Inerzia #3
terza puntata dell’inerzia, sull’inerzia, nell’inerzia, dialogo tra Maria Luisa Venuta e il sottoscritto, con qualche commento indiano:
Caro Antonio, come procedere in quest’afa che porta dall’inerzia al desiderio dell’immobilità totale? Getti il sasso nello stagno dei pensieri estivi: stabilità e moto rettilineo uniforme: Che cosa è stabile nel moto rettilineo uniforme? Il permanere del movimento del corpo in assenza di altri agenti contrastanti?
Mag e Tashtego colgono la tendenza che hanno i corpi a rimanere o tornare nella posizione di quiete. È vero, i bambini sono fantastici per questo tipo di osservazioni, non si stancano di ripetere esperimenti cercando di capire come funziona l’universo che li circonda. Osserviamo un bambino che in riva al mare gioca con i sassi, li raccoglie lanciandoli in aria e vedendo che cosa accade dopo il lancio. Alcuni cadono vicino, allora il bimbo aumenta la forza impressa e l’arco che fa il sasso diventa più ampio, così come il tempo di caduta. Ad un certo punto con la stessa forza, cerca di mandare il sasso in alto verso il cielo, ma l’oggetto ricade a pochi metri da lui, se non sulla sua testa, in modo quasi imprevedibile, perché ci ha impiegato meno tempo a ritornare in una posizione di quiete Ma allora la spinta inerziale ha una direzione? E che cosa intende per spinta inerziale? È stabile e uniforme?
Cara Maria Luisa, proprio ora che il caldo ci rallegra tutti, è arrivato un punto cruciale di questa faccenda dell’inerzia; che cosa è mai che fa andare avanti i corpi, dopo che “più niente” li spinge.
Aristotele non si capacitava di questo, perché aveva i suoi principi inderogabili: uno era che se c’è un moto allora ci deve essere una causa del moto e l’altro era che la causa poteva agire solo per contatto. Se si tiene fede a questo, è evidente che, quando lancio un sasso e la mia mano l’ha abbandonato, c’è solo l’aria che lo tocca, e quindi la causa del proseguimento del moto non può che essere l’aria. Ineccepibile, solo che si rivelava un po’ difficile da sostenere.
Dopo di lui, e fino a Newton, si è andati avanti a giochi di parole. Esempi qua e là:
Giovanni Filopono (VI secolo, Alessandria d’Egitto) si rende conto che l’aria non va bene e tira fuori – con grande coraggio, perché andare contro il maestro (ancorché vissuto un bel nove secoli prima) non era uno scherzo – una certa “forza cinetica incorporea”. Questo è molto interessante perché forse per la prima volta viene fuori qualcosa di incorporeo. Giustifichiamo qualcosa che vediamo con qualcosa che non vediamo. Cioè, non riusciamo a vedere alcunché che spinga il corpo in avanti e allora ci immaginiamo che ci sia qualcosa di incorporeo cioè di invisibile. Affermazione naturalmente per principio inverificabile: se non si può vedere dobbiamo crederle perché l’ha detto Filopono.
Giovanni Buridano (Jean Buridan, XIV sec., Parigi) estrae dal cappello una nuova parola, la parola “impetus”, nuova meraviglia, questo impetus ha dentro la massa del corpo e la sua velocità e fa tante belle cose e soprattutto si conserva. Si mantiene. E quindi la velocità si deve mantenere. Semplice, solo un tantino apodittico, non spiega nulla, fa forza sull’evidenza di una realtà sperimentale ovvia per tutti (ve l’immaginate se tirando un sasso vedeste il sasso cadere verticalmente appena lasciata la mano? Urlereste di terrore, pensereste di essere in sogno) e quindi molto facile da proporre come autogiustificantesi.
Arriva Newton (i Principia sono del 1687, Londra) e lui sì che si inventa il miglior calembour della storia della scienza. Cioè inventa la parola stato. Cos’è uno stato, s’intende non in politica, se non qualcosa che sta, che per definizione è stabile, si chiama stato perché sta, non c’è nient’altro da capire; se lo chiamiamo noi stato, è perché sappiamo che, per sua natura, è stabile, non muta. E di questa parola Newton si serve (scrive in latino e quindi declina status) per mettere a posto la questione: un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme (in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum) finché non arriva una causa che lo disturbi. E questo rende tutto ancora più ovvio. Basta chiamare qualcosa stato perché a quella cosa convenga il marchio della stabilità. Aristotele avrebbe potuto dire che un corpo permaneva in uno stato di quiete, o, secondo le sue idee, in uno stato di moto circolare uniforme, e sarebbe stata una giustificazione altrettanto solida. Ovvero:
Newton ha saputo dare una formulazione linguisticamente perfetta ad un principio che, a questo punto non necessitava più di spiegazione alcuna. Cosa vuol dire spiegazione? Ricondurre un fenomeno ad altri precedenti e già noti e giustificati? Non c’è nulla di precedente nel nostro caso, siamo in presenza di un assioma artisticamente formulato.
Mi fermo qui, e mi aspetto forse proteste, ma la storia prosegue. Gianni Biondillo commenta:
Vabbe’, Antonio, ma così ci lasci al ciglio dell’oasi ma ancora in pieno deserto! Insomma che cos’è che non fa cadere il sasso? E poi: perché, alla fine, il sasso fa una bella curva e cade? Qui c’è una serie di cose che bisogna squadernare: prima di tutte la la forza di gravità, poi l’atrito dell’aria, la forma del sasso, la forza impressa dalla mano e trasmessa sul sasso, etc. O no? Hai presente quel bel giochino antistress (che a me fa venire uno stress che non ti dico!) dove ci sono 5 biglie appesse e fra loro tangenti. Tu sollevi la prima la lasci andare, fa un arco di cerchio sulla cerniera, tocca la seconda che non si muove e neppure quelle sucessive; fino all’ultima che si solleva ruotando sulla sua cerniera e producendo un arco di cerchio uguale e simmetrico; poi ricasca e si ricomincia. E così all’infinito (se fossimo nello spazio, ovvio). Cosa succede la in mezzo? Le biglie paioni in stato di quiete, ma qualcosa si trasmette. Cosa?
(io lo so, colpa dei miei studi tecnici. ma tu lo dici meglio di me…) ;-)
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Cartesio pubblica nei Principi della filosofia del 1644 le sue leggi del moto, scritte per altro già nel 1633.
“La prima è: che ciascuna parte della materia, in particolare, continua sempre ad essere in un un medesimo stato, fintanto che l’incontro con altre non la costringa a cambiare”.
L’utilizzo fisico di “stato” si trova già mezzo secolo prima di Newton. Non so se sia stato Cartesio ad inventare questo uso, se altri lo hanno preceduto, ma sicuramente non è stato Newton.
In questa radiosa mattina d’agosto Cûk vomiteggia sulla chiacchiera estiva e nota come la materia, presa dal vortice disordinato della gravità, cada sul nulla detto a sproposito (il dir-nulla è sempre a sproposito?). Bleachhh!!!! Ma carimieicari, suvvia, deponete la tastiera e tuffatevi dentro il televisore, cosiché noi onesti lavoratori si possa continuare a intrufolarci nella rete senza dover subire tali – come dire gentilmente? – minorazioni argomentative. Allarmante la vostra distanza dall’essenza dell’autocoscienza. Adelante compañeros: deponete il vostro Io nel deserto che rende liberi, ecco: desertificatevi nel Non Io, internatevi nel carcere del silenzio, suvvia, ve lo chiede Cûk-Utitz per il bene dell’umanità virtuale tutta. Le università sono chiuse, peccato; altrimenti una bella lezioncina sul rapporto, in Fichte, tra materia in moto e la resistenza, o tra la malvagità del mondo e l’inerzia dell’intellettuale, oppure – forse è meglio – tra la neccessità di abbandonare lo stato di quiete e assaporare lo sballo della praxis vulcanica, ecco: Cûk vi chiede gentilmente di aprire a caso una pagina di filosofia e pensare ai bombardamenti israeliani; magari, tra le parole vi scappa anche un pensiero, vago, disordinato, demente, ma pensiero frutto del pensato, dunque al di là della coorte celeste del dire perché si ha tastiera libera. Suvvia, amici, fate che le nostre sofferenze inerti s’animino di nuova volontà agente, lo meritiamo. Ops! altro vomito solenne esce dalla boccuccia d’oro di Cûk; dev’essere lo sterco mangiato iersera a fiera d’eluctantia verba. Mi scusino gli astanti, ho sboccato vita liquida a causa dell’ineluttabile mio glorioso dover dire d’aver trovato fastidioso il detto in post. Dire indicendo: strana prassi. (Magda, la mia piccola bimba, solo quattro anni, m’ha appena chiesto se poteva in re publica movere ludica critica al fratello maggiore, reo di plurimum battercasuale sui tasti, scrivendo scemografemi del tipo “in lusione ho danzato senza soldo pattuito”; poveri piccoli figli di Cûk padre abbandonato all’internèt cercando defibrillatori per cervelli estivi).
Cûk-Utitz
Caro Prof. Cuk, una persona spumeggiante come Lei, cosi colta ed esuberante in pensieri e in parole (in opere come va? immagino magnificamente), che dà del tu a Fichte mentre ascolta un disco dei Nirvana e sorseggia una bevanda, defibrillata, agli estratti di mentuccia, stropharia e amanita, conoscerà sicuramente il dott. Gerardo Carotenuto. Ecco, caro Prof. Utitz, mentre gli altri depongono la tastiera e si tuffano dentro il televisore, oppure, finalmente saputi, grazie a Lei, della loro distanza dall’essenza dell’autocoscienza, depongono il loro io nel deserto che rende liberi – ecco, dicevo, perché nel frattempo non fa un salto al suo studio? Suvvia, cosa le costa, in fondo sono solo quattro passi: una bella passeggiata, una serena confessioncina al nostro luminare e, oplà, vedrà che si sentirà meglio, glielo assicuro. E mi creda, glielo dico proprio perché, grazie sempre a Lei, or ora mi scappa un pensiero, sia pur vago, al di là della coorte celeste del dire solo perché ho tastiera: Lei ne ha proprio un gran bisogno.
E’ interessante assistere allo sviluppo di un nuovo stile letterario e relazionale consistente nella fanculizzazione collettiva intelllettualmente evoluta.
*fanciullizzazione*
@ Ugolino Conte
Vede, caro il mio Sugolino, io andai a farmi psicopompizzare dal Carotenuto, due mesi or sono. Ero vivente, allora, in area despressa proprio nell’angolo del cervello dove il multirete si scontra col metadrenalico; ero, mi creda, clandestino in quel luogo, però amato dalla portinaia, la quale mi dava in cambio delle mie prestazioni ironicoinventive, verdura politica e vino veritas (se non ci crede, legga W.W.W. alla pagina 32, anche i sottotitoli per i finti comici come lei). Solo che, alla visione della fattura, mi scappò un pugno sul grugno del Carotenuto. Da allora, mi creda davvero (se lo vorrà, potrà anche non credermi; in fondo lei crede in altro di ben più sostanziale che il sottoscritto), da allora, disdicevo, mi sono fatto asportare l’emisferio dx e quello sinistro, mi sono fatto tagliare la Ragion di Stato e pure la vecchia canzone; eppure, nonostante tutto questo trafficare di analisti, continuo a non essere ciò che non sono: come lei, caro Antonio Conte della tastiera, gigiolante nelle amphorule virtuali in stop perpetuo delle sintesi afferenti.
PS: Cûk è inguaribile.
@ mag
Vede, l’è che Cûk -Utitz è stufo di tutto ‘sto sparlare del Quasi Nulla. Non sono tempi, questi, per perdersi in depressioni verbalistiche che non portano da nessuna parte. Chi ha la possibilità di postare in un luogo pur interessante come NI, e dico interessante per lo scambio, dovrebbe tentare la nostra corrida cardiaca con struggenti proposte d’apertura d’intelletto. Certo, Cûk non è nessuno per stabilire cosa possa o meno interessare; dunque, non aprendo contenzioso censurante (per carità!), reagisce con quel che ha in casa. Pensi se avessi scritto un commento del tipo: “ma che gagate scrivete?”. Lei come avrebbe reagito? Siccome sto davanti al video del computer per ore (il lavoro smobilita l’homo sapiens in favore dell’homo deficientus), scrivendo frasi fredde e tecniche (e sì, Cûk è scrittore di professione), cerco di rilassarmi girovagando per la rete in cerca di refrigerio. Se mi capita di incontrare scritti che mi infastidiscono, lo dico a mio modo. Ecco: “che cosa è mai che fa andare avanti i corpi, dopo che ‘più niente’ li spinge?”. È questo il “punto cruciale”? Se poi si arriva allo “status”, definendolo per di più come “qualcosa che sta”, allora l’ovvio diventa banale (“Basta chiamare qualcosa stato perché a quella cosa convenga il marchio della stabilità”), dimenticando che se esiste lo status quo esiste anche lo status nascendi, ovvero una natura costituente dello stato (che non è dunque in quiete, ma appunto in movimento). Terza media? Faccia lei. (Altra cosa sarebbe metaforizzare il tutto, uscendo dallo specifico della fisica per entrare nel rapporto tra inerzia e azione in campo culturale …).
Vostro Cûk-Utitz
Si vede che Lei è uno scrittore, caro Cukko, e di quelli tosti davvero, basta guardare al cumulo di sintesi afferenti di cui è un portatore inguaribilmente sano. Ma il suo problema è proprio questo, questa mobilità sintetica che la porta a crisi di astinanza non calcolate e controllate, come quella di stamattina, quando, avendo trovate inspiegabilmente chiuse le porte del simposio dove è solito elargire perle di saggezza, sapiente tra i sapienti, ha dovuto ripiegare su un succedaneo di media lega nazionalpopolare. Qui, fuori dall’acqua familiare dove nuota in sincrono col suo maestro (maestro anche Lei, s’intende, nella circolare intercambiabilità dei ruoli) di scrittura e pensiero (perché si sa, così come chiosano i tanti discepoli, che “uno scrittore pensa più di noi”), ha dovuto, pur di essere presente a se stesso, gettare la sua cultura in pasto a noi, piccoli spacciatori di vuoto. Peccato non si sia accorto, nobile Cukko, che non ha fatto altro che aggiungere nulla a nulla, sabbia al deserto, modellando con le sue stesse mani, inconsapevolmente, una gratificante amphorula virtuale che per un attimo, se ci pensa è così, ma solo per un attimo, ha bloccato il transito, il moto perpetuo delle sue sintesi sofferenti. Afferenti, pardon.
Ora Ugolino è stanco, e va a fare un tuffo nella sua piscina padronale. Poi ritorna nel suo monolocale e si prepara un bel sugolino per la pasta scotta di stasera. Che ne direbbe di venire a consumarla insieme a me? Porti anche Fichte, io sono qui ad aspettarla insieme a Nietzsche, che dice di conoscerla molto bene. Invitiamo anche Carotenuto, se vuole. E non si preoccupi: l’assenzio lo porta, e lo paga, lui.
p.s.
Guardi che “astinanza” non è un refuso. Provi ad aggiungere una consonante da qualche parte e, se il risultato non le aggrada, a cambiare contemporaneamente una vocale. A sua scelta. Io le consiglio l’ultima. ,)
A risentirla e a rileggerla.
secondo me un coire a.m e uno p.m. (magari con supporti tecnici come il climatizzatore o se non lo si ha in casa va bene quello della macchina che adesso mettono di serie o se non si ha nemmeno quello vanno bene tanti cubettini di ghiaccio sparsi sul pavimento)… beh… dicevo… questi due gratuiti r-apporti di sane endorfine assesterebbero un bel colpo a tante agostane strapazzature intellettuali
perchè si sa, l’asse terrestre prima gira veloce prima sui genitali e dopo forse anche sul cervello.
un salutino
paola
My dear DearDust,
come al solito, non posso che lodare la sua innata, polverosa sapienza.
p.s.
Le assicuro che, con o senza cubettini di ghiaccio, io cerco di mettere sempre in pratica i suoi saggi consigli, a.m. e p.m.
La saluto, e a risentirci a non so quando (presto, spero). Mi mancherà.
Perché non vi ascoltate un bel disco(sì, uno di quelli vecchi, in vinile) di Grace Slick(per esempio) invece di tirare in ballo psicanalisti e senso del vuoto? in fondo è agosto, e siamo in quattro gatti a giocar con alias e nick, per dire.
peace and love
Taci omai o buon Zichichi;
Quanto cedi al nostro Antonio
Ti puon render testimonio
Que’ scienziati che con strida
Son discesi giù al Plutone
@Conte
anonsoquandoaprestospero.
mi mancherà anche lei.
Vorrei chiedere a Sparzani che rapporto c’è tra inerzia ed entropia.
meglio il parere di un fisico che di un filosofo.
*fanciullizzazione* è molto bello…..
@Mag, prendi questo caldo agosto, aggiungi un pizzico d’afa, appendici i lavori di ristrutturazione dell’appartamento e otterrai un’inerzia mattutina irreplicabile in altre situazioni: steso, a letto, fino a mattina inoltrata a osservare la camera da letto ricolma di resti.
A questo punto abbiamo elementi sufficienti per formulare la prima legge ‘fisica’ dello scapolo INERTE: durante il mese d’agosto uno scapolo, se non sottoposto a ‘energie’ femminili esterne (leggi amica, leggi amante, leggi Signora Lucia), tende a rimanere inerte fino a mattina inoltrata e il caos (dell’appartamento) tende a rimanere stabile (leggi nemmeno si lava e si cambia) oppure ad aumentare (leggi necessità di cambiarsi per appuntamenti vari e aumento esponenziale della quantità di ‘cose’ disordinatamente sparse).
Succede poi, raramente ma succede, che ti telefoni la Chiara. Mica puoi accoglierla con tutta ‘sta ‘entropia’ (leggi casino) e quindi, sottoponendo ‘l’entropia’ a un’energia esterna (leggi amica Chiara), lo scapolo si deve alzare e tentare di ripristinare una situazione vivibile. Tentare però, che non è detto e non è dato sapere, sottoponendo l’entropia a una quantità data di energia, quando e se scaturiranno dall’entropia condizioni di ordine in grado di restituire vivibilità.
A qusto punto abbiamo elementi sufficienti per stilare la seconda legge ‘fisica’ dell’ENTROPIA scapolare (leggi dello scapolo, mica della scapola): l’entropia ferragostana generata da uno scapolo (leggi casino e/o caos) non sempre, anche se sottoposta a una sufficiente energia esterna (leggi visita dell’amica Chiara con probabilità copulatorie significative), non sempre consente di ricreare ordine. Spesso facilita esclusivamente il trasferimento dell’entropia (leggi sempre casino e/o caos) nel primo angolo sufficientemente nascosto dell’appartamento dello scapolo.
L’importante è riuscire a chiudere a chiave l’angolo nascosto per evitare sorprese inaspettate: l’amica Chiara potrebbe non gradire, dovesse scoprire l’entropia nascosta (leggi calzini puzzolenti, varie e alimentari) e la reazione convergere verso aspetti altamente negativi (leggi mancata copula).
Insomma: diventa determinante, in questo caso, la fisica quantistica ovvero: QUANTO è ficcanaso l’amica Chiara?
Vabbé dai, torno a riposare che è meglio ;-)
Buona serata. Trespolo.
Dopo questo vostro bel trattato sull’inerzia, guarderò con altro interesse il movimento dei turisti milanesi verso le 2 del pomeriggio mentre io sono bloccata ferma immobile catatonica basita e felice sotto il caldo africano in questa terra finale di Sicilia.
E li guarderò con più attenzione, magari cineticamente sforzando il pensiero di un centimetro in avanti, valutando chissà che quelle loro agitazioni turistiche prima o poi si fermeranno e la smetteranno di moltiplicarsi intorno a me. Perché anche a loro capiterà di bloccarsi di fronte all’inerzia sublime del caldo secco africano, famoso per una duplice funzione: ti schiaccia e ti bolle dentro.
E in tutto questo rimescolio succede che finalmente non succede niente.
Questa è l’inerzia siciliana delle 2 p.m.
Però Buridano era bravo, nel suo gener; chissà se trattava bene il suo asino, però?
Io credo che lo trattasse bene infatti aveva da scegliere tra avena e fieno, o, cazzoneso, magari orzo o luppolo o farro, ma il farro non lo si da agli asini, perchè lo diceva anche Quintiliano che affermò:
Asinus qui magnat farrum postea nnun trabagliat.
Ecco, Buridano era proprio un bravo padrone e senza il suo asino non sarebbe nessuno, come diceva pure Lattanzio:
Qui asinum non tenet nemo lo cak.
La sapienza antica aiuta sempre nella vita, specie quando si tengono gli asini.
Se invece uno tiene un mulo allora loarruolano nell’Artiglieria alpina. Invece Buridano, che aveva un asino, lo ficcarono in fanteria,
poi, però lo trasferirono all’Ospedale militare perchè l’asino gli aveva dati un calcio: fu lì che scoperse lo “status quo ante” cioè che stava meglio prima del calcio, che manifestossi con un fortissimo “impetus” che gli ruppe la mascella, e le conseguenze furono poi gravi per tre motivi:
1.Che dopo l’incidente causato dal calcio dell’asino il povero Buridano parlò con un difetto di pronuncia terribile per cui i suoi studenti parigini non capivano un cazzo e si distraevano e tiravano palline di sterco vaccino nel Vicolo degli Strami, per cui il rettore non gli rinnovò l’incarico, perché c’era il liberismo di cattedra, allora, e se non rendevi bene magari ti impiccavano, per dire.
2.Essendo stato licenziato ed avendo perduto l’asino non potè trovare lavoro nemmeno come conducente asini nell’esercito del duca d’Anjou, per cui si allogò come mezzano o lenone di una bagasciona in quel di Nanterre, ove presentavasi inturbantato come un principe arabo che vendeva nascostamente le grazie di una delle sue mogli.
3.Poi successe, purtroppo, che nella rivolta dei contadini del 1358 un villano lo assalì, credendolo un possidente, nella sua stamberga per rubargli l’asino. Nonostante le sue proteste di non proprietà di asini, l”impetus” dell’assalitore fu tale che Buridano cadde a terra e malauguratamente battè la nuca su un gradino di pietra e morì sul colpo in miserrime condizioni.
Morì all’età sua di anni di anni 68 preso Parigi di Francia e fu seppellito in una fossa comune.
L’asino no.
Se lo divorarono dei lupi quando scappò dall’Ospedale militare di Orleans.
E’ una storia molto triste.
MarioB.
vedo che il turbamento del tempo succeduto (tranne che nella Sicilia di Missy) al gran caldo ha turbato alcune delle migliori menti che frequentano l’abitualmente inclito dibattito della indiana nazione.
A Pensieri Oziosi grazie per le indicazioni su Cartesio, che fu tra coloro che per primi diedero una buona formulazione della cosiddetta (appunto, cosiddetta) legge di Galileo, quella che stabilisce l’inerzia. Galileo, come al solito c’era arrivato quasi, sempre quasi.
A Mag direi che tra entropia e inerzia non c’e un rapporto diretto, anche se ogni cosa nella fisica, ma non solo, ha qualche relazione con ogni altra cosa. l’entropia, come si diceva nello smenazzo entropico dell’anno scorso, è una misura del disordine di un sistema e certo non ci sarebbe se tutte quante le cose piccole e grandi non avessero l’inerzia ficcata dentro nella loro natura.
Ai simpatici cicciobelli che ironizzano sul contenuto, suggerisco, quando il loro figlioletto/a chiederà papà, papà, perché i corpi cadono per terra, di rispondere che cadono perché sono pesanti e quando il suddetto insisterà con perché sono pesanti, di dare la spiegazione veramente finale ed esaustiva, perché hanno la pesantezza. Ritenendo casomai di aver fornito una convincente ed illuminante spiegazione. Specialmente gli amici francesi capiranno: in francese gravità si dice pesanteur.
Inerzialmente tuttavia, del doman non c’è certezza
Antonio
tuttavia, sparzani, il tuo tentativo di darcene nozione non raggiunge lo scopo (almeno presso di me).
a giudicare da quello che scrivi, sembra che davvero non si sappia “cos’è” l’inerzia.
resta quella sensazione di pesantezza aggiuntiva in ascensore…
Il fatto è che quel testo contiene, nei miei confronti, un principio dormitivo: di solito per capire le cose ci si premura di togliere di mezzo ciò che non sembra essenziale. Qui il procedimento sembra esattamente l’opposto: la fisica viene complicata dalla storia del pensiero. Ora già è difficile, quando le faccende esulano dal banale, liberarsi dalle intuizioni pressoché ereditarie della “folk psychology” (ordinariamente preziose in quanto ovviamente adattative) sul funzionamento del mondo fisico. Proiettarsi nel contempo nelle menti di Aristotele, Filopono e Buridano semplicemente esaurisce il numero di “parentesi” che posso mantenere contemporaneamente aperte, in attesa dell’agognata soluzione (di solito nella creazione dei diagrammi esplicativi, si raccomanda di non superare le 5-7 scatole per volta) ovvero dell'”aha!” così meticolosamente preparato. Nel mio cervello questo stato di confusione si traduce in una tipica sonnolenza, I’m working on a fix.
Aggiungo: devo confessare che dopo gli esami di Fisica I e Fisica II in una facoltà scientifica (esami piuttosto seri, specie il secondo) avevo lasciato un po’ andare simili questioni, rinfrescate soltanto, qualche anno fa, nell’affrontare un famoso e ponderoso libro di Penrose. Ma ricordavo vagamente un ragionamento su di un secchio contenente dell’acqua e messo in rotazione, che riusciva ad imbastire delle interessanti congetture sul rapporto fra il comportamento inerziale di cui fa mostra un singolo corpo e la distribuzione complessiva della massa nell’universo (ovvero la fonte della forza gravitazionale che pervade lo spazio). Mi sono chiesto se fosse il caso di intervenire, ma non riuscivo assolutamente a capire quale fosse lo stato della conversazione, ovvero lo scopo recondito (ma probabilmente didattico) del “fare lo gnorri” esibito dai conduttori. Devo dire che questo menare per il naso le proiezioni inevitabilmente ingenue dei non addetti ai lavori non mi sembra proprio il massimo, e che in generale ho visto messa in opera una “fisiognomica” (applicata ai pensieri di coloro che hanno parlato di simili problemi) piuttosto presuntuosa, che implica la pretesa di dominare gli universi concettuali, e persino sentimentali, di pensatori appartenenti a culture lontane e frammentariamente conosciute. Le spiegazioni fisiognomiche sono spesso affascinanti ma notoriamente illusorie. Mi chiedo allora se l’esplorazione di queste nicchie pseudo-umanistiche, del tutto secondarie rispetto al main-stream scientifico, non siano un ennesimo segno del declino italiano.
Rileggendomi però, ritirerei l’ultima frase (un’insolenza esagerata).
Quando è stata proposta questa conversazione sull’inerzia l’idea mi ha affascinato da subito.
Innanzitutto per la possibilità di interagire con Antonio Sparzani, poi per l’uso del dialogo e infine per l’obiettivo finale di suscitare domande, invece che offrire risposte certe.
Quale è l’obiettivo? Ragionare, direi, anzi stimolare il ragionamento e l’interazione, mantenendo la complessità della realtà nel processo di investigazione. Non siamo nel laboratorio in cui si decide a priori che cosa analizzare, ma stiamo nel mondo e nel riprendere il senso dell’esperienza, indispensabile base per le teorizzazioni scientifiche, passate o presenti che siano.
Può essere caotico, ma il dare memoria storica ed un presente esperienziale ad un concetto fisico, che si è magari studiato per qualche esame, è un processo vitale e anche un po’ faticoso: si rimane in bilico tra la filosofia, la scienza, l’osservazione del reale.
Avremmo potuto scegliere una via più tradizionale per parlare dell’inerzia, ma il rischio era di diventare didattici e di inserire da qualche parte una cattedra, invece che interagire con i lettori che commentano, con gli altri indiani, sfruttando le possibilità offerte dallo strumento di NI, come multiblog, al di là della classica esposizione di post-commenti-post-commenti. E qui butto un altro sasso nello stagno. In questo ragionamento collettivo sul concetto di “inerzia” la domanda che c’è in sottofondo è chi sta creando conoscenza? E come si sta creando? Per pertinenze? per gerarchie degli autori rispetto ai commentatori? Per senso logico di causa-effetto o di sincronie?
Ora direi di raccogliere gli stimoli che provengono anche da questo post, dai commenti e ritorniamo sui concetti base. Alla prossima puntata di Inerzia#4
“Dev’essere una mia impressione; sono io a essere rallentato, compresso dalla gravità. Il suo mondo aveva assunto le caratteristiche della pura massa. percepì se stesso in un solo modo: come un oggetto che subisce la rpessione del peso. Una sola qualità, un solo attributo. E una sola esperienza. L’inerzia.”
Da “Ubik” di Philip K. Dick (Fanucci ed. p. 202)
I romanzi di Dick sono popolati di “inerziali” (non so cosa traduca in inglese), persone di un futuro-presente molto angosciante che riescono coi loro poteri a creare “campi” per impedire ad altri personaggi (“precognitivi” ed altri) di esercitare le loro facoltà psichiche (?) più o meno “cinetiche”. Un buon esempio di come letteratura di serie B (come è considerata generalmente la fantascienza (o “Sci-fi” che fa più cool)) riassuma bene l’interessante intreccio qui proposto tra scienze, letterature, ed usi dei rispettivi linguaggi. Anzi, costitutivamente nè è un terreno di predilezione.