Un ragionamento architettato male

 Sant'elia di Gianni Biondillo 

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Se vi chiedessi di farmi il nome di cinque registi, o di cinque scrittori o musicisti italiani viventi, so che non avreste particolari problemi a risolvere la richiesta. Se, viceversa, i cinque nomi fossero di altrettanti architetti italiani viventi, sono convito che anche una persona di buona cultura avrebbe difficoltà a rispondermi con immediatezza.
A quasi sessant’anni dalla pubblicazione del Saper vedere l’architettura di Bruno Zevi pare che il quaderno di doglianze degli architetti non sia mutato: la gente comune, “l’uomo della strada”, non sa nulla dell’architettura, delle sue teorie, dei suoi protagonisti e pare viva nella sua beata ignoranza, disinteressandosene bellamente di tutto ciò, se non, addirittura, parlandone male a priori. Eppure mai come da questo dopoguerra si è costruito così tanto al punto di stravolgere completamente il paesaggio italiano e globale in genere.
Nel bene o nel male l’Italia è completamente mutata e non conosciamo i nomi dei protagonisti di tale cambiamento, o scempio, dipende dai punti di vista. Non sappiamo chi è il responsabile di tutto ciò e, soprattutto, sembra che non ci interessi sapere che la figura professionale che ha guidato tale mutamento non è, come dovrebbe essere ovvio, quella dell’architetto ma, per mero numero di progetti realizzati, quella dell’ingegnere edile e del geometra.

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Nel viaggio allucinante che ognuno di noi può provare attraversando la Brianza, si possono osservare, oltre all’incredibile pessimo gusto, due forti tendenze per quanto riguarda lo stile delle abitazioni indigene: una orientata al passato (indubbiamente la tendenza di maggior impatto visivo) che ha dato vita ad una profusione di pseudotempli o di neocastelli etc… e l’altra rivolta ad un possibile futuro con una fede ipertecnologica che ha prodotto villette monofamiliari a forma di U.F.O. Ciò che forse converrebbe notare è che la tecnica costruttiva utilizzata è identica sia per le une che per le altre e che, soprattutto, non ha a che vedere né con un modo di costruire veramente “antico”, né con uno veramente “futuro”.
Del pessimo gusto brianzolo che tutte le epoche e tutti gli stili vuole infagocitare Gadda ne è stato il più feroce dissertatore e dissettore…
“… Di ville! di villule!, di villoni ripieni, di villette isolate, di ville doppie, di case villerecce, di ville rustiche, di rustici delle ville, gli architetti pastrufaziani avevano ingioiellato, poco a poco un po’ tutti, i vaghissimi e placidi colli delle pendici preandine, che, manco a dirlo, “digradano dolcemente”: alle miti bacinelle dei loro laghi. […] Altre villule, dov’è lo spigoluccio più in fuora, si drizzavano su, belle belle, in una torricella pseudo-senese o pastrufazianamente normanna, con una lunga e nera stanga in coppa, per il parafulmine e la bandiera. Altre ancora si insignivano di cupolette o pinnacoli vari, di tipo russo o quasi, un po’ come dei rapanelli o cipolle capovolti, a copertura embricata e bene spesso policroma, e cioè squamme d’un carnevalesco rettile, metà gialle e metà celesti. Cosicché tenevano della pagoda e della filanda, ed erano anche una via di mezzo fra l’Alhambra e il Kremlino.
Poiché tutto, tutto! era passato pel capo degli architetti pastrufaziani, salvo forse i connotati del Buon Gusto.”(1)
Mai come in questo caso, dove cioè la critica del gusto è assolutamente concorde nel aborrire tali eccessi di brutture, si fa chiara, anzi prevaricatrice, la forza della funzione simbolica dell’architettura(2)!
Nulla obbliga ancora oggi i proprietari dei vari villini extraurbani ad aggiungere a coronamento dei loro ingressi lupi, leoni, etc. se non un ormai atavico, come disperato, desiderio di protezione magica da parte di quest’ultimi: così come i cervi in gesso, le colonne prefabbricate già in rovina, le Bianchenevi con i relativi sette nani multicolori, sono come i residui di un desiderio al naturalismo bucolico, al favolistico. Questo perché lo stesso atto del costruire, atto tecnico, in teoria per antonomasia, ha sempre bisogno di una giustificazione simbolica perché abbia “senso”.
La casa è da sempre una fisica rappresentazione dell’intimità e della sicurezza, è ed ha una forma simbolica, è, per dirla con Jung, un rifugio costruito con simboli.
Ogni casa diventa un tutt’uno con chi la vive, un’entità viva dove la vicinanza con le altre entità non è solo fisica ma anche simbolica, culturale:
Vicolo: una croce di case
che si chiamano piano,
e non sanno ch’è paura
di restare sole nel buio. (3)

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L’atto del costruire ha sempre associato a se una ritualità: l’orientamento, i materiali, ecc.,  portano da sempre in sé un “senso”. Nella casa l’uomo costruisce un microcosmo, un imago mundi dove ogni luogo ha una funzione simbolica: il luogo del riposo, il luogo dell’acqua, il luogo del fuoco, etc…
Per i popoli antichi ogni luogo era abitato da esseri ultraterreni con i quali fare i conti, in pratica ogni parte del territorio (urbano o meno) rivelava la sua funzione simbolica che si perpetuava nel corso dei secoli.
Fondare una città significava fare quadrato, mettere ordine all’imponderabile disordine della natura(4), ciò implicava una partecipazione ultraterrena alla fondazione della città, sia di tipo passivo, come ad esempio il sacrificare agli dei animali sacri, o il consacrare loro dei luoghi; che di tipo attivo vedendo nella partecipazione divina un modo ordinatore delle cose umane; si veda l’esempio di Eros datoci dal Bembo: “Crebbe a poco a poco Amore ne’ primi uomini insieme col nuovo mondo e, crescendo egli, crebbero l’arti con lui.(…) Allora le ville di nuove case s’empierono; et le città si cinsero di difendevole muro; et i lodati costumi s’armarono di ferme leggi.” (5)
Dunque esisteva un sistema di protezione celeste che vedeva ogni luogo abitato da un genius loci, uno spirito del luogo; ogni città dedicata ad un Dio, e con l’avvento della cristianità ad un santo; ogni singola casa protetta da uno spirito. Presso gli antichi romani, ad esempio, esistevano i sacri Lari, anime di antenati che, divinizzate, proteggevano la casa dalle “incursioni” di spiriti malvagi.
La tradizione popolare ha tramandato sino ai giorni nostri questo culto dei morti, come ad esempio, la Bella ‘mbriana, spirito benefico protettrice della casa di tradizione napoletana; o, viceversa, sempre nel meridione d’Italia il Monaciello oppure ancora il Poltergeist spirito malvagio e dispettoso di tradizione germanica.
Il concetto di casa come luogo spirituale influenza pure la forma del sepolcro, immaginato, sin dagli antichi, come una domus æterna dove riposare dai travagli della vita terrena; così che un cimitero si trasforma nel tempo in una città di morti, luogo, a seconda dei casi, sacro, inquietante, maledetto.

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Il mondo è costellato di case e luoghi maledetti, punti della terra dove il genius loci si è manifestato nel suo aspetto più demoniaco, luoghi la cui riconoscibilità è, anche nell’attuale società, immediata. Dopotutto, come si sa, le tradizioni culturali stratificate restano forti anche nella attuale cultura di massa che fruisce in modo multimediale e indifferenziato delle istanze culturali sia del passato che del moderno rielaborandole sia “dall’alto” che “dal basso”.
La stessa fortuna della TV è forse imputabile alla naturale sostituzione avvenuta con il focolare domestico, trasformandola nel centro nevralgico della casa, dispensatrice di immagini e di contatti esterni (e sotto certi aspetti, ultraterreni). La cosa è stata come istintivamente intesa dalle forme comunicative creative di massa quali, fra le altre, il cinema; vedi ad esempio in Poltergeist(6) dove la bambina di casa viene catturata da uno spirito folletto e imprigionata nel televisore, o nel più inquietante, e straordinario, Videodrome(7) dove i mostri escono direttamente dalla TV.
Quando una casa diventa impossibile ad abitarsi allora si trasforma in una tomba, vedi il caso, struggente, delle madri che piangono i loro figli morti partigiani in un corale di Ritsos: “Le nostre case si sono strette, si sono impicciolite, i soffitti si sono abbassati, le finestre si sono abbassate, gli assiti si sono raggricciati […] la nostra casa s’è ristretta, il posto s’è ammuffito, i muri si sono insanguinati […] Il mondo s’è ristretto come una bara, figlio mio- non posso girarmi sull’altro fianco.” (8)
L’idea di casa impossibile si palesa nella cultura diffusa rielaborando e riutilizzando forme di “paure” ataviche quali la casa maledetta, od infestata da fantasmi etc.; in pratica l’idea del mostrum nella domus implica uno stravolgimento dell’ordine domestico utilizzando, a ben vedere, la tecnica antica dell’adynaton(9), un modo di raccontare “alla rovescia” che provoca orrore e ilarità. La casa, cioè, si trasforma da luogo conosciuto a labirinto imponderabile e nemico.
Un esempio del passato ci è fornito dalla casa “impossibile” del sacro bosco di Bomarzo(10); ma se da essa si poteva fuggire inorriditi, dalle case dei film dell’orrore la fuga è negata; la casa nemica e mostruosa vive uccidendo uno alla volta i suoi inquilini.
La ragione di tanta ferocia è da imputarsi, quasi sempre, ad una mancanza di rispetto da parte della modernità per il genius loci; la fondazione di queste case avviene, irrispettosi delle connesse ritualità, chi su antichi cimiteri (come in Shining o in Poltergeist), chi su aree dedicate a culti satanici (come in Amityville orror) (11); in pratica esiste come una vendetta del luogo che riafferma prepotentemente la sua millenaria  differenza.
Un discorso di chiara natura ecologica, dove l’ecologia (da non perdere d’occhio l’origine etimologica della parola: oikos logos, discorso sulla casa) è intesa anche come una riscoperta di saperi antichi ormai dimenticati o rimossi.
Ma perché tanta efferatezza granguignolesca per esprimere ciò? La risposta ce la fornisce lucidamente Battisti: ogni volta “che insorge una crisi morale o religiosa, e l’umanità rinunzia al classicismo, alle sue fredde e statiche verità, per tentare altre vie di conoscenza, essa scioglie dalla loro ibernazione l’orrido ed il demoniaco”(12)
Dunque è dell’inquietudine del vivere, dell’impossibilità dell’abitare il mondo che si parla e la cultura di massa elabora questi argomenti sia appunto utilizzando forme classiche della “mostruosità” che attraverso l’utilizzo di forme più nuove ed efficaci.
Su questa lunghezza d’onda il “caso” editoriale a fumetti, Dylan Dog, ha fondato la sua filosofia: i veri mostri siamo noi, le vere case mostruose sono quelle moderne, l’orrore siamo noi(13).

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Dell’immensa serie di cose concrete, fisiche, materiali  che la letteratura descrive da sempre, l’architettura, i manufatti architettonici, gli interni, sono di gran lunga i più osservati e i più descritti.
La vera ragione di questa straordinaria fortuna letteraria sta nel fatto che per i poeti, i letterati, gli umanisti, l’architettura ha il grande dono della concretezza. Essi subiscono da sempre il fascino dell’oggettivo: l’architettura è realtà, fa realtà. Descrivere palazzi, abitazioni, città, è il modo più chiaro, più oggettivo, per rappresentare il rapporto tutto culturale e artificiale col mondo fisico e col tempo. L’architettura è logica. Il comportamento dei costruttori è sensato. Il muro che cresce mattone dopo mattone è simbolo per antonomasia della solidità di un pensiero razionale(14).
L’architettura crea il reale, non lo contraddice; neppure forse nei casi antitetici di un futuro ipotetico “avanguardistico-utopistico” (ma pur sempre razionale, è una realtà a venire, comunque possibile) o nell’ipotesi dell’eredità di un passato giunto a noi ormai ruderizzato. Un rudere che se è anti-funzionale in senso stretto è comunque denso, carico di memoria.
L’architettura è  per la letteratura, in ogni caso e non solo nell’ipotesi del rudere, depositaria di memoria, e questo da sempre(15).
Orlando rileva però fra il tardo Settecento e il primo Ottocento come uno scatto storico che amplifica le descrizioni in generale di oggetti desueti (reliquie, rarità, robaccia) e in particolare di edifici e architetture del passato, descrizioni che si fanno sempre più frequenti e minuziose.
Questo scatto storico coincide “con l’epoca in cui rivoluzione industriale inglese e rivoluzione politica francese imposero al mondo i modelli maturi di una razionalizzazione laica avviata da due secoli, e che in altri due secoli avrebbe irriconoscibilmente cambiato la faccia della terra.” (16)
E’ il periodo, nel nostro campo disciplinare, della nascita del restauro; è il passaggio epocale prodotto dall’illuminismo e dalla rivoluzione industriale (e quindi del potere incontrastato della classe borghese, della sua razionalizzazione capitalista e laica del mondo) che, creando una profonda cesura col passato, muterà radicalmente la nostra attuale percezione della realtà: gli architetti e i letterati, vivendo un analogo codice interpretativo del mondo in quanto rappresentanti della stessa classe sociale, se ne interessano, fanno proprio il discorso sia cercando un disperato e impossibile recupero stilistico delle forme del passato (neogotico, neoromanico, etc.) che un vero e proprio recupero “delle cose” (attraverso minuziosi rilievi sia scritti che disegnati). Quella che Auerbach(17) reputa una vera e propria conquista degli scrittori degli anni Trenta e Quaranta del secolo diciannovesimo è analoga a quella di molti disegnatori e architetti dello stesso periodo: finalmente nelle loro rappresentazioni della realtà anche gli oggetti più umili, quotidiani, brutti, vengono non solo descritti minuziosamente ma presi pienamente sul serio.
Da questo momento storico in avanti l’architettura nella letteratura ha sempre un’accezione positiva solo in quanto depositaria di memoria, ne è anzi il simbolo stesso: dà dimensione storica al tempo mettendo a confronto il tempo della memoria personale (solipsista, o di una generazione) con quello che giunge alla soglia dell’inumano geologico; il tempo della rovina che passa (ritorna?) dalla storia (cultura) alla natura: “Les idées que les ruines réveillent en moi sont grandes. Tout s’anéantit, tout périt, tout passe. Il n’y a que le monde qui reste. Il n’y a que le temp qui dure.” (18)

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Da dopo il mutamento sociale, storico ed economico del secolo XIX°, l’architettura e la letteratura non viaggeranno più insieme. L’architettura da una parte diverrà il più esplicito esempio di razionalizzazione lottizzatrice della cultura dominante, vero e proprio mezzo – pratico e simbolico – di trasformazione del reale da parte della cultura dominante, maschera autorappresentativa del “potere”; e la letteratura, dall’altra, che in antitesi si porrà come il luogo del represso e dell’escluso: e proprio nella sua ansia a criticare la società borghese farà ancora una volta dell’architettura la metafora regina per parlare delle aberrazioni del reale.
Anche le utopie letterarie si trasformeranno in scenari futuri sempre più negativi, con città sempre meno ideali. Non basta più la “ragione” architettonica a creare le salde basi di una società giusta, anzi la città, nella sua regolarità geometrica diviene (vedi tutta la letteratura fantascientifica del XX° secolo, chiaramente anti-utopista) sempre più aberrante, terribile, inumana.
In realtà la letteratura non conosce l’intima tragedia dell’architettura moderna, un’architettura frustrata, spesso solo disegnata, continuamente inespressa, o espressa solo per inutili monumenti. Questa ignoranza (se non odio) da parte della letteratura dell’architettura moderna, collima pienamente con l’indifferenza nei confronti dell’architettura da parte dell'”uomo medio”.
Il salto temporale al futuro o al passato dei costruttori brianzoli, cioè in pratica la non accettazione del presente, deve la sua ragione d’essere molto più alla letteratura (al cinema, ai fumetti, alla televisione etc.), che all’architettura moderna in senso stretto.
La cosa che mi infastidisce è come la critica architettonica per anni è sembrata spesso assolutamente inconsapevole di questa inquietudine moderna all’abitare che se si è espressa da una parte con risposte fortemente creative (come nel caso della letteratura, della poesia, del cinema o dei fumetti), dall’altra producendo anarchie linguistiche da massificazione “superdemocratica” che hanno fatto costruire case fuori da ogni riferimento sia spaziale che temporale e che hanno frammentato e disgregato l’intero territorio, facendoci rimpiangere i mostri del cinema che sono sicuramente meno terribili della “realtà”. L’architettura militante per troppo tempo si è disinteressata completamente degli apporti, anche se molto spesso incompetenti, incompleti e irriverenti, di altre discipline (siano esse artistiche o meno) continuando feticisticamente a parlare solo di se stessa e su se stessa. E ciò rende spesso il mondo degli architetti un universo solipsistico, fatto di riviste patinate e di singoli gioielli nel letame generalizzato. Ma “una città fatta solo di monumenti sarebbe mostruosa”, come diceva saggiamente Michelucci. L’architettura, essenza della civitas, deve tornare al centro dell’attenzione comune e deve, soprattutto, risolvere il rapporto che ha col passato, che è stato nel secolo delle avanguardie, il XX°, sempre e solo un passato o da distruggere o da adorare: finché non troverà la sua soluzione, il suo modo naturale di porsi di fronte ad esso sarà sempre un rapporto ansioso che si riverbererà inevitabilmente sulle altre forme di espressione artistica. Il passato spesso vive di un’autorità che non si merita. E persino le architetture di regime naziste, staliniste, fasciste, per il semplice fatto che hanno ormai addosso la patina del tempo ci paiono migliori, più vere, delle nuove ricerche formali dell’architettura contemporanea.
Lo sforzo che chiedo ai miei colleghi architetti e di guardarsi attorno. A tutti gli altri è di guardare l’architettura, amarla, capirla. In realtà voi non sapete nulla di noi. E vi perdete molto.

Note:
1) Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa, Garzanti, Milano, 1985 (Iª ed.1944), pp.111-12. Sarà poi riedito completamente da Gadda ne La cognizione del dolore.
2) Vedi soprattutto il capitolo Significato, architettura e storia in Christian Norberg-Schulz, Architettura occidentale, Electa, 1974.
3)  S. Quasimodo, Vicolo, “Acque e terre”, 1920-29, ora in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1975, pag. 43.
4) Vedi la consacrazione del luogo da parte dell’augure negli antichi romani, in C. Norberg-Schulz, Architettura occidentale, Electa, 1979, pag. 42.
5)  P. Bembo, Gli Asolani, Lib.II, Venezia, 1530; e c’è chi si chiede anche se lo schema fortemente geometrizzante di alcune città militari non fosse una sorta di difesa simbolica; vedi E. Battisti, L’antirinascimento, Garzanti, Milano, ristampa 1989, pag. 112.
6) Film prodotto da S. Spielberg e diretto nel 1982 da T. Hooper.
7) D. Cronenberg, Videodrome, 1983.
8) J. Ritsos, Tre corali, 1944-47, anche in Le vecchie e il mare, Lalli, 1987, pagg. 69-83.
9) Fondamentale è la lettura, per avere idea di come questa tecnica narrativa sia costantemente presente nella nostra storia, di G. Cocchiara, Il mondo alla rovescia, Boringhieri, 1963-81.
10) Sul sacro bosco di Bomarzo vedi M. Calvesi, La prova della selva stregata, in “Art e dossier”, n.40, nov. 1989; ancora oggi esistono “case magnetiche” o “case impossibili” nei luna park che sfruttano, probabilmente senza saperlo, l’espediente del piano inclinato analogamente alla casa di Bomarzo.
11) S. Kubrick, Shining, 1980; S. Rosenberg, Amityville horror, 1979; l’elenco di luoghi e case maledette nel cinema è lunghissimo a partire dal straordinario La chute de la maison Usher di J. Epstein (1928) ispirato all’omonimo racconto di E. A. Poe, sino ad arrivare a La casa, splatter di indubbio impatto visivo di S. Raimi, 1982.
12) E. Battisti, L’antirinascimento, op.cit., pag. 70.
13) Il successo di Dylan Dog, il personaggio inventato da T. Sclavi, è sicuramente imputabile sia al divertente gioco di citazioni che tiene continuamente in  “allenamento” il lettore, sia – forse soprattutto – in un desiderio da parte di quest’ultimo di “diversità” di “distinzione” dal reale. Vedi, comunque, il n.50, Ai confini del tempo, nov. 1990.
14) Cartesio affermerà nel Discorso sul metodo di essersi comportato, nella costituzione dei suoi principi, come un architetto che deve costruire un edificio. Vedi Descartes, Discorso sul metodo, Laterza, Bari, 1977, pagg. 53 e segg.
15) In tutti i sensi: si pensi alla mnemotecnica di Matteo Ricci. Vedi su questo Jonathan D. Spence, Il Palazzo delle memoria di Matteo Ricci, il Saggiatore, Milano, 1987. C’è da ricordare, in oltre, come John Ruskin associ proprio l’architettura alla poesia in quanto entrambe custodi delle memoria di una nazione.
16) Francesco Orlando,  Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Einaudi, Torino, 1993, pag. 18.
17) Erich Auerbach, Mimesis, Einaudi, Torino, 1964, t. II, p. 253.
18) D. Diderot, OEuvres esthétiques, Garnier, Paris 1959, p. 643. Le rovine sono interpretate come fonte di insegnamento (che sia esso positivo o negativo, mitico o storico) da tutta la letteratura sin dagli antichi. Si segua l’analisi di Orlando che vede proprio nel passaggio storico analizzato come un mutamento di percezione, da parte degli intellettuali, del rudere che passa da monitorio a venerando. E’ inoltre interessante notare come la cultura del restauro ai suoi albori si formi innanzitutto su testi non disciplinari.

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86 Commenti

  1. ottimo pezzo gianni, molto stimolante e articolato. provo a proporre qualche obiezione da profano, sperando che non sia troppo dilettantesca. la prima è che non sono del tutto convinto che l’architettura sia un’espressione artistica più trascurata delle altre. se al famigerato uomo medio tu chiedessi, per es, cinque nomi di artisti italiani viventi, credo che incontreresti più o meno le stesse titubanze, fatti salvi giusto i nomi dei big come cattelan. in fondo, non è questo il periodo in cui si dice che i grandi architetti sono come delle star? renzo piano, gae aulenti, non sono famosissimi pure fuori dalla ristretta cerchia degli appassionati? io li vedo in continuazione su tutte le riviste. e fucksas, quanto casino ha prodotto il suo rifiuto a presenziare all’inaugurazione della nuova fiera assieme a berlusconi? e lissoni, chiamato a fare da testimonial agli spot tv del conto arancio? poi, vivendo in brianza so che questa difesa risulterà sospetta, ma francamente io non ci vedo tutte ‘ste brutture, almeno non più di quante ne ho trovate nel veneto, in emilia o in molta parte del meridione. monza come capitale del kitsch (secondo la celebre sentenza labranchiana) mi sa di cliché negativo, di stereotipo divertente e rassicurante, così si assolve tutto il resto. gadda piace molto anche a me, ma le sue invettive vanno prese con le pinze, vedi quella posdatata sul “cuce” in eros e priapo. e ancora, sarà per il mestiere che faccio, ma non trovi che il vero orrore del nostro tempo sia celato negli interni più che negli esterni? in quell’effetto sacello, che trasforma i nostri piccoli vittoriali in dei magazzini della memoria affastellati di souvenir a forma di cupolette di vetro con le gondole, il campanile di giotto, il colosseo e quant’altro innevato; veri e propri contraltari dei mitici nani da giardino? e le case privi di libri, non solo perché non si leggono, ma perché si pensa che non “arredino”? e le case piene di libri invece, le biblioteche ostentate come istituzioni garanti di uno status culturale, in cui i volumi sono impilati ordinatamente perché più che strumenti di consultazione sono ridotti a certificati di buona condotta? e l’antiquariato d’arredamento, la natura morta del 600 scelta perché fa pendant col colore del tessuto del divano? e l’etnico così trendy, che puzza di esotismo spicciolo alla pierre loti? quello non lo trovi anche nelle vie più “esclusive” di milano, da dove è partito per colonizzare tutto il resto? scusa, troppe domande, poi dico di giulio :-)

  2. Secondo l’antico (razionalista) adagio, l’architetto si occupa “dal cucchiaio alla città”, quindi, Sergio, anche gli interni sono di nostra competenza e anche su quelli ci sarebbe molto da dire. Ogni trattazione è sempre incompleta per evitarte eccessi di enciclopedismo. Selezionando gli argomenti, poi, si tende alla suddetta linearità riscontrata da Tash.
    In effetti, però, negli ultimi anni gli architetti stanno diventando sempre più star. Ma è la logica dello star system, analoga a quella, che sò, letteraria: la gente comune sa chi è la Mazzantini, Faletti o Dan Brown. Ma poi si fermano qui. Il vero problema è che un “uomo di cultura” conosce 5 scrittori vivi, o 5 musicisiti o artisti, ma non necessariamente 5 architetti italiani viventi (ho fatto la prova, te lo assicuro). Perché?

    p.s. sulle brutture nazionali (e non solo brianzole!!!) ho scritto una cosa che uscirà sull’almanacco Guanda fra qualche mese. Magari ti mando il file.

  3. Non pensare, Gianni, che io sia tra quelli che ad ogni possibile approccio di un problema rilanciano dicendo che er discorzo è complesso.
    Amo le sintesi e però il problema è che su un argomento come questo, la sintesi non può che essere costituita dall’argomentazione interrogativa, cioè dal porre le domande iniziali adatte ad un possibile sviluppo delle questioni di cui si vorrebbe trattare.
    Di più non si può fare.
    Per esempio, domande sul come impostare un discorso sul gusto architettonico “basso”, che al di là di una trattazione fenomenica anche gustosa come quella di Gadda, ha alla base l’altro cruciale interrogativo sulla mancata – in Italia – assimilazione de massa della cultura architettonica modernista e se altrove ciò sia invece avvenuto e in che misura e con quali conseguenze.
    Di fatto tra storia e contemporaneità quasi tutti noi, potendo scegliere, sceglieremmo di abitare nella storia.
    E questo perché il modo incompleto & inesatto secondo cui abbiamo declinato la cultura moderna dell’ambiente umano ci fa- a tutti, architetti e no – schifo.
    Odiamo la parte moderna delle nostre città, perché non abbiamo saputo costruirla fino in fondo con pulizia e coerenza, lasciandola in mezzo al guado a rispecchiare i nostri stessi dubbi, lasciandole tutti i difetti della città precedente senza i vantaggi di quella nuova.
    Un disastro al quale ogni individuo del tipo che tu citi come “della strada” (mi sono sempre domandato cosa diventa “l’uomo della strada”, una volta lasciata la sede stradale) risponde, quando ne ha la possibilità, a suo modo e secondo la sua cultura che, agli occhi del colto produce, esclusivamente o quasi insensatezze, e “cattivo gusto”.
    Ovviamente il “cattivo gusto” esisterà finché esisterà una società a cambiamento accelerato, dove non si concede il tempo di sedimentarsi a linguaggi in continua mutazione et superamento.
    L’”uomo della strada” si rifiuta di inseguire il nuovo, non gli piace, non ci vuole abitare, ha altre cose in testa, altri mondi, altri costrutti, altri modelli derivati da un immaginario de massa televisivo, che di fatto è largamente maggioritario.
    Tuttavia, come scrive Tommaso Labranca in Neoproletariato (prezioso libretto di Castelvecchi), nel gusto di massa esiste anche un consistente coté para-contemporaneo, modernista e sur-modernista, che “fa tendenza”.
    Anch’esso deriva, of course, dalle trasmissioni televisive del settore.
    Quelle trendarole della domenica notte, per capirsi.

  4. Infatti, Tash. Il tuo discorso non cozza affatto col mio, no? Cosa dico, in fondo? Il gusto e l’opinione sull’architettura moderna si forma più da altre discipline e attività culturali, che dall’architettura stessa.

    Manderò il file anche a te, mi sa… ;-)

  5. ultimamente sono passato più volte in autostrada da Reggio Emilia, dove stanno ultimando la costruzione delle opere per l’alta velocità. Già da lontano si nota il nuovo ponte che sovrasta l’autostrada (progettato se non sbaglio da Alva Noto): da profano dell’architettura posso dire che mi piace e non si impone, ma attorno tutti gli svincoli che girano in giro creano un paesaggio orrendo.
    Forse ci vorrebbero più architetti dediti alla progettazione di strutture (dalle case ai piani regolatori) e meno architetti “designer” (a mio modo di vedere buoni soprattutto) per far crescere il marchio per cui lavorano, ma soprattutto più controllo da parte delle istituzioni (in Svizzera o Austria ci sono posti dove le strutture esterne delle case non possono essere modificate rispetto alla loro appartenenza ad una tipologia costruttiva locale e anche il nuovo che viene costruito si deve adattare all’esistente e non sembrare un qualcosa di anacronistico piovuto dal cielo).
    Io vivo a Bologna e non capisco ad esempio la fiera e i palazzi della regione (kenzo tange, credo).

  6. FILIPPO SENATORE
    Alla calle del Volto

    FILIPPO SENATORE
    Al Calle del Volto
    (Forse trama infelice del Parcival a Venezia)
    Faenza,
    Non ci incontrammo per l’anarchia
    Dei nostri corpi, l’eternità del negarsi
    Redarguendo baci insaziabili,
    Dedicando amplessi alle stelle,
    Nelle cinque notti bianche,
    Lampi al vulcano.
    Sinfonie allo schianto di cascate
    Togliendo magneti ai contrappunti.
    Oblio inciso nel sangue.
    Il morso dell’agnello.
    i frutti succosi
    Spremuti sui fianchi
    Della collina di bisso,
    Come anarchia della voluttà.
    sospeso il cantico di Dioniso.
    La Fenice in fiamme, il mio cuore in tumulto.
    Ricordo vibrante del furtivo ingresso nelle sale apollinee.
    Fuggitivo il ritorno di Ninni in motorino
    Forse trama infelice del Parcival a Venezia.
    L’ineffabile gioia del lembo
    Del calle inanellato: tenera risata del rio.
    Il secolo si consuma nell’irresolutezza del meriggio.
    L’ora fuggita dei sette orti.

  7. @ andrea: Il ponte è invece dell’ing. santiago calatrava. l’opera non è male, in effetti. Ma a reggio emilia?!

  8. @gianni
    p.s. sulle brutture nazionali (e non solo brianzole!!!) ho scritto una cosa che uscirà sull’almanacco Guanda fra qualche mese. Magari ti mando il file.

    sì, grazie (a breve indirò una raccolta di firme per la riabilitazione dell’immagine della brianza!)

  9. E’ andato tutto così in fretta in questi cent’anni.
    Le case di città portavano finestre sormontate da timpani,
    lesene, semicolonne, capitelli qua e là, magari, mettipure,
    qualche cariatide, una panoplia, un bucranio.
    C’era un artigianato architettonico di manovali maestri scultori gessatori stuccatori decoratori.
    Poi è scoppiato il moderno nel ‘900, l’è sciupà di brutto col cubismo il futurismo e dai che ti metti pure, nel secondo dopoguerra, una crescita selvaggia, nulla programmazione economica, sviluppo demografico, dai che ti costruiamo senza limiti, pochi pochi piani regolatori, speculazione poco controllata, inurbamento bruto:
    ITALIANI VI DAREMO LE CASE!!!
    gli italiani vogliono la casa moderna, piano case, case pei lavoratori,
    Case InCIS, case Inam, case Inadel, case Ferovieri, INAcasa.
    La gente partiva dal paese, dove non aveva sempre un buco, e grazie se avevano la casa/alloggio a cassetto stipo tiretto con mobili “moderni” in compensato.
    La casa alveare la casa cassetto la casa cellula buco in mezzo a mille altre nel condominio grezzo economico squadrato è terribile, per me.
    E’ il simbolo della città del ‘900 assurdo, della sovrapopolazione.
    Tutto qui si è consumato troppo rapidamente per assimilare novità stili disegno, per costruire con un certo criterio, una vera pianificazione, un ricerca di stile di vita.
    Una casa “bella” di buon disegno ed abitabilità purtroppo scompare in mezzo a mille brutture.
    Questo in Italia.
    In altri paesi europei hanno lavorato meglio, dove preesiteva però una cultura più comunitaria e civica, un senso del “cives” e non del suddito e del potente.
    MarioB.

  10. Adesso è arrivato Sgarbi a Milano e sistemerà tutto lui, compreso l’orizzonte estetico della Brianza velenosa, come diceva Lucio battisti che li’, anzi qui, c’è morto.

  11. Ad ultimo aggiungo che la stragrande maggioranza degli italiani ha avuto una educazione minima, misera sulla storia dell’Arte,
    figuriamoci poi di storia dell’Architettura, gli italiani non sanno quasi nulla, qui non vi è stata una educazione o una guida al “gusto”, alla città, all’urbanistica, niente,
    fermi tutti a Palazzo Strozzi Colonnato Sanpietro,
    il barocco è già troppo moderno,
    figuriamoci Alvaar Alto, Franco Albini, Michelucci, Tange, Wright, Gropius, LeCorbusier, Scarpa, mai visti…sconosciuti
    Mai visto una gita scolastica con schiera di fanciulli che visitano una moderna architettura italiana, tipo la chiesa dell’Autostrada a Firenze di Michelucci?
    O un quartiere gallaratese a Milano.
    Mai visto un insegnante di disegno o Storia dell’Arte che disegna alla lavagna o fa vedere diapo/immagine di pianta di impianto urbano?

    Quanti sono gli insegnanti che ne sanno qualcosa? Lo 0,1 %.
    Forse meno.
    MarioB.

  12. Infatti di solito cio’ che non si sà si insegna.

    Gae Aulenti, Aldo Rossi, Mario Botta, Jo Ponti,Renzo Piano,

    Mi piacciono gli architetti nordici.sono piu’ leggeri.

  13. no, solo i primi che mi sono venuti in mente! almeno se fanno gli architetti e/o designer e/o urbanisti e se nel frattempo non sono diventati finanzieri o furbetti del quartierino.
    un mio amico si è laureato con Aldo Rossi e mi fa una capa tanta con sti mattoncini rossi…..

    ps: sa senza accento

    Qualcuno ha visto la nuova Lisbona? cosa vi sembra?

  14. no, perché volevo farti notare che: Aldo Rossi e Gio (e non Jo) Ponti sono morti e Mario Botta è svizzero. Quindi all’elenco mancano 3 architetti italiani viventi. ;-)

  15. A integrazione dell’elenco di magda, ecco i tre architetti italiani viventi (in rigoroso ordine alfabetico):

    Mario Bianco
    Gianni Biondillo
    Francesco Pecoraro

    Cosa hanno da invidiare i loro progetti e le loro realizzazioni alle realizzazioni di tutti i “geni” citati nel thread? Ecco. Mi domando e dico. ;)

  16. per quanto mi riguarda, molto hanno da invidiare! Soprattutto perché loro costruiscono a rullo, io no!!! ;-)

  17. beh allora anche i miei amici Marcella bonacina, elsy bugada, roberto crespi, attilio gobbi,roberto spagnuolo,e gli altri architetti dell’ordine architetti di bergamo.

  18. Adesso ho un lapsus imperdonabile perchè è un noto architetto bergamasco diciamo sui 60-70 ma di cui non ricordo il nome.
    è famoso.
    hai presente quel condominio a calolziocorte tutto in alluminio fatto negli anni 60-70 ?
    ecco quello.
    che nervi.

  19. Il dialoghetto fra Magda e Biondillo dimostra, in fondo, che Biondillo ha proprio ragione: una persona di cultura in Italia non sa snocciolarti di primo acchitto 5 nomi di architetti italiani viventi – e operanti davvero nella cultura architettonica, non perfetti sconosciuti!

  20. Se dovessi dire, di quelli che mi piacciono, quelli che mi vengono in mente:
    Stefano Cordeschi, Francesco Cellini, Alessandro Anselmi, di cui l’ultimo è maestro agli altri due, a catena.
    Franco Pierluisi, che è morto parecchi anni fa, giovane, prima di riuscire ad esprimersi a dovere.
    Poi altri non molto conosciuti, ma molto bravi.
    Tra i più famosi:
    Renzo Piano, che mi sta forse un po’ sul cazzo, ma è bravo, è uno che inventa.
    Aldo Rossi, mi ha sempre spiazzato, costringendomi, più che ad ammirarlo, a pensare, a riflettere.
    Eccetera.
    La lista è lunga.

  21. A me piace molto Peter Zumthor, che è svizzero pure lui, perchè ha un gusto quasi iniziatico nell’utilizzo dello spazio, una maestria spartana sui metriali, un approccio cosi’ disarmante da renderlo quasi mitico nelle sue opere.
    una di queste, che si ricollega al benessere psicofisico, mi ha particolarmente colpito, anche per l’armonia dell’intervento nel constesto assolutamente bene integrato tra le alpi.

    http://www.therme-vals.ch

  22. @magda
    se ti riferisci ad un complesso termale in marmo verde, difficilmente è possibile immaginare un edificio più cupo di quello, che sembra l’equivalente di un libro di un thomas bernard, di un sebald.
    immagino corpi flaccidi e bianchi che, immersi in quelle vasche, si coprono di riflessi verdastri, marcescenti.
    la smania di assoluto dei parlanti tedesco non risparmia gli architetti, anzi, loro sono tra i portabandiera: domani parto per Vienna e spero di poter visitare la casa che Wittgenstein progettò per la sorella, esempio maniacale di astrazione.
    ma se non la posso vedere fa lo stesso.

  23. @ Biondillo, tashtego e MarioB.

    Voi rifiutate la Gloria, e non sapete cosa vi perdete, a cosa rinunciate. Dovreste vederla in azione, ragazzi, prima di prendere decisioni così avventate. Rifletteteci. ;))

  24. caro conte, non so mario e gianni, ma a me è la gloria che non mi ha voluto.
    poi figurati, lo so bene che il glorioso rimedia di più.

  25. Tash,
    Le terme di Vals, le ho viste non in funzione, sono molto belle (e in effetti cupe e astratte). Il complesso alberghiero che le cingono una schifezza.
    La casa di Wittgenstein, in fondo, è un pacco. Se non ci avesse messo mano lui neppure la considereremmo quella casa.
    Però Wittgenstein sapeva quanto fosse complicato architettare. I problemi che mi da la filosofia, diceva ad un suo studente di Oxford, non sono nulla rispetto quelli che ho avuto con l’architettura.

  26. No, è fatto in pietra locale, tipo ardesia grezza tagliata a vivo, grigio scuro, è a Vals, una località pressochè irrangiungibile….non so se ci sei stato.
    tra i contemporanei sempre di mio gradimento Jan Nouvel, visto a Parigi(piaciuto per la sede degli studi islamici) e Il Moma di New York nuova versione data dal progettista giapponese.
    Invece per migliorare l’ignoranza :-) in tema architettonico:
    http://www.festivalarchitettura.it/fa3/it/

    devo andare avanti con la lista dei viventi?
    Non so se sia esatto sostenere che l’ignoranza in tema di architettura sia legata alla non dicibilità o meglio alla non nominabilità di alcuni suoi attori.
    Si possono enumerare senza avere nessuna sensibilità estetica nei confronti dello strutturare artistico.
    Come è vero pure il contrario, tanto piu’ che oggi i progetti sono firmati da gruppi associati di architetti, ma non solo, architetti e ingegnieri, quindi rilancio la domanda:
    Quanti ingegneri viventi sapreste nominare degni di nota per opere civili significative?

  27. Mag:
    ingegneri? Architetti? Insomma, io intendo progettisti, ci siamo capiti, no? Calatrava è ingegnere o architetto? (tra l’altro è laureato in tutte e due le discipline)

    E, sì. Ci sono stato a Vals. Di ritorno dalla Germania, in macchina con amici. E confermo: Zumthor ha fatto un magnifico lavoro, ma l’albergo (precedente) è una vera schifezza.

  28. calatrava ha fatto un progetto per Roma (tor vergata) che in confronto Albert Speer era un de-costruttivista.

    è il problema di quelli che riescono a diventare star: le commesse aumentano, gli studi si riempiono di collaboratori, l’architettura peggiora sempre più.

    la società mediatica paradossalmente divora i suoi figli, perché gli dà troppo, gli fa il deserto intorno, gli leva il senso della misura (inteso anche letteralmente come senso delle giuste dimensioni) che si conserva solo nel confronto con gli altri.

    quella casa di wittgenstein è un pacco, anch’io lo sospettavo.
    i caloriferi d’angolo, tipo.

  29. Io ci sono stata 3 volte
    la 1 da sola il ferragosto di 2 anni fà ed è stata un’esperienza mistica.
    la 2 a scopo dimostrativo con amici
    la 3 con la mia famiglia.

    l’albergo è vero non è bello, ma recentemente si è attrezato con alcune suites omogenee alle terme…ma è cosa di 1 anno fà al massimo.

    Non è un posto per bambini, per spiriti estroversi, goderecci o scientisti….poi devi essere in giornata per un luogo del genere…è molto particolare. quasi d’annunziano.

    Un altro professionista che non so’ bene dove collocare è Vito Acconci, che pare avere un excursus inizialmente poetico-letterario che si ricollega ora all’esperienza architettonica statunitense……

  30. Magda, la tua cultura enciclopedica mi sgomenta… Ma come fai a passare con tanta disinvoltura da Heidegger a Zumthor, da Bergamo a Vals, da Biondillo a tash a Mario (che ha ripudiato Gloria), senza (quasi) battere ciglio che sia ciglio? ;)

  31. Non potrei, Mag, nemmeno volendo. Sei uno (una) dei motivi per cui ho sciolto il connubio (pacs) con l’arcivescovo per approdare ai lidi indiani. :-)

  32. Ragazzi, sono in partenza. Domani mattina presto ho il treno. Vi lascio, non insultatemi troppo in mia assenza!

    ;-)))))

  33. Bon voyage, Blondèl. :-)

    p.s.

    Sugli insulti in assenza forse chiedi troppo, ma vedremo di limitarci. ;)
    Quando torni ci facciamo invitare a cena dal dott. Carotenuto. ;)))

    Ciao.

  34. NO! Carotenuto NO!
    già la psichiatria è qualcosa di alchimistico se poi è fatta da lui diventa stregoneria.
    Cmq Conte, io ho lasciato il papa, Ratzi, per gli Indiani. e lui per ringraziarmi, ha scritto l’enciclica Deus caritas est……

    ps:
    stazvera, qvando andate a caza di voztri pampini, date un pugno a vostvi pampini, e dite lovo questo è pugno di papa Razzi….:-)

  35. segnalo una prospettiva critica riguardo i poeti crepuscolari:
    iale.org/articolo_testata_dettagli.asp?ArticoloCategoria=3&ArticoloId=319

  36. @ magda
    Vito Acconci, body artist. si è anche interessato di architettura
    è colui divenne famoso masturbandosi per tre settimane sdraiato in una scatola sotto una scala bianca sul pavimento della Sonnabend Gallery di New York e parlando con il pubblico contemporaneamente.

    ps: per quanto riguarda le aspirazioni “letali” mi conservo tutta nei sacchetti (bella battuta) inoltre veda… il mio macellaio non è impotente e tantomeno bucolico, quindi non saprei che scrivere se non delle sue macellazioni ben fatte a cui assisto;-)
    un saluto

  37. ah bello,
    ma come fa scusa uno che si fa le pippepubbliche a realizzare un progetto futuristico come La Mur Island sul fiume mur a Graz definita appunto archiutopia e a partecipare a concorsi come il Performing Art centre di Seul?
    capsule abitative, cose fantasmagoriche…….

  38. la teoria che il prolungamento del pene sia il cervello, la conosci?
    forse Acconci prolungò così tanto il cervello grazie alle performance peniche che arrivò a creare fantasmagorie capsulari di cui parli…

  39. Sarà per quello che ho un rapporto simbiotico con gli psichiatri….abbiamo doppi accoppiamenti…come i lobrichi ermafroditi.
    cmq sto Acconci dev’essere proprio bravo.

  40. Diciamo che non li ho mai pagati, pero’ loro mi seguono, mi studiano? non so.
    Di certo si instaurano quelle terapie diciamo non classiche che vanno sotto il nome generico di relazioni epidermiche.
    Mi fanno questo effetto, forse sarà proprio questo che devo guarire, ma per farlo dovrei andare da uno psicoterapeuta…..non se ne esce.
    C’era una volta uno psichiatra seduto sul sofà e diceva alla sua mag, raccontami una storia e la storia cominciò………

  41. @ Magda e Paola

    Ragazze, permettetemi di farvi notare che, forse, state dilapidando un capitale coi vostri psichiatri (in danaro e in relazioni epidermiche): date un taglio al passato e rivolgetevi con fiducia al dott. Carotenuto, che da solo vale per un’intera squadra di psicoterapeuti: con lui basta una sola seduta e, come per incanto, ogni problema svanisce. Affidatevi e non ve ne pentirete. ^_^
    O

  42. Ma è almeno usato garantito? tagliandato e (caro)tenuto bene’?kilometri? carrozzeria?da quanto è che circola per i circuiti neuronali senza pagare il bollo?sisisisisimandalo, pero’ che mi si avvicini a testa in giù, camminando sugli arti inferiori, così il tet-a tet invertito mi verrà meglio.

    IO prima, che sono la più vecchia ma non ancora povlerizzata, polvere dopo, dato che polvere era polvere è e polvere tornerà.
    lo dice lei eh, io non c’entro.
    Perchè mi fate dire queste cazzate? fate apposta?

  43. @l Conte
    è un professore liofilizzato? no, oerchè io con le polveri di un certo valore antico ci ho dimestichezza.
    mi mandasse pure il professor Carotenuto che provvederò a tenerlo (cara)mente nei pressi della mia ampia zona numero 28, quella della meravigliosità.
    me lo mandi si, previo un sostanzioso suo del professore approvigionamento di sildenafil citrato anche perchè ci miei rapporti psichiatrici sono sempre molto lunghi e doppi quindi se il dottore è uno solo bisogna che sia ben equipaggiato per affrontare il transfert.
    @magda (IO IO IO)
    ah sei la più vecchia? dimostri molto meno di quello che dichiara.
    va bene. sia la pure prima, vorrà dire che il professore non dimenticherà più l’ultima-

  44. Beh ma smettetela di parlare male dei morti, il professor Carotenuto “è” (perché eterno) uomo degno e di alta qualità intellettuale, vi si magnerebbe in un sol boccone alzando le spalle…

  45. @ bobo
    il dott. Carotenuto di cui si parla è un tale Carotenuto Gerardo, psichiatra cattolico ex prete, che inciampò in NI tempo fa con le sue diagnosi… voleva curare internet…

  46. Grazie, lamagaclara (che bel nome, complimenti!). Visto che c’è, ce lo dica lei alle due fanciulle in fiore di sopra che il dott. gerardo carotenuto fa praticamente i miracoli, anche con i casi disperati, e, volendo, visita anche in vitro, liofilizzato. E’ capitato, soprattutto alle persone scettiche e con poca fede nelle sue virtù taumaturgiche, che, dopo un solo trattemento, la zona della meravigliosità si è ampliata almeno a 56 (praticamente un bilocale più servizi).

    Vi saluto, ripasserò più tardi. Ho appena affidato i bambini alla tata e il nonno alle amorevoli cure di una badante uzbeka: vado a distendermi a bordo piscina, non devo fare nemmeno un lungo tragitto, visto che mi basta scendere in giardino. Invidiatemi pure, tanto noi del patriziato liberal ci siamo abituati.

    p.s. (@ magda e deardust)

    Prima di conoscere il dottor carotenuto, abitavo in un monolocale e la “zona” di riferimento era ridotta a 0,1 (quando le cose andavano bene): ora ho Villa con Fontana e vari Titoli in borsa. Non mi di-lungo poi sulla “meravigliosità”. Meditate fanciulle, meditate…

  47. no, scusi, Conte ha deciso di rubarmi il mestiere? Le magie e i filtri li preparo io, lasciamo al carotenuto le cure della psiche che per i miracoli ci sono io. Ora ci si mettono pure gli psichiatri a rubare il mestiere: non c’è più religione in questa vita menzognera!
    ps
    sono una maga colta, io.
    ps
    se vuole, bambini e nonno li faccio sparire. Basta chiedere.

  48. No, mia cara lamagaclara (ma che bel nome, complimenti!), non volevo rubarle il mestiere, è solo che quei “cambiamenti” sono un effetto delle cure del dott. carotenuto: rimessa in sesto la psiche, tutto viene da sé, Villa con Fontana e Titoli in borsa compresi.

    Visto poi che lei è così bbuona, ecco, mi faccia sparire “solo” il nonno. Ai bambini ci pensa la madre, appena torna dalla parrucchiera (è dentro da mercoledì pomeriggio: ma lei ci tiene tanto ai suoi capelli, se li fa firmare uno per uno) e, soprattutto, con la badante uzbeka, se permette, me la vedo io.

    p.s.

    Poiché il dott. carotenuto è in ferie, mi permetto di consigliare a Magda e a Paola, ma anche lei credo possa averne bisogno, qualcuno tra i Titoli che conservo gelosamente in borsa (sa, il dott. me li ha consigliati come rimedi alternativi, visto che, con la serrata delle farmacie, è difficile procurarsi i medicinali della sua cura tradizionale). Ecco, un po’ di poesia sotto la cappa agostana fa sempre bene; consiglierei, quindi, “Sòle e risolature” di giuseppe marchese e “Lucciole nella brodaglia” di raffaello sandali. Se poi siete di stomaco forte, vi consiglio “Massaggi segreti” e “Pruderie d’ano-re” di alberto sonastemio, che trovate nella collana “Peti d’autore” della premiata editrice “Nani&Ballerine”.

    Spero di avervi fatto cosa gradita. Intanto, dal momento che la badante sarà presto libera da impegni, grazie a lei, do una ripassatina al “Manuale del liberal dandy”, soprattutto al capitoli “Primi approcci”, di robert saintgold. Buone fritture. Pardon: letture.

  49. Il prof. Gerardo Carotenuto, esimio psicopompo,
    mi tenne in cura in una sua singolare clinica sita a Baden Baden,
    per via che ero depressissimo e quasi alienabile,
    in via di cartolarizzazione, insomma.
    Mi intrattenne nelle prime ore del mattino con cura validissima di bianchetti tipo Chardonnay, Tokai, Muller Thurgau, Malvasia Greca, Greco di tufo, Velletri, fino alle ore 12, circa,
    poi, un pranzo leggero di
    un pagnottone +
    maltagliati con fagioli
    risotto gaddiano
    agnolotti alla monferrina
    canard à l’orange
    bollito misto alla piemontese
    oca all’ungherese
    + verdure miste grigliate lessate + peperonata
    poi dolci vari tipo:
    Bunèt
    Sainhonorè
    torta Paradiso der magnamagna
    Meringata
    Pastiera + zeppole
    il tutto innaffiato da vini nordici quali:
    Blauburgunder
    Sankte Madalener
    Kaltern+
    Grignolino e Barbera d’Asti
    Barbaresco + Barolo chinato +
    Grapppa Mazzetti d’Altavilla ad libitum.

    Alla sera,
    niente cene,
    solo un birrino weiss + due uiskini di malto.
    Consigliati quattro sigari pro die tipo Partagas.

    La cura durò dieci giorni,
    e fu di esito positivissimo.
    Ma fu dura perché mi era proibito il commercio carnale con fimmine.
    Sorvegliava una suora dal terribil cipiglio detta Madre Hildegarde.
    Ebbi un poco di gastrite, però.

    MarioB.

  50. @ MarioB.

    E’ proprio in quei dieci giorni, a quanto mi risulta, che ti sei lasciato sfuggire la Gloria. Tutto preso dalla “cura”, non ti sei accorto che lei era lì, sotto mentite spoglie. Sì, caro, la tua sorvegliante, Mutter Hildegarde, era proprio lei, la Gloria. Se solo ti fosse venuto in mento di guardare il “retro” del “terribil cipiglio”, la tua guarigione sarebbe stata davvero completa. ;)

  51. O Conte Ugolino,
    tu mi ributti in pasto ai pescicani del malumore più nero,
    or che sento di queste mentite spoglie di Mutter Hildegarde.

    In effetti gli effetti posteriori della venerabil suora erano di possanza notevole e mi ricordavano qualcosa che io rimossi, per la castità impostami, ovvero le poderose curve della Gloria, che sempre mi insidia, ed io, ahimè, non so coglier al momento popportuno.

    MarioBùùùù

  52. @caro Conte
    oltre ad avere la bella zona della meravigliosita che suppone (ma metri quadrati o calpestabili) ha anche sicuramente una sviluppatissima “zona numero 20”

    ps: uhm. veda. i titoli che lei suggerisce sono ormai sorpassati. io più che leggere, in attesa che passi agosto, faccio i fanghi di carbone vegetale proprio per manifestare contro la poetica petica.

  53. @ cara cara polvere

    veda, cara polvere, ogni “zona della meravigliosità” è bbella ‘a mamma sòja, così come ogni scarrafone d’antan. non è che passando dal monolocale in cui ante all’attico in cui nunc, il 28 diventa automaticamente 56 o lo 0,1 si decuplica: 28 e 0,1 erano, e tali rimangono. ciò che cambia, chi sa mai perché, soprattutto quando il rendez-vous-nous avviene nell’attico, è proprio la percezione di chi prende le misure, percezione che si amplia a dismisura anche senza il ricorso a sostanze psicotrope (a volte basta anche un solo verso di “Sòle e risolature” e il trip è bello che avviato) . il “miracolo” (scusi, carissima lamagaclara) del dott. carotenuto sta proprio in questo: una coscienza talmente forte, e falsa, che 0,1 sia 1 o 10, che finiscono per crederci anche le (gli?) altre/(i?). poi, detto tra noi, lei non ha proprio idea di quanti metri quadrati del mio 0,1 (ma non era la zona 28?) ho calpestato. e spero, magari, di continuare a farlo… mi sfugge, poi, il riferimento alla mia “sviluppatissima (!?!) zona 20”: non sarà per caso l’abituro di quella in certoqualmodo innata predisposizione che mi porta sempre a dimenticare la prima e a tenere ben vivo il ricordo dell’ultima?

    è vero, i titoli che suggerisco sono sorpassati, ma ciò dipende unicamente dal fatto che ormai da lungo tempo non faccio investimenti decenti in borsa: sa, quelli del visco non aspettano altro per beccarmi. approvo pure la cura di fanghi al carbon vegetale, e spero che lei la continui e che gli effetti del processo di depurazione siano lunghi e duraturi. per quanto riguarda me, dopo decenni di attraversamento di poetiche petiche, altro che vasca da bagno, non basterebbe nemmeno la piscina (olimpionica) che ho in giardino…

    le auguro una buona notte. mi permetta, comunque, di deporre un (casto) (o)/beso nei pressi della sua zona 28.

  54. @ MarioB.

    Scusa, non volevo rigirare il coltello nella piaga, era solo per dirti che la prossima volta (perché tu dal dott. carotenuto ci ritorni, vero?) l’euforia per le delizie della cura non deve impedirti, comunque, di dare sempre un’occhiata al retro del cipiglio della mutter badante. E’ il travestimento preferito dalla Gloria… quindi, fatti coraggio, ci sarà sempre una seconda occasione, e poi, a quanto sento dire, le mani del dott. sono diventate ancora più lunghe: stavolta potrebbe invitarti nello Schleswig-Holstein.

  55. E’ tardi.
    E come ogni notte, verso quest’ora,
    domande senza risposta mi assillano la mente.

    Perché, cazzo, tutti vanno in ferie, anche Gianni Biondillo,
    e io sono costretto qui, a rigirarmi tra le mani
    una copia ormai sgualcita di “Sòle e risolature” di giuseppe marchese?

    Quali crimini orrendi ho commesso nella precedente esistenza
    per essere condannato a questa infernale (!) tortura?



  56. Propongo per i ferragostani agli arresti domicialiari, o meglio, regionali, di passare ad Inverigo, in Brianza, e finire questa discussione a tarallucci & vino, o meglio a zuppa di pesce e ribolla gialla.
    Voglio vedere se di persona avete il coraggio di ripetere ciò che scrivete:-)

  57. 1
    Faccio subito notare, però, che la difficoltà a far 5 nomi di architetti viventi italiani non nasce certo da una mera mancanza di competenze intellettuali, quanto prima di tutto da una sostanziale carenza/penuria di conoscenza viva dell’abitare e quindi del costruire. Non è un vano fatto estetico, d’arte, ma proprio voragine esistenziale: manca un interesse/rapporto con la terra/natura e quindi come può esserci relazione/conoscenza del costruire!
    Detto questo, è anche vero che i migliori architetti italiani (come molti altri cervelli in fuga dal nostro bel/povero Paese) hanno operato all’estero più che in Italia, e sempre per l’assenza di visione politica d’insieme sulla vita e quindi per una progettazione corale dell’abitare/convivere nel territorio.
    C’è un libro di La Cecla (Perdersi, Laterza) che parla della rivalutazione dell’anonimato costruttivo della gente comune: mi viene in mente Pasolini che cammina su una strada di ciottoli e parla di come queste vie in Italia stiano sparendo sotto l’asfalto e come sarebbero invece da proteggere quali vere e proprie opere d’arte collettive, frutto di convivenza costruttiva.
    Un alto testo fondamentale in merito è Il grigio oltre le siepi, uno dei cui 2 coautori è il geografo Vallerani (e c’è anche un intervento di Zanzotto): lì si riscontrano nuove sindromi depressive causate dal ‘paesaggio’ urbano attuale: insomma, ribadisco, è questione di sostanza (vita) e non di mera estetica. Ethos (ed etica), non puro aspetto/apprenza esteriore. Questa è la vera crisi: non che non si sappiano i nomi degli architetti, ma che non si sappia (nella propria carne e esistenza!) più abitare, sapersi vivere bene.
    Geometri ed ingegneri (giustamente anonimi ché tanto a chi importa mai sapere chi ha costruito il ‘box’-loculo dove s’inscatola la sera!) non sono il male, ma solo il suo mezzo e sintomo. Il male siamo noi, è in noi, tra noi: siamo noi che decidiamo che questo ordine d’idee/realtà debba imporsi e dettar legge ovunque (ma “l’antica natura onnipossente” ci sta avvisando di star attenti ai nostri errori!), è di tutti noi l’impianto mentale geometrico e ingegneristico! Il vero problema è che non sappiamo più cosa è il bene (e di conseguenza non sappiamo più neanche riconoscere cosa sia il bello).

    2
    Su ville e villette etc., una disamina accuratissima (per quanto riguarda il solo Veneto, ma i parametri mentali son gli stessi) la si trova in quel libro segnalato prima: Il grigio oltre le siepi – alla cui lettura rimando per tutte le considrazioni del caso. Aggiungo solo che, in qualche modo, ci va bene così! Sì, va proprio bene così: altrimenti faremmo qualcosa per cambiare.
    “La funzione simbolica dell’architettura”: dici bene, nulla obbliga chi abita e costruisce, ma nel senso profondo: cioè che non esiste più una necessità a cui rispondere, né quindi una cultura da questa elaborata. L’uomo non è più un abitante della Terra da ormai un bel po’: non è più humus, né se ne fa portavoce in sede propriamente umana. Ormai prescinde dalla natura, è una macchina artificale: vive nell’artificio e di artifici, il suo ambiente è la tecnica/tecnologia. Lui, che è tecnologia pura in carne ed ossa, ha perduto il proprio senso, e il proprio orientamento. Che gliene frega del sole? Della luna (i disturbi del mestruo nelle donne occidentali di oggi sono un sintomo spaventoso -spaventoso, terribile- di quest’allontanamento dalla natura). A noi oggi basta una macchina (condizionatore) per respirare in un ambiente con cui non c’importa più d’aver a che fare ché ormai ne prescindiamo. E’ però l’ambiente che, fortunatamente, non prescinde da noi e ci presenta il conto che si fa sempre più salato. Ma noi tamponiamo tecnologicamente le falle che abbiamo aperto e pretendiamo di riorganizzare l’intero cosmo al nostro volere. Ma cosa davvero vogliamo? Questa è la domanda da farci!!!
    Casa è psiche, microcosmo a immagne e somiglianza del macrocosmo: e se ce ne fregiamo di tutto questo, cosa vuoi che conti come costruiamo?!! Per fortuna io abito in un territorio (Mira in Riviera del Brenta – provincia di Venezia) che ha ancora dei ‘resti’ d’abitazioni umane in quel senso che ho cercato di suggerire qui sopra. Macerie e rovine è il titolo di un altro gran testo dell’antropologo Marc Augé, dov’è detto che ciò che resta della vita antica son rovine ma tutto ciò che lasceremo della nostra saranno macerie.

    3
    La ritualità è ormai persa a tutti i livelli, non solo su quello costruttivo in senso abitativo: è facile prevedere che non resterà nulla di noi occidentali, anzi che di noi resterà proprio quel nulla che impronta ogni nostro gesto (o non gesto) e pensiero (non-pensiero/pensiero del-nel nulla/annullamento).
    Perché chi ascolta oggi il vento, il respiro di una valle o del mare? Non ne sentiamo più il bisogno proprio fisico di farlo, perché il bunker tecnico in cui ci siamo barricati e ridotti a vivere, noi siamo convinti sia una specie di bolla autonoma e indipendente da contesto/ambiente. Il testo s’impone sul contesto, quando anche ogni lettura implica una ricostruzione del contesto!
    Dunque: se questi impersonali prefabbricati in serie che chiamiamo non più case ma appartamenti (sempre più mini-, come ogni tecnologia tende a fare riconducendosi a microdimensioni incorporabili nell’essere umano!) sono l’esternazione simbolica del nostro mondo interiore, lo vediamo che siamo in un’epoca di automatismo inesistenziale spaventoso oppure no?!!
    Marshall McLuhan, nel suo “Strumenti del comunicare” parla della casa come di un’estensione tecnica della pelle (attenzione: la pelle -respira-), più precisamente è l’equivalente sociale di quell’estensione individuale della pelle che è l’abito (abito, abitare, abitudini, costumi/comportamenti: attenzione, attenzione e meditazione su queste cordate etimologiche…): dunque il nostro confine/limine di contatto/rapporto con l’esterno (e con noi stessi ancor prima) è ormai ridotto ai minimi termini (in ogni senso).
    Non credo sia necessario far i conti con esseri ultraterreni perché son solo ipostasi di entità ben più terrene e concrete, a cui far fronte ogni giorno: i quattro elementi e tutti gli essere intermedi con cui conviviamo, o meglio dovremmo convivere visto che ormai abbiamo antropizzato tutto. Ridurre a riserva un pezzo di natura signfica intanto che abbiamo fatto a pezzi la natura (anche quella umana, anzi prima di tutto la nostra e quindi poi pure quella ‘esterna’: pensate a cosa significa ‘sta cosa…), e poi che ci teniamo una riserva mentale rispetto alla sua totale cancellazione – per il nostro benessere. Diventiamo turisti della natura: ma allora, dove mai abitiamo? Come abitiamo? Di che, in che abitiamo? Cosa estendiamo tecnicamente?
    Oggi ancora si parla di vittà, quando i confini si son dilatati (dilavati) in modo da non prevedere che un’unica forma (informe) urbana che fagocita campagne e tutto riducendo ogni cosa a un ammasso periferico di ‘case’: allora, cerchiamo di capire dove inizia e dove finisce una città, oggi, se di città si può ancora parlare (e non si può, appunto): domandiamoci allora perché mai la si fonda ed erige (per convivere, per difendersi – da chi…)?
    Oh, il “genius loci”: ciò che nel luogo è essenziale, e a cui noi nomadi e viandanti umani necessariamente ci dobbiamo co-essenzializzare per peter viverci. Ma qesto implica appunto un ascolto, prima ancora che una visione. Un ascolto che oggi non c’è. Perché? Perché non siamo più umani, non siamo più uomini, humus, figli della terra. E perché non lo siamo più? Perché abbiamo portato al parossismo quella volontà/necessità di ordinamento del “caos” (che è possibilità e apertura, prima e più a fondo del ‘disordine’!!!) cui accenni a proposito dell’edificaizone delle antiche città.
    La casa, allora, come estensione della propria personalità, in accordo con l’ambiente in cui sorge. Perché ancor oggi persistono residui di sensibilità in tal senso (umana), quando cerchiamo casa… Ma preferiamo non farci troppo caso, perché altrimenti toccherebbe fare la rivoluzione e allora non sarebbe più finita: invece vogliamo la nostra casetta, il praticello, felicità.
    Invece le case di una volta erano luoghi viventi: ripeto, luoghi viventi. La vita di coloro che ci avevano abitato faceva tutt’uno con le mura e la casa in senso fisico (house era home, per dirla con una distinzione che la dice lunga sulla schizofrenia anglosassone…). Quindi ogni casa esprimeva chi vi abitava. Ogni casa è impregnata di esistenze, di umanità. Umanità che teneva conto del luogo/contesto/ambiente, nel costruirvi la propria casa. Era in relazione con l’esistenza cosmica (anche l’orientamento n’è parte).
    Costruire una casa è lavorare per il momento, costruire una tomba è lavorare per l’eternità – dice un detto africano. Ma diamo retta ai selvaggi? (Faccio notare che oggi si vien sepolti in condomini mortuari perfettamente analoghi ai miniappartamenti in cui ci si seppellisce ancora in vita fisica…)

    4
    Sul giornale di qualche tempo fa leggevo la lettera aperta che una madre ha indirizzato al sindaco del proprio paese perché fermasse l’installazione di ripetitori per la telefonia mobile: uno dei suoi tre figli era malato (ahimè terminale) di cancro a causa delle radiazione elettromagnetiche, e ad un altro esra appena stato diagnosticato lo stesso tumore (curabile, se preso per tempo e soprattutto se curato con un certo timpo di vita e ambiente – attenzione a quest’ultima frase!). Studi recenti hanno dimostrato che il cellulare ha un’azione disgregatrice sulle molecole del DNA (ciò che tiene insieme la nostra stessa esistenza biologica e quindi anche poi spirituale): però il cellulare è una sorta di idolo/simbolo della comunicazione globale. Se si legge cosa ci dicono questi fatti, è chiaro che stiamo minando le basi stesse della nostra esistenza materiale proprio inseguendo tramite mezzi ciò che nessun mezzo può permetter di fare così direttamente e con forza e pienezza come la sola comunicazione in presenza fisica. Io dico: è follia.
    E veniamo a questa famigerata ecologia: come vado ripetendo ormai da un bel po’, non si tratta di saperi intellettuali ma pratici /operativi/vitali!!! E’ inutile che andiamo appunto dicendo tanto sulla casa, se non viviamo l’abitudine all’abitare! “Poeticamente abita l’uomo” scriveva Holderlin tre secoli fa circa, e Heidegger riprende quel evrso per farci una teoria (da bravo filosofo, che esplica il pensiero intuitivo poetico di un solo verso).
    Non c’è ecologia che ci possa salvare, né sapere se non agito! Attenzione! Non è a livello intellettuale che si gioca tutto, ma a livello profondo: nella sensibilità o forse anche nella pura sensazione/sentimento. Forse salviamo la Terra e se torniamo umani (umili)… Se torniamo a sentirci uomini, di terra e aria. I quattro elementi si stanno via via “vendicando” del nostro disinteresse/indifferenza: primo il fuoco (ozono/sole/effetto serra), poi l’acqua (ghiacciai/desertificazione/Tsunami), ora tocca all’aria (vento etc.) e infine toccherà alla terra, poi tutto si combinerà insieme e saremo fottuti (ma tanto cos’è l’uomo se non un’episodio del ciclo evolutivo cosmico?!!).
    Quanto all’orrido etc., è meglio spiegabile con la più generale legge delle catene e del conseguente scatenamento, che appare (non è!) violento a una metalità che ha costretto una potenza in situazioni troppo ridotte per essa: allora il bisogno di ordine portato all’eccesso fa sì che le forze troppo compresse si rimettano in circolo per portare a un nuovo equilibrio. Finché non si comprenderà questa legge generale dell’energia/materia, faremo i nostri soliti danni – sempre più disastrosi perché aumentiamo la ‘potenza’.
    Non occorre un fumetto (bastavano al caso quelli della Marvel degli anni ’50 – non a caso americani…) per rendersi conto che le città moderne son forse peggio della jungla nera. Che però si usino forme di conoscenza come il fumetto per arrivare a comprendere ciò che è immediatamente percepibile nella vita ormai di quasi tutti noi, è un sintomo di come non siamo più in grado di far esperienza se non attarverso mediazioni che poi però alla fine ci portano fuori strada, arrivando a considerarle in senso estetico e non più (auto-)conoscitivo e quindi per modificare la situazione: così tutto rimane immutato e noi ci specchiamo in questi ‘prodotti artistici’.

    5
    Una costruzione è ritmo in forma solida. E il ritmo è l’organizzazione del tempo umana. Quindi l’architettura mostra esternamente ciò che è dentro. E’ anima visibile. Anima collettiva: ossia rapporti tra anime, tra persone: e rapporti tra uomini e animali, tra uomini e potenze terrestri e cosmiche. Questo è il suo ‘fascino’, per i poeti come per gli stessi abitanti: a Venezia per es. c’è un arco che attraversa una calle e unisce due case, quest’arco fu fatto perché nelle due case dirimpetto abitavano due innamorati che poi si son sposati, e la loro unione e delle rispettive famiglie s’è così espressa architettonicamente. E questo è solo un minimo esempio di come tutta una città sorgesse (ora non più) via via (letteralmente) in conformità alla vita.
    Sulla logica del mattone, rimando alla lettura del libro di McLuhan succitato (e l’abbinamento a Cartesio rientra perfettamente nella suddetta logica…).
    Oggi, in ogni ambito, la forma non è più sostanza (sostanziale/funzionale): si possono fare le cose ‘a piacere’ (a caso, arbitrariamente, senza alcuna necessità…) tanto la funzione è interna/tecnica e l’involucro è apparenza. Fa parte della schizofrenia occidentale, tutto questo. Oggi vediamo forme ribollire senza scopo in un immane calderone modaiolo che si avvale di tutto perché non ha più niente da dire, da significare, da esprimere: non è, quindi non dice nient’altro che il (proprio) nulla; e lo dice con sempre più furia e nevrastenia, fino all’esaurimento appunto nervoso di una società.
    Stiamo museificando/mummificando tutto: la memoria non è più vivente, oltre a non esser più neanche interiore essendo riversata in cip al silicio che ricordano (ri-cuor-dare…) al posto nostro tutto ciò che noi scordiamo (dimentichiamo, quindi perdiamo in senso e vita: disabitati a noi stessi…).
    Con Baudelaire la città diventa luogo psichico: metafora dell’anima, vero paese (mutante paesaggio) interiore, forma concreta di quella foresta di simboli che appunto sta diventando la percezione delle cose nell’uomo. E’ con lui che la città si fa abitata di folla (e di follia), di solitudini in massa. Il poeta legge la realtà e la trascrive/traduce/porta al mondo, al resto degli uomini, alla comunità, perché essa si veda/rifletta e comprenda e cambi. Invece oggi il poeta al massimo è inscatolato/disinnescato in un premio…

    6
    Allora: che cosa oggi informa (parola non scelta a caso, attenzione al suo doppiosenso) la ‘città’? L’informazione, appunto. Ecco la vera forma, i veri confini, il vero senso della coabitazione/convivenza umana oggi (cfr. quel testo, basilare, di McLuhan già più volte citato). Voglio tornare a Venezia con voi: la sua forma cittadina è unica (come unica è ogni cosa naturale) proprio perché nasce in uno spcifico luogo e da una precisa storia umana, è un connubio perfetto di contesto (ambiente) e testo (‘architettura’: nella radice etimologica c’è il principio del proteggere, attenzione anche qua…) – Venezi nasce e si sviluppa su un’isola (Rivo Alto, oggi è Rialto) ed è una foresta confitta nella laguna: i veneziani hanno dovuto ridefinire tutto il sistema idrogeologico circostante, canalizzando e deviando fiumi, al fine di mantenere intatto l’ambiente lagunare per potersi continuar a difendere (perché l’acqua era per essa l’equivalente delle mura nelle città medievali: ed oggi invece Venezia deve difendersi dal mare – c’è da meditarci su…).

    *

    Educazione (anodina – catodica)

    Perché i bambini sono così soli,
    fermi agli schermi dei televisori
    che li rapiscono dal “mondo vero”,
    in cui non trovano interlocutori?

    Nessuno gli racconta più le storie:
    non ci si resta insieme, in quel calore
    che viene dallo scambio di visioni.
    Balie meccaniche per figli-automi.

  58. @ Magda e Gabriella

    Mi spiace davvero, ne avessi avuto la possibilità, ci sarei venuto volentieri. Sarà per una prossima volta. :-)

  59. Magda, c’è chi può e chi non può: io, in questo momento, proprio non può.

    Divertiti, e se ti capita di vedere M.me Gabriella, salutala da parte mia.

    p.s.

    Baci dal loculo… ;)

  60. Concordo con MissY; negli ultimi interventi siete stati tutti simpaticissimi…Buone vacanze a tutti, comunque e dovunque

  61. qui non ci siamo proprio Conte.
    lei avrebbe un loculo con piscina olimpionica.
    io abito in un’urna. vorrei la piscina. sa, per fare qualche tuffo di spargimento
    bene. fuori il nome dell’architetto.
    così ritorniamo anche in tema.

    ps:la zona 20 secondo la geografia cerebrale in voga nell’ottocento rivela satira e sarcasmo… eheheheh.
    me la immagino caro Conte a cercarsela, la zona… eheheh, mi scusi se mi prendo tutte queste libertà goliardiche.
    in ogni caso l’ultima è quella che si ricorda più facilmente.
    e poi non niente altro da rigirarsi in mano che quel libro stantio?
    io avrei si qualcosa da consigliarle.

    bene. ci terrei davvero a relazionarmi con lo sciamano Carotenuto che sembra anche sia un buon prestidigiatore, ricambio in castità e le consiglio di tenersi accanto lo swiffer.
    non si sa mai

  62. My dear DearDust,
    mi piacerebbe tanto ospitare la sua urna nel mio loculo (con giardino e piscina olimpionica: i nuovi status symbola dell’emergente patriziato liberal: anche quando i “patrizi” in questione non riescono a pagare l’affitto a fine mese: ma tant’è): sarebbe bellissimo vederla sciogliersi nelle mie acque, così come, per me, sarebbe davvero un’esperienza metà-fisica potermi rotolare tra le sue membra ridotte a grani che il vento lieve-mente accarezza. Lo so che ardisco (ardo?) troppo, ma sognare non costa niente, e so che anche lei, a modo suo, sogna molto…

    Il loculo fu progettato dal dott. Carotenuto, tra una pausa e l’altra delle estenuanti sedute a cui mi sottoponeva, nel tentativo di venire a capo del mio caso, a dire di tanti suoi colleghi praticamente irrisolvibile, senza speranza. Non fraintenda, il dott. non è un tuttologo, anche se potrebbe esserlo, volendo, ma solo un eccellente psicoterapeuta (l’etichetta, mai come in questo caso, non rende, comunque, tutta la profondità della sua dottrina) e, cosa che non guasta mai, un uomo sempre pronto a nuove esperienze culturali, con lo sguardo sempre fisso all’apprendimento di nuovi saperi. In quel periodo aveva in cura, oltre a me, il dott. Mario Bianco, che, involontariamente (ma questa è una conclusione che meriterebbe l’avallo del nostro luminare) deve aver suggerito, in regime di transfert, il “disegno” complessivo di quella che, poi, sarebbe diventata la mia magione. So per certo che alcuni suoi disturbi (ma lievi, per carità, visto che sono bastati dieci giorni nel Baden a curarli) nascevano dal rifiuto mai metabolizzato (fino a quel momento) degli studi architettonici. La regressio ipnotica a cui fu sottoposto fece affiorare il sogno rimosso con tutto il suo carico di claustrofobia repressa: il nostro sognava, fin da giovanotto, di abitare in un loculo, in una cella dei tanti alveari di edilizia popolare che sono ancora ben visibili nelle periferie degradate delle metropoli del nord. Ecco svelato l’arcano, l’antefatto con sogno incorporato intendo; perché, a pensarci bene, non sono poi tanto sicuro che in cura ci fosse il dott. Bianco, anzi, molto probabilmente si trattava del dott. Gianni Biondillo. Ma devo accertare il tutto, però: prenda il fatto in sé, e con beneficio d’inventario il resto.

    La ringrazio anche per gli apprezzamenti che lei fa riguardo alla mia zona 20, un po’ in disarmo, purtroppo, per cause che non sto a spiegarle: le assicuro soltanto che lo swiffer, che comunque tengo sempre accanto, non c’entra niente. D’accordo anche sull’ultima, che è sempre migliore della prima (chi se la ricorda più, ormai?).

    Aspettando i suoi consigli (al di là di quello che trovo e leggo, sempre più che volentieri, in un “certo” blog), in questi giorni alterno, alle “sòle” di cui sopra, la lettura di “Psicanalisi delle acque” di Gaston Bachelard (ma tu guarda che combinazione!) e, soprattutto, il bellissimo “La trasparenza delle immagini” di Emanuele Coccia.

    p.s.

    1) La castità non riesco proprio a permettermela, neanche volendo: costa troppo.
    2) Si prenda sempre tutte le libertà che vuole: lei può permetterselo, non si preoccupi. ;)

  63. un bazio al taraluzio x Magda et Gabriela (ke l’est bela comme la vida)
    da

    furlen esule a montpellier
    terra di Rabelais
    e come disea el garuf accumpagné du franz
    “a monpelliè la gente sorride perchè”

  64. appena riesco a montare due ruote sotto l’urnetta alquanto proletaria per la verità, ancora con il begno fuori… mi vedrà dall’oblò del suo loculo. prepari una pedanina se eventualmente avesse dei gradini perchè ancora non sono allenata per il salto con l’asta (opss)

    una volta sistemata si potrà procedere al mio scioglimento nelle sue acque clorate(ma non troppo, per carità, che mi si corroderebbero gl’infrasottili e gl’infrassottana) e al suo arrotolarsi arso (che fa? arde? autocombustione?) tra le mie ex-membra che spero, mi scusi se le sembrerò pignola, sia una leggera brezza e non vento ad accarezzarmi, pena la mia completa dipersione alla quale lei dovrà ovviare correndomi dietro con lo swiffer cercando di riammucchiarmi alla bene meglio… una catastrofe! eh.
    è vero. io sogno molto a modo mio, ormai ho preso questa brutta strada, ma cosa vuole qua nell’urna non sono ormai molte le gioie terrene che sono molto care (compresa la castità, è vero)e invece lei, ullapeppa, lei si può portare fin le paperette in piscina, l’aranciata, i sandali intrecciati, i newspapers, gli spaghetti allo scoglio.. etc etc, e prendersi il sole e sognare le bahamas con una fetta di mango sulla lingua…

    io sto leggendo e rileggendo qua e là
    “Van Gogh il suicidato della società” di Artaud, E.A.Poe. ,Stevenson , “I poteri dell’odore” di Annick Le Guérer
    e, a mio parere, davvero bello: “Il taxi” di Violette Leduc.

    ps: e sgranchirò tutte le libertà di cui ho ricordo.

  65. Dear DearDust,
    stamattina un amico mi ha fatto avere, tramite mail, un file contenente dei versi. Fanno parte di un libro che, come tutti quelli che ha scritto, non sarà mai pubblicato. Io sono il suo unico lettore e, in grazia di questo merito acquisito, gli ho chiesto se potevo dedicargliene alcuni. Ha acconsentito. La scelta dei testi è opera mia. Spero le piacciano e li gradisca. In caso contrario, voglia apprezzare almeno la volontà del dono.

    p.s.

    Grazie per i consigli di lettura. Rileggerò sicuramente il testo di Artaud.

    *

    Ecco i testi, tratti dall’opera “Dalla cenere”.

    *

    una piuma, un’ala, una
    figura sospesa tra
    origine e bagliore, è quanto
    resta per fare visita al
    la notte, la sua natura di smanie
    sepolte, di preghiere
    tirate al cielo come pietre, un
    dolce rimasuglio d’aria
    il fiato di un in
    visibile
    ritorno a questa
    pace che lontana dai tuoi fianchi, a
    questo vuoto di radura, questa
    piaga che profonda
    in un grido, rallenta il
    respiro dei fogli
    che piangono cera nel
    bianco, fedeltà
    che è rara e talvolta
    lascia fuggire un appiglio, una
    nube, un prodigio
    slabbrato dietro il
    giorno che migra trascinando la
    voce oltre gli anni, la
    impiglia tra i fili di un gioco
    una storia, una luna nel
    l’immediato riverbero
    di un corpo, di un
    lampo, di un’eco
    placata

    *

    ti cammina sul braccio la
    tenebrosa
    sapienza di
    chi regge lumi
    al mattino, ti
    acceca
    il risucchio dell’olio
    che sciama in vapore e
    incendia il tuo
    occhio
    che spunta in un prato, dal
    le gronde di un foglio
    dove transitano astri e
    voragini, il profilo distante
    di una voce intra
    vista per caso
    si perde tra l’inchiostro e
    la pelle, in
    certa se
    dire il distacco o
    annegare negli specchi del
    cielo, infinito
    rantolo azzurro

    *

    la fuga è ragione, una
    cantabile
    fiamma, dettato di piaga
    l’esile giallo di un dubbio, un
    pensiero dal fondo dei venti, il
    ricordo di leggi ingoiate per
    segmenti di fame, e poi
    il freddo
    il protendersi agli occhi del
    l’ultima pioggia, quando
    pesa sul corpo l’assenza di luna
    e indecisa
    vomita l’ombra, il tuo
    ultimo seme, la flaccida
    pelle d’aprile
    da cui rinascono fiori, la sorte
    gemella che
    matura radici alle sabbie

    *

    ci sono versi scritti
    con gli occhi, li
    riconosci quando
    tornano in superficie
    spaiati in
    sincronie di vuoto
    e all’albero
    toccano in sorte
    che bussò alla tua porta
    chiedendo ritagli di lacrime
    un nome da respirare
    crescendo
    fino al prossimo cielo, domani
    brucerà a una
    fiamma di neve, e lo spazio
    del suo ultimo grido sarà
    l’orizzonte tra
    palpebra e
    palpebra
    che si restringe nel
    l’orbita di fiori di
    sale

    *

    la luna si contorce al
    la parete, si
    sbreccia tra i vapori
    azzurrini dell’acqua
    che scivola a fatica sul
    la pelle, la tua
    casa è una soglia
    da cui guardi il mare
    farsi fiamma, e la risacca
    disegnare il dis
    ordine di un’
    eternità interrotta al
    la parola
    grido

    *

    dal gioco dis
    piega un cammino, un
    vuoto di
    alberi, acrobati
    di luce tra
    casupole di paglia e
    punti sospesi sul
    la carta a un
    crocevia di
    piogge, alla fine
    basta l’eco di un passo
    a strapiombo e
    la soglia sul
    lavacro del risveglio è il tuo
    corpo disteso nel
    la fuga, il lessico
    strozzato da un male
    leggibile anche
    senza
    occhi

    *

  66. @Conte.

    felice e onorata della sua dedica, ho chiesto aiuto a una piccola tromba d’aria e mi sono improvvisata in un quasi elegante e solitario ciclone argentino.
    sinceramente. i versi che ha scelto per me sono davvero belli.
    si complimenti e ringrazi da parte mia il poeta del quale lei è unico lettore e gli dica di farsi coraggio e di continuare a scrivere per lei, Conte, e per i posteri, come faccio io.
    impolverandola, la saluto

  67. Il mio amico la ringrazia, DearDust, e ricambia i complimenti.

    Io, estraneo alle vostre vicende poetiche, mi tengo ben stretto il suo abbraccio di polvere…

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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