sia così. Non credo che gli editori “setaccino” il web, né che lo vogliano colonizzare. Setacciano caso mai quello che dal web affiora ed è spendibile, per varie ragioni, su carta. Quello che può diventare utilmente (per loro) libro.
In questo non vedo neppure paternalismo, ma puro scouting, che gli editori fanno ovunque perché sono in cerca, per la loro ragion d’essere, del “nuovo” che devono pubblicare.
Questo non ha a che fare con la letteratura, ma con i libri, che non sono sempre e immediatamente letteratura. Può anche essere che a volte web letteratura ed editoria si incontrino, ma non è detto.
Leggendo qualche altro commento ho visto quello di @Giusco. Ha ragione, può sembrare idealistico, ma ci sono scrittori che non sono interessati a scrivere sui giornali, o almeno non sempre, che non si sentono obbligati, come dice, a mangiare la mela.
Ci sono scrittori che non sanno fare pezzi per i giornali, che sono concentrati su altre scritture. Fare un pezzo per un giornale non è semplice, è un mestiere, e se si ha un contratto poi se ne deve produrre uno al mese, magari, e uno al mese non è poco.
E cosa vuol dire “allargare i filtri”? Sembrerebbe che gli editori (gli editori?) abbiano una borsa di cui tengono stretti i cordoni. Davvero, se pensano che possa venirne fuori un libro vendibile gli editori (non so perchè anch’io continuo a chiamarli così, è meglio chiamarli editor o funzionari editoriali) sono le persone più prive di puzza sotto il naso che si possa immaginare. Il loro lavoro è fare libri, trovare testi che possano diventare libri, trovare scriventi che possano diventare magari scrittori. Qualsiasi editor o funzionario editoriale che sia in grado di trovare un nuovo scrittore, ovunque, in rete, sotto un cavolo, in una malga sperduta, in un call center, e che magari sia in grado di fare non solo un primo libro, ma un libro ogni due anni, se lo appunta sul petto come una medaglia al valore.
@friendly
http://www.miabbono.com/rivista-tecnica_FRIENDLY_175.html
@roberto
grazie, mi abbonerò senz’altro
@ temperanza
che gli editori (i funzionari editoriali delle grandi e meno grandi case editrici, giusto) facciano scouting in cerca di ciò che può diventare utilmente libro da vendere è ovvio. lo facciamo anche noi, nel nostro piccolissimo di untitlededitori, che siamo in tre e senza funzionari. Il paternalismo sta nel fatto di rimanere (almeno per quanto si vede ora) “fuori” dalla rete e guardare alla rete solo come uno strumento o come una riserva di pesca. E non come un ambiente con sue relazioni e suoi codici propri. Relazioni e codici che per lo più sono sottovalutati da chi guarda alla e nella rete e non ci sta dentro. E, spesso, con atteggiamenti schizzinosi e inutilmente ammonitivi. Le parole dei rappresentanti nominati dall’articolo del venerdì mostrano con una certa evidenza che questo è l’atteggiamento. La questione delle competenze di scrittura e del “nuovo” è un’ovvietà per un editore. Perchè ribadirla costantemente sempre a proposito della rete? Per una sorta di calmiere culturale?
Quanto all’ “allargare i filtri”, per quanto mi riguarda mi rifacevo al post di Mozzi. Che i filtri siano ben larghi in certe, utili, e lo dico senza polemica e senza problemi, direzioni è sotto gli occhi dell’occidente.
@caracaterina
Allora forse non ho capito.
Credo che Riccardi NON vada in rete. Forse Riccardi non usa neppure il computer. Il suo ruolo (ipotizzo) è quello di confermare alcune scelte degli editor della narrativa che forse ci vanno o forse hanno chi ci va per loro, chiamiamoli i suoi “sensori”.
Se il giornalista telefona a Riccardi e non direttamente al sensore per sapere cosa la Mondadori fa, qual’è il suo rapporto con la rete, se lo ha, Riccardi non può che rispondergli così.
Tu dici che l’editoria guarda alla rete con atteggiamenti schizzinosi e inutilmente ammonitivi. Forse. Anzi, è così.
Ma mi chiedo, perché ti disturba? Questo loro atteggiamento danneggia la rete, a tuo avviso? Non direi. Per ora sono due realtà che si sfiorano, se non ortogonali, con linguaggi diversi, ognuna con le sue specificità e non vedo altra possibilità, per un editore tradizionale, che usare la rete come la sta usando, come riserva di pesca. Non vedo paternalismo, in questo, al massimo utilitarismo, o estraneità. Questo non impedisce che la rete trovi i suoi modi, alternativi, per fare quello che in rete è possibile fare. Sta alla rete, insomma, (la rete? alcune persone in rete) acquistare peso e ruolo.
Anzi, penso che col tempo la rete acquisterà anche qui da noi più peso nel suo ruolo informativo, ma perderà le ambizioni editoriali, se le ha.
Il tempo della rete, forse sbaglio, è più rapido e più frammentario del tempo della carta stampata e il suo linguaggio si indeboilisce se viene trasferito su carta restando quello che è.
Non penso che l’editoria, come ho sentito dire da alcuni, finirà nei prossimi cinquant’anni, il libro è un supporto diverso e il suo compito non è ancora esaurito. E non è ancora esaurito il ruolo della redazione.
La realtà della rete si aggiunge a quella editoriale. La modificherà? Non lo so.
Io credo che modificherà in qualche modo la scrittura. Certamente qui da noi, che abbiamo una lingua ancora molto letteraria, faciliterà il passaggio a una maggiore vicinanza con la lingua parlata, come ha fatto la televisione . Velocizzerà la lingua. Vedremo.
Il fatto che i giovani autori che sono stati citati operino su due piani, e in modo diverso, mi fa pensare di aver ragione.
Penso che uno scrittore, anche oggi, anche giovane, se scrive voglia pubblicare su carta. Starà in rete e su carta. E se starà su carta non starà su carta come blogger se non in questa fase pionieristica in cui il blogger è una novità.
Volevo rispondere a Giulio Mozzi. Ho letto il suo articolo e quello di Marco Belpoliti sulla Stampa del 21 agosto. Credo che l’articolista di Torino abbia ragione. Sono una delle lettrici di Saviano, ho apprezzato molto il suo libro, a lui la mia stima ed ammirazione per aver scritto un libro così sapiente all’età di 27 anni. Ma soprattutto a lui la mia stima per essere riuscito ad accumulare così tante informazioni, documentazioni e conoscenze sul campo che io, sua coetanea. e giornalista, non ho. Ciò non toglie che per questo si debbano aprire le porte dei giornali, perchè blogger e scrittori esordienti possano accedervi. Non credo che il passo sia automatico ed è giusto così. Scrivere un testo dettagliato fino al limite del nozionismo sulla camorra, con un lessico puntuale e calzante, non possono far di te, immediatamente, un titolato a parlarne su giornali o riviste nazionali. Non ho letto tutti gli altri commenti, ma credo che un filtro sia necessario. Di libri ne vengono pubblicati tanti, ma quanti restano davvero e quanti finiscono nel cestino del cervello con un clik?
Ragazzi, ma sarà mica che ce la meniamo un po’ troppo? Nel senso… ok, poco o nessuno spazio nei canali ufficiali, poco ricambio generazionale, apporto degli intellettuali confinato a nicchie auto-disinnescanti, risultato —> incisività sul mondo reale (che poi quale sarà?) = 0.
Possibili cause di tale stato di cose: 1) gli intellettuali usano male l’intelletto, il resto del mondo se ne accorge, li mette da parte e continua per la sua strada. Ipotesi che prevede che i veri intellettuali – a questo punto – siano “gli altri” che, a ragione, avrebbero smascherato e bandito con cognizione di causa i sedicenti intellettuali che tali in verità non sarebbero;
2) gli intellettuali sono acuti, onesti e e illuminati, ma il mondo non li capisce e per questo va a puttane (mondo cane, ma per mancanza di strumenti di comprensione)
3) gli intellettuali sono acuti, onesti e illuminati, ma fuori è un brutto, schifoso mondo che non avrebbe modo di esistere e rigenerarsi senza le meschinità e le perfidie che gli intellettuali individuano e si auspicano di eliminare (mondo cane consapevole che mette a tacere chi va contro le sue logiche);
4) gli alieni sono riusciti a cooptare tutti gli esseri umani con Q.I. inferiore a 164.
Personalmente preferirei la poesia della strenua lotta con gli esseri che vengono da lontano, ma nel caso ciò non fosse….. ci si deve pure organizzare ad una banalissima e impoetica lotta IN e CONTRO il mondo, o no?
Nazione Indiana fa un’opera meritoria che condivido e di cui auspico la continuazione nel tempo, ma ai Web-entusiasti vorrei chiedere senza alcuno spirito polemico. Siamo sicuri che il Web sia davvero così rizomatico come sembra? Spesso non lo si riduce a uno spazio bidimensionale, vasto, enorme, sconfinato, ma pur sempre bidimensionale, per cui alla fine della giostra io trattengo per me di aver condiviso due opinioni con Y, di esser stato in disaccordo con Z nel suo post sul post di Q sul post di W, e di avere un’ammirazione che rasenta l’idolatria per H?
In altri termini, dov’è il salto di POTENZIALE che ogni rizoma deve prevedere per poter essere tale? Dove sono le altre dimensioni? Che bisogna fare per trovarle? Per instaurare (brutto termine) un vero scandalo dell’anonimato che oltrepassi le barriere del monitor quali azioni devono essere inventate? Basta non-conoscersi o bisogna conoscersi-e-operare-attuando-la -pratica-del-dimenticare-di-essersi-conosciuti? Regalare un fiore a temperanza, chiedere di accendere a effeffe, toccarsi, guardarsi e poi dimenticare di averlo fatto servirebbe a qualcosa? Aprire i laboratori delle nostre scritture (molti di noi hanno pubblicato su carta, tra le altre cose…) e vedere come cambiano e si confondono le nostre identità? Rileggere tutti insieme Deleuze? Scendere in piazza? Parlare al popolo? E farlo da dove e con che mezzo? Scusate la lunghezza, ma la cosa mi interessa sul serio. Salut, andrea
I ragazzi in classe seguivano. Certo, non sempre. Appallottolavano. Scalpitavano.
Li guardavi e sgomenti lasciavano scivolare nello zaino semiaperto il telefonino che ruggiva di trilli da sms soffocati nel vibra.
Spazientiva quel loro mondo ipertecnologico di fronte al degrado architettonico della classe.
La disposizione frontale dei banchi rispetto alla cattedra faceva presagire un’autorità sovrana che non esisteva più.
L’avevano soffocata nel sonno, quell’autorità. Nel sonno di prof insipidi e inutili. Ignoranti, a volte. Spesso supponenti.
I ragazzi se n’erano accorti. E avevano ucciso il prof-autorità ficcandogli la testa nel cellofan dell’imballaggio di un qualche non identificato telefonino o lettore dvd-dvx o playstation o i-pod o cristallo liquido.
Technology killed the techne
Sostituisci prof con politici e ragazzi-alunni con bloggers. Se vuoi.
Intervengo al solo scopo di precisare – a costo di onorare la memoria di Lapalisse – che wumingfoundation non è un blog. Grazie dell’attenzione, buon proseguimento di dibattito.
Uno dei motivi, @temperanza, per cui l’atteggiamento di sufficienza mi disturba, è che è un atteggiamento di sufficienza :) Ovvero di non ascolto, di non “curiosità” (mi viene in mente quel vecchio post di garufi sulla Verneinung e lo confronto con la prima frase di Riccardi riportata dall’articolo). Questo, forse, non danneggerà alla lunga la rete ma, intanto, fa correre dei rischi culturali: per esempio, rallenta il processo di riconoscimento del “nuovo”. Dice niente che, con tutti i siti “letterari” che ci sono, siano solo sei quelli che “devi” frequentare? Mi si dirà che prima non c’erano neanche quelli e che, senz’altro, meglio qui, quanto a confronto culturale, almeno in termini di democrazia, che su una rivista più o meno patinata. Ma, da parte della “grande editoria” non c’è (ancora?) una modalità di confronto “alla pari”, anzi, è proprio il contrario. Normale, d’altronde, ma, visto dall’interno della rete, questo atteggiamento non sembra proprio di estraneità, ma di perplessità infastidita che viene tradotto (e anche questo è normale per un’impresa) in utilitarismo. Se non puoi eliminarli, comprali. Niente di nuovo sotto il sole. Per quanto la parola sembri spropositata (e visto quello che succede nel mondo, beh, sì, lo è) si tratta sempre dello stesso antico conflitto di potere. E’ possibile che sia solo questione di tempo, (il bicchiere mezzo pieno di Biondillo, più su) e che i rappresentanti della “grande editoria” vengano più spesso, anzi normalmente, in rete a confrontarsi, invece che soltanto a fare pesca subacquea tappandosi il naso. Certo, dipende anche da chi agisce in rete, ti do pienamente ragione, temperanza. Perché sia possibile un confronto, però, la Rete (chi ci sta dentro, vabbè, e le scritture che vi compaiono) dovrebbe diventare (è già stato proposto da Prodan e alcune modalità mi sembrano interessanti) un soggetto economico, non un oggetto di “sfruttamento delle risorse”. Giusto per stare IN e CONTRO, @maldoror. Non si tratta di essere Web-entusiasti, né di euforizzarsi, anzi. L’atteggiamento sminuente e riduttivo nei confronti della rete e quello euforico sono speculari e comportano entrambi un senso di paralisi e di resa all’esistente. Non si tratta di far fare alla Rete un salto di qualità quanto di divenire pienamente consapevoli che la Rete E’ GIA’ un salto di qualità. Paragonare, ad esempio, i bloggers agli studentelli che esautorano il professore, (anche se insipido e supponente) @ditz, non è consapevolezza della potenzialità della rete. Questo è quello che chiamo “sudditanza della rete”, una deriva adolescenziale su cui fanno aggio gli atteggiamenti paternalistici sia delle istituzioni accademiche sia delle imprese editoriali tradizionali che tanto faticano ad essere anche imprese culturali.
Ciò che si è cercato di sottolineare sopra, è la permeabilità dei sistemi editoriali telematici alle dinamiche editoriali classiche, classiste e ghettizzanti.
Non esiste una ragguardevole attività di scouting sull’inedito, sullo sconosciuto di qualità, ma ci si appoggia al già noto, alla propria corte che emula in tal modo i processi corporativistici che conosciamo.
Altri elementi che a mio avviso stonano, sono la presunzione e la supponenza d’intellettualità che pontifica sui massimi sistemi ma s’infrange con scivolate di stile e qualità come appunto il sostegno e promozione di fenomeni come le “lolite” e affini. Questo m’indispone molto perchè abbassa la soglia del senso dello scrivere, dell’impegno intellettuale inteso come elemento innovativo e formativo, e non ultimo, perchè consegna l’immagine della scrittrice come figura decisamente edulcorata e sminuita.
Un discorso simile è stato fatto anche a proposito della critica letteraria completamente gestita al maschile e assolutamente gerarchica.
potrebbe essere, semplicemente, che l’industria culturale c’entra poco e raramente con la letteratura o gli intellettuali; ma la domanda è: perchè per un cosiddetto intellettuale prenderne atto è così doloroso? allora la questione diventa politica.
La personale visione dell’intellettuale : colui/colei che fruendo di uno o più talenti naturali, li catalizza in una qualche forma espressiva, innovando le percezioni estetiche-etiche e modificando in modo sensibile il comune sentire, tanto da produrre cambiamenti culturali e, conseguentemente, politici.
Se questo assunto puo’ essere la premessa per la definizione di intellettuale, è chiaro che ciò è incompatibile con la contiguità ad ambienti economici affetti da entropia, pena, la perdità della vitale creatività.
Ecco perchè l’intellettuale dovrebbe avere molta precauzione nell’immettersi in esperienze inibenti la genesi, il mantenimento e il progresso dei processi creativi.
@caracaterina
il tuo commento è molto interessante e ampiamente condivisibile, provo però a proporre qualche piccola obiezione. è vero, le parole e gli atteggiamenti dei direttori editoriali contattati da coen denotano un atteggiamento paternalista, di sufficienza, che riconosce il nuovo mezzo solo come possibile serbatoio di talenti (od occasioni di profitto) cui attingere (da sfruttare). ed è pure incontestabile che molte vittime sono consenzienti, che i pesci non vedono l’ora di essere pescati ed esposti. ma tutto ciò non si può liquidare come semplice e deprecabile sudditanza psicologica, da parte di chi non comprende che la rete è un altro ambiente, “è già il salto di qualità”, non è solo la panchina dei titolari. se molti che scrivono in rete colgono al volo la possibilità offerta dalla carta stampata, è perché la rete non è ancora un soggetto economico, mentre la carta paga (quasi sempre poco e male). altro che carrierismo. io qui, come tutti gli altri redattori di NI, pago per scrivere, e a volte anche per sentirmi dare dello stronzo nei commenti, o per sentirmi dire che li censuro perché il sistema antispam ne ha ritardato la pubblicazione di mezz’ora. ezio ha ragione quando dice che non ama i pezzi usciti su carta e ripostati qui qualche giorno dopo, ma non lo si fa tanto per pigrizia, o vanagloria, è che spesso i pezzi sui quotidiani non ti danno soddisfazione, il giorno sono morti e sepolti, e tranne rari casi non hai alcun sentore dell’effetto che hanno avuto in chi li ha letti. qui le reazioni le vedi immediatamente, il confronto e i cazziatoni sugli errori ti aiutano a crescere, a migliorare. io sono certo che le cose cambieranno in breve, il rapporto si riequilibrerà, come già si sta verificando per i quotidiani. leggere repubblica.it ti permette di essere aggiornato di ora in ora, non devi aspettare la mattina dopo per sapere una notizia. stessa cosa avverrà per i periodici culturali. io ne leggo alcuni bimestrali, come “il caffè illustrato”, che per farlo non solo devo sborsare 5 euro, ma devo pure farmi 500 mt a piedi perché solo un’edicola in tutta la mia città ce l’ha. questo per spiegare che non soffro di alcuna sudditanza verso la carta, che non la considero affatto più nobile, solo che quella, seppur poco e male e tardi, paga, e la rete, almeno finora, no. sono convinto che presto l’attività online sortirà qualcosa, godrà di una sua autonomia anche economica, e allora un sacco di gente se ne fotterà di vedere il suo nome sulla carta inerte, dove non hai alcun riscontro di quello che dici. ma non è ancora il momento, e lo dico a chi proponeva generosamente di pagare la lettura NI seppur in modo facoltativo. ti dirò di più, sono talmente persuaso del valore di questa esperienza da credere fermamente che non resterà lettera morta, che le menti migliori della rete occuperanno in un futuro non troppo lontano posti di responsabilità; un po’ come successe con lotta continua ai tempi della contestazione. ci saranno i rinnegati, i carrieristi, i coerenti, ma non finirà in niente. guarda giuseppe genna, che si è costruito una carriera in rete, ora fa il giurato al festival del cinema di venezia, domani non mi sorprenderei se lo nominassero sottosegretario. e poi lo vedo dalle persone che ci contattano per scrivere tesi di laurea su NI, lo vedo da chi inizia a pubblicare libri dopo essere stato visto qui (anche solo nei commenti, come gemma gaetani), lo capisco dagli articoli che ci riguardano (come quello di coen sul venerdì, quello di belpoliti su la stampa e quello che è stato chiesto oggi a mozzi su questa polemica per l’unità); tutti segnali che dimostrano un interesse crescente, che preluderà a una vera autonomia di questo mezzo. fino a quel momento, però, continuerà ad essere puro volontariato; e allora, se qualcuno di noi si farà irretire dalle sirene della carta (che non significano solo “soldi”: la retribuzione è anche e soprattutto il riconoscimento del tuo valore e del tuo impegno), non sarà solo perché si è fatto “comprare”.
@ roberto
Rispondo ai tre punti che hai segnalato in divergenza rispetto a quanto riportato su “Tirature 2005”.
1. Concordo anch’io con te sul fenomeno ancora in piena forma del generazionismo, e sul fatto che gli editori tengano sempre un po’ più in considerazione testi di giovani (magari con diversi punti da migliorare e con uno stile da perfezionare) rispetto a testi di over 35 (magari scritti meglio nella forma, senza quell’autobiografismo così spiccato che è indice di assenza di idee alternative – non so se è opportuno chiamarlo “divertimento”). Ma se la proporzione dei testi pubblicati da under 35 e da over 35 è, mettiamo, 7 a 3, non credo che questa venga poi capovolta nei testi inediti, quelli quindi che arrivano alle case editrici e che vengono poi scartati. Almeno, la mia esperienza dice così: i testi di narrativa inediti mi risultano scritti prevalentemente da under 30/35, spesso studenti, sempre laureati. Inoltre, rispetto alla tua casistica proposta, tenderei a diminuire i primi 3 testi campione (2 romanzi di fantascienza, 1 fantasy) e a privilegiare i generi 4 e 5 (racconti di formazione e generazionali; memorialistica, racconti sulla provincia italiana), che mi sembrano più “classici” e ancora frequentatissimi (anche se con risultati mediocri). Ma qui probabilmente si dovrebbe ragionare anche su questioni geografiche, e non so se è il caso (è un dato di fatto, basta guardarsi intorno, che qui al sud – Puglia precisamente – il genere fantasy ad esempio non abbia ancora attecchito quanto in regioni del centro-nord, almeno non in un gran numero di ragazzi over 20; e anche se è vero che gli inediti arrivano in tutta Italia da tutta Italia, una certa parte di provenienza strettamente locale esiste).
2. Qui concordo con te su tutto ciò che scrivi, non c’è bisogno di aggiungere altro.
3. Anche qui condivido in linea di massima il tuo pensiero, anche se gli over 60 tendono a spaziare spesso in molti campi della saggistica, non limitandosi alla storia, e per quanto riguarda la narrativa devo ammettere che non ho una conoscenza sufficiente del fenomeno (anche se leggevo mesi fa del fiorire di collane di autobiografie over60 davvero interessanti, in alcune piccole case editrici). Di certo sono i testi che, anche quando pubblicati, trovano le maggiori difficoltà a vendere quanto potrebbero. Ma credo dipenda soprattutto da un meccanismo non del tutto appropriato della distribuzione e delle scelte dei grandi megastore, secondo cui si tende a pubblicizzare al massimo (dunque a spendere soldi e tempo) testi di giovani per giovani (Melissa & Co.), non tenendo nella giusta considerazione quello che a mio avviso è uno spazio di scrittori e lettori ancora poco esplorato, quello appunto over 60. Sottolineo, non solo scrittori, ma lettori. Non mi sembra banale e azzardato pensare che, se dovesse mai avverarsi una crescita progressiva nel mercato editoriale italiano, il merito sarebbe con ogni probabilità loro, piuttosto che dei più giovani.
@calix
Soffre perchè si aspettava altro, il talento evidentemente non è premio a se stesso.
Magda ha ragione, se la definizione è quella che lei dà, l’intellettuale dovrebbe usare molte precauzioni. Questo in astratto, perchè in realtà gli intellettuali sono contigui a ogni esperienza, anche quella del potere, anzi, non hanno mai fatto altro. A parte pochissimi, discendenza parsimoniosa del bevitore di cicuta.
@caracaterina
“Questo, forse, non danneggerà alla lunga la rete ma, intanto, fa correre dei rischi culturali: per esempio, rallenta il processo di riconoscimento del “nuovo”
Questo discorso che tu fai e di cui per comodità riporto solo una frase, ha però già in sé il germe di una politica culturale esplicita.
E quest’altro:
“Perché sia possibile un confronto, però, la Rete (chi ci sta dentro, vabbè, e le scritture che vi compaiono) dovrebbe diventare (è già stato proposto da Prodan e alcune modalità mi sembrano interessanti) un soggetto economico, non un oggetto di “sfruttamento delle risorse”.
ha in sé, lo si voglia o meno, il germe di un’impresa (simil-editoriale).
Dove sta la differenza, allora? Io vedo due soggetti, uno stabilizzato e maturo e uno ancora instabile e non maturo che competono per acquisire visibilità e poi influenza e poi forse anche potere economico, mai dire mai.
Niente di male, ma i toni che ho sentito qua e là, e che mi pare alludessero a una maggiore “nobiltà” della rete o libertà o purezza o gratuità, se le cose stanno o si metteranno così, fanno sorridere.
Sono andata a vedere untitled io, mi pare che con qualche differenza non sostanziale (l’autore scivolato via dalla copertina non lo è) tu/voi invadiate il campo dell’editoria su carta, i poveri editori potrebbero prendersela:-) e dire magari che maltrattate il signor Riccardi.
Insomma, siete soggetti competitori. Mi va bene, ma diciamolo.
@temperanza
Non mi sembra di non aver detto che faccio parte di una casa editrice nata nella rete. Ma quanto a soggetto competitore mi viene proprio da ridere di cuore :)) Diamo vita a un progetto, a un tentativo di articolare la rete. Dici che certi segni non sono sostanziali. Non è questa l’occasione per discuterne (vado a nanna e poi non mi sembra affatto opportuno qui, ecco) ma se ne potrà riparlare. Nell’ultimo commento mio, sopra sopra, ho pure scritto cosa penso di certi euforici isterismi del web. Sorrido.
@garufi
la sintesi mi ha portato ad essere un po’ troppo tranchant e non esplicitare bene i necessari distinguo. bene hai fatto a esporli tu.
@ caracaterina
Infatti, soggetti competitori era una battuta:-)
Con una punta di verità, non tanto riferita al vostro progetto, o meglio, riferita al vostro progetto in prospettiva, visto come esemplare e dall’angolazione dell’intervento di garufi.
Vedo un possibile moto parallelo, l’editoria classica che muove verso il web, sia pure parassitariamente, e il web che si fa editoria. Chissà cosa ne verrà fuori. Vado a dormire anch’io, buona notte a tutti.
@sergio garufi
@cristoforo prodan
“sono convinto che presto l’attività online sortirà qualcosa, godrà di una sua autonomia anche economica (…). ma non è ancora il momento, e lo dico a chi proponeva generosamente di pagare la lettura NI seppur in modo facoltativo”.
Non è ancora arrivato il ‘nostro’ momento, oppure non è ancora il momento dal punto di vista epocale, cioè della trasformazione dei mezzi di comunicazione?
Prima ipotesi: non è il nostro momento
Se non ora, quando? Corna facendo, non posso sapere se ho altri dieci anni a disposizione. Per fare che? Finire come Sofri, ad aspettare la libertà vigilata? A fare il redattore di un giornale locale? Oppure il sottosegretario di Alleanza Nazionale?
Per me conta quello che si fa adesso. Domani non è il futuro, è stanotte. Non riesco a fermarmi, distaccato, per riprendere fiato. Non ce la faccio a guardare retrospettivamente alla mia esperienza. Ed è per questo che il bel commento di Sergio per me ha l’aria dimessa, valorosa e triste, che si respira nei film di Kazan.
Seconda ipotesi: non è il momento tecnico
“la carta (…) paga, e la rete, almeno finora, no”.
Personalmente, guadagno solo attraverso la rete. Tutti i lavori che ho fatto negli ultimi due anni li ho trovati in rete (anche quelli che ho fatto ‘fuori’, nel mondo in carne ed ossa). Molti libri che ho letto li ho comprati in rete. Sono iscritto a un sito criptato che offre migliaia di e-book. Lo uso per le cose che scrivo (uno dei tanti).
Una decina di anni fa, ho fatto un corso di scrittura live. Adesso quello stesso corso è rigorosamente online. Il cambiamento sarà pure epocale, ma dipende dalla velocità dell’epoca. La rete ha accelerato i tempi, direi che li ha come ‘anticipati’.
Qualcuno ha parlato di pionieri dei blog. Più che un pioniere mi sento un cittadino, perfettamente inurbato. Il cambiamento, insomma, c’è già stato, e giustamente Jameson dice che noi neanche ce ne siamo accorti. Da qui lo ‘spaesamento’ (che non è ancora finito).
A differenza di Cristoforo, credo che non ci sia bisogno di combattere per abolire il diritto d’autore. Il diritto d’autore, così com’è, è una buffonata, a meno che non sei iscritto al Club dei 1001 (lo dico ironicamente, mica ci credo al complotto sinarchista).
E se pagassimo il 70% all’autore e il resto lo utilizzassimo per tenere in piedi la redazione (“io qui, come tutti gli altri redattori di NI, pago per scrivere”). Allora vedrai, Sergio, ne parleranno al telegiornale.
Il lavoro culturale si trova in rete, si fa in rete, si sviluppa in rete. I curricula e le tesi e i manoscritti e le notizie e le informazioni viaggiano in rete. E c’è gente disposta a pagare per leggere online: http://www.ilvelino.it/pagina.php?Id=scarica_ticker
Se c’è riuscito il Velino possiamo farlo anche noi (li avete visti i contenuti?). Fino a poco tempo fa usavano semplici newsletter. Allora vuol dire che funziona.
Sarebbe curioso almeno provarci, a fare quello che ha detto Cristoforo. Incunearsi nel privilegio corporativo, tipo Siae, tipo Autostrade, tipo Telecom, tipo Mediaset, per vedere come funziona la competizione ad armi dispari (secondo me funziona).
La legislazione europea prevede un’entità SIAE? Se non è così, allora avanti con il Piano Prodan. E se alla SIAE hanno qualcosa da ridire sulla NIAE (Nazionale Italiana Autori Editori), troviamoci un avvocato e trasciniamoli fino alla suprema corte di giustizia europea (non c’è bisogno di Soccorso Rosso).
Come pure sarebbe interessante vedere se i lettori di NI, davanti a un testo che gli serve davvero, sarebbero disposti a premiarlo. Non a comprarlo. Così mi tolgo pure l’aureola dell’agente di commercio che qualcuno vuole appiccicarmi addosso (friendlycamente).
Ignorando che la vita dell’agente di commercio, ogni giorno, in macchina, per strada, a fermarsi per bere un caffè e fare la pipì, a convincerti che devi convincere gli altri, i clienti, che la vita è tutta una balla, per me quella è una vita bellissima, e degna d’essere vissuta. (Ricordo i viaggi di Rimbaud nel golfo di Aden).
@Gilliat
Se ne può discutere ancora. Prossima campionatura, se ci riesco, 100.
Grazie per la tua attenzione.
@roberto e altri
Oddio che orrore, “Piano Prodan”, sembra il nome di un golpe imminente! Bando alle etichette e alle sigle (NIAE sembra il nome di uno dei servizi segreti dei paesi dell’ex blocco sovietico: “… fu denunciato alla NIAE e, in base all’art. 58, spedito ai lavori forzati nelle miniere di sale di Giulio Mozzi.”), più seriamente dico che il mio ragionamento è più schematico e si basa su una serie di assunti:
1) In Italia esiste un sostanziale oligopolio della cultura e della comunicazione. Sia a livello produttivo, sia a livello distributivo. Sono stati scritti libri su questo e fiumi di parole su giornali e riviste di ogni tipo. Abbiamo anche avuto per lungo tempo uno dei maggiori esponenti di questo oligopolio a capo del governo.
2) Ogni oligopolio non ha interesse ad aprirsi ad altri soggetti; è cioè per sua natura conservativo. E questo fatto, nell’ambito della libera produzione e circolazione delle idee, della cultura, della scienza, è assolutamente catastrofico. Nel campo della scienza e della tecnica una parte, strisciante, sotterranea, del cosiddetto “imperialismo” americano passa anche attraverso un uso distorto delle leggi sui brevetti e sul diritto d’autore. Emblematica è la vicenda della mappatura completa del genoma umano. In quel caso siamo stati a un passo dalla catastrofe. Una ditta privata americana stava sul punto di brevettarlo. Per fortuna sono scese in campo le grosse istituzioni universitarie americane e internazionali e l’azienda è stata battuta sul tempo. Ora, si possono avere opinioni diverse sul valore effettivo di quella conoscenza (Dulbecco la ritiene fondamentale, il compianto biofisico Mario Ageno la pensava diversamente), ma resta la gravità dello scampato pericolo. Le informazioni e la conoscenza che produciamo, nel momento stesso in cui vengono rese pubbliche, diventano patrimonio dell’umanità, non ci appartengono più. Così anche le opere artistiche, letterarie e musicali.
3) Il modo di affermare il potere da parte di un oligopolio è sempre stato, e sempre sarà, indissolubilmente legato alla creazione di lobby che agiscono in ambito politico, al fine di rafforzare, attraverso lo strumento repressivo della legalità, il proprio potere. Se prima il raccogliere la frutta che cadeva dagli alberi era un “diritto naturale” di chiunque, nel momento in cui il padrone della terra fa emanare una legge che rende questo diritto un “reato”, esercita una formidabile repressione facendola ideologicamente passare per applicazione della legge. Se al posto di mele e pere ci mettete la possibilità di pubblicare, per es., riviste online, il paragone mi sembra perfettamente calzante.
4) Se ammettiamo che quanto detto sopra costituisca una reale contraddizione della nostra società, allora lo scontro si alza notevolmente di livello. Non dobbiamo quindi distogliere gli occhi dal nocciolo vero del problema. L’aspetto economico di tutta la faccenda.
5) La SIAE, non è così ininfluente come sembra. Lo sfruttamento in qualsiasi forma delle opere dell’ingegno serve sì a finanziare e tutelare gli autori, ma è anche un’inesauribile fonte di finanziamento delle imprese socie della SIAE (i grossi editori, le major discografiche, ecc.). Ricordiamoci che esistono dei meandri lucrosi per i soci SIAE, come per esempio la famosa (sostanziosa) fetta dei diritti irripartibili (il cosiddetto “calderone”), i cui proventi vengono poi “spartiti” tra i soci in ragione proporzionale al loro peso specifico. Questo è particolarmente vero in ambito musicale, ma ritengo che un meccanismo analogo ci sia per le opere letterarie, teatrali, ecc. E ricordiamoci anche che la SIAE negli ultimi anni è stata commissariata (non so attualmente com’è la situazione, perché è un po’ che non ne seguo le vicende), a seguito di “buchi” clamorosi di bilancio per svariati milioni di euro. Ricordiamoci che prima del commissariamento la SIAE ha avuto per tanti anni come presidente un discutibile editore musicale partenopeo che aveva in piedi una causa miliardaria con l’ente che presideva perché diceva di essere co-autore della canzone “‘O sole mio” (causa peraltro che poi clamorosamente ha vinto). Che uno dei commisari dopo succeduti pare sia stato sottosegretario del governo Berlusconi. Che si è parlato a più riprese di privatizzazione della SIAE. Che lo stato ha dato in appalto alle agenzie locali della SIAE la riscossione dell’IVA delle imprese, specialmente nei piccoli centri. Come lo vogliamo chiamare questo carrozzone? Strumento di potere clientelare? Io lo chiamo mafia.
6) Tutto ciò premesso, nel nostro piccolo, e tenuto conto di tutte le nostre umane e legittime debolezze, credo che possiamo fare molto solo agendo dal basso, partendo dalle piccole cose che poi diventano grandi. L’idea, semplice in fondo, di proporre ai lettori una donazione volontaria attraverso uno strumento come PayPal credo che sia quasi immediatamente fattibile. Perché PayPal (di proprietà di eBay) e non altri? Semplice, Paypal è l’unica che attualmente opera sul mercato dei pagamenti online a costi ragionevoli. E ha scardinato, in meno di due anni di presenza in Italia, un altro monopolio. Quello dei pagamenti online con carta di credito, che fino ad allora erano tutti in mano esclusivamente a Banca Sella (banchetta? sì, forse, ma il cui presidente, Sella, discendente del famoso Quintino, è stato anche presidente dell’ABI; misteri bancari italiani…). Il problema delle carte di credito non è più un problema. Con le ricaricabili (PostePay per es.) non è necessario avere un conto né bancario né postale. (Non lavoro alle poste né a PayPal, è bene precisarlo).
7) La “rete” gioca dalla nostra parte per motivi che sono estranei alla diffusione della cultura. Si tratta più semplicemente di uno spostamento dell’asse di rotazione delle economie mondiali. La banda larga si è diffusa così capillarmente non per fare un piacere a chi naviga (ricordo con nostalgia gli anni in cui installavo le prime beta di Linux e viaggiavo con un modem a 14400), o per diffondere la cultura, quanto piuttosto per vendere meglio il prodotto, riempendolo di “contenuti” (streaming audio/video, IPTV, VOIP, ecc.). Per non parlare dello sviluppo dell’ecommerce che in Italia ha ancora grossissimi spazi di crescita (il commercio elettronico italiano è ancora, come volume d’affari, un trentesimo di quello europeo e un centesimo di quello americano). Si tratta quindi di un treno che passa, diretto verso una propria destinazione. Noi (intendo tutti coloro che riempono la rete di contenuti, blogger inclusi) facciamo comodo in questo momento, per rendere appetibile questo prodotto (la connettività). Quindi questo è un momento particolarmente fortunato, da sfruttare.
8) L’obiettivo più alto, il vero “assalto al cielo”, è quello di ridefinire il concetto di diritto d’autore, anche e soprattutto in funzione della nuova cultura della rete, per distribuire diversamente guadagni e privilegi legati all’industria culturale, per promuovere realmente la cultura, con menti pensanti e denari sonanti. Lo scardinamento del monopolio SIAE può e deve passare solo attraverso un cambaimento della legge di concessione esclusiva. Non si troveranno mai cinquecentomila firme per promuoverlo? Ma come, abbiamo tenuto referendum per stabilire, per dirla alla Gaber, dove “i cani devono andare a pisciare”… Credo che anche quello sia un obiettivo possibile. Richiede solo discussione, confronto, elaborazione e, quasi sicuramente, appoggio politico. Per questo penso che la prima sfida sia quella di incontrarci, di contarci, fisicamente, non virtualmente. Una forma associativa per esempio, a livello nazionale. Ricordo che la Banca Etica ha cominciato, in un ambito molto più complesso e di difficile accesso, con un Comitato verso la banca etica, che ha associato migliaia di soggetti in tutta Italia attraverso la sottoscrizione di una sola azione. Dono anch’io un “socio fondatore” di Banca Etica e posseggo un’azione del valore di 50 euro. Non ho mai utilizzato la banca e non ho mai guadagnato niente dalla cosa, ma mi sento un po’ fiero di aver dato il mio contributo a un progetto di valore sociale significativo. Sarei altrettanto fiero di versare, anche solo un euro, a chi ha qualcosa da dirmi, a chi mi apre la mente e mi fa stare meglio in questo mondo triste. Rinuncerei volentieri per questo a qualche colazione al bar.
9) Non lo so. Volevo essere chiaro, conciso e schematico. Ma a questo punto mi rendo conto di aver scritto un bel polpettone, dove dentro c’è di tutto. Ma credo che il senso dell’idea si sia capito lo stesso. E mi scuso con tutti per i miei molti interventi. Non ho alcun interesse in tutto ciò. Non sono uno scrittore né un intellettuale, ma solo uno qualsiasi.
cp
Sarà polpettone, o Prodan,
ma veramente gustoso e profumato, ti dico io, perché operativo e speranzoso non su basi solo evanescenti.
E’ una bella mattina, questa,
dopo aver letto Garufi e Prodan.
grazie
MarioB.
Per me l’attrattiva di Nazione Indiana non sta tanto negli articoli (articoli altrettanto intelligenti, e magari più curati e meditati, posso trovarli in siti come http://www.golemindispensabile.it/default3.asp, oppure http://mondodomani.org/dialegesthai/ ecc., senza contare le immense risorse disponibili in lingua inglese) quanto nell’interazione che essa offre, che d’altra parte rappresenta un equilibrio probabilmente instabile: un drammatico incremento dei frequentatori, per esempio, intaserebbe subito la zona commenti fino a renderla cognitivamente inabitabile, come il blog di Grillo. Ma pensare di “dominare” situazioni di questo genere credo sia del tutto utopistico, meglio affidarsi ad un onesto e cauto “trial&error”. Io comunque non pagherei per singoli articoli: in un quadro di sovrabbondanza dell’offerta, bisognerebbe semmai dare qualcosa al lettore, per l’attenzione e la revisione critica che può offrire. Sarei invece disposto a delle sottoscrizioni di aiuto alla redazione, in caso di necessità.
Forse lo spirito di NI potrebbe rispecchiarsi nell’applicazione agli articoli e ai commenti del criterio Creative Commons, un giusto compromesso tra copyright e copyleft.
Sono d’accordo con Giulio e non credo assolutamente che il Sig. Riccardi direttore editoriale libri hardcover Mondadori, vada in cerca di talenti sui blog.
Domanda: secondo voi si può giudicare uno scrittore da alcuni articoli scritti su un blog ?
Risposta: se così fosse tutti i bravi giornalisti sarebbero bravi scrittori !
E’ il solito articolo che vuole far vedere che internet è utile a tutti anche ai poveri scrittori sconosciuti.
Da una parte è vero: come potrebbero rompere le scatole agli editori in modo così diretto ?
Ecco, l’unica agevolazione di internet è che puoi comodamente e con poca spesa contattare per mail gli editori e proporre i tuoi lavori che sistematicamente non vengono nemmeno letti. Sapete perchè ? I direttori editoriali sono impegnati sui blog…..
Giovanni Carlo
@mgd. è il copyleft a essere un compromesso tra copyright e no-copyright. Creative Commons è una serie di licenze copyleft.
@prodan
A ja ljublju SSSR
@Borsari
a me tra così tanti copy copy
mi viene in mente solo questo,
tale Copycat:
http://www.imdb.com/title/tt0112722/
Buongiorno a tutti i rimmati.
Grazie Borsari.
@Giovanni Carlo: no, non si può giudicare dall’estemporaneità della scrittura web, ma si possono evincere inclinazioni, terreni consoni, passioni.
@Tutti: dato che la scrittura con alto mercato ( recensioni, attualità, costume, politica, sport) pare diversa da quella di nicchia(saggistica, narrativa) potreste aggiornarmi su tariffe e compensi rispetto all’una e all’altra ovviamente precisando parametri di larga scala, quali appunto tirature del quotidiano, potenzialità dell’editore, penetrazione del mercato e cose del genere che non conosco nel dettaglio?
grazie
@ magda & giovanni carlo
Si può sì, basta avere orecchio e pratica e che i pezzi non siano articoli, ma appunto, pezzi.
Insisto, ma Scarpa non è quello che a inizio carriera aveva rifiutato otto milioni di lire per un posto come autore-radio? e Lidia Ravera? E Isabella Santacroce? E Enrico Brizzi? E Federico Moccia? E Mughini?
Non sono scrittori? Non vanno in tivù? Non scrivono sui giornali?
E Calvino non ha cominciato a ventitré anni a scrivere? E non faceva il giornalista dopo che ha venduto e ha fatto un buon successo di vendite?
Se uno scrittore vende zero e continua a pubblicare perché lui comunque è più bravo degl’altri e comunque vende zero, ma cosa pretende? che il corrierone gli spalanchi le porte? ma non sarebbe meglio che quello scrittore tanto bravo si mettesse a scrivere qualcosa che vende?
A me piacciono molto sia Veronesi che Ammaniti, ma che scrivano o no sui giornali mi è abbastanza indifferente (poi , certo, se trovo un reportage di Veronesi, lo leggo volentieri).
Mi piace Alessandro Piperno, ma se trovo dei suoi articoli sui giornali, manco li leggo.
Sarei già soddisfatta se aumentasse il livello qualitativo dei giornalisti.
Li seguiva, ma non li capiva, o almeno non li capiva fino in fondo. Non capiva l’astio che provavano nei suoi confronti, nei riguardi di uno, come lui, che amava scrivere, come loro. Ma è così che va il mondo, quando accetti di sederti dietro la famosa scrivania, passando dall’altra parte, la parte di quelli che contano. Lui non pensava di contare così tanto, anche se aveva raggiunto una posizione ambita, e certamente non poteva lamentarsi.
Nel ’96, aveva ricevuto il premio Montale. E’ vero, confrontarsi con il management editoriale americano era stato un piccolo trauma, anche nel vocabolario. Prima non avrebbe mai usato una parola come “concept” per riferirsi alla grafica di copertina. L’americano era più comodo, era più breve e diretto. Non c’era bisogno di spiegare troppe cose. Era stato un bel viaggio, a Los Angeles.
Lui era un poeta, anche se il lavoro, negli ultimi anni, aveva dissanguato la sua vena. Che però continuava scorrere, come un fiume carsico. Ogni tanto pubblicava qualcosa su Letture e Nuovi Argomenti, per tenersi allenato. Viveva a Sesto San Giovanni. Aveva raccontato liricamente la vecchia Stalingrado, l’aveva innalzata a mitologia e simbolo, l’eco della sua infanzia. “La sirena copriva la città col sacrificio. / A lungo ho sentito solo sentito/ la voce della sirena”.
Suo padre era un radiologo. Ne aveva viste tante di lastre, “gli organi e le ossa/ degli uomini delle fabbriche”. Ricordava quando il padre, alla domenica, li metteva nell’Alfasud e li guidava verso le dolci campagne di Parma, a rigenerarsi i polmoni dai fumi e dai gas, nel podere di Cattabiano. Alla fine del weekend suo padre era costretto a tornare a Stalingrado, “piegando al dovere la nostra fortuna. Lo guardavo ripartire da sotto il castagno/ senza pensare che forse non stava bene”.
Era convinto che questi di NI, molti di loro, lo considerassero alla stregua di un manico di scopa. Uno stronzo con Regimental. E in ufficio, in effetti, ne aveva visti passare tanti di tipi così. Ma li aveva fregati tutti, uno alla volta. Era fatto così, lui. Dolce ma determinato. Forse troppo determinato.
Sicuramente molti dei suoi detrattori non sapevano che aveva lavorato con Antonio Genna. Nel ’99 avevano firmato anche un manifesto insieme, c’erano lui, Genna, Pincio, Parazzoli e Monina. Un manifesto contro “l’attuale deriva narrativa e poetica”.
“Chiunque dipenda da Qualcuno o da Qualcosa”, avevano scritto nel manifesto, “come tutti noi dipendiamo, deve pure avere un’arma con cui tenere a bada il padrone: rettitudine, sincerità, mala lingua, congiure, dicerie, scambi di binari, false rotte stellari”. Era convinto che molti di questi ‘indiani’ avrebbero approvato incondizionatamente la conclusione programmatica del manifesto: “Vogliamo un celebre anonimato. Vogliamo scrivere tutto”.
Un po’ lo facevano sorridere, quelle parole che aveva condiviso, e in cui credeva ancora, dopotutto. Gli anticipi che il grande editore versa al romanziere, il poeta se li può sognare. E lui era stato poeta, da giovane. Lo era ancora, ma prima aveva avuto l’intenzione di campare scrivendo versi.
Ripeteva spesso che “fare bene” lo scrittore significava “scrivere bene”. Aveva letto dei commenti di questo genere, sul blog dei pellerossa. Il suo compito era di “creare il fantastico”, la menzogna di cui parlava Manganelli, che spesso è la sola verità possibile. La verità sciamanica del narratore. Lo scrittore-artigiano più che partigiano.
Lui stesso, una volta, aveva parlato di scrittori chiusi in “riserva indiana”, senza valore civile o economico, capaci a malapena di indicare un ideale. Lui restava un poeta. Nel 2004 se l’era vista con Zeichen, quello sì che era un osso duro, uno che non mollava mai. Era finita in parità. Si erano incontrati e scontrari al Premio Nazionale di Poesia Frascati, ricordava la splendida cornice delle Scuderie Aldobrandini, dov’era avvenuta la premiazione.
Lui si era laureato in filosofia a Pavia, aveva studiato la mistica dell’età rinascimentale, pubblicando un saggio all’università di Philadelphia. La sua avventura americana era iniziata lì. Conosceva molti manager italiani, non solo Mondadori, anche di gruppi editoriali di sinistra, che avevano percorso lo stesso cammino.
Negli Stati Uniti aveva capito quant’è importante il prodotto, quando si tratta di vendere un libro. Per questo aveva deciso di migliorare la carta degli Oscar, rendere la confezione più semplice e maneggevole. Voleva oggetti che riplendessero nella biblioteca dei suoi lettori. Era una specie di patto con i clienti.
Il canone, diceva, cambia con le epoche. La missione di un editore era di interpretare, graficamente, attraverso le traduzioni, le curatele, e naturalmente attraverso i testi, la sensibilità dell’epoca. Un “Classico”, per lui, era Andrea Zanzotto. Del secondo Novecento ci metteva anche Sereni e a Cucchi.
Antonio Raimondi, direttore editoriale Mondadori, spense il computer per andare a pranzo. Non credeva ai misantropi che consideravano la poesia relegata ai margini della scrittura. C’era un pubblico che chiedeva poeti, una visione lirica e non drammatica delle cose. Spesso la narrativa offre un’immagine troppo terrorizzante della realtà. I lettori chiedevano ai poeti un po’ più di autenticità.
La vera colpa della crisi editoriale che minacciava la poesia era della scuola. Gli studenti non venivano messi in grado di ascoltare le voci del novecento, i loro insegnanti non riuscivano a far rivivere quella lingua, spesso così chiusa e ostile, tanto da sembrare esoterica.
Sentiva di avere ancora un dovere pratico. Raccontare la vita degli uomini. Il lavoro da una parte, la guerra dall’altra.
“Ogni corpo è in attrito e resiste
alla totalità degli altri corpi.
Così – come dentro – è fuori
e poi nelle trincee”.
bene
anzi, rashomon
Non sono io ditz la rocca.
Ciao Roberto, grazie per l’incoraggiamento e le proposte, la tua esperienza dimostra che è già possibile vivere di cultura in rete. Le idee di sottoscrizioni volontarie ed altro sono un segnale di stima che apprezziamo molto, ma forse non ce ne sarà bisogno. La carta stampata attira non tanto per i soldi, o lo scrivere sui giornali; quanto per la possibilità di mettere alla prova determinate competenze (a me non dispiacerebbe fare l’editor, per es.) Fortunatamente ho un lavoro che mi permette di coltivare nel tempo libero questa passione, ma so che non per tutti gli indiani è lo stesso. Cmq, nell’ultima riunione meneghina una proposta l’avevo fatta anch’io: la realizzazione e vendita di un calendario osé con le/gli indiane/i spennati. Sono convinto che faremmo soldi a palate (le nostre donne sono poche ma sono degli schianti) :-)
nel “Messaggero” del 15 agosto Goffredo Fofi pubblica un articolo altrettanto interessante dal titolo “Chi ha paura della cultura del Sud”, che sto leggendo e rileggendo in questi giorni, una frase interessante “La letteratura italiana di oggi non ha cardini e non ha centro, e quindi non ha neanche periferie. Tutto è centro, si direbbe, e quindi tutto è periferia”, una disamina sul Nord-Sud che secondo me (intesa come analisi di poli opposti rete-editoria) potrebbe essere proficuamente sfruttata in questo dibattito.
@Gilliat
Il secondo campione è di 50 manoscritti inediti, in prevalenza testi di narrativa (non poetici). 34 testi sono scritti da uomini, 16 da donne (vale sempre il discorso sui trans). Resta invariata la divisione per generi letterari, per sesso ed età degli autori, ma – come suggerivi ieri – ho aggiunto anche la provenienza dei nostri scribacchini.
Una considerazione generale. Mi sa che avevamo ragione tutti e due. Tu a dire che l’inedito è ancora giovane e generazionista (under 30 fino ai 40), io a rischiare sull’avanzamento ‘paraletterario’ della stessa fascia d’età.
La prova del nove è che se metti insieme gialli, noir, pulpoidi, fantasy ed sf, e li confronti con i nipotini di Tondelli, siamo pari e patta (giuro che non ho barato).
I nostri autori di provincia, invece, i grandi vecchi, tengono duro, soprattutto grazie all’impegno diaristico femminile, un po’ meno con le
(in)solite memorie di guerra maschili.
Ho raccolto il resto dei testi sotto la definizione ‘altri romanzi’: manoscritti di ‘vita aziendale’ alla Lolli (in crescita), romanzi sentimentali, racconti dell’assurdo e minimalisti.
C’è un solo testo che parla direttamente della provincia, ma questo, avevi ragione tu, è più che altro una ‘sottotraccia’ comune a numerosi manoscritti, soprattutto i racconti di formazione. C’è una new entry che scala rapidamente la classifica, infine: i reportage.
1. GENERI
– Romanzi generazionali e di provincia: 13
– Romanzi di genere: 13
(di cui: gialli/thriller/horror/pulp 8
fantasy e fantascienza 5)
– Autobiografie: 8
(memorialistica e diari)
– Reportage: 7
– Altri racconti: 3
(minimalisti, ‘aziendali’, dell’assurdo)
– Romanzi sentimentali, erotici, pornografici, 3
– Saggi: 3
– Testi di narrativa per il teatro: 1
2. CHI SCRIVE E COSA SCRIVE
– Gli uomini oltre alle bionde preferiscono il romanzo di formazione e i racconti a sfondo generazionale (10), con un paio di esperimenti a stampo erotico-pornografico. Nello stesso tempo, the men scrivono narrativa di genere (9), con una preferenza per il giallo e il noir (3), l’horror e il pulp (3), rispetto alla fantascienza (2) e al fantasy (1). Aumentando il range del campione, purtroppo, esce notevolmente ridimensionato il campo della memorialistica (4). Come avevi sottolineato, aumenta il numero dei saggi, ma non in modo spropositato (3), e ancora una volta ne trovo uno a sfondo cospirazionista (protagonista nientemeno Emilio Fede). La vera sorpresa di oggi, ripeto, sono i reportage (4), tutti di buona fattura.
– Il panorama femminile appare più equilibrato, tra generazioniste, autrici di diari e autobiografie non gallinacee, ma c’è una pompinacea – (tot. 4). Tra i reportage (3), almeno uno è pubblicabile. C’è anche un insolito testo a metà tra narrativa e teatro. Una conferma su quello che dicevo ieri, a proposito dell’interesse crescente verso la trimurti Tolkien, Howard e Lewis, viene proprio dalle donne, che scrivono in prevalenza fantasy (il 50% dei manoscritti di genere, 2 su 4). Le autrici di fantasy, una under 30 e l’altra under 40, come avevi intuito vivono soprattutto al nord (Milano, Lombardia e Triveneto), ma una di loro è pugliese, brindisina, per la precisione.
– Per quanto riguarda l’età, senza distinzioni di sesso, gli over 60 com’era prevedibile ci danno dentro con autobiografie e memorialistica (4). I cinquantenni (8) preferiscono scrivere gialli, saggi, romanzi storici, aziendali e sentimentali. La pattuglia più nutrita, un’altra sorpresa di questo campionamento, è quella degli under 40 (22), più numerosi dei trentenni (16). I quarantenni adorano il reportage (4), scrivono gialli e pulpettoni. I trentenni si dividono equamente tra generazionisti e fantautori.
3. LA PROVENIENZA DEI TESTI
– La metà dei testi arriva dal Nord-Italia (tot. 24), soprattutto da Milano (5) e da Bologna (4), e più in generale dalla Lombardia (6) e dall’Emilia Romagna (4). Da Bologna arriva anche l’unico autore extracomunitario. Direi, complessivamente, che quasi il 70% degli scrittori settentrionali raccolti nel campione vivono tra Lombardia ed Emilia. Si difende Genova (2), meglio ancora riesce a fare il Triveneto (6), silenzio assoluto da Torino e dalle Langhe.
– In Italia centrale (tot. 15), la parte del leone la fa ovviamente Roma (9), il resto arriva da Umbria e Marche (3), Firenze (1), Livorno (1) e Sassari (1). L’autore sardo è un altro che meriterebbe di vedere le stampe (memorialistica, over 60).
– Il Meridione, e te pareva, appare la solita macchia di Leopardo (tot. 11), con un po’ di concentrazione a Napoli (2) e Benevento (1), un notevole impegno profuso da Abruzzo e Molise (5), mentre la nostra Puglia si assesta a quota 3 testi, ripartiti tra Foggia, Bari e Brindisi. Zero carbonella dalla Calabria in giù. La Sicilia non risponde.***
– Se dovessi fare un rapporto scrittori per numero di abitanti, la città che colpisce di più è Chieti, da dove arrivano 2 testi. Più in generale, è impressionante il numero di manoscritti che giungono da piccoli e piccolissimi centri della provincia, che a quanto pare è molto più vitale di quanto comunemente si creda (come dice Langone).
Avvertenza. Per non disturbare chi vuole commenti brevi, non riporto l’elenco completo di tutti i testi e di tutti gli autori campionati (con relative suddivisioni per età, sesso e provenienza). Gilliat, se per caso può esserti utile, ti spedisco i dati per e-mail quando li avrò sistemati meglio. Ti chiedo anche un piccolo favore: vorrei utilizzare alcuni spunti dei tuoi interventi per un corso che farò a settembre. Dimmi se per te va bene. Ho letto che lavori in Puglia, che è anche la mia terra. Se ti va teniamoci in contatto.
***Per quanto riguarda i “non pervenuti”, è probabile che la promozione del mio editore di riferimento non abbia coperto a dovere Piemonte, Calabria e Sicilia. Ad ogni modo, nel mio archivio conservo testi di autori che vivono in queste regioni. Ancora una volta, sottolineo che un campionamento non può essere, per sua stessa natura, esaustivo.
@sergio
ok per il calendario, l’avete già trovato il fotografo? Proporrei seriose didascalie sotto foto muscolose, magroline o sciantose, ovvero pose intellettualmente disinibite. Ad ogni modo incasso il rifiuto democratico e tiremm’ innanz.
Articolo interessante e condivisibile, commenti altrettanto interessanti.
Solo una considerazione: ho qualche dubbio che anche le piccole case editrici leggano tutto quello che gli arriva (com’era riportato in un commento e mi scuso se non riporto l’autore del commento). Il motivo è semplice: circa due anni fa, se non faccio casino con le date come mio solito, uno scrittore non italiano, molto famoso e pubblicato in Italia da uno dei grandi editori, aveva avuto “a che dire” con la casa editrice italiana (più l’agente che lui) e così, per sfizio, per scherzo, per quello che volete voi, decise di inviare ad alcune piccole case editrici italiane, un romanzo breve firmato con un nome di comodo. Nessun rimando all’autore potenziale se non qualche accenno indiretto nella prefazione.
L’idea era che la prima, fra le piccole case editrici, che avesse accettato il romanzo e l’avesse pubblicato, si sarebbe portata appresso “anche” lo scrittore molto famoso; una volta scaduto il contratto con la grande, ovviamente.
Alcune delle piccole in questione, che a suo tempo ricevettero il manoscritto rigorosamente già tradotto in italiano, sono state citate anche fra i commenti; a mo’ di esempio ritengo.
Inutile dire che NESSUNA delle piccole case editrici si degnò nemmeno lontanamente anche solo di rispondere con un no, con una mail, magari con un vaffanculo baritonale. Nulla. Non so, a distanza di due anni, se nel frattempo lo scrittore (il suo agente) abbia risolto i dissidi con il grande editore; di sicuro so che nemmeno le piccole leggono tutti i manoscritti che gli arrivano, di sicuro so che, nel frattempo, anche le piccole hanno pubblicato porcherie ben peggiori (vendendo anche poco tra le altre cose).
La domanda che mi pongo a questo punto è: ma non è che anche nelle piccole case editrici, come sostiene il Mozzi per i giornali (e personalmente ne sono pienamente convinto), si è già passati alla difesa delle posizioni acquisite e alla cernita degli autori da pubblicare in base a…? Boh, in base a quello che volete; sicuramente conoscete l’argomento molto meglio di me.
Buona notte. Trespolo.
PS: conosco la vicenda perché, fra le disgrazie che mi sono capitate, c’è anche quella di aver frequentato un’università non italiana, di aver conosciuto, prima della fama, lo scrittore in questione e, pur con tutti i miei difetti, esserne diventato amico. Giusto per togliere dubbi: non l’ho conosciuto per questioni letterarie; avrebbe avuto ben poco da discutere con un illetterato come me che non conosce nemmeno una citazione e non riesce a capire come sia possibile che tutti quelli che scrivono, ma proprio tutti pare, siano in grado non solo di citare come enciclopedie, ma di farlo correttamente pure in tedesco.
PPS: per quanto riguarda i giornalisti non mi meraviglia, come succede per altre professioni “lobbyzzate”, che spesso non abbiano alcuna idea su ciò di cui stanno scrivendo. Come per altre professioni – in Italia – è sufficiente essere iscritti a un Ordine (o disOrdine fate voi) per ottenere carta bianca e qualcosa che assomiglia molto all’impunità. Semplice gestione del potere e non vedo come possa, l’Editoria, essere immune dal virus malefico dell’autoconservazione della specie. Se poi pensate che la SIAE pretende i diritti anche sui tornei di biliardo (e sul tema biliardo potrei scrivere un trattato), avete completato il quadro desolante del settore carta stampata. Mozzi ha dipinto la questione con tinte persino troppo delicate…
@trespolo
Simpatico il tiro giocato dallo scrittore straniero, ancora più malizioso di quei buontemponi che sfilano apposta una pagina dal manoscritto per vedere se l’editore o chi per lui se ne accorge.
Dici di essere “sicuro” che le piccole case editrici non leggono tutto quello che gli arriva e si comportano male (non rispondono, tergiversano, ecc.). Ti dirò come lavoro io nel mio piccolo (senza grossi editori alle spalle) e come lavorano, invece, i Grandi e i Rispettabili.
Quando ero al massimo delle mie capacità psichiche, non come ora che sono ridotto a uno zombie che dorme sì e no tre ore e mezza per notte, ricevevo diciamo 10 manoscritti inediti alla settimana (diciamo 40 al mese, ma possono essere di più).
Come puoi immaginare nemmeno Don DeLillo sarebbe in grado di leggerli tutti (di scriverli forse sì), così facevo una prima scrematura sulla base di: 1) come erano scritte le lettere di presentazione (che spesso sono meglio dei manoscritti, perché l’autore non si sente investito del ruolo di ‘scrittore’ ed è più disposto al cazzeggio); 2) delle sinossi (chi si ricorda di farle); 3) di un paio di estratti dal testo per ‘intuire’ (fondamentale) lo stile e i contenuti. Gli estratti vanno letti per bene, concentrandosi, forse è la parte più difficile, senz’altro la più ‘strana’ – intendo proprio spaesante – di questo lavoro.
Per chi passava le qualificazioni c’era una lettura (diciamo) completa, cioè “a scorrere”, del testo (i coniugi Price la definiscono “lettura veloce”, come quella internettiana). Analizzavo i generi; chi e cosa scriveva; la provenienza e la formazione degli autori; e altri criteri tipo – importantissimo – l’estensione del manoscritto (oppure se c’erano illustrazioni, foto, mappe, disegni, eccetera).
A quel punto dei dieci settimanali restavano due o tre testi. Questi li leggevo interi, pensando già alla fase successiva, cioè all’editing (credo che nessuno pensi che un testo viene pubblicato così com’è, mi chiedo se la redazione di NI proceda in questo modo, immagino di sì, almeno con Jan ho lavorato in questo modo).
Ai play-off, dei tre, forse uno poteva essere pubblicato. Ti sembrerà biologismo nazista, come dicono i fautori del Disegno Intelligente, ma se ti fai un giro in libreria o su internet ti accorgerai che il gigantismo editoriale fa più male che bene alla letteratura. E non è detto che sia per forza colpa dei piccoli editori e dei piccoli scrittori che non crescono e che non contano. Il problema sono quelli “medi” che valgono quanto un fico secco e riempiono gli scaffali e i carrelli.
Il tuo amico in tutt’altre facezie affaccendato, lamenta una “cattiva educazione” dei piccoli editori. Anche in questo caso ti posso assicurare che – nelle mie capacità umane, ancora troppo umane (a quando un chip sottopelle per accelerare la lettura?) – cerco di rispondere entro 4/6 mesi a qualsiasi autore (ripeto: non sono un editore), mediante lettera dattiloscritta a dorso di mulo postale; e-mail (entro sei ore dal primo invio); piccole recensioni senza pretese (anche quotidiane) quando il rifiuto è sofferto (recentemente ho letto un “niet” di Fazi fatto proprio con grazia, non un semplice prestampato); una volta mi è capitato anche di spedire una cartolina (basta un segno, no?).
Tutto all’insegna del rispetto e della condivisione di una esperienza e di una passione. Chi mi è stato maestro mi ha insegnato a fare così. Questo è un lavoro da artigiani, non te lo insegnano all’università, si tramanda come il sapere dei calzolai (che infatti stanno scomparendo).
Ti dirò invece che succede se scrivi ai Grandi Rispettabili, i Diego della Valle. A Feltrinelli è inutile che scrivi, sul sito invitano esplicitamente a non spedire manoscritti (non spiegano, però, quali criteri adottino per rimpinguare il catalogo); a Mondadori o conosci, o sei un culo rotto (in senso stendhaliano), oppure puoi farti il segno della croce al contrario; Einaudi e altri vecchi leoni vogliono solo manoscritti cartacei (una specie di ‘guerra preventiva’ dichiarata a chi spedisce a raffica il suo testo per posta elettronica, in allegato).
Una volta ho scritto a Laterza, ho anche parlato per telefono con uno dei responsabili editoriali (il tuo amico non è il solo a divertirsi), e poi non li ho più mai visti o risentiti (per conto mio, quando mi piace un inedito, sono favorevole alla teoria del facciamoci un caffè al bar all’angolo così ci conosciamo di persona, oppure “appuntamento in ufficio” se hai una redazione).
I tempi di attesa con i Grandi non sono variabili, ma infiniti, come lamentano la maggioranza degli autori non pagati, non vezzeggiati, anzi dissuasi dal continuare a scrivere (“bene”, sic…).
Un giorno, magari, il tuo amico verrà pubblicato in Italia da uno di questi Grandi (perché è straniero ed è già ‘scrittore’). Mi chiedo cosa ti dirà a quel punto. Nel frattempo portagli i miei saluti.
Buona giornata.
ops, volevo dire “la redazione di NI NON procede in questo modo”.
o Roberto
Come mai questo “silenzio assoluto da Torino e dalle Langhe” ?
Io sono piemontese fino alla suola delle scarpe, anzi monferrino,
e non me lo spiego: qui ci sono un bel po’ di vecchi e giovani e medi che scrivono.
Io non so per chi e dove tu lavori e mi piacerebbe fosse scritto, qui.
Magari il luogo c’entra.
Magari tutti i langaroli mandano i manoscritti all’emerita Maltesenarrazioni.
Anche io, per dire, e fui pubblicato perché di sangue monferrino, è ovvio… :-))
Forse i piemontesi si rappattumano tra di loro, si tuffano in Einaudi e ricevono nulla risposta o niet.
Io due volte scrissi ad Einaudi con manoscritto cartaceo allegato (non conoscendo nemmeno un usciere…) e noi mi risposero, poi, siccome pubblicai qualche schifezza vuoi cosetta, ebbi risposta e mi rimandarono il manoscritto con commento anonimo (che è tutto da ridere) di un che parea aver letto; però il tipo si fermò a pg. 10 da evidenti tracce digitali e non sgogliamento palese.
Ecco.
MarioB.
sfogliamento, scusate
@cf
caro mario, ti invito a leggere più attentamente la nota che ho scritto al secondo campionamento. Sui Grandi e Rispettabili, come ho detto, sfondi una porta aperta.
A presto
Insomma, io non ho ancora capito quanto e se conviene fare il giornalista o lo scrittore di professione.
@mgd
per i giornalisti dipende. Se stai in qualche ufficio stampa e ti pagano secondo il tariffario, conviene. Però sei condannato alla scrivania e dunque all’accavallamento della terza vertebra. Se invece sei un freelance sei più affamato di soldi ma anche più libero di sceglierti collaborazioni ed argomenti. Per gli scrittori abbiamo già parlato di quella boutade chiamata diritto d’autore. Quindi consiglio di fare come ha detto Sergio: trovarsi un lavoro e scrivere su NI (se proprio ciai la passione).
@ roberto
Questa tua ultima campionatura, com’era prevedibile, è decisamente più completa e credo davvero molto attendibile.
Ora purtroppo ho tempi molto ristretti per una partenza, e non posso commentare a dovere il tuo intervento. Ad ogni modo ti sarei grato se potessi inviarmi questa campionatura ed eventuali altre integrazioni al mio indirizzo e-mail (tihok82@libero.it). Teniamoci in contatto e utilizza liberamente le mie semplici riflessioni. A presto.
@Roberto, non posso fare altro che farti i miei complimenti per la tua correttezza professionale e condividere il paragone che fai fra il tuo lavoro e il calzolaio.
Un piccolo dettaglio, forse, stanotte mentre scrivevo, ero a livelli alti di rincoglionimento (mi capita spesso) e non mi sono spiegato bene: lo scrittore in questione ha già pubblicato in Italia, e non poco, con uno dei Grandi Editori. Semplicemente, per scazzi che poco conosco, non voleva rinnovare il contratto col Grande Editore (ritengo che fosse un problema sollevato dal suo Agente) e aveva deciso di giocare la carta di una Piccola Casa Editrice.
I fatti sono poi andati come ho, malamente, raccontato.
@Magda, non ho elementi, ma così a naso ho l’impressione che, a parte i pochi “consolidati”, economicamente non sia molto conveniente investire su giornalismo e scrittura. Ovvio, se ti chiami Biagi o Baricco o qualcuno dei pochi noti, è tutta un’altra storia, ma parafrasando la vecchia canzone: “1 su un milione ce la fa”, gli altri boh… chiedere a loro per delucidazioni.
Buona giornata. Trespolo.
Esempio: un conoscente, ammanicato con la curia bergamasca, aspirante o laureato in filosofia, recentemente scrive sull’Eco di Bergamo articoli relativi alla cronaca delle valli, inerenti a incidenti domestici, incidenti stradali….” uomo cinquantenne caduto dalla scala si rompe una vertebra..” ma vi pare che uno possa scegliere una gavetta del genere? una volta mi hanno detto che a loro non interessa chi scrive bene ma chi vende notizie.
non ho parole.
Ma scusa vuoi mettere Biagi o Barricco con la Magda.???….che paragoni fai!!! mi offendo per Biagi sull’età e per Barricco per la Alberonaggine:-)
Che discorsi strani fate.
@Magda, ehmmm: mi inchino, chiedo venia, ritiro il nefasto paragone e riprovo: vanno bene la Palombelli e la Lipperini? Insomma, fai tu e non mandarmi in crisi. Lo sai che con ‘ste menate mi perdo e poi corro il rischio (??) di scrivere belinate :-)
Comunque rimango della mia: carriere entrambi, dal punto di vista economico sia chiaro, molto, ma Molto, ma MOLTO difficili.
Buona giornata. Trespolo.
PS: lo so che non c’entra nulla, ma finalmente è arrivato il piastrellista e, forse, ho qualche speranza di riuscire a godermi la terrazza del nuovo appartamento almeno per il mese di settembre. Dai torno a controllare i lavori, sai mai che scappi e decida di darsi alla letteratura pure il piastrellista. Sarebbe un piccolo dramma, ma pur sempre un dramma…
Sul Corriere di oggi altra pagina sui blog e le tre signore di Untitled. Evidentemente l’argomento tira.
C’è stato su quell’iniziativa un elemento catalizzante, diciamo un metatag, anzi una metamag.
MGD.
Ci son stati su quell’iniziativa tre libri spediti in visione, letti e apprezzati. Niente di più, niente di meno.
Ci sono segnalazioni e segnalazioni; se si ha la fortuna di essere segnalati come evento all’interno di un sistema d’informazione aperto ma selezionante, si gode di maggiore visibilità.
Il corriere non è esente da questo, ne dall’accogliere segnalazioni che ritiene valide e credibili.
Se tu sapessi come funzionano i sistemi comunicativi, fino nelle loro più recondite pieghe, non dovresti banalizzare come fai.
è notorio che dietro untitled c’è la spectre
d.
Se vuoi posso dare esempio di come si è dato l’avvio a suo tempo al tormentone testata Zidane…….
“Ci sono segnalazioni e segnalazioni; se si ha la fortuna di essere segnalati come evento all’interno di un sistema d’informazione aperto ma selezionante, si gode di maggiore visibilità.”
Vero.
“Il corriere non è esente da questo, ne dall’accogliere segnalazioni che ritiene valide e credibili.”
Vero anche questo.
“Se tu sapessi come funzionano i sistemi comunicativi, fino nelle loro più recondite pieghe, non dovresti banalizzare come fai.”
Qua permettimi di sollevare un sopracciglio, MGD, visto che di marketing e comunicazione mi occupo da anni. Non che questa sia una discriminante forte – non si finisce mai di imparare, anche relativamente alle banalizzazioni e banalità di cui il settore è pieno. Se, come intuisco, anche tu per lavoro ti occupi di studiarne e cavalcarne le dinamiche, credo sappia a cosa mi riferisco.
Il riferimento al “metatag”, MGD, da solo mi convinceva poco, ho ritenuto mancasse un dettaglio. L’ho aggiunto. In questo senso l’espressione “niente di più” non era del tutto corretta e tu me l’hai fatta giustamente notare.
Sulla testata di Zidane se vuoi possiamo aprire un dibattito ad hoc, ma quello sì, temo, rischierebbe di diventare di una banalità imbarazzante.
Un saluto.
Intendo dire che markette si o no, su tutti i meccanismi, si stagliano potenti i controlli preposti su tutto ciò attiene l’ordine pubblico, l’informazione, è una di queste.
Mi riferisco a quegli elementi “ponte” che s’inseriscono tra i due meccanismi, l’editoria e il suo monitoraggio, producendo differenze, che sono tanto più influenti dentro il sistema editoriale, quanto più ne stanno sono fuori.
Certamente io non segnalerei mai, dai miei organi di comunicazione, qualcosa che promuova superficialità, pulsionalità di fruizione, assenza di contenuti.(brucierei la metà della letteratura in circolazione).
Mi chiedo io: siamo sicuri che questi scrittori avrebbero avuto più visibilità scrivendo su corriere o repubblica? Possibile che nonostante sia stata abolita la nobiltà, abbiamo ancora bisogno di mezzi di comunicazioni “nobili”? Scrivere sui quotidiani, farsi recensire dai settimanali… per farsi leggere da chi? Perchè non accettare che rispetto a quando c’erano Pasolini e Calvino le cose sono cambiate e che oggi abbiamo internet e che autopubblicarsi forse è anche sentirsi più liberi…
Penso che sia solo un momento delicato, e proprio per questo è di vitale importanza non farsi ingannare da lusinghe o bocciature massmediatiche, perchè entrambe sono aleatorie. mancano parole, parole nuove di senso.
Ho letto con sconforto l’articolo in questione presente sul Venerdì, mentre condivido pienamente le tue affermazioni, Giulio.
Con stima, Bianca
Bellissimo post. Ho scritto le mie considerazioni qui . Grazie per farci riflettere.
Dunque, ho scoperto la discussione tardi ma dopo aver letto l’articolo di Belpoliti in risposta, più o meno, al post di Mozzi ho deciso di intervenire con un nuovo blog e di proporre una chiave di lettura, come si suol dire…
Una piccola nota anche se in “leggero” ritardo: io credo che quello che dice Mozzi nel complesso sia corretto e fotografi in modo obiettivo quella stagnazione tipicamente di qualsiasi movimento culturale. Però lui afferma che i vari Pasolini,Calvino e altri fossero dotati di un potere vero potendo scrivere su quotidiani di ampio respiro nazionale. Questo è vero. ma penso che scrivendo su un corriere o una repubblica Saviano non avrebbe potuto dire le stesse cose. Certo ora pubblica su Mondadori e quindi la risonanza è la stessa, ma senza una bottega artigianale(passatemi il termine) come nazione indiana in cui sperimentare e gettare luce su coni d’ombra italiani forse non si sarebbe arrivati ad avere quel folgorante libro che è Gomorra.( come lager italiani di Rovelli e Mi spezzo ma non mi impiego di Bajani)
un saluto