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Un dogma culturale (sulla critica alla politica israeliana)

di Andrea Inglese

Di fronte ai commenti che l’attacco di Israele al Libano ha suscitato nei nostri canali d’informazione l’impressione è quella di concorrere al rafforzamento di un dogma culturale che è tanto ottuso quanto nocivo. Un simile dogma culturale è già emerso negli ultimi anni a proposito della politica del governo statunitense. Ogni critica risoluta alle opzioni di politica estera o interna del governo statunitense avanzate in un dibattito pubblico in Italia, e spesso anche in altri paesi europei, è immediatamente definito da qualcuno come una manifestazione di “antiamericanismo”, ossia come una forma di pregiudizio idiosincratico e ingiustificabile. Ciò accade o rischia di accadere anche oggi, quando qualcuno critica risolutamente la politica estera israeliana.

Un saggio di come si costruisce e rafforza tale dogma ce lo fornisce Magdi Allam sul Corriere della sera del 19 luglio. La catena argomentativa è in fondo semplice: chi critica Israele, anche prudentemente, legittima l’azione terroristica di Hezbollah a cui Israele risponde. Chi legittima Hezbollah, di conseguenza, legittima la volontà di cancellare il diritto ad esistere dello stato israeliano. Ciò significa, quindi, che una critica nei confronti del governo israeliano è sempre una critica al diritto di Israele di esistere. È quindi chiaro, in quest’ottica, come ogni risoluta critica alla politica israeliana cada sotto il sospetto di antisemitismo. E sappiamo anche come tale accusa sia ben più infamante di quella di “semplice” antiamericanismo.

Il presupposto di fondo di questa costruzione dogmatica è poi solo uno: ogni altra risposta che non sia di pura e schiacciante potenza militare nei confronti dei propri nemici, siano essi i militanti palestinesi di Hamas o quelli libanesi di Hezbollah, non può che manifestare un atteggiamento di debolezza, e la debolezza non può che condurre ad un nuovo e terribile sterminio. Non sono un analista politico, ma non credo alla bontà di quest’ipotesi. Questa ipotesi non può reggere nel corso tempo. Innanzitutto, usare come unica arma politica il terrore contro il terrore, come Israele sta facendo in Libano, non può portare alla pace. Ma come i molti governi israeliani nel corso di ormai sessant’anni hanno dimostrato nei confronti della questione palestinese, non è la pace il vero obiettivo, ma quel grado accettabile di “sicurezza” che una potenza occupante può garantirsi nei confronti di un paese occupato.

Ciò che comunque non si può ignorare, essendo sotto gli occhi di tutti, è che l’azione terroristica per scopi politici è legittimata tanto da Hezbollah quanto da Israele. Ma non è su questo punto che mi voglio soffermare, bensì sull’idea che sembra indiscussa nelle classi dirigenti israeliane. Queste ultime pensano che se il loro stato non sarà in grado di “pestare molto più duro dell’aggressore”, allora esso dovrà soccombere. Ma nei confronti delle reazioni di Israele alle aggressioni terroristiche si percepisce una costitutiva ambiguità: da un lato, il carattere simmetrico, ma sempre di potenza distruttrice ben maggiore, della reazione militare israeliana, che non risparmia bambini, donne e anziani innocenti, è giustificato in nome della “sicurezza”; dall’altro, emerge, spesso persino dichiarata, la pura e cieca volontà di rappresaglia: “per ognuno dei nostri che muore almeno dieci dei vostri”. La rappresaglia, però, come la storia insegna, non ha mai garantito duratura sicurezza nelle file degli eserciti o delle organizzazioni che la praticavano. Chi la esercita, invece, sprofonda inevitabilmente nella barbarie, mentre in chi la subisce non fa che alimentare l’odio e il sogno di una sanguinaria rivalsa.

L’azione terroristica esercitata da organizzazioni come Hezbollah non ha minimamente la pretesa di distruggere lo stato israeliano, di vincerlo, di cancellare Israele dalla carta del Medio Oriente. Essa vuole minare, in una contesa idealmente infinita, ogni pretesa israeliana di aver vinto stabilmente una guerra, di aver garantito militarmente la sicurezza nei confronti dei suoi cittadini. Da parte israeliana, l’azione terroristica è vista come l’unica soluzione per garantire la sicurezza dei propri soldati o dei propri cittadini dalle minacce dei suoi nemici politici. Ma l’obiettivo di Israele non dovrebbe essere la realizzazione di un’eterna contesa con le organizzazioni terroristiche che la minacciano. Accettare l’eterna contesa significa infatti rinunciare proprio a quella “sicurezza” che rappresenta il motivo principale di una politica di rappresaglia militare. (A meno che i vertici dello stato israeliano ragionino in un’ottica di politica esclusivamente bellica, dove è del tutto legittimo aspettarsi un costante, seppure ridotto al minimo, sacrificio di vite umane da parte dei propri cittadini.)

Non riesco a credere che la salvezza dello stato di Israele sia affidata alle stragi di civili in Libano né ad un’ennesima occupazione territoriale. Le guerre che Israele doveva vincere per assicurarsi di fatto la propria esistenza di stato sovrano in Medio Oriente sono già state vinte. Ora non rimane ad Israele che l’opzione di un’eterna contesa con organizzazioni terroristiche che mai avranno la potenza militare di uno stato sovrano, e mai quindi potranno subire una definitiva sconfitta e firmare una pace duratura, oppure la possibilità di ridiscutere criticamente e non dogmaticamente quegli assunti di politica estera che paiono fino ad ora indiscutibili. Il primo passo per aprire nuove possibilità reali, soluzioni politiche per ora impensabili, passa per l’esercizio dell’autocritica. Israele, come dimostra nuovamente, è uno stato sufficientemente potente, solido e coeso per potersi consentire l’autocritica senza assimilarla all’autodistruzione. Allo stesso modo, la critica diretta alla dirigenza israeliana non è una distruzione invocata nei confronti della società israeliana.

Per una minoranza di israeliani questo discorso è del tutto pacifico. Ma non per questo è facile da fare. In il manifesto del 20 luglio leggo un’intervista a Itzik Shabbat, produttore televisivo di 28 anni, che è stato chiamato come riservista dall’esercito israeliano. Shabbat è un obiettore di coscienza, un caporale che ha già rifiutato nel 2002 di servire nei Territori Occupati. Un cosiddetto refuseniks. E oggi, dopo aver ricevuto la convocazione dell’esercito impegnato nelle operazioni contro in Libano, fa sapere che si rifiuterà nuovamente di entrare in servizio, a costo di rischiare l’incarcerazione.

A conclusione dell’intervista, a Shabbat viene chiesto:“Non pensi di andare contro al tua paese rifiutando di servire nell’esercito?”. Riporto per intero la sua risposta.
“Il patriottismo è un’arma molto sofisticata qui in Israele.Ma in questo non c’è niente di sano in una società patriottica. La gente crede che essere patriottici ci renda cittadini migliori ed in questo cadiamo nello stesso tranello degli americani che credono si debba sempre servire il paese. Ma è il paese che deve servirci, che deve mantenere una società sana. Non si può adorarlo, idealizzarlo. Non si può pensare di morire per il paese.Dovreste vedere cos’è la stampa qui in Israele. Non c’è mai modo di avere un’opinione diversa, non c’è accesso a quella che è la versione del nemico. E si rischia di venir accusati di tradimento per una semplice intervista alla stampa estera, come questa.”

Importanti intellettuali israeliani come Oz, Grossman, Yehoshua, si sono pronunciati in favore di questa nuova “guerra giusta” da parte di Israele. Ma altre notizie ci dicono che esistono israeliani che manifestano contro questa guerra e che non condividono la politica di Olmert. In un sondaggio apparso lunedì 17 sul quotidiano Yediot Aharanot, l’86% delle persone intervistate pensano che l’offensiva nei confronti del Libano sia giustificata, ma il 14% si dichiara contraria ad essa (Le monde, 20 luglio 2006).

È nell’interesse stesso di Israele che si apra la possibilità di rimettere radicalmente in discussione quello che oggi appare un consensuale avvallo dell’azione terroristica come legittimo strumento dello stato. È evidente che tutti gli stati sovrani che si proclamano campioni nella lotta al terrorismo, siano essi gli USA o la Russia, dovrebbero per prima cosa riconoscere apertamente e discutere la propria opzione di un terrorismo al servizio dello stato, di un terrorismo al servizio della democrazia.

Nel caso specifico di Israele, poi, la questione è anche più urgente. Trovare una linea politica incentrata sul negoziato e il compromesso, e non sulla semplice riposta militare, è lungimirante per un altro importante motivo. Gli Stati Uniti non saranno in eterno la superpotenza egemone del pianeta. Il loro declino è già agli occhi di molti inequivocabile. Ma ciò vale anche per Israele. Nessuno potrà garantire in eterno ad Israele la superiorità schiacciante in termini militari che ora può vantare nei confronti delle altre nazioni mediorientali. La pace duratura con i palestinesi comporterà per gli israeliani dei sacrifici ben più importanti di quelli realizzati finora da una piccola minoranza di coloni estremisti. Ma tale pace, in quanto veramente tale, andrà a sostituire quella “accettabile sicurezza” che ha già messo in conto, assieme alle rappresaglie, anche il sacrificio dei propri civili innocenti. E sopratutto garantirà Israele nell’imprevedibile futuro, a cui l’attuale dirigenza, certa oggi della propria potenza bellica, crede non valga la pena neppure pensare.

Uscire dal terrorismo significa, infatti, uscire da quella logica dell’“eterna contesa” che non può giustificarsi che da un punto di vista fideistico e religioso. L’estremismo religioso, infatti, non è interessato ad una “laica” vittoria sul campo, ma alla possibilità di guadagnarsi, attraverso il martirio, una singolare salvezza nell’al di là. Uno stato laico che accetti questa logica non può che essere perdente, in quanto esso non combatte per la salvezza delle anime ma per la sicurezza dei corpi. È bene dunque che esso porti i “martiri” a lottare su un terreno propriamente politico, fatto di scambi e negoziati, di compromessi e risarcimenti. Non sarà insomma il terrore militare, fatto di bombardamenti che annientano i corpi, a sconfiggere la logica della guerriglia religiosa, che accresce cupamente la sua gloria nell’elenco delle vittime, le proprie innanzitutto. Ogni successo dell’esercito israeliano nell’esercizio dell’omicidio politico, è nel contempo un successo dei nemici sopravvissuti, che hanno conquistato un nuovo martire, un onore ulteriore di fronte all’immutabile incoraggiamento che viene dall’al di là.

A questa “eterna contesa”, Israele non può che sfuggire accettando l’idea di un “negoziato ininterrotto”, finché non si giunga al punto di compromesso politico accettabile per entrambe le parti coinvolte. (E ciò ovviamente inficia come meramente “fittizia” ogni soluzione come quella di Sharon, basata su ritiri o concessioni “unilaterali”. Non ci sarà nessuna soluzione politica unilaterale.) Tale compromesso, ovviamente, non potrà avere altro scopo che la nascita di uno stato palestinese realmente sovrano e non mutilato. Perché è ancora di questo che si tratta, ed è ancora di questo che si deve parlare.

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151 Commenti

  1. Andrea, ti è sfuggito un dettaglio non irrilevante: la rappreseglia infinita alla quale Israele si presta per manifestare di essere il più forte ha anche l’obiettivo di espandere i confini di stato, come è sempre avvenuto dalla nascita di Israele. Non mi pare obiettivo tanto insignicante: per tale obiettivo si può sacrificare molto.
    Comunque io vorrei chiedere:
    Se per Israele “per ognuno dei nostri che muore almeno dieci dei vostri”,
    se anche per gli intellettuali progressisti Oz, Grossman, Yeoshua la guerra al Libano, così come è condotta, è giusta, se in Israele ” Non c’è mai modo di avere un’opinione diversa, non c’è accesso a quella che è la versione del nemico. E si rischia di venir accusati di tradimento”, se il popolo israeliano condivide la politica terroristica di Israele all’86% e i suoi rappresentanti in Parlamento al 100%, se – aggiungo io – in Italia, e credo anche all’estero, le comunità ebraiche organizzano manifestazioni a favore del cosiddetto diritto di Israele di esistere “difendendosi” anche distruggendo il Libano e in generale ogni vita di nazioni ostili (arabe), mi chiedo quanto manca a dire che gli israeliani, in gran maggioranza, sono come i nazisti, e che gli ebrei della diaspora li assecondano.
    E se in gran parte sono come nazisti o terroristi, mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo: solo per rispettare quel 10-20% di ebrei capaci di criticare il terrorismo di stato israeliano, capaci di dispiacersi per l’immane uccisione di vite arabe?
    Chiedo.

    Lorenz

  2. Tante parole hai scritto, troppe perchè possa decidermi ad analizzarne i punti più o meno validi e più o meno poveri senza andare a “sentimento” come mio solito, perdendo in credibilità. Eppure, “a sentimento” qualcosa non mi torna. In primo luogo, pare che Israele sia lì a beneficio di se stessa – cosa storicamente falsa. Israele non “si difende”, non “prende iniziativa”, Israele piuttosto “partecipa” di politiche esterne, di politiche private, tenendo in ostaggio la propria popolazione e quella che le sta intorno. Tutto il resto è conseguenza. In secondo luogo, l’innocenza -definitivamente perduta con questa guerra, e per fortuna, a livello di immagine – l’ha persa ogni giorno un’intera generazione di ragazzi e ragazze costrette a puntare M16 su mandrie di civili in transito ai check-point per ore ed ore. Sono stati plagiati, certo, da un’istruzione orientata al “mondo che ci vuole male”. Ma l’esistenza stessa dei refusenik non consente a nessuno una fuga dalla colpevolezza, dalla connivenza.
    E poi:
    – Uscire dal terrorismo significa, infatti, uscire da quella logica dell’“eterna contesa” che non può giustificarsi che da un punto di vista fideistico e religioso. –
    Uscire dal terrorismo di chi? Da quello di Stato o da quella resistenza propriamente detta? Perchè questo termine? Logica dell’eterna contesa? Perchè in Iran vivono diversi ebrei senza avere (apparentemente) problemi?
    – L’estremismo religioso, infatti, non è interessato ad una “laica” vittoria sul campo, ma alla possibilità di guadagnarsi, attraverso il martirio, una singolare salvezza nell’al di là. –
    Questo “estremismo religioso” sta solo nella tua testa e in quella di pochi altri sfigati, è bene che tu lo sappia. Non partecipare con queste cacciate da teleantropologo di massa al calderone del chiacchiericcio da tg2. L'”estremismo religioso”, almeno quello palestinese, almeno quello con cui ho avuto a che fare, è molto meno del tifo (legittimissimo) ad una finale dei mondiali e, soprattutto, molto più recente.
    Israele ha torto, torto marcio, ingiustificabile. E sarà costretta a scontarlo, a pagarlo tutto. Non ora, non qui.

    PS: in mezzo a tutto quello che si scrive, tutti in grado di parlare, tutti maestri, tutti con in mano i mazzi delle cause e delle ragioni, ho trovato solo una cosa degna davverro d’esser letta:
    http://khalasnews.splinder.com/post/8747776
    te la consiglio.

  3. Andrea, hai scritto: “L’azione terroristica esercitata da organizzazioni come Hezbollah non ha minimamente la pretesa di distruggere lo stato israeliano, di vincerlo, di cancellare Israele dalla carta del Medio Oriente”.
    Nei giornali leggo che Hezbollah è spalleggiato, aiutato, finanziato da Siria e Iran. Sempre nei giornali leggo ripetute dichiarazioni del presidente dell’Iran, signor Ahmadinejad, secondo il quale (ottobre 2005) lo stato d’Israele «va cancellato dalla carta geografica».
    Devo pensare che il signor Ahmadinejad stia facendo pretattica?

    Scrivi anche: «Ma come i molti governi israeliani nel corso di ormai sessant’anni hanno dimostrato nei confronti della questione palestinese, non è la pace il vero obiettivo, ma quel grado accettabile di “sicurezza” che una potenza occupante può garantirsi nei confronti di un paese occupato». Ti propongo di modificare la frase in questo modo: «Ma come i molti governi israeliani nel corso di ormai sessant’anni hanno dimostrato nei confronti della questione palestinese, non è la vittoria il vero obiettivo, ma un grado accettabile di sicurezza».
    Ossia: se lo Stato d’Israele cercasse davvero di vincere la guerra, potrebbe provocare reazioni alle quali non sarebbe in grado di opporre resistenza. Perciò lo Stato d’Israele non persegue la vittoria (che, soggettivamente, è il modo più proficuo di concludere una “pace”), ma si limita a garantirsi la sopravvivenza; rinuncia a esercitare la violenza definitiva, si limita a produrre una certa quantità di violenza quotidiana.
    Domanda: la situazione, oggi, in presenza di dichiarazioni esplicite di voler «cancellare lo Stato d’Israele dalla carta geografica», è diversa dal solito?

  4. Anch’io, come Mozzi, ho notato l’assenza dell’Iran dalla analisi di Inglese. Come se in uno scenario geopolitico complicato come quello mediorientale si potessero opporre da un lato la politica israeliana e dall’altro il terrosirmo, come se ci fossero sulla scena due attori soltanto. Gli attori, come sa anche un semplice lettore e osservatore purché attento, sono più d’uno, è ingenuo e semplificante non dirlo e mi sembra un grossissimo limite all’analisi, della quale apprezzo invece i toni pacatI.

    Sono invece estremamente urtata dalle “domande” di Galbiati, che leggo non so perché (perché?) come insinuazioni e tentativi di manipolazione.

    Dice Galbiati:

    “se – aggiungo io – in Italia, e credo anche all’estero, le comunità ebraiche organizzano manifestazioni a favore del cosiddetto diritto di Israele di esistere “difendendosi” anche distruggendo il Libano e in generale ogni vita di nazioni ostili (arabe), mi chiedo quanto manca a dire che gli israeliani, in gran maggioranza, sono come i nazisti, e che gli ebrei della diaspora li assecondano.”

    Qui si danno per assodate due cose non vere, 1° che Israele voglia “distruggere” il Libano e “ogni vita” di nazioni ostili, 2° che questo e non altro sia stato il nazismo.

    Mi dispiace, Galbiati, ma questa è disonestà intellettuale, con la quale si peggiora e si aggrava ogni cosa, non la si analizza e non si contribuisce a migliorarla.

  5. La mia opinione è che problema del diritto di Israele a esistere si collega storicamente al problema del diritto della nazione palestiense ad essere uno stato, cioè ad avere un territorio. Detto questo, e dando per scontato che abbiamo assistito al ritiro israeliano dai territori e quanto al Libano, che le dichiarazioni di Hezbollah non sono accettabili, occorre interrogarsi su due punti, che contribuiscono forse a rendere la situazione in quell’area del mondo non diversa dal solito (se la si considera dal punto di vista del ‘cosa si può fare dall’esterno’/diplomazia/Onu/UE etc.):
    1) L’impossibilità o comunque la difficoltà per un ‘occidentale’ europeo o americano di condannare apertamente la politica militare israeliana e denunciarne le efferratezze, di fronte al costante richiamo/minaccia dell’antisemitismo che in molti settori dell’opinione pubblica diviene comodo strumento per porre in secondo piano gli eccidi dei ragazzini non prodotti da terroristi arabi (già la parola ‘eccidio’ farà sussultare qualcuno al televideo rai. ‘Reazioni sproporzionate’ è più corretto? Mah). E’ il tema trasversale del richaimo a ‘valori comuni’ per impedire il giudizio politico (un po’ quello che facevano Ferrara e acocliti ai tempi della guerra in Iraq, paragonando l’intervento degli ‘alleati’ contro Hitler/Saddam alla liberazione dell’Europa dal nazismo)
    2) L’impossibilità di tentare nuovamente di promuovere una soluzione negoziata della questione palestinese (e di quella ‘libanese’,), mettendosi intorno a un tavolo, fino a quando l’amministrazione americana sarà quella attuale. Non è detto che con un ‘democratico’ alla presidenza si arrivi a nulla, ovviamente, ma questi al potere adesso sono assolutamente deleteri (Si è un’ovvieta, ma pace, me la sentivo e l’ho tirata fuori). Un saluto

  6. Condivido gran parte dell’equilibrato discorso di Inglese, mi ha colpito per di più una frase che pare ovvia ma è rara:
    “ La rappresaglia, però, come la storia insegna, non ha mai garantito duratura sicurezza nelle file degli eserciti o delle organizzazioni che la praticavano. Chi la esercita, invece, sprofonda inevitabilmente nella barbarie, mentre in chi la subisce non fa che alimentare l’odio e il sogno di una sanguinaria rivalsa.”
    Questo coincide con la legge del karma, legge pressoché fisica perché ad ogni azione corrisponde una reazione.
    Purtroppo siamo di fronte a politiche poco lungimiranti se non cieche da anni, sia quella israeliana sia quella americana. Quest’ultima veramente chiusa ed ottusa ( accompagnata da una simile & specchiata dell’URSS ) negli ultimi cinquanta anni ha causato danni enormi in tutto il mondo, con risultati più che visibili.
    Col se non si fa la Storia, ma qui stiamo pagando tutti, tutti, il fio di una contesa atroce e ottusa che portò l’URSS ad appoggiare & finanziare senza limiti il nazionalismo arabo contro Israele, dimenticando che il primo politico a riconoscere lo stato d’Israele fu Stalin nel 1948, e gli USA a fomentare odio antiarabo in Israele con armi denari propagande.
    Il quadro è fosco, confuso pieno di vie storte, vicoli bui e ciechi.
    Un mio amico che abitò per più di un anno in Israele mi disse che io non potevo nulla giudicare di quella situazione se non avessi soggiornato per un bel po’ in quel paese.
    Io mi domando: poiché gli hetzbollah tenevano postazioni armatissime in Libano sul confine israeliano perché il governo libanese lo ha consentito?
    Ciò è forse avvenuto dopo il terribile assassinio di Hariri?
    E’ l’attuale governo libanese impotente di fronte all’organizzazione Hetzbollah?
    E’ ancora un governo in ostaggio alla Siria?
    Ed ancora:
    Se gli israeliani sapevano delle fortificazioni/postazioni Hetzbollah oltre il confine perché non hanno subito, di sorpresa bombardato solo quelle sia per terra che dall’aria?

    Ed ancora mi rammarico moltissimo per la acre confusione riattizzata, speso ad arte, da più parti, spesso ignoranti o cialtrone, di antigiudaismo ed antisemitismo, la colpevole confusione di ebreo con israeliano.

    Mario Bianco

  7. @andrea
    @lorenzo galbiati
    @diego

    Andrea scrive: “il sospetto di antisemitismo”.
    Aspetto preoccupato i primi commenti, le prime reazioni.
    E infatti la mazzata arriva, com’era prevedibile: “Mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo”. Allora penso che Galbiati stia scherzando, ma poi apro il suo blog e trovo: “buttatela pure nel cesso la Torah, che fate prima”. Galbiati, che dici, per protestare contro l’invasione israeliana in Libano andrai a farti un giro al ghetto di Roma come dopo il mundial?

    Diego, invece, come al solito offre documenti, punti di vista, pareri spiazzanti che meritano di essere interpretati meglio. Mi riferisco al link del professore torinese, che sto leggendo. Quello che dice il professore, se ho ben capito, è che la questione israelo-palestinese si sbloccherà solo quando nuovi attori epocali entreranno nel grande gioco globale. Fino ad allora, per i palestinesi, qualsiasi chance, violenta o non violenta, è condannata al fallimento. La stessa tesi che mi ripete da mesi il mio amico Amed, irakeno di stanza a Roma. Se se movono i russi e i cinesi vedi…

    Ma per non fare analisi futurologiche, previsioni accademiche al 2050, vorrei attenermi alla stretta attualità: “L’azione terroristica esercitata da organizzazioni come Hezbollah non ha minimamente la pretesa di distruggere lo stato israeliano, di vincerlo, di cancellare Israele dalla carta del Medio Oriente”, scrive Andrea. E come potrebbe? Lo sceicco Nasrallah non è ha la forza. Non basta la pioggia di missili di Hezbollah a nord e di Hamas a sud. Le scorte dei lanciarazzi islamisti sono destinate ad esaurirsi (ma non tanto presto). Il fatto (grave) è che i soldati di Dio sono il partito iraniano nel parlamento libanese. E’ Teheran che sponsorizza i temporali razzistici. Senza l’Iran e la Siria i lanciatori di Katyuscia languirebbero.

    “La televisione Manar, legata ad Hezbollah, ha mostrato con orgoglio i tubi di lancio dei missili di fabbricazione iraniana Raad 1, del diametro di 333 mm, e in grado di portare una testata convenzionale di 100 kg ad una distanza tra i 40 e i 70 km”. Ma ci sono anche i più temibili “Fajr 3 e Fajr 4, sempre di fabbricazione iraniana, che per la loro carica esplosiva e lunga gittata rappresentano la minaccia militare più concreta”. Il ministro D’Alema dovrebbe pensarci un attimo prima di ormeggiare qualche corvetta tricolore nel porto di Beirut.***

    Gli ayatollah, infatti, non vanno troppo per il sottile e badano poco alle equidistanze della politica italiana, alle sottigliezze diplomatice che servono all’Unione Europea per smarcarsi dalla aggressiva politica atlantica e sostituirsi agli Stati Uniti nelle operazioni di polizia internazionale (come del resto chiedono le Nazioni Unite).

    Per Ali Khamenei siamo tutti “occidentali”. E quindi tutti egualmente bombardabili: “Il Libano”, ha detto la Suprema Guida della rivoluzione islamica, subito dopo l’attacco israeliano, “doveva trasformarsi in un centro della cultura occidentale, ma invece questo paese è diventato il centro del Jihad e della resistenza, e questo è esattamente il contrario di quello che volevano i poteri egemonici occidentali”. E poi, da vero ayatollah al di sopra di ogni sospetto: “il regime sionista è un regime del male e un cancro infetto per il mondo islamico”***.

    A questo punto si aprono tre strade: la prima è quella degli idealisti atlantici che criticano Bush e Blair di aver alleggerito la morsa militare sul terrorismo islamista dopo la guerra in Iraq; è la scuola di Frum, che vorrebbe un cambio di regime a Teheran e a Damasco, per completare il piano del nuovo, Grande Medio Oriente.
    La seconda tesi è quella dell’Ulivo Globale, l’idealismo democratico di chi vuole sostituire la guerra con le operazioni di polizia internazionale e i tribunali speciali per i criminali di guerra (ma purtroppo i risultati ottenuti nei Balcani, e non ne parliamo dell’Africa, sono stati deludenti, legittimando ancora una volta l’unilateralismo americano).
    La terza strada resta la mediazione diplomatica e la ‘lotta pacifista’, l'”accettabile sicurezza”, oppure, al limite, la diserzione multilaterale e una nuova etica dei disertori. Rispetto al bivio idealistico precedente, la terza via mi sembra altrettanto ‘immaginaria’. Ieri ho letto una dichiarazione di Marco Revelli sul manifesto. Chiedeva di formare delle “brigate internazionali pacifiste” sul modello della lotta di liberazione spagnola (pacifiste?), da spedire ai quattro angoli delle guerre dimenticate del mondo come forza di interposizione. Ma sappiamo che fine fanno i pacifisti, sotto i carri armati israeliani e nelle mani dei mullah. Ci sono nativi che non gradiscono nemmeno i caschi bianchi. A meno che non ti riprogrammi come ha fatto Johnny Walker o il suo padrino John Reed.

    ***Sui missili iraniani di Hezbollah, i Fajr, che ha la stessa radice di Kafir, cioè noi, sporchi atei occidentali: “Today, a remarkable goal of the Islamic Republic of Iran’s defense forces was realized with the successful test-firing of a new missile with greater technical and tactical capabilities than those previously produced,” Salami -the air force chief of the elite Revolutionary Guards – said on state-run television. It showed a clip of the launch of what it called the Fajr-3, with “fajr” meaning “victory” in Farsi.'”

    Negli anni ottanta, e anche dopo, l’Italia è stata uno dei grandi fornitori di tecnologie missilistiche e di armi per il medio-oriente. La legge 185 del 1990 ha messo dei paletti al commercio militare italiano, ma, ancora nel 2001, la Siria ha pagato milioni per riammodernare “i vecchi carri armati T72 con i nuovi sistemi di controllo del tiro delle Officine Galileo di Finmeccanica”.
    http://asher813.blogspot.com/2006/04/morning-report-april-2-2006.html
    http://notizie.alice.it/focus/isra_liba.html,cnt=18323.html
    http://www.oscar.unimondo.org/armi2001.html

    ***Sui “sospetti” di antisemitismo iraniano
    http://www.internazionale.it/aki/news.php?id=5952
    (Occhio, il sommarietto di Internazionale non contiene la frase più oscena, quella sugli ebrei cancro della società, ma nel discorso della Guida Spirituale c’è).

  8. ANTISEMITISMO?
    @temperanza
    a chi mi dà dell’intellettualmente disonesto, dopo tre righe di commento con deduzioni cavillose a ciò che ho scritto, non rispondo nulla.

    @roberto
    sorvolo sulla tua battutaccia sul ghetto di Roma, dato che a me di far battute non frega niente: provoco, semmai, e cerco di non farlo gratuitamente.
    Mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo: lo chiedo a te, se vuoi. Non sto scherzando, hai ragione: sono infatti incazzato, molto incazzato con i politici e con i molti ebrei che ragionano come Bush dopo l’11 settembre: Chi non è con noi è con i terroristi, disse Bush.
    Cosa vuol dire infatti manifestare per l’autodifesa di Israele mentre questi distrugge il Libano? Significa che chi non approva la reazione di Israele sta con i terroristi che lo vogliono distruggere, annientare, non è forse questo che dicono molti politici? Strumentalizzano, certo, ma in parte: Riccardo Pacifici, portavoce della comunità ebraica, prima della marcia a Roma del 3 novembre 2005 per il diritto di Israele ad esistere (quella organizzata dal Foglio) disse: “ribadisco che chi non parteciperà alla manifestazione di giovedì o non manifesterà la propria adesione – in caso non possa esser presente fisicamente – verrà considerato non solo come un nemico d’Israele ma anche degli ebrei italiani: perché chiunque non aderirà è come se implicitamente si attestasse sulle posizioni del presidente iraniano”
    Oppure hai letto oggi di Zapatero, che ha criticato la “reazione sproporzionata” di Isrele e ha indossato la Kefia?
    Il partito popolare spagnolo gli ha dato dell’antisemita, accusa lanciatagli anche da un rappresentante degli ebrei sefarditi. La comunità ebraica spagnola si dichiara profondamente indignata e l’ambasciatore israeliano adombra possibili ripercussioni diplomatiche.
    Allora uno diventa antisemita se non sostiene qualsiasi tipo di difesa che Israele mette in atto: sono molti politici, israeliani, ebrei che esplicitamente o implicitamente affermano questo.
    E quindi io dico a quegli ebrei, senza problemi: “buttatela pure nel cesso la Torah, che fate prima”.
    E chiedo a te, se l’antisemitismo oggi è diventato questo, mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo.
    Capisci cosa intendo dire?

  9. Troppo facile @Galbiati, e questo mi conferma in quel che ho scritto.

    E mi fa pensare che di fronte ad analisi del genere e soprattutto a parole del genere è rassicurante non essere ebrea in questo paese, che è sempre stato bonariamente antisemita e pieno di pregiudizi secolari e dove parole come le tue, così grezze, mettono subito radici.

    La conoscenza della letteratura non serve a niente, o almeno non dovrebbe, a una cosa serve, però, anche se indirettamente, ad avere buona memoria e a ricordare che le parole sono pietre e le pietre non solo fanno male, ma vanno molto a fondo dopo che sono state lanciate nel pozzo.

    Mi sembri l’altra faccia della medaglia di Riccardo Pacifici, dal suo punto di vista anche lui, chiamato a rispondere delle sue parole, potrebbe dire che provoca perché è molto incazzato.

    E non mi rispondere, @Galbiati, queste cose non le dico per te, ma perché spero che qualcuno legga anche me e concordi che usare le parole come clave non ha mai fatto bene a nessuno, soprattutto su argomenti come questi e in momenti come questi.

  10. ha ragione Galbiati: se la comunità ebraica ‘etnicizza’ la questione mediorientale, ci costringe ad essere antisemiti per recuperare il diritto di criticare israele. E’ un paradosso, ma è così: loro sono convinti che cacciando i critici nell’alveo dell’antisemitismo – una balla gigantesca, ovvio: nessun critico, anche il più feroce, di Israele è un antisemita; probabilmente nemmeno i neonazi lo sono: quelli sono semplicemente dei disintegrati – abbiano già vinto ogni critica ancora prima di affrontarla, godendo dell’appoggio occidentale (e statunitense soprattutto) per il noto ‘senso di colpa’; noi che non siamo disposti a recedere dalla nostra intelligenza e capacità di analisi obiettiva, reale, attuale, soffriamo per il clamoroso appiattimento del dibattito e siamo senza slancio, ci freniamo perché in un certo senso il ragionamento di Magdi Allam – pur facendo acqua da tutte le parti – scomoda la nostra coscienza.
    Io non vedo soluzioni, so soltanto che la questione mediorientale è un esempio davvero incredibile, complesso e perfetto, di come dopo una lunga serie di crimini l’uno contro l’altro, si arrivi al punto in cui vittime e carnefici coincidono.
    Le marce sono secondo me un orrore: più ci penso e più mi rendo conto che non ha alcun senso prendere posizione. Non esiste al mondo, forse, oggi, un caso simile in cui tutti sono vittime e tutti colpevoli.
    Dovremmo lasciarli nel loro brodo, smetterla di finanziarli (gli Usa finanziano Israele, l’Europa ha dato molti aiuti alla palestina, tradotti in armi). Chiudere i rubinetti: in MO, in questo momento, si sprecano le pallottole, hanno armi fin sopra i capelli. E’ quando le devi contare, le pallottole, che cominci a pensare alla tregua…

  11. Avevo necessità di dire una cosa semplice : mettiamo i giusti nomi alle cose. Quando parliamo della politica israeliana dobbiamo parlare di “terrorismo di stato”. C’è il terrorismo dei partiti (hezbollah), e c’è il terrorismo di stato (Israele). Questa onestà lessicale di per sé semplice potrebbe avere conseguenze complesse e positive. Potrebbe concorrere a risvegliare le coscienze di molti israeliani oggi ipnotizzati dalla retorica bellicistica e autoassolutoria delle loro classi dirigenti. Penso come molte altre persone che Israele abbia la responsabilità maggiore delle tensioni che attraversano la regione mediorientale. Ma faccio e farò sempre una fondamentale divisione tra governati e governanti. E se in molti casi non ho nessuna fiducia nei governanti, ne ho sempre nei confronti dei governati. Dai governanti non verranno che guerre e, di tanto in tanto, quando necessario a loro, tregue. Dai governati potrebbe venire anche un rifiuto della guerra.

    Ho lasciato fuori l’Iran e molte altre cose perché non era mia intenzione proporre un’analisi politica globale della crisi attuale.

    A chi non ha compreso il senso di questo mio discorso (diego) non ho nulla da aggiungere. Ma neppure, in verità, a coloro che lo hanno compreso, ma non lo condividono o solo in parte (giulio mozzi). Mi ha interessato ovviamente leggere ogni commento. Credo che sia importante che si tenti di ragionare, senza essere sopraffatti dalla pura e inevitabile indignazione. Seppure a volte non sia facile.

    Una sola risposta determinata ad una cosa che dice Lorenzo Galbiati. Essere “contro la politica israeliana” significa essere contro il governo israeliano e quella triste grande maggioranza (quasi totalità) della popolazione israeliana che lo appoggia. Essere “antisemiti”, ossia “contro gli ebrei” è semplice razzismo. È confondere non solo governanti e governati, il che è già un errore, ma addossare ad una pretesa origine etnica, razziale, l’atteggiamento specifico, le scelte determinate, di una ben circoscritta (sul piano storico) classe dirigente. Insomma, quel tipo di aberrante, fallace, ragionamento che va sotto il nome di “razzismo”. E’ non si puo’ giocare con ragionamenti paradossali sul razzismo.

  12. L’antisemitismo è l’odio inconscio per l’immagine del Padre. L’ebraismo infatti rappresenta la Religione del Padre, mentre il cristianesimo rappresenta la Religione del Figlio. Gli ebrei sono inconsciamente percepiti come i rappresentanti dell’istanza paterna. Chi odia inconsciamente il proprio padre, ovvero la sua immagine, odia anche gli ebrei. Come ogni psicoanalista può confermare, un bambino dai due ai cinque anni, gli anni formativi in cui si formano le immagini che si porterà poi dietro tutta la vita, vive intensamente la fantasia che il proprio padre abbia un pene enorme, spropositato. A nulla serve l’osservazione diretta del pene paterno che può anche non essere affatto enorme. L’immagine inconscia detta la cosiddetta “nozione” che il Padre abbia un pene enorme e spropositato. Come ho sostenuto nel mio “Pinocchio. Il rito iniziatico di un burattino”, il naso che cresceva simboleggia le sue erezioni. Il naso è un ovvio sostituto peniano. Da qui le vignette antisemite che rappresentano gli ebrei con un naso enorme. Ovvero, gli ebrei, in quanto sostituti del Padre e suoi rappresentanti hanno un pene enorme. Inoltre, il bambino è terrorizzato dal pene paterno e lo teme come strumento della vendetta del Padre per le sue pulsioni aggressive inconsce. Il Padre con le sue erezioni punirà le erezioni del Figlio. Quando si parla di “reazione” israeliana, ovviamente si intende “erezione” israeliana. Gli ebrei, i vicari di un padre adirato, dopo essere stati provocati hanno avuto un’erezione che scatena il terrore dei figli. Ed ecco che la reazione – erezione israeliana viene considerata abnorme, “sproporzionata” ed “aberrante” come dalle parole di Chirac e di d’Alema.

  13. Ringrazio poi Roberto per i materiali che fornisce. E aggiungo per Lorenzo. Quando dico che “quella” tua affermazione è razzista, non penso che tu sia una persona razzista. Ma se l’idea guasta s’impianta nei ragionamenti di una persona, poi ne finisce per condizionare il comportamento. Credo quindi che valga la pena verbalizzare (senza inibizioni da velina giornalistica) l’indignazione, ma per poi sfuggire alla confusione e all’idiozia.

  14. @galbiati
    Vedo che insisti sulla linea della Torah buttata nel cesso. Ti avverto che se l’andazzo continua a essere questo è l’ultima volta che ti rispondo.

    Possiamo distinguere tra antisemitismo e antisionismo? Certo, Marco Mantello, Diego e Andrea ci provano, in modi diversi. Ma credo che sia anche lecito parlare di un (“sospetto”) antisemitismo europeo che oggi ha origine nel sentimento anti-israeliano, in passato ha avuto altre motivazioni, in futuro ne troverà altre ancora, questo è certo. Non è antisemita Zapatero, che può mettersi al collo quante Kefiah vuole, peccato che scelga sempre il momento più adatto per sfilare in passerella. Non è antisemita il governo spagnolo che, come quello italiano, ha parlato di “uso sproporzionato della forza” in Libano: “azioni vergognose” le ha definite il ministro degli esteri Moratinos.

    Ma è vero quanto circola in alcuni siti atlantici? che nel dicembre del 2005, Zapatero avrebbe parlato di “abuso dell’anti-sionismo e dell’antisemitismo”? In questo caso inizierei a preoccuparmi. Andrea, hai visto com’è facile cadere dalla padella dei distinguo nella brace razzista? Ti sto dietro nella critica del senso comune, a patto che capiamo qual è ‘sto senso comune. Secondo me è quello di Galbiati. Senza dimenticare, come ha mostrato Said, che l’antisemitismo può essere tranquillamente usato come un’ideologia a doppio taglio, antisemita e anti-islamica nello stesso tempo: mentre il governo spagnolo si mette la kefiah, a Ceuta e Melilla si continua a morire.

    Secondo un sondaggio della Anti Defamation League, Spagna e Italia sono le nazioni più antisemite in Europa, rispettivamente al primo e al secondo posto. Il 70% degli spagnoli crede che gli ebrei siano i burattini della finanza postcapitalista. Uno spagnolo su tre è convinto che “gli ebrei sono più portati di altri a usare pratiche oscure ed espedienti per ottenere quello che vogliono”. Per la metà degli intervistati “gli ebrei parlano troppo dell’Olocausto”. Pur dichiarando di essere poco a contatto con loro (solo il 7% lo è), il 32% degli spagnoli crede che gli ebrei abbiano “molte colpe irritanti”. Da qui alla kefiah il passo è breve, si chiama governo del consenso, costruzione di una egemonia.

    Se poi facciamo un discorso storico più generale sulla storia dell’antisemitismo, le cose peggiorano, tragicamente. Il mito dell’Ebreo Errante nasce nella Cattolicissima Spagna. Tutta la palude, anche culturale e letteraria (il gotico), da cui si sono dissetati gli irrazionalismi europei tra XIX e XX – dal falso dei Protocolli di Sion fino alle nazificazioni e alle leggi razziali – ha come battesimo del sangue la Spagna della fine del XV secolo. Furono i regnanti Isabella e Ferdinando a darsi da fare per scacciare ebrei e arabi dalla Nazione della Santa Inquisizione (conversos, moriscos, marrani, tutti uguali nella sante mani di Torquemada, il martello di dio). Gli ebrei vengono spogliati delle loro ricchezze, anche con la forza. Come ha scritto Primo Levi, il furto nazifascista è innanzitutto un modo di togliere all’uomo la sua dignità e i suoi diritti.

    In fondo il presidente Ahmadinejad ha un lungo apparato bibliografico a cui ricorrere per estirpare Israele dalle carte geografiche. Sono le colpe conservato nelle segrete non tanto segrete del Vecchio Continente. E questo discorso ha una sua validità storica che resiste a qualsiasi polemicuzza su come le dichiarazioni antisemite dell’iraniano possano essere ‘deformate’ dai traduttori del MEMRI (l’agenzia si occupa di tradurre le lingue mediorientali nelle principali lingue europee. L’agenzia è in mani israeliane). Il titolo dell’ultimo summit studentesco, “Il mondo senza sionismo”, vi dice qualcosa oppure è un altro errore di traduzione (“World against Zionism”)?

    Secondo il ‘moderato’ Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che piaceva tanto agli occidentali da farci pure affari (vedi: armi): “I nazisti sono stati costretti a prendere delle misure con gli ebrei per il loro comportamento”. Hitler avrebbe reagito per difendersi, insomma, come stanno facendo gli ayatollah sobillando Hezbollah.

    Lorenzo, spero che non confonderai quello che sto dicendo con chi accusa il ministro D’Alema di antisemitismo “soviettista” di ritorno (Carlo Pelanda), con quelli che mettono in guardia dalle debolezze del pensiero postmoderno di fronte al revanscismo islamista (Giorgio Israel). Un pensiero politico, quello postmoderno, che comunque qualche brivido nella schiena lo mette. Per un istinto autoprotettivo, mentre facciamo la nostra brava battaglia contro i cpt, chiediamo i documenti a Magdi Allam, casomai non li avesse in regola, e finalmente potessimo toglierci dalle scatole un commentatore scomodo. Non lo dico io, lo ha chiesto in una interrogazione parlamentare il senatore Malabarba di rifondazione comunista, che cento ne fa e una ne pensa.

    @marco mantello
    @diego
    @marco
    Se vogliamo fare un lavoro critico di scavo su altre colpe occidentali (sai quante ce ne sono!), ma senza gettarci troppo la croce addosso, ci sto. Negli anni cinquanta, americani e inglesi bloccarono la nazionalizzazione dell’industria petrolifera iraniana con il golpe che avrebbe consegnato il paese allo Scià. Oltre un ventennio di arte a corte, arretratezza nelle campagne, torture e paura in città. All’epoca, alla corte persiana, incontriamo una nostra vecchia conoscenza. Il re dei reucci da strapazzo, Vittorio Emanuele II. Il re ha vissuto 15 anni in Iran.

    Dall’inchiesta del PM John Woodcock è emerso che il Savoia fu l’apripista delle esportazioni militari italiane a metà degli anni settanta, favorendo l’acquisto di Elicotteri Agusta in cambio di laute provvigioni. Il conte Agusta, sodale di Mussolini, era amico fraterno di Vittorio Emanuele II. In Iran, re Vittorio si è anche dato alla siderurgia (con pessime ricadute sulle partecipazioni statali) e all’editoria (Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din, Roberto Calvi, la P2…).

    Poi c’è stata la rivoluzione khomeinista, Washington ha interrotto le relazioni diplomatiche con gli ayatollah, ma non i rubinetti, visto che mentre scrivo 200 imprese americane continuano a lavorare in Iran (una per tutte, nel campo delle infrastrutture petrolifere, è la Halliburton). Dalla fine degli anni settanta, l’Iran ha cominciato a guardarsi in giro, a fare affari con l’Urss, poi con la Russia, con la Cina, ma senza tradire gli amici europei. L’ENI lavora in Iran dagli anni cinquanta, ma c’è anche Finmeccanica, Agusta, aziende che hanno imparato a rivolgersi alle ex-colonie europee per fornire armi e istruttori militari (oggi si dice istruire l’esercito e la polizia locale). Insieme alle aziende ci sono le banche, che qualcuno definisce “armate”, Mediobanca, per esempio, che ha aperto linee di credito agevolato con l’Iran (ci sono precise denunce di Amnesty International in questo senso).

    L’industria militare italiana ha allegramente foraggiato iraniani e irakeni quando decisero di scannarsi a vicenda negli anni ottanta. Col tacito assenso degli anglomericani, che hanno sempre lasciato quote di mercato disponibili agli alleati. Nel ’96, l’Italia ha esportato parti e componenti di reattori nucleari in Iran, per cifre irrisorie, è vero, ma gli abbiamo dato cinque tonnellate di materiali utili (e qui nessuno vuol mettere in discussione il diritto degli iraniani di partecipare alla corsa nucleare, ma poi che ci lamentiamo affare?). Trovo la notizia negli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati (Doc. LXVII, 1997, Relazione del Ministro del Commercio con l’estero, pp. 265-275).

    Con l’Iran hanno commerciato i governi Prodi e Dini, ed ecco spiegarsi la grande agitazione diplomatica di questi giorni, il protagonismo italiano nella ‘mediazione’ libanese. I nostri interessi economici in Iran vanno preservati. Per molte aziende italiane, l’Iran è un trampolino verso il Caucaso e l’Asia Centrale, fino all’India e alla Cina (a Telecom lavorano per questo). Quindi scordiamoci le sanzioni per le dichiarazioni antisemite di Ahamadinejad.

    Nemmeno il governo Berlusconi, schierato a testa bassa con l’atlantismo più aggressivo, ha saputo rinunciare alla pagnotta. Lo dimostra un interessante resoconto della visita che l’ex ministro Letta fece in Iran nel febbraio 2001. In quella occasione, furono confermati tutti i contratti delle imprese italiane (Edison Gas, Fata Engeneering, Montedison, Eni, Ansaldo Energia), e se ne aggiunsero di nuovi (Falck e Telecom), in un mercato, quello iraniano, che negli ultimi anni ha visto un piccolo decollo economico. Nel 2002, c’è il boom delle esportazioni italiane in Iran, 1,8 mld di euro (+53,43% rispetto al 2001). Vendiamo macchine, meccanica (+82%), chimica, fibre sintetiche e artificiali, apparecchi elettrici di precisione.

    Un quarto del greggio iraniano è consumato in Europa, che è il primo partner dell’import iraniano (44%). L’Italia è il principale paese europeo come stock di investimenti in Iran. Secondo il “Guardian”, quindi, l’Iran cerca sponde in Europa e in Russia per avere la tecnologia atomica, armi chimiche e biologiche (se già non ce l’ha). La cosa più irresistibile è che l’obiettivo di Ahmadinejad è di costruire missili che siano in grado di raggiungere chi? Proprio l’Europa. E qual è il paese europeo più vicino all’Iran? Indovina? Ecco perché Tony Blair può permettersi il lusso di essere più duro di D’Alema con gli Hezbollah e con Teheran: gli inglesi pensano a proteggere i loro interessi petroliferi in Iraq e vogliono svincolarsi dal petrolio iraniano. Noi dall’Iraq ce ne siamo andati, in Afghanistan siamo rimasti (scenario che dal punto di vista economico vale meno di zero, ma da quello del ‘teatro di guerra’, guerra Kombat, guerra vera, vale molto di più), e in Iran che vogliamo fare, vogliamo andarci?

    Gli analisti atlantici, insomma, se la ridono delle nostre equidistanze. Per risolvere la crisi libanese, e proseguire nel piano del Grande Medio Oriente, hanno tre opzioni: 1) sanzioni economiche e deferimento dell’Iran all’ONU, ma la Cina metterebbe il veto in consiglio di sicurezza visto che ha da poco venduto uranio (e un reattore) all’Iran; 2) pretendere che Teheran consegni i prigionieri di guerra Talebani per farli giudicare da tribunali internazionali (un miraggio); 3) bombardare con le bunker-buster le strutture iraniane per l’arricchimento dell’uranio, e le centrali nucleari a regime nel regime.

    Andrea, hai ragione che l’argomento è il Libano. I morti di questi giorni hanno tutte le ragioni. Tutti i morti di questi giorni. Ma vorrei leggere qualcosa in più sull’Iran, per evitare qualche altra strage futura. I giornali di oggi ignoravano l’argomento.

  15. Accusare Galbiati di razzismo e di antisemitismo, mi sembra una puttanata, nient’altro. Forse la sua argomentazione, così come è espressa, presta il fianco a molte critiche, anche pertinenti, vista la prosa scelta: ma perchè fermarsi a quelle e non interrogarsi, invece, sull’impossibilità, oggi, per chiunque, di muovere una qualsiasi critica alla politica imperialistica israelo-americana in medioriente? Perché non considerare l’uso strumentale che di questa “imposta” impossibilità si fa, senza ormai nessun distinguo, e di come, dietro questo confortevole scudo, prospera, accanto alle istanze democratiche, la più bieca e fascista provocazione e propaganda di destra? Credo che prima di attaccare qualcuno per i termini che usa, sbagliando in questo caso, sarebbe opportuno intuire e leggere il sentire che lo anima, le prospettive di discorso che apre, senza seppellirlo sotto la pietra tombale di un rifiuto a causa di un concetto, sacrosanto, espresso male.

  16. Caro Andrea Inglese, io non mi offendo per niente dato che all’accusa di razzismo o antisemitismo reagisco ridendo.
    ma credo proprio tu non abbia capito il mio discorso, al contrario di marco v: io sono perfettamente d’accordo con te nel giudicare le idee, le azioni e non le persone; e sono d’accordo con te sul fatto che cmq un’idea guasta può guastare una persona.
    cmq vorrei farti riflettere su una tua contraddizione: se l’80-90% degli israeliani approva l’operato terroristico del suo governo, perchè dovremmo distinguere tra governanti e governati? e se dovessimo scoprire che anche l’80-90% degli ebrei della comunità ebraica internazionale approva l’operato terroristico del governo di Israele, perchè dovremmo distinguere tra il governo di israele e gli ebrei in generale?
    su quali basi quindi essere “antisraeliano” dovrebbe distinguersi dall’essere antisemita?
    forse per rispetto delle eccezioni. forse perchè bisogna odiare il peccato ma non il peccatore, e antisemitimo implica odiare gli ebrei.
    trovo queste le obiezioni principali.
    ma parliamoci chiaro: una volta stabilito che Israele pratica il terrorismo di stato e che la stragrande maggior parte degli israeliani – e forse degli ebrei – lo asseconda e chiama questo “diritto di Israele all’autodifesa”, si viene a creare una grave questione morale sul come porsi verso gli israeliani e gli ebrei in genere.
    se poi sono loro i primi a non fare distinguo e ad attaccare il tuo/mio diritto di critica a israele – fatto con tutta l’attenzione a distinguere per quanto possibile tra governo di israele, israeliani e popolo ebraico – definendolo antisemitismo, il tutto diventa ingestibile e folle.
    ed è questo che tu non hai colto in quanto ho scritto: che l’idea guasta non è mia: è della maggior parte dei politici e degli ebrei (questo è il mio assunto: sono loro a far l’equivalenza tra l’essere antiisraeliani (contro il governo di israele, contro i suoi modi per “difendersi” ecc, e l’essere antisemiti).
    io a questo reagisco provocando, perchè credo sia il modo migliore per portare alla coscienza questa assurdità.
    se Bush dice prima di fare una guerra dice che chi non è con l’America è un terrorista, allora io gli dico che sono un terrorista (pensando in verità che lo sia lui).
    se molti ebrei continuano a distribuire a piene mani certificati di antisemitismo (cioè razzismo) a chi critica Israele o poco più, allora io gli dico che sono antisemita (cioè razzista; ma penso che lo siano loro).
    e continuo a incazzarmi perchè essere “terroristi” e “antisemiti” sta diventando moralmente sempre più necessario.
    chi ancora non mi capisce può leggersi sul suo sito come rispose massimo fini (che è di madre ebrea) alle accuse di antisemitismo: rispose attaccando proprio perchè, come me, non ne può più di star lì a difendersi e vuole provocare una sana reazione.

  17. @galbiati
    vedo che al di là dei proclami personali c’è un sottoterra analitico.
    Ma stai tranquillo, molti confondono l’analisi con la retorica solo perché fa comodo.

  18. @ roberto
    non ho capito bene il tuo discorso nei miei confronti, cmq se ti sei accorto che sono analitico, che dire?, mi fa piacere. starei messo male, con il lavoro che faccio, se non fossi analitico.
    ho scritto molte cose sul mio blog sul tema ebraico, e anche su NI: nei commenti, e pure un mio articolo, Esorcismi, vi si collega.
    le mie idee sono abbastanza in controtendenza per molti versi e di certo non collimano con le tue.
    sulla torah non posso venirti incontro, ma temo che tu abbia preso la mia frase come irriguardosa verso la Torah anzichè verso quegli ebrei religiosi, magari israeliani, che di fatto approvano una politica che si traduce in “dieci occhi per un occhio”.
    se vuoi ti posso dire che quando ratzinger e la gerarchia cattolica parlano – e lo fanno spesso – per impedire che ci siano leggi che lascino alla persone la libertà di decidere della propria vita (che so, il testamento biologico), io penso che potrebbero buttare nel cesso la Bibbia, dato che credo non gli serva a niente, almeno in quel caso.
    non so se ho migliorato o peggiorato le situazione…

  19. @ Roberto

    sono contento che lo stiate facendo. io seguo con interesse.
    anche a me gli slogan dietro i quali si nasconde la mancanza di pensiero stanno sulle balle.

  20. Complimenti sia per l’intervento che per il dibattito: ragionati entrambi. E’ una cosa che capita, ve l’assicuro, “assai raramentissimamente” di questi tempi. Che poi l’insieme delle considerazioni sia del tutto condivisibili, è altro discorso.

    Senza dubbio, si è messo in moto questo *diabolico* meccanismo, secondo il quale chiunque non sia “schierato” con Israele “hic et nunc” è sospetto di “antisemitismo”. Senza dubbio.
    E diabolico. Ma *non* si può dire, come han fatto notare alcuni, che l’Iran di oggi non sia “antisemita”, e *per davvero*, dove cioè lo scopo sia l’*eliminazione* d’Israele dalla carta geografica: quello è lo scopo!
    E i Palestinesi, poveri illusi, hanno abbocato, come sempre, quando vengono usati per scopi assolutamente contrari a quelli della loro sopravvivenza.

    Ora, però, detto tutto ciò, rimane anche vero che Israele sa usare *benissimo* la rabbia *cieca* e malefica che certi “centri occulti para-islamici” sanno diffondere per raggiungere i suoi fini.
    E *quali* sono? Perché il punto vero è questo.

    Davvero siamo convinti che questi sanno fare questo po’ po’, aiutati dall’imbecillità crassa ed ottusa di una parte *consistente* del mondo islamico – e non prendiamoci in giro – che “abbocca sempre all’amo” (Franco Battiato in una vecchia canzone a proposito della Rivoluzione Iraniana: è cosa vecchia, storica, incrostata, sedimentata come una sporcizia quasi irrimediabile) -, che questi qui vogliano solo “espandere Israele” o “dominare”, come recita lo stereotipo dei “Protocolli dei Savi di Sion” rispolverato da certa opinione pubblica palestinese ed araba e dal vertice attuale iraniano (“guida” compresa, direi in primo luogo la “guida”, che, come fa vedere il link inserito da un intervento, ha parlato di “cancro ebraico”)?

    Quelli che hanno un’immagine così caricaturale dell’Ebraismo non sono meglio dei fanatici che si mascherano dietro l’Olocausto – *davvero* avvenuto – però per fare tutt’altro. E nemmeno ci può esser equidistanza fra questi, perché, fra Israele e Palestina, è inutile che i Palestinesi gridino, sarà scelta *sempre* Israele. Per un mucchio di motivi, sostanzialmente dovuti all’*enomre* differenza di posizione nel mondo fra i due gruppi etnici.

    Ma allora, qual è il *vero* motivo per il quale sia Israele che questa massa d’imbecilli del mondo islamico sono *usati*, usati *ambedue*, ma uno, Israele, ci guadagna, l’altro ci perde…!

    Intelligente è chi fa sia il proprio sia l’altrui bene. Nessuno, in questa situazione.
    Furbo è colui che fa il proprio bene ma il male di altri (Israele nella fattispecie).
    Stupido è colui che fa del male a se stesso ed agli altri, fa del male a se stesso senza guadagnarci nulla.

    Cos’è che vogliono queste forze che “possiedono” Israele ma manovrano i governi islamici, e *davvero*, e si prega di non venire a dire le solite cose da telegiornale: sono per la massa. Lì non saranno mai dette le vere motivazioni.

    Sta all’*acuto* indagatore dedurle, come quel pezzo del Teatro Cinese, dove si fa vedere che due si combattono alla cieca senza mai prendersi. *Si fa finta* che non vi sia la luce, quando gli spettatori sanno bene che c’è, quindi vedendo tutto.

    Ecco: il vantaggio dello spettatore… Ma bisogna allontanarsi dalle quinte, dallo “stage”.

    Certo, alla fine Israele la pagherà, ma non prima di aver portato il mondo alla crisi definitiva (= che definisce uno stato *stabile*; Nb: la cenere è l’ultimo stadio, stabilissimo, del legno…!)

  21. @galbiati
    @ugolino
    Fondamentale capire con quali parole viene costruito il nemico (parole e immagini). Che faccia gli diamo, quale storia, quale “corpo”. Ai media non interessano i morti. Il sangue serve solo a fare numero, a rendere fosca e apocalittica la scena (il “cratere” di Lapo). L’attenzione del “narratore”, di chi questo nemico lo deve descrivere e raccontare, si concentra sui personaggi, sui volti e sui comportamenti da odiare. Faccio un esempio citando uno dei giornalisti del Trust, Fausto Biloslavo. Il pezzo a prima vista è un editoriale sulla caccia allo sceicco Nasrallah. Ma Biloslavo è come Micalessin, loro non sono semplici reporter, vogliono essere scrittori di storie. E quindi devono adottare delle strategie narrative per catturare l’attenzione dei lettori e incuriosirli. Il primo passo è fare una parodia del personaggio che hanno scelto di descrivere. Una parodia bianca, senza risate. Ma in quella obiettività ironica c’è il primo distanziamento, tra noi e il nemico, tra la sua divisa nera e la sicurezza dell’Occidente. “Nasrallah porta il classico barbone d’ordinanza islamica e il turbante nero degli Eredi del Profeta”. C’è come una ripetitività nauseante nel terrorista, è come se Biloslavo esprimesse tutta la noia che i suoi lettori provano vedendo sfilare questi turbanti tuonanti e minacciosi trecentosessantacinque giorni all’anno, è come l’effetto ironico che può avere una barzelletta raccontata due volte. “Attento all’immagine”, Biloslavo si riferisce ancora a Nasrallah, “ha cambiato i vecchi occhiali con montatura squadrata e pesante con un paio più moderno, ma sempre troppo serio”. Dietro questa frase innocente c’è tutta la storia di Nasrallah, di Hezbollah, dell’Iran e dei sovietici, il passato “squadrato e pesante” della guerra fredda e il presente delle guerre calde, in africa e in mediorente. Per Biloslavo è come se Nasrallah, con la sua nuova montatura, fosse diventato più adatto a dialogare con gli stati europei e con i movimenti pacifisti e antagonisti, mentre in altri tempi le lenti squadrate indicavano un suo ammiccare a Mosca.

  22. “Fondamentale capire con quali parole viene costruito il nemico (parole e immagini).” dice Roberto

    Appunto, credo che la stessa attenzione vada rivolta anche alle nostre parole, prima di tutto alle “nostre”, di ognuno di noi, le parole non sono un’arma spuntata, si attaccano e procreano abitudini verbali che diventano subdolamente abitudini del pensiero e perdono pian piano la loro astrazione per diventare gesti, azioni e acquistano una loro ottusa autonomia che alla fine diventa impossibile governare.

  23. Torno ora, e vedo che siete andati avanti. L’autore dell’articolo dice che non ne ho capito il senso. E’ probabile: se si riassume in quelle righe che vanno da “Avevo necessità…” a “…rifiuto della guerra”, evidentemente non avevo capito. Resta il fatto che continuo a non capire: questo binomio terrorismo di partito/terrorismo di Stato a cosa può servire quando l’intenzione è di “…lasciare fuori l’Iran e molte altre cose perché non era mia intenzione proporre un’analisi politica globale della crisi attuale”? Entità Hezbollah ed entità Israele? Ritorno a ciò che ho detto, accennato, sulla “partecipazione”, sulla macchina oliata e messa in moto da politiche private, da interessi di privati – fuori da Israele, fuori dai Territori e fuori da quel che resta di Libano.
    Fuori dai “governati” di Israele: senza dubbio, pavido come sono anch’io ci penserei due volte prima di inimicarmi famiglia amici e Stato (e rischiare la galera) voltando le spalle a Tsahal; senza dubbio non arriverei neanche a pensarci una prima volta, perché il livello di propaganda (e quello, tenuto costantemente al massimo, di paura) nel quale mi sarei trovato immerso dalla nascita non mi avrebbe consentito, almeno non con facilità, di mettere in dubbio la mia necessità di difesa; senza dubbio, se anche fossi tra quei pochi “redenti”, se anche apprezzassi Uri Avneri o militassi in una di quelle (peraltro numerose) associazioni israeliane che ripudiano l’occupazione e, talvolta, persino il sionismo, troverei gli stessi, se non peggiori, schiaccianti problemi di visibilità e di peso che mi trovo ad affrontare ora, qui in Italia (Tg1,Tg2, anche Tg3, tutta la Mediaset, tutte le radio, gli ospiti di La7, le trasmissioni di Ferrara, le merde di Repubblica, Corriere, senza dimenticare Il Giornale, La Stampa e il resto più – il Foglio – o meno – Riformista – apertamente schierato pro-Israele).
    Fuori dai “governati” (e, ne sono quasi certo, anche da alcuni – molto tra virgolette – “governanti” di Hamas, e solo di Hamas) palestinesi, che vivaddio sembra riescano a non arrivare mai al culmine dell’esasperazione, che nel momento in cui hanno votato hanno scelto chi veramente stava fornendo servizi sociali di base, che sono consapevoli del loro attuale isolamento e della fine delle simpatie occidentali offuscate dal diktat antiterrorista laddove tutto è terrorismo, che continuano a consumare (messi nell’impossibilità di produrre alcunché) merce israeliana comprata con i soldi degli aiuti internazionali, che “si difendono” (?) lanciando a casaccio pericolosissimi Qassam (ma l’avete mai visto un Qassam? Ma sapete in totale quante vittime hanno fatto i Qassam sparati dalla striscia? La stima più alta parla di 13 persone, la più alta) fatti a mano.
    Fuori dai Libanesi, rei di aver raggiunto una (relativa) indipendenza: Hezbollah sarà anche l’Iran dentro il parlamento, ma Hezbollah rappresenta un movimento di resistenza anche per tre quarti dei cristiani libanesi (http://www.globalcomment.com/current_affairs/article_108.asp), ad esempio.
    Allora, chi sta partecipando di questo scempio che vede ancora una volta il diritto internazionale usato come carta da culo sotto i nostri occhi e sulla testa della gente “normale” del Libano? Chi è interessato a fare in modo che quest’attacco risulti essere l’estremo tentativo di difesa del povero Israele?
    A giudicare dal modo in cui rispondono, credo che ci siano due (o più) personalità diverse a firmarsi @roberto. Il primo credo sia Roberto Santoro, sempre preparato e oculato negli interventi, al quale indicherei di non sottovalutare la finezza di personaggi come Khamenei, che paradossalmente stanno dando le risposte realpoliticamente più adeguate alla situazione rispetto a tanti dei nostri leader. Per quanto riguarda l’antisemitismo iraniano, consiglierei la lettura di uno degli articoli (in inglese) linkati qui: http://www.nkusa.org/activities/Iran/2006MarchIran.cfm (si tratta della visita di ebrei ultraortodossi antisionisti di Neturei Karta in Iran per congratularsi con Ahmadinejad; da un estratto di un loro comunicato stampa “…It is a dangerous distortion, to see the [Iran] President’s words, as indicative of anti-Jewish sentiments. The President was simply re-stating the beliefs and statements of Ayatollah Khomeini, who always emphasized and practiced the respect and protection of Jews and Judaism. The political ideology of Zionism alone was rejected. President Ahmadinejad stressed this distinction by referring only to Zionism, not Judaism or the Jewish people, regardless of whether they reside in Palestine or else were”, qui http://www.nkusa.org/activities/Statements/2005Oct28Iran.cfm ).
    A giudicare invece dal modo in cui l’altro @roberto sposta il fuoco, nuovamente, sul presunto antisemitismo strisciante e sulla volgarizzazione dei distinguo fino ad arrivare a toccare l’ebreo errante e i torti dell’Iran NOMINANDO UNA SOLA VOLTA ISRAELE (in 1626 parole utilizzate) e guardacaso proprio all’interno di questa frase “il presidente Ahmadinejad ha un lungo apparato bibliografico a cui ricorrere per estirpare Israele dalle carte geografiche”, credo che si tratti dello stesso Roberto firmatario di (quell’oscenità chiamata) “Sinistra per Israele” http://www.sinistraperisraele.it/home2.asp?idtesto=279&idkunta=185&idutente=
    di cui fa ahimè parte un personaggio verso il quale nutrivo grandissima stima, Furio Colombo.
    Bene, per questo simpatico gruppo di amici Israele è “uno degli attori dello sviluppo, collocato in uno dei punti nevralgici del pianeta dove passa oggi la possibilità di un dialogo costruttivo tra Nord e Sud del mondo”. Se la possibilità di un dialogo costruttivo tra nord e sud del mondo si ottiene tenendo in ostaggio tre milioni e mezzo di persone (e cominciamo a dire “persone”, non “palestinesi”) e spedendo i propri figli su di un fronte che, oltre ad essere eterno, è ovunque – ben vengano l’ostilità e la chiusura di ogni dialogo.
    Il secondo Roberto, dicevo, vuole mettere i puntini sulle i e, dopo averci ricordato che “World against zionism” significa proprio “il mondo contro il sionismo” (nessuno l’ha mai messo in dubbio, Roberto, anzi, credo che saremmo in molti d’accordo con Ahmadinejad in questo, inclusi molti – più di quanto non si creda – ebrei, in proposito leggiti “LTI – La lingua del Terzo Reich” di Victor Klemperer edito da Giuntina che, come ben sai, è un editore difficilmente tacciabile di “antisemitismo”), fa una (brevissima) operazione inversa rispetto al (caro a entrambi) Pasolini di Petrolio: sottrae i “dati” al romanzo dell’economia italiana e relativa avventura mediorientale e ce li espone per dirci… per dirci cosa? Che Israele è una pedina in un gioco di privati che passa per l’antisemita Iran, e per tale motivo in diritto di “difendersi”? O forse ho capito male?
    Sul fatto che Israele (i suoi “governati”) sia una pedina non ho dubbi: cose come l’AIPAC non fanno certo l’interesse dei sefarditi o degli etiopi di pattuglia a Nablus. Sul fatto, però, che questa Israele razzista, in continuo e sistematico disprezzo della vita umana e di quel che restava del diritto internazionale, col potere di manipolare i canali d’informazione e ricattare le menti della gente, della sua propria gente… sul fatto che questa Israele sia vittima (e non solo di se stessa)…
    Però non ho risposto alla domanda: chi è interessato a fare in modo che quest’attacco risulti essere l’estremo tentativo di difesa del povero Israele?
    Che ci sia forse qualcuno, come uno che sul mio blog ( http://khalasnews.splinder.com/post/8747776#comment-23076527 ) presume l’esistenza di un’”essenza” della questione a noi preclusa, in grado di rispondere al posto mio a questa domanda?

  24. (non vedendo + un mio commento, lo riposto)
    Torno ora, e vedo che siete andati avanti. L’autore dell’articolo dice che non ne ho capito il senso. E’ probabile: se si riassume in quelle righe che vanno da “Avevo necessità…” a “…rifiuto della guerra”, evidentemente non avevo capito. Resta il fatto che continuo a non capire: questo binomio terrorismo di partito/terrorismo di Stato a cosa può servire quando l’intenzione è di “…lasciare fuori l’Iran e molte altre cose perché non era mia intenzione proporre un’analisi politica globale della crisi attuale”? Entità Hezbollah ed entità Israele? Ritorno a ciò che ho detto, accennato, sulla “partecipazione”, sulla macchina oliata e messa in moto da politiche private, da interessi di privati – fuori da Israele, fuori dai Territori e fuori da quel che resta di Libano.
    Fuori dai “governati” di Israele: senza dubbio, pavido come sono anch’io ci penserei due volte prima di inimicarmi famiglia amici e Stato (e rischiare la galera) voltando le spalle a Tsahal; senza dubbio non arriverei neanche a pensarci una prima volta, perché il livello di propaganda (e quello, tenuto costantemente al massimo, di paura) nel quale mi sarei trovato immerso dalla nascita non mi avrebbe consentito, almeno non con facilità, di mettere in dubbio la mia necessità di difesa; senza dubbio, se anche fossi tra quei pochi “redenti”, se anche apprezzassi Uri Avneri o militassi in una di quelle (peraltro numerose) associazioni israeliane che ripudiano l’occupazione e, talvolta, persino il sionismo, troverei gli stessi, se non peggiori, schiaccianti problemi di visibilità e di peso che mi trovo ad affrontare ora, qui in Italia (Tg1,Tg2, anche Tg3, tutta la Mediaset, tutte le radio, gli ospiti di La7, le trasmissioni di Ferrara, le merde di Repubblica, Corriere, senza dimenticare Il Giornale, La Stampa e il resto più – il Foglio – o meno – Riformista – apertamente schierato pro-Israele).
    Fuori dai “governati” (e, ne sono quasi certo, anche da alcuni – molto tra virgolette – “governanti” di Hamas, e solo di Hamas) palestinesi, che vivaddio sembra riescano a non arrivare mai al culmine dell’esasperazione, che nel momento in cui hanno votato hanno scelto chi veramente stava fornendo servizi sociali di base, che sono consapevoli del loro attuale isolamento e della fine delle simpatie occidentali offuscate dal diktat antiterrorista laddove tutto è terrorismo, che continuano a consumare (messi nell’impossibilità di produrre alcunché) merce israeliana comprata con i soldi degli aiuti internazionali, che “si difendono” (?) lanciando a casaccio pericolosissimi Qassam (ma l’avete mai visto un Qassam? Ma sapete in totale quante vittime hanno fatto i Qassam sparati dalla striscia? La stima più alta parla di 13 persone, la più alta) fatti a mano.
    Fuori dai Libanesi, rei di aver raggiunto una (relativa) indipendenza: Hezbollah sarà anche l’Iran dentro il parlamento, ma Hezbollah rappresenta un movimento di resistenza anche per tre quarti dei cristiani libanesi (http://www.globalcomment.com/current_affairs/article_108.asp), ad esempio.
    Allora, chi sta partecipando di questo scempio che vede ancora una volta il diritto internazionale usato come carta da culo sotto i nostri occhi e sulla testa della gente “normale” del Libano? Chi è interessato a fare in modo che quest’attacco risulti essere l’estremo tentativo di difesa del povero Israele?
    A giudicare dal modo in cui rispondono, credo che ci siano due (o più) personalità diverse a firmarsi @roberto. Il primo credo sia Roberto Santoro, sempre preparato e oculato negli interventi, al quale indicherei di non sottovalutare la finezza di personaggi come Khamenei, che paradossalmente stanno dando le risposte realpoliticamente più adeguate alla situazione rispetto a tanti dei nostri leader. Per quanto riguarda l’antisemitismo iraniano, consiglierei la lettura di uno degli articoli (in inglese) linkati qui: http://www.nkusa.org/activities/Iran/2006MarchIran.cfm (si tratta della visita di ebrei ultraortodossi antisionisti di Neturei Karta in Iran per congratularsi con Ahmadinejad; da un estratto di un loro comunicato stampa “…It is a dangerous distortion, to see the [Iran] President’s words, as indicative of anti-Jewish sentiments. The President was simply re-stating the beliefs and statements of Ayatollah Khomeini, who always emphasized and practiced the respect and protection of Jews and Judaism. The political ideology of Zionism alone was rejected. President Ahmadinejad stressed this distinction by referring only to Zionism, not Judaism or the Jewish people, regardless of whether they reside in Palestine or else were”, qui http://www.nkusa.org/activities/Statements/2005Oct28Iran.cfm ).
    A giudicare invece dal modo in cui l’altro @roberto sposta il fuoco, nuovamente, sul presunto antisemitismo strisciante e sulla volgarizzazione dei distinguo fino ad arrivare a toccare l’ebreo errante e i torti dell’Iran NOMINANDO UNA SOLA VOLTA ISRAELE (in 1626 parole utilizzate) e guardacaso proprio all’interno di questa frase “il presidente Ahmadinejad ha un lungo apparato bibliografico a cui ricorrere per estirpare Israele dalle carte geografiche”, credo che si tratti dello stesso Roberto firmatario di (quell’oscenità chiamata) “Sinistra per Israele” http://www.sinistraperisraele.it/home2.asp?idtesto=279&idkunta=185&idutente=
    di cui fa ahimè parte un personaggio verso il quale nutrivo grandissima stima, Furio Colombo.
    Bene, per questo simpatico gruppo di amici Israele è “uno degli attori dello sviluppo, collocato in uno dei punti nevralgici del pianeta dove passa oggi la possibilità di un dialogo costruttivo tra Nord e Sud del mondo”. Se la possibilità di un dialogo costruttivo tra nord e sud del mondo si ottiene tenendo in ostaggio tre milioni e mezzo di persone (e cominciamo a dire “persone”, non “palestinesi”) e spedendo i propri figli su di un fronte che, oltre ad essere eterno, è ovunque – ben vengano l’ostilità e la chiusura di ogni dialogo.
    Il secondo Roberto, dicevo, vuole mettere i puntini sulle i e, dopo averci ricordato che “World against zionism” significa proprio “il mondo contro il sionismo” (nessuno l’ha mai messo in dubbio, Roberto, anzi, credo che saremmo in molti d’accordo con Ahmadinejad in questo, inclusi molti – più di quanto non si creda – ebrei, in proposito leggiti “LTI – La lingua del Terzo Reich” di Victor Klemperer edito da Giuntina che, come ben sai, è un editore difficilmente tacciabile di “antisemitismo”), fa una (brevissima) operazione inversa rispetto al (caro a entrambi) Pasolini di Petrolio: sottrae i “dati” al romanzo dell’economia italiana e relativa avventura mediorientale e ce li espone per dirci… per dirci cosa? Che Israele è una pedina in un gioco di privati che passa per l’antisemita Iran, e per tale motivo in diritto di “difendersi”? O forse ho capito male?
    Sul fatto che Israele (i suoi “governati”) sia una pedina non ho dubbi: cose come l’AIPAC non fanno certo l’interesse dei sefarditi o degli etiopi di pattuglia a Nablus. Sul fatto, però, che questa Israele razzista, in continuo e sistematico disprezzo della vita umana e di quel che restava del diritto internazionale, col potere di manipolare i canali d’informazione e ricattare le menti della gente, della sua propria gente… sul fatto che questa Israele sia vittima (e non solo di se stessa)…
    Però non ho risposto alla domanda: chi è interessato a fare in modo che quest’attacco risulti essere l’estremo tentativo di difesa del povero Israele?
    Che ci sia forse qualcuno, come uno che sul mio blog ( http://khalasnews.splinder.com/post/8747776#comment-23076527 ) presume l’esistenza di un’”essenza” della questione a noi preclusa, in grado di rispondere al posto mio a questa domanda?

  25. [eh lo so che qua mi dice “Comments may be moderated and may not appear immediately, please be patient”, ma è passato un po’ da quando ho provato a postarlo]

  26. Sono semplicemente inorridito alla lettura dell’articolo (?) del Sig. Inglese. Infarcito di tutti gli argomenti a tesi dei gauchiste italiani che vedono Israele come un agente del male, che in un territorio non suo mena colpi a destra e a manca alle povere ed inermi popolazioni civili che lo circondano. E’ veramente deprimente che si debbe ancora leggere di queste cose. La chicca è quel “L’azione terroristica esercitata da organizzazioni come Hezbollah non ha minimamente la pretesa di distruggere lo stato israeliano, di vincerlo, di cancellare Israele dalla carta del Medio Oriente”. Povere umane menti, quanta ignoranza è quella che vi offende!

  27. egregio sig, Turco,
    le pongo la domanda precedente,
    se l’esercito israeliano conosce benissimo le postazioni missilistiche Hetzbollah a ridosso del confine libanese perché sgancia bombe da elicottei Apache, aerei F16, corvette lancia missili su aeroporti, strade, ponti, bus, case e auto distanti anche più di 100 km, dal confine colpendo scolaresche, famiglie, case civili?
    Questo non me l’invento ora.
    Io una mezza risposta ce l’ho.
    Se la dia anche lei.
    Aggiungo che gli Hetzbollah possono anche avere la pretesa o l’illusione di distruggere Israele ma sanno benissimo che con i loro mezzi ciò non è assolutamente possibile e la risposta è nella potenza degli armamenti israeliani che essi non ignorano.
    Mai visto all’opera un carro Merkava con cannone da 120 mm?
    Lo guardi bene, tanto bene.

    Mario Bianco

  28. Cari @nazioneindiana

    non ho idea del perchè una mia risposta, che ho infilato in questo form più e più volte, non sia stata pubblicata.
    Mi spiace non per la validità presunta di quello che ho scritto, ma perchè qualcuno nei post precedenti faceva riferimento al mio primo post e quest’ultimo, questo non pubblicato di cui sto parlando, ne era la continuazione. Sono, come dire, stupito.
    Comunque, per chi fosse eventualmente interessato, l’ho riportato qui:
    http://khalasnews.splinder.com/post/8766457

    ps: gradirei almeno conoscere i motivi per i quali questo post non è comparso, grazie.

  29. Torno ora, e vedo che siete andati avanti. L’autore dell’articolo dice che non ne ho capito il senso. E’ probabile: se si riassume in quelle righe che vanno da “Avevo necessità…” a “…rifiuto della guerra”, evidentemente non avevo capito. Resta il fatto che continuo a non capire: questo binomio terrorismo di partito/terrorismo di Stato a cosa può servire quando l’intenzione è di “…lasciare fuori l’Iran e molte altre cose perché non era mia intenzione proporre un’analisi politica globale della crisi attuale”? Entità Hezbollah ed entità Israele? Ritorno a ciò che ho detto, accennato, sulla “partecipazione”, sulla macchina oliata e messa in moto da politiche private, da interessi di privati – fuori da Israele, fuori dai Territori e fuori da quel che resta di Libano.
    Fuori dai “governati” di Israele: senza dubbio, pavido come sono anch’io ci penserei due volte prima di inimicarmi famiglia amici e Stato (e rischiare la galera) voltando le spalle a Tsahal; senza dubbio non arriverei neanche a pensarci una prima volta, perché il livello di propaganda (e quello, tenuto costantemente al massimo, di paura) nel quale mi sarei trovato immerso dalla nascita non mi avrebbe consentito, almeno non con facilità, di mettere in dubbio la mia necessità di difesa; senza dubbio, se anche fossi tra quei pochi “redenti”, se anche apprezzassi Uri Avneri o militassi in una di quelle (peraltro numerose) associazioni israeliane che ripudiano l’occupazione e, talvolta, persino il sionismo, troverei gli stessi, se non peggiori, schiaccianti problemi di visibilità e di peso che mi trovo ad affrontare ora, qui in Italia (Tg1,Tg2, anche Tg3, tutta la Mediaset, tutte le radio, gli ospiti di La7, le trasmissioni di Ferrara, le merde di Repubblica, Corriere, senza dimenticare Il Giornale, La Stampa e il resto più – il Foglio – o meno – Riformista – apertamente schierato pro-Israele).
    Fuori dai “governati” (e, ne sono quasi certo, anche da alcuni – molto tra virgolette – “governanti” di Hamas, e solo di Hamas) palestinesi, che vivaddio sembra riescano a non arrivare mai al culmine dell’esasperazione, che nel momento in cui hanno votato hanno scelto chi veramente stava fornendo servizi sociali di base, che sono consapevoli del loro attuale isolamento e della fine delle simpatie occidentali offuscate dal diktat antiterrorista laddove tutto è terrorismo, che continuano a consumare (messi nell’impossibilità di produrre alcunché) merce israeliana comprata con i soldi degli aiuti internazionali, che “si difendono” (?) lanciando a casaccio pericolosissimi Qassam (ma l’avete mai visto un Qassam? Ma sapete in totale quante vittime hanno fatto i Qassam sparati dalla striscia? La stima più alta parla di 13 persone, la più alta) fatti a mano.
    Fuori dai Libanesi, rei di aver raggiunto una (relativa) indipendenza: Hezbollah sarà anche l’Iran dentro il parlamento, ma Hezbollah rappresenta un movimento di resistenza anche per tre quarti dei cristiani libanesi (http://www.globalcomment.com/current_affairs/article_108.asp), ad esempio.
    Allora, chi sta partecipando di questo scempio che vede ancora una volta il diritto internazionale usato come carta da culo sotto i nostri occhi e sulla testa della gente “normale” del Libano? Chi è interessato a fare in modo che quest’attacco risulti essere l’estremo tentativo di difesa del povero Israele?
    A giudicare dal modo in cui rispondono, credo che ci siano due (o più) personalità diverse a firmarsi @roberto. Il primo credo sia Roberto Santoro, sempre preparato e oculato negli interventi, al quale indicherei di non sottovalutare la finezza di personaggi come Khamenei, che paradossalmente stanno dando le risposte realpoliticamente più adeguate alla situazione rispetto a tanti dei nostri leader. Per quanto riguarda l’antisemitismo iraniano, consiglierei la lettura di uno degli articoli (in inglese) linkati qui: http://www.nkusa.org/activities/Iran/2006MarchIran.cfm (si tratta della visita di ebrei ultraortodossi antisionisti di Neturei Karta in Iran per congratularsi con Ahmadinejad; da un estratto di un loro comunicato stampa “…It is a dangerous distortion, to see the [Iran] President’s words, as indicative of anti-Jewish sentiments. The President was simply re-stating the beliefs and statements of Ayatollah Khomeini, who always emphasized and practiced the respect and protection of Jews and Judaism. The political ideology of Zionism alone was rejected. President Ahmadinejad stressed this distinction by referring only to Zionism, not Judaism or the Jewish people, regardless of whether they reside in Palestine or else were”, qui http://www.nkusa.org/activities/Statements/2005Oct28Iran.cfm ).
    A giudicare invece dal modo in cui l’altro @roberto sposta il fuoco, nuovamente, sul presunto antisemitismo strisciante e sulla volgarizzazione dei distinguo fino ad arrivare a toccare l’ebreo errante e i torti dell’Iran NOMINANDO UNA SOLA VOLTA ISRAELE (in 1626 parole utilizzate) e guardacaso proprio all’interno di questa frase “il presidente Ahmadinejad ha un lungo apparato bibliografico a cui ricorrere per estirpare Israele dalle carte geografiche”, credo che si tratti dello stesso Roberto firmatario di (quell’oscenità chiamata) “Sinistra per Israele” http://www.sinistraperisraele.it/home2.asp?idtesto=279&idkunta=185&idutente=
    di cui fa ahimè parte un personaggio verso il quale nutrivo grandissima stima, Furio Colombo.
    Bene, per questo simpatico gruppo di amici Israele è “uno degli attori dello sviluppo, collocato in uno dei punti nevralgici del pianeta dove passa oggi la possibilità di un dialogo costruttivo tra Nord e Sud del mondo”. Se la possibilità di un dialogo costruttivo tra nord e sud del mondo si ottiene tenendo in ostaggio tre milioni e mezzo di persone (e cominciamo a dire “persone”, non “palestinesi”) e spedendo i propri figli su di un fronte che, oltre ad essere eterno, è ovunque – ben vengano l’ostilità e la chiusura di ogni dialogo.
    Il secondo Roberto, dicevo, vuole mettere i puntini sulle i e, dopo averci ricordato che “World against zionism” significa proprio “il mondo contro il sionismo” (nessuno l’ha mai messo in dubbio, Roberto, anzi, credo che saremmo in molti d’accordo con Ahmadinejad in questo, inclusi molti – più di quanto non si creda – ebrei, in proposito leggiti, se non l’hai già fatto, “LTI – La lingua del Terzo Reich” di Victor Klemperer – un filologo ebreo nella Germania del Reich – edito da Giuntina che, come ben sai, è un editore difficilmente tacciabile di “antisemitismo”), fa una (brevissima) operazione inversa rispetto al (caro a entrambi) Pasolini di Petrolio: sottrae i “dati” al romanzo dell’economia italiana e relativa avventura mediorientale e ce li espone per dirci… per dirci cosa? Che Israele è una pedina in un gioco di privati che passa per l’antisemita Iran, e per tale motivo in diritto di “difendersi”? O forse ho capito male?
    Sul fatto che Israele (i suoi “governati”) sia una pedina non ho dubbi: cose come l’AIPAC non fanno certo l’interesse dei sefarditi o degli etiopi di pattuglia a Nablus. Sul fatto, però, che questa Israele razzista, in continuo e sistematico disprezzo della vita umana e di quel che restava del diritto internazionale, col potere di manipolare i canali d’informazione e ricattare le menti della gente, della sua propria gente… sul fatto che questa Israele sia vittima (e non solo di se stessa)…
    Però non ho risposto alla domanda: chi è interessato a fare in modo che quest’attacco risulti essere l’estremo tentativo di difesa del povero Israele?
    Che ci sia forse qualcuno, come uno che sul mio blog ( http://khalasnews.splinder.com/post/8747776#comment-23076527 ) presume l’esistenza di un’”essenza” della questione a noi preclusa, in grado di rispondere al posto mio a questa domanda?

  30. @turco
    La invito a usare argomenti più ragionevoli, prove e testimonianze, se no si rischia di cadere nell’esercizio della stroncatura, piuttosto facile e zuccosa e tanto di moda nella stampa italiana. “E’ veramente deprimente che si debbe ancora leggere di queste cose”. Perché? Qui ci stiamo facendo domande. Non basta chiudere un commento con un’interrogativa retorica. Insomma, un piccolo sforzo in più. Ne vale la pena?

    Per esempio, crede che sia utile inviare un contingente militare internazionale che disarmi le milizie libanesi? La Risoluzione Onu 1599 diceva questo. Ma negli ultimi anni l’ONU ha fatto proliferare Hezbollah invece di contenerlo. Ecco i risultati. Che ne pensa?
    Cordialità.

    @cf
    Nel 2000, Barak si ritira dal sud del Libano con uno scopo preciso: privare Hezbollah di un prestesto. Il pretesto è la precedente occupazione israeliana della fascia di sicurezza in Libano, negli anni novanta, con bombardamenti e stillicidio di morti come oggi. Come dire, l’occupazione giustificava la pioggia di missili terroristi sulla Galilea, così Barak decide di ritirarsi.

    In certo senso si può leggere quella ritirata – che fu più costosa delle successive, una piccola ‘rotta’, secondo alcuni -, nella stessa ottica “rinunciataria” di Kadima. Indietreggiando, facendo le sue “dolorose concessioni”, ritirandosi da Gaza e dal Libano, Sharon e Olmert si sono messi in una posizione ‘giusta’, tale da legittimare e punire con rappresaglie su larga scala Hezbollah.

    Attenzione alle “mezze risposte”, però. Quando ti chiedi perché esercito, aviazione e marina israeliana hanno colpito cento chilometri più avanti del confine, be’, non credo che l’abbiano fatto con l’obiettivo di fare strage di civili, ma per indebolire il nemico in profondità. “Normale” tattica militare, insomma: distruggere aeroporti, porti, stazioni di servizio, centrali elettriche, autostrade e ponti, fabbriche (ma anche le case dei quartieri popolari).

    C’è un romanzo di Tom Clancy che descrive proprio i (fanta)piani sovietici per lasciare al buio gli eserciti occidentali in quella che avrebbe potuto essere l’invasione sovietica dell’Europa.

    Infatti, se hai sentito le ultime notizie, soltanto dopo questa prima fase (che non credo si interromperà), gli israeliani si sono arrischiati a far avanzare i Merkava, che saranno pure grandi e grossi, ma finiscono lo stesso sotto il fuoco dei sistemi anticarro di Hezbollah. Insomma il colpo a cento chilometri di distanza serviva (e serve) ad anticipare l’invasione di terra.

  31. Un appunto parziale.
    Analizzare la questione storica Israelo-Palestinese, partendo da un solo un segmento, come la vicenda attuale col Libano, porta a valutazioni fatalmente parziali, incomplete.
    D’altra parte non si può, ogni volta, rileggere in dettaglio sessant’anni di conflitto.
    Come se non bastasse, a mescolare continuamente le carte, cioè ad impedire che si riesca a mettere in fila serenamente i dati analitici, la comunità ebraica occidentale mette costantemente in atto il ricatto dell’anti-semitismo.
    Su ogni giudizio politico scatta l’accusa antisemita, che riporta il discorso su un’altro piano, innesca polemiche feroci, eccetera.
    Ritengo che questa sia una strategia precisa, tesa a spezzare ogni discorso per riportarlo ai fondamentali, alla sequenza che parte dalla Shoà, per finire nell’affermazione: attenti l’anti-semitismo non è morto.
    Così, come accade parzialmente anche qui, ci si ritrova a parlare di noi, invece che della questione in oggetto.
    Ogni analisi politica si incaglia regolarmente, non riesce a procedere.
    È tutto molto complicato: Israele può essere dalla parte della ragione per quanto riguarda un segmento ed avere profondamente torto nell’analisi di un intervallo più ampio, per tornare ad aver ragione in un ulteriore allargamento e poi torto, eccetera.
    Purtroppo non si può fare a meno di tornare ogni volta alla radice e alla radice ci sono profughi palestinesi in Libano da sessant’anni.
    Se voi foste un profugo palestinese in Libano da sessant’anni come la pensereste su Hezbollah e su Israele?
    Eccetera.

  32. Roberto,
    la risposta che mi davo è la tua, certo,
    credo anche però che la rappresaglia profonda israeliana voglia dire distruzione di infrastrutture hetzbollah & collegate lontane, ed anche
    “vi diamo una lezione da non dimenticare”, però questo tipo di lezioni hanno raramente( praticamente mai) esito postivivo, generano, come diceva Inglese soltanto odi risentimenti rancori, desiderio di “revanche” fino al limite dei propri giorni.
    MarioB.

  33. Egregio sig, Bianco,
    le pongo la domanda seguente: se Hetzbollah ed Hamas conoscono benissimo le postazioni militari di צהל-Tsahal perché lanciano razzi Katiuscia su strade, ponti, bus, case e auto distanti anche più di 100 km dal confine colpendo scolaresche, famiglie, case civili? Questo non me l’invento ora. Io una mezza risposta ce l’ho. Se la dia anche lei.

    Vede Bianco, è molto facile fare della retorica, e con questa ci si trova immediatamente con un buon sapore in bocca. Il fatto è che non bisogna essere degli esperti di politica internazionale per capire che Israele subisce aggressioni reiterate da una forza militare posizionata sul territorio di uno stato sovrano che la ospita senza colpo ferire, ma non solo, alla quale fornisce le infrastrutture logistiche (vuol dire aeroporti, strade, ponti, ma anche ad esempio le centrali elettriche, anche a più di 100 km dalle postazioni missilistiche di prima linea) grazie alle quali si approvvigiona e mantiene il suo stato bellicoso. Le ricordo, en passant, che la fascia a sud del fiume Litani è stata malauguratamente evacuata da Israele nel maggio dell’anno 2000 (vuol dire 6 anni fa!) e (proprio per questo o nonostante questo, scelga Lei) oggi ci ritroviamo nella situazione che le fa fare il suo esercizio di risposta alla mia indignazione. Per quanto concerne “scolaresche, famiglie, case civili” le ricordo che sia Hetzbollah che Hamas, nascondono depositi di armi così come postazioni missilistiche propriamente in case, scuole ed altre strutture civili (che raffinati strateghi, non è vero!) , e che le scolaresche sono quelle che non avendo mai conosciuto un ebreo bruciano le bandiere di Israele appena si dà loro l’occasione per farlo e studiano su libri di testo in cui l’ebreo/israeliano viene dipinto in modi che fanno vergognare al solo aprirli. Questo non significa che bisogna bombardare le scolaresche, ci mancherebbe. Significa che utilizzare questi argomenti è pura retorica da quattro soldi. Mi sa indicare quante e quali scolaresche sono state colpite dall’esercito israeliano nell’azione contro Hezbollah?
    Chiudo con una risposta alla sua domanda più sciocca. Non ho mai visto all’opera un carro Merkava con cannone da 120 mm (e spero di non vederlo mai!), come credo neanche Lei lo abbia visto. Sono stato in Israele per motivi personali e famigliari più di una volta, ed ho avuto la ventura di vedere una pizzeria a Gerusalemme dopo un attentato. Non c’era nessuna aziione militare in corso contro il Libano, si stava discutendo con quel campione di democrazia di Arafat di una road-map per un ritiro da Giudea e Samaria, c’erano organismi internazionali che “sorvegliavano” la situazione. Non è stato un bello spettacolo.
    Guido Turco

  34. Serve più a nulla scriverlo,
    è veramente inutile,
    però
    i razzi Katiuscia che usano gli Hetzbollah per ora arrivano al massimo 60 km di distanza dalla loro postazione e non a 100.
    I razzi Kassam, fatti in casa, dai palestinesi di Gaza fanno pochi kilometri e pochi danni.
    Su un minibus nel Libano vi erano ventuno persone civili, 15 erano bambini, non avevano nulla a che fare con la guerra ed erano lontani dal fiume Litani.
    Signor Turco lei ragiona veramente secondo le sacrosante leggi del Vecchio Testamento ove dicesi “occhio per occhio, dente per dente…”
    ( e se si può dagliene di più….)

    Io ricordo di un tale che viveva in una cascina del Parmense durante la guerra anzi nel 1944, passano due caccia alleati e mitragliano l’aia dove la moglie ed il fratello scaricavano un carretto.
    Morti tutti e due.
    Tiravano al bersaglio pure ai ciclisti, tanto: italian = Mussolini
    Incidenti sul “lavoro” o terrorismo???
    MarioB.

  35. Veramente, queste discussioni danno la sensazione di svuotare il mare con un cucchiaio. Se non riusciamo noi qui in Italia e in Occidente ad avere un minimo di equanimità di giudizio non riesco a comprendere come possiamo richiederla agli attori mediorientali.
    Egregio Sig. Bianco, non le chiedo di essere d’accordo con me, ma si dia almeno l’obbligo della precisione, parli con forza ma non dimentichi quei dati di cronaca che danno la misura di quanto si va dicendo.
    Ma dove va a pescarle affermazioni come “I razzi Kassam, fatti in casa, dai palestinesi di Gaza fanno pochi kilometri e pochi danni”. Fanno pochi kilometri, ma fanno molti danni; pensi un po’, fanno anche dei morti! Non glielo avevano detto mai detto? Beh! Ora lo sa, non è mai troppo tardi!
    Se poi mi “accusa” di essere un sanguinario vendicativo sulla base di un precetto del libro Esodo (21,24), come fa a chiamare “sacrosanta” una legge (sic!) del Vecchio Testamento che Lei aborre? Usi un altro aggettivo, che so, “orribile”, “violenta”, “cieca”. Ci azzecca di più.
    Ora e in conclusione le azioni belliche che Israele conduce sono azioni volte a rendere inoffensive strutture militari e paramilitari, nonché eserciti o forze terroristiche che possano attentare alla sicurezza dello stato. L’ultima che ha per teatro il territorio libanese è un’azione su vasta scala, successiva al rapimento e all’uccisione di soldati dell’esercito regolare, e alla minaccia che il Partito di Dio rappresenta per l’incolumità israeliana. Nessuna azione è stata condotta come preventivo, specifico e mirato attacco ad inermi popolazioni civili. È così, anche se non le piace.

  36. Ha qualcosa di osceno questo nostro parlare da qui di lì.

    Non siamo solo spettatori, il rapporto secolare tra l’Europa e gli ebrei della dispora ci dovrebbe rendere prudenti nel dire le nostre quattro cazzate, particolarmente analitici, cauti.

    E parlo di tutti, di me per prima, che nessuno si senta preso di mira.

    E dovremmo ricordare anche la politica coloniale araba e mediorientale degli stati europei durante la prima e la seconda guerra mondiale, non insignificante per determinare l’origine di quanto è successo e sta succedendo.

    Le cose nascono da lontano e noi siamo qui a parlare come se sapessimo BENE quel che diciamo. Più leggo più mi rendo conto che la mia memoria è piena di buchi, e perciò la mia analisi, che infatti non espongo, e anche la vostra.

    Non so niente di gittate o di armi, non mi interessa più sapere chi ha lanbciato la prima bomba, vedo solo un orrore infinito e uomini morti, che dovrebbero invece essere vivi.

    Si parla di guerra come se fossimo Klausewitz, di geopolitica come se fossimo attori politici in campo e siamo invece impiegati, insegnanti, giornalisti, librai.

    Si parla di palestinesi e israeliani come se fossimo gli uni o gli altri. Davvero, la lettura di tutti i commenti, anche i miei, a dispetto della buona volontà di ognuno mi ha estremamente mortificata e depressa.
    Temo molto per il futuro.

  37. @temperanza
    oltre a deprimerti – giustamente – per il chiacchiericcio, considera pure che si tratta di un chiacchiericcio pilotato, visto che i tuoi amici di NI si arrogano il diritto di censurare i commenti.
    Avevo scritto ieri una LEGITTIMA risposta, a chi mi citava direttamente, CHE NON E’ STATA PUBBLICATA.
    Immaginando che sarà così anche stavolta, invio il link al post “scomparso”:
    http://khalasnews.splinder.com/post/8766457
    Questa è l’ultima volta che ci riprovo.

  38. il futuro non mi pare che proceda in una risoluzione di reciproca “tolleranza”. Non dimentichiamoci poi che il popolo palestinese, sempre più, marcia con i cosiddetti “terroristi”. L’occidente usa troppo spesso questo termine come anche usa spesso e volentieri affermare: “faccio questa azione in nome di Dio”. Il tutto è vomitevole, le diplomazie stanno a guardare per poi mettere qualche toppa che possa loro giovare politicamente per propri fini interni. Marco

  39. @temp
    “Non so niente di gittate o di armi, non mi interessa più sapere chi ha lanciato la prima bomba, vedo solo un orrore infinito…”. Per chi usa questo blog in modo “friendly”, per leggere e divertirsi, tutto quello che scriviamo può apparire molto deprimente.
    http://www.miabbono.com/rivista-tecnica/friendly-175.htm

    @Turco
    @cf
    Sempre a proposito dei Merkava, il segretario generale di Hezbollah, Hasan Nasrallah, ha dichiarato in un’intervista ad Al-Jazeera: “a number of Mirkava tanks have been destroyed so far. Some of these tanks are Mirkava of the fourth generation, which are the most advanced type of the Israeli Mirkava” (20 luglio). Due ipotesi. O Nasrallah è un pazzo kamikaze con le ore contate, oppure sa di poter contare su armi e munizioni a sufficienza.

    E tanto per gradire: mercoledì il ministro D’Alema si prepara alla grande siesta diplomatica romana. Ma secondo un’ANSA del 19 luglio scorso: “L’Italia è stata la prima fornitrice di armi al Libano tra il 2000 e il 2004, e, dopo Russia e Cina, è il maggior esportatore di materiali bellici in Medio Oriente”. Nel corso del quadriennio 1999-2002 l’Italia ha esportato armi di piccolo calibro in Libano per un totale di 13.841.396 di euro (pistole, fucili, accessori, munizioni, esplosivi).
    http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=394779
    http://www.disarmo.org/rete/articles/art_13010.html

  40. Come dice il signor Turco, è bene osservare la situzione partendo dai dati di cronaca, e senza farsi illusioni: la situazione non è facile e non può avere una soluzione facile.
    Partiamo dai suoi presupposti, ossia da quanto evinco dai suoi scritti (ma potrei sbagliarmi) la sua giusta preoccupazione per l’incolumità delle vite degli israeliani.
    Pensiamoci bene, molti (ma credo cmq la minoranza di) libanesi, palestinesi già ora odiano Israele e rappresentano un pericolo reale per l’incolumità delle vite israeliane; molti (la maggioranza, credo) altri libanesi, palestinesi per ora non sono un pericolo per le vite israeliane, ma potenzialmente potrebbero diventarlo, sapete com’è, quando gli si uccide i parenti; gli si distrugge la casa; gli si impedisce di vivere, spostarsi, governarsi sulla loro terra occupata da 40 anni in spregio ad ogni norma del diritto internazionale e delle risoluzioni ONU – notoriamente antisraeliane e filoarabe, si pensi anche alla vile condanna del Muro, sol perchè si erge in gran parte sui territori occupati – (parlo dei palestinesi qui, è ovvio); quando avviene tutto questo per più generazioni c’è il rischio che questi arabi osino pensare alla vendetta, come si può, con tutti i mezzi, dalla potente fionda a mano, ai famosi razzi di cui discutono Turco e Mario B., potentissimi, specie se a confronto con i mezzi militari scarsi che possiede l’esercito israeliano.
    Quindi, considerato tutto questo e anche il fatto, di primaria considerazione, che:
    “le azioni belliche che Israele conduce sono azioni volte a rendere inoffensive strutture militari e paramilitari, nonché eserciti o forze terroristiche che possano attentare alla sicurezza dello stato. L’ultima che ha per teatro il territorio libanese è un’azione su vasta scala, successiva al rapimento e all’uccisione di soldati dell’esercito regolare, e alla minaccia che il Partito di Dio rappresenta per l’incolumità israeliana. Nessuna azione è stata condotta come preventivo, specifico e mirato attacco ad inermi popolazioni civili.” (Turco)
    io credo che rimangano due scelte:
    -la prima è una soluzione finale verso libanesi e palestinesi, su vasta scala, volta a prevenire altri sgarbi a Israele: data la difficile distinzione tra militari paramilitari e civili che operano contro Israele, conviene eliminarli tutti per raggiungere l’obiettivo, senza cadere negli errori commessi ad es. da Barak quando ha abbandonato il Libano.
    -la seconda è distruggere tutti i mezzi bellici, ovunque essi siano, in Cisgiordania, a Gaza e in Libano, in modo da ottenere come vicini di Israele solamente “inermi popolazioni civili”. Una volta poi che la Cisgiordania sarà del tutto smilitarizzata, che nessun adolescente avrà più neanche una fionda, potremo pensare seriamente alla formazione dello stato palestinese. Ma in questo modo rimane il dubbio però che potenti organizzazioni terroristiche dall’estero forniscano nuove armi agli inermi civili che possono pensare alla vendetta… e quindi forse il problema non si risolve finchè non si disarma tutto il Medoriente, Siria, Iran ecc. Una soluzione potrebbe essere l’occupazione militare su vasta scala: in Palestina e in Iraq ha già dato ottimi frutti.
    Ma potrei sbagliarmi. Vedete altre soluzioni?

  41. Signor Galbiati,
    mi chiedo dove trovi lo stomaco per la sua ironia, ironia che detto di passaggio non le sarebbe possibile in Libano, Siria, Iran, Territori dell’Autorità Palestinese, e via discorrendo. In Israele sì, guardi un po’. Sa, è la sola democrazia di quell’area. Si vota, si discute, si scrivono e si leggono giornali e libri, si fa il militare e ci sono i ladri e le puttane. Non ci crede, vada a fare una manifestazione per i diritti degli omosessuali a Gaza, o a rivendicare una maternità consapevole per le donne siriane a Damasco. Mi raccomando, non dimentichi di scriverci in diretta le sue impressioni.
    Dunque, il primo passo verso una possibile soluzione è che un tavolo di trattativa per la pace in medio-oriente faccia a meno di personaggi come Lei, che hanno una visione di ciò che accade quanto meno distorta. Può rimediare con un buon libro di storia e cominiciare a rispondere a qualche domanda.
    Che cosa c’entrano gli attacchi Hezbollah con la causa palestinese?
    Qual è stata la prima risoluzione dell’ONU non rispettata in quell’area? Da chi non è stata rispettata?
    Come mai dal 1948 fino al 1966 le nazioni arabe (in testa Giordania ed Egitto) non hanno creato lo stato palestinese su di un’area in cui non c’era ombra di un soldato israeliano?
    Chi ha rifiutato nell’anno 2000 un piano di pace che prevedeva territori, Gerusalemme est capitale, sistemazione del problema dei profughi?
    Buon esercizio.

  42. Dov’è che non c’era l’ombra dei soldati israeliani?
    Nel West Bank, cioè in Cisgiordania?
    Quelli detti “territori occupati” dal 1967?

    Lì non stava nessun militare, no, solo due poveri ambulanti palestinesi.

  43. @turco
    “vada a fare una manifestazione per i diritti degli omosessuali a Gaza, o a rivendicare una maternità consapevole per le donne siriane a Damasco”.

    Giusto. Ma il problema è che nelle carceri afgane, quelle che dovevano essere “liberate”, quelle in mano al “parlamento democratico” di Karzai, sono ancora rinchiusi omosessuali e puttane (un recente reportage di Vauro). Magari non li lapidano più, ma sempre rinchiusi sono. E allora che senso ha difendere la democrazia occidentale se poi ci serve per esportare Finmeccanica? Chiamiamolo import-export senza aggiungere i diritti umani, quelli sono sempre un dettaglio opzionale.

  44. Commentare qui è palesemente inutile, la questione è troppo complessa.
    Tuttavia.
    Concordo con Inglès, quando dice che qualsiasi processo di pace passa per un capovolgimento paradigmatico, un mea culpa, un’auto-critica di Israele, una politica della mano tesa, del non rispondere colpo su colpo, del non reagire, dell’aprire le frontiere ai palestinesi, del farli tornare dai campi profughi, dai vari luoghi di esilio, del trovare posto per loro, dell’abbandonare l’idea di uno stato ebraico per costruire uno stato multi-confessionale, del dire: abbiamo sbagliato, vi abbiamo strappato la vostra terra perché ne avevamo un bisogno assoluto e vitale che ci ha ottenebrato e reso, almeno in questa circostanza, simili ai nostri persecutori.
    L’unica cosa ragionevole per Israele sarebbe chiedere – oggi dopo sessant’anni di occupazione – ai palestinesi ospitalità per una civile coesistenza sulle loro terre.
    Tutto questo non può accadere.
    Dunque tutto, o continuerà come prima, oppure andrà a peggiorare.

  45. @tash
    “L’unica cosa ragionevole per Israele sarebbe chiedere… ai palestinesi ospitalità per una civile coesistenza sulle loro terre”.

    Dalla fantapolitica alla storia spicciola: come si fa a dialogare con chi nemmeno ti riconosce come stato? Secondo Hamas ed Hezbollah gli ebrei non hanno il diritto di stare là. Ricorderai che si parla di “Entità sionista”.

    Secondo lo speaker del parlamento iraniano, Gholam-Ali Haddad ‘Adel:
    “Inglesi e americani… dopo la seconda guerra mondiale, hanno creato uno stato falso, artificiale, inventanto, di nome Israele” (Iranian News Channel, 18 luglio 2006).

  46. se si definisce “fantapolitica” l’unica cosa “ragionevole” da fare, è brutto segno.
    il fatto che sia contro-intuitiva e impossibile da realizzare non significa che non sia la cosa giusta.
    è comprensibile che Hamas e Hezbollah neghino la legittimità di Israele.
    chi non farebbe lo stesso se fosse nei loro panni?
    l’Iran invece soffia sul fuoco per motivi prettamente politici e molti sostengono che l’Iran sia la vera causa immediata di questa crisi.
    tuttavia la causa vera è sempre la stessa: la sottrazione delle terre e l’espulsione dei palestinesi.
    anch’io penso che la costruzione di Israele sia stata artificiale, cioè che sia scaturita da eventi storici estranei, svoltisi altrove, ma ciò non toglie che lì vivano milioni di persone che la considerano la loro patria.
    il punto è che alla radice dello stato ebraico c’è un’ingiustizia sanguinosa.
    ed è questa ingiustizia, progressivamente aggravatasi, la causa prima di tutto.

  47. @roberto – Guardi che quello che Lei afferma non fa che rafforzare il mio assunto. Sarebbe il contrario se Lei dicesse che non sono tutelati i diritti civili a Copenaghen o ad Atene. Se ci dobbiamo accontentare di piccoli passi, è già qualcosa che si sia passati dalle lapidazioni alla detenzione, senza che questo significhi una soddisfazione per questo stato di cose.

    @tashtego – Su quanto dice e riporta questo signore non c’è che da stendere un pietosissimo velo. Qui siamo nel regno della più buia ignoranza, dei fatti e delle ragioni che accompagnano i fatti. Disperando che serva, rimando costui a qualche buon libro di storia, ed un viaggio in Israele, Territori dell’Autonomia e Siria. Ci vada, guardi con i suoi occhi, parli con la gente, si comporti come è abituato fare a casa sua, che ne so cerchi un libro di Calvino, o un Internet point a cui accedere al web senza filtri. Dimenticavo, rispetti l’ordine del viaggio, in quanto nell’ultimo stato non può entrare con il passaporto vistato dal governo di Gerusalemme, e in quello di mezzo potrebbero farle qualche domanda di troppo.

  48. Forza Inglese, Tashtego – e aspetto che il proclama si diffonda -, qui è ora che tutti ci decidiamo a leggere dei buoni libri di storia che il signor Turco ci consiglierà e che poi si vada tutti a prendere l’aereo per Tel Aviv. Così finalmente la finiremo di scrivere cose pietose.
    Vorrei tanto invitare anche il mio amico di Action For Peace che nel 2003 era a Ramallah a portare viveri per i palestinesi senz’acqua e senza cibo e sotto coprifuoco (e rastrellati per essere schedati). Ma purtroppo, quando è tornato in Israele poco dopo, su invito di pacifisti Israeliani per una manifestazione contro l’occupazione dei territori, è stato fermato all’aeroporto di Tel Aviv, dove gli hanno detto, “ah già lei è il figlio di … (nome e cognome di padre e madre), be’, lei qui è persona non grata”, e da allora sul suo passaporto c’è un bel timbro che gli proibisce di entrare in Israele….

    Ma può sempre leggere libri di storia!!! Dai, metto anche lui nella lista!
    Altri?

  49. Dimenticavo: @Mario B, non credere di scappare all’appello, anche tu ci sei dentrto fino al collo! Preparati per il viaggio.

    @roberto
    Dal punto di vista morale, perché dovrebebro essere per primi i palestinesi, cioè gli oppressi, a riconoscere il diritto all’esistenza dello stato che non permette loro di esistere come stato? Israele c’è e di fatto non permette alla Palestina di esistere come stato; lasciamo perdere i proclami opportunistici di un possibile stato palestinese sempre di là da venire. Israele c’è e occupa terre non sue: come può avanzare la pretesa che siano per primi gli abitanti di quelle terre, i senza stato per causa sua (parlo dell’oggi non dello ieri, so bene che le colpe storiche di ciò non sono solo di Israele), a riconoscergli il diritto di esistere? (senza poi contare i problemi pratici: ha diritto ad esistere entro quali confini? e Gerusalemme Est? e i profughi? Dovrebbero riconoscere tutto senza avere in cambio l’assicurazione di niente, perchè tanto non cambierà niente finchè Israele non si sentirà al 100% al sicuro da qualsiasi attacco di qualsiasi entità)
    Io sono (cerco di essere) un nonviolento, e mi interessano le questioni dal punto di vista morale. Qui il problema morale si pone in modo chiaro: la prima cosa da fare per uscire da un conflitto è, molto semplicemente, fare la cosa giusta, se è possibile. La cosa giusta, a mio parere è permettere alla Palestina di esistere, sia perchè gli spetta, sia per la disumanità dell’occupazione. Senza giustizia, non potrà mai esserci pace, qui la Chiesa ha perfettamente impostato il problema.
    Israele ha lo stato suo (su un’area MOLTO più estesa di quella prevista nel 1947), cioè ha la (fin troppo) giusta ricompensa per le sue attese; gli manca la pace. La Palestina è senza pace e senza giustizia (lo stato): occorre dargliela. Si devono accordare PRIMA sulla fine dell’occupazione e della situazione a Gerusalemme, dandosi reciproca ufficiale rassicurazione che una volta risolti questi problemi i due nuovi stati si riconosceranno a vicenda.
    Io la vedo così.

  50. @Roberto

    Non ti ho capito. O meglio, non ho voluto credere che quel link che metti abbia voluto essere insultante nei miei confronti. Lo spero per te, te lo auguro e lo auguro alla collettività.

    Del resto non ho visto il tuo nome tra i partecipanti all’incontro di quelli che si riuniranno a Roma mercoledì, il che ti rende uno come me, uno che può solo parlare e commentare qui. A meno che tu non sia il consigliere particolare della Rice o di Firouzabadi o di Faisal Muqdad o persino di Prodi sotto mentite spoglie, in questo caso, non c’è dubbio, avresti un accesso alle fonti che io non ho.

  51. Voglio solo ricordare due cose:
    1. Che il territorio detto Cisgiordania apparteneva un tempo al regno di Giordania ed il re ascemita del detto regno, Hussein, figlio di Abdhallah, rinunziò volontariamente per motivi di opportunità internazionale alla rivendicazione di questi territori.
    2. Metà degli abitanti della Giordania sono di origine palestinese con cui costuiscono praticamente un solo popolo.

    Ancora ribadisco la disonestà morale ed intellettuale delle autorità israelite quando accomunano nell’antisemitismo e nei negazionisti della Shoa coloro che criticano le attuali azioni belliche d’Israele.
    Mi domando se si rendano conto che operando in questa continua reiterata e minacciosa modalità creano il loro medesimo danno ed una immagine più fosca ricade su di loro, quali reali persecutori.
    E’ una mossa estremamante dannosa che riattizza antigiudaismi
    sopiti.
    L’incapacità di condurre dei seri, prolungati ed audaci negoziati di pace dopo la caduta di Baraq induce a pensare molto male di questi governi israeliani, anche se si sa che trattare con Arafat non era affatto facile, essendo uomo assai doppio.
    Aggiungo ancora che ho dei cari parenti ebrei i quali ritengono che la crezione dello stato d’Israele sia stato un grave errore politico e pure detestano la attuale politica d’Israele.
    Tanto per distinguere e non fare di tutti gli ebrei un fascio……
    Per altro io, personalmente, mi guarderei di negare la sopravvivenza d’Israele, per di più sono un’estimatore della cultura giudaica.
    Vorrei una reale politica di pace con un serio impegno non solo ONU
    (che oramai è un fantasma) ma di potenze quali Cina, Russia e India che inducano Iran e Siria a politiche estera più prudenti, anche nelle dicharazioni ufficiali, affinchè non siano facilmente strumentalizzabili.
    Però questo è un mio pio desiderio perché in realtà nel Medio Oriente e fuori vedo capi di stato, o di fazioni, affetti da psicopatologie piuttosto gravi, dal pres. iraniano a Nashrallah per andare al sig. G.W.Bush…..
    MarioB.

  52. Alcuni commenti di Diego, rimasti vittima di un filtro automatico contro lo spam, sono stati recuperati e pubblicati. Li trovate nel loro ordine cronologico originale.
    Scusate per l’inconveniente.

  53. “Ciao Diego,
    ti ho risposto in cc alla mia email a Galbiati, che mi ha segnalato il
    tuo problema, dovuto a un filtro antispam automatico”
    ok grazie ma a giudicare dalla paranoia che m’è salita devo avere problemi decisamente più gravi di un filtro antispam ;)

    ps:
    mi scuso anche per alcune *inutili* email in pvt.

  54. @Diego

    dire “i tuoi amici di NI” (ho avuto qualche scambio epistolare con un paio di loro negli ultimi mesi, nato dal fatto che non riuscivo a commentare, vedi tu) presuppone un campo, un’alleanza spregevole e negativa.

    Cmq io i tuoi commenti li vedevo anche prima, adesso ce n’è fin troppi e mi pare che ti sei agitato per niente.

    Se il livello dello scambio interpersonale è questo mi immagino quale tesoro di contributi ci sarebbe se per miracolo venissimo tutti spostati sul teatro delle decisioni e ìotrssimo passare dalle parole ai fatti.

    Fare un’analisi dei testi di questi commenti sarebbe utilissimo per mostrare quanto vivano di idee ricevute e quanto poco possano spostare, persino nell’opinione degli interlocutori presenti qui.

  55. spostare non so, Temp, approfondire magari sì: io a esempio, sulla scorta di quanto letto, mi sono recato nel sito di Le Monde Diplomatique e ho messo il Libano nel cercatutto, tanto per fare un veloce ripasso e tentare magari di elevarmi al livello degli interlocutori qui convenuti – ne avrò per giorni, prima di ultimare la lettura dei quasi 200 articoli sviscerati, però lo faccio, perché altrimenti finirei preda dei miei preconcetti.

  56. Trovo preoccupante l’intervento di Galbiati: “mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo.” Sono ebreo, e lo trovo preoccupante.

  57. mi ricollego ora, dopo essermi collegato ieri mattina; leggo sempre con interesse; condivido l’esigenza di cautela estrema quando si parla di argomenti sotto i quali ci sono realtà di persone sbudellate e non da oggi; a diego non so che dire; ho letto tutto quanto ha postato; se è incorso in un filtro antispam, me ne dispiaccio; in ogni caso non si è trattato di censura; mi dispiaccio anche per il suo attacco di paranoia

  58. @kristian

    Hai fatto bene, ma, scusa, non potevi farlo anche prima?

    Anch’io lo faccio, a dispetto di quel che pensa Roberto che mi manda a fare la calza con le mie omologhe, e ho letto i miei libretti, negli anni (sempre da povera donnetta, si sa) ma appunto, quello che ne ho ricavato non è tanto la voglia di diffondere link (penso che google lo usino tutti e che in pochi minuti, anche chi non dispone di una bibliografia se la possa procurare) né di cercare, a questo punto, la madre di tutti i torti, ma l’amara consapevolezza che al dogma culturale di cui parla Inglese nel post se ne oppone uno speculare e altrettanto violento.

    Gente come noi, che può solo commentare ai margini, dovrebbe impegnarsi prima ancora che a risolvere il conflitto mediorientale (scusa il sarcasmo, ma ce l’ho in gola), a risolvere il proprio, che lo acceca, e a cassare dal proprio vocabolario, quando parla di quella che potrebbe diventare la terza guerra mondiale, un linguaggio così confmlittuale come ho visto qui e dal proprio orizzonte intellettuale un atteggiamento mentale così guerresco.

    Per questo avevo apprezzato il tono, a mio avviso pacato, del post di Inglese e per questo avevo però lamentato che parlando di un simile tema, sia pure sotto l’ombrello dell’analisi del dogma, non avesse citato tutti gli attori in causa.

    Ma lascio agli uomini un tema così vasto e vado a occuparmi di temi più friendly.

  59. @Marco
    Il mio intervento sarà pieno di ‘-ismi’.
    Credo che l’anitisemitismo sia una forma di razzismo. Punto. Credo anche che l’uso del linguaggio sia importante e che spesso nel nostro paese alcuni esponenti del mondo politico e giornalistico utilizzino indebitamente la parola ‘antisemitismo’ quando si discute di Israele e di sionismo. Non mi riferisco solo agli esponenti di partiti un tempo ‘giustificazionisti’ rispetto a gente come Priebke, ma anche a liberali a tutto campo che si collocano trasversalmente fra Forza Italia, Udc e Margherita. Ripeto forse una cosa ovvia ma l’uso strumentale dell’antisemitismo come possibile risposta/accusa verso qualsiasi forma di discussione critica sul modo di agire dei governi israeliani a partire da Shamir (cioè da quando avevo più o meno 14-15 anni e ho inziato a discutere di Medio-oriente) è per me inaccettabile, come credo lo sia per i tanti cittadini israeliani che disertano il servizio militare e chiedono uno stato palestinese. Quanto al sionismo nello stato di Israele, a mio avviso è divenuto una forma di nazionalismo, un elemento (di certo non il solo) che ha svolto e svolge anche oggi una notevole funzione frenante del processo di pace (se non promotrice di quello di guerra)

  60. @marco
    dovresti leggere tutti i commenti miei (e non ) per capire il senso.
    puoi anche contattarmi (io non riesco a farlo con te)

    @israele-libano, l’opinione di Chomsky in un dibattito a più voci all’inizio del conflitto:
    Goodman: Ci ha appena raggiunti al telefono Noam Chomsky, professore di linguistica e filosofia al MIT e autore di decine di libri […] benvenuto a Democracy Now!

    Noam Chomsky: Ciao, Amy.

    Amy Goodman: Ci fa molto piacere averti con noi. Bene, puoi dirci cosa sta succedendo in Libano e a Gaza?

    Be’, chiaramente non ho alcuna informazione privilegiata, oltre a quella disponibile a te e agli ascoltatori. Ciò che sta succedendo a Gaza, per cominciare – be’, essenzialmente la fase attuale del processo in corso – ma c’è molto altro — comincia con l’elezione di Hamas, alla fine di gennaio. Israele e gli Stati Uniti annunciarono subito che avrebbero punito il popolo palestinese per aver votato nel modo sbagliato in libere elezioni, e la punizione è stata dura.

    Essa avviene simultaneamente a Gaza e, in un certo senso in maniera non evidente, ma finanche più estrema, nella West Bank, dove Olmert ha annunciato il suo programma di annessione, che è chiamato eufemisticamente “convergenza” e viene descritto qui da noi con il termine “ritiro”, mentre di fatto è la formalizzazione di un programma per l’annessione delle terre di valore, di gran parte delle risorse, tra cui l’acqua, della West Bank e per la cantonizzazione e l’accerchiamento del resto, segnati dalla dichiarazione da parte di Israele di voler occupare la Valle del Giordano. Bene, ciò sta accadendo senza molta violenza e senza che se ne parli molto.

    L’ultima fase, quella di Gaza, è cominciata il 24 giugno, quando Israele rapì due civili palestinesi, un medico e suo fratello. Non ne sono noti i nomi, non si conoscono i nomi delle vittime. Furono portati in Israele, presumibilmente, e nessuno ne conosce il destino. Il giorno successivo successe qualcosa, di cui si sa, e molto. Dei militanti, probabilmente della Jihad islamica, rapirono un soldato israeliano al di là del confine, il caporale Gilad Shalit. Questo rapimento è ben noto, il primo no. Poi seguì l’escalation di attacchi israeliani contro Gaza, che non c’è bisogno di richiamare qui perché sono stati riportati dai media in maniera adeguata.

    La fase successiva è stata aperta dal rapimento di due soldati israeliani, dicono al confine. L’obiettivo ufficiale è la scarcerazione di prigionieri, che sappiamo esistere anche se nessuno sa quanti. Ufficialmente vi sono tre libanesi prigionieri in Israele, ma si sospetta di un paio di centinaia di persone scomparse e che nessuno sa dove siano.

    Però la ragione principale, credo comunemente accettata dagli analisti, è che – leggo dal Financial Times, che ho giusto di fronte a me: “La scelta dei tempi e la scala dell’attacco suggeriscono che siano stato in parte inteso a ridurre la pressione sui Palestinesi costringendo Israele a combattere su due fronti simultaneamente”. David Hirst, che conosce bene questa regione, ne parla così, credo stamattina, come una manifestazione di solidarietà con una popolazione che subisce una violenza.

    È un atto del tutto irresponsabile, che mette i Libanesi in pericolo… certamente a rischio di atti di estrema violenza e ad un potenziale estremo disastro. Che possa ottenere un risultato, tanto rispetto alla questione secondaria della liberazione dei prigionieri o a quella primaria della solidarietà verso la popolazione di Gaza, lo spero, ma non giudicherei molto alta la probabilità.

    Juan Gonzalez: Noam Chomsky, sulla stampa commerciale statunitense è stata data grande attenzione ad Iran e Siria, come paesi che stanno architettando parte di ciò che sta accadendo attualmente con lo scoppio degli scontri in Libano. Che pensi di queste analisi che sembrano sminuire il peso del movimento di resistenza e di ricondurre quest’ultimo ancora una volta all’Iran?

    Beh, il fatto è che non abbiamo alcuna informazione al riguardo e dubito che le abbiano le persone che hanno scritto al riguardo e, francamente, non credo che i servizi segreti Usa abbiano informazioni. Ma è senz’altro plausibile… voglio dire, non c’è dubbio che esistano connessioni, probabilmente strette, tra gli Hezbollah, la Siria e l’Iran, ma se esse abbiano avuto un ruolo nel motivare queste recenti azioni, non credo che ne abbiamo la più pallida idea. Si può tirare ad indovinare su qualsiasi cosa, è una possibilità, anzi un fatto di probabilità. Ma da un altro punto di vista, abbiamo tutte le ragioni per credere che gli Hezbollah abbiano le proprie motivazioni, forse proprio quelle che Hirst ed il Financial Times ed altri stanno indicando… anch’esse sono plausibili, e in realtà molto più plausibili.

    Amy Goodman: C’è stato anche un rapporto ieri che suggeriva che gli Hezbollah potessero inviare i soldati israeliani prigionieri in Iran.

    Juan Gonzalez: Beh, Israele in realtà sostiene di avere le prove che ciò accadrà. È per questo che sta cercando di bloccare il mare e bombardare gli aeroporti.

    Lo affermano, è vero, ma, ripeto, non abbiamo alcuna prova. Delle affermazioni da parte di uno stato che sta conducendo un attacco militare non contano davvero molto, dal punto di vista della credibilità. Se ne hanno le prove, sarebbe interessante poterle esaminare. In realtà potrebbe accadere, ma anche se accadesse ciò non dimostrerebbe molto. Se gli Hezbollah decidessero che non possono tenere i prigionieri, i soldati, in Libano a causa della scala degli attacchi israeliani, potrebbero decidere di mandarli altrove. Sono scettico riguardo alla possibilità che Siria o Iran possano accettarli a questo punto, o che possano anche solo trasferirveli, anche se volessero.

    Amy Goodman: Volevo chiederti cosa pensi del commento dell’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Dan Gillerman, che ha difeso le azioni di Israele come risposta giustificata.

    Dan Gillerman: Mentre ci troviamo qui in questi giorni difficili, vi chiedo di porvi questa domanda: che cosa fareste se i vostri paesi si trovassero esposti a tali attacchi, se i vostri vicini si infiltrassero attraverso i vostri confini per rapire vostri connazionali e se centinaia di missili fossero lanciati contro le vostre città e insediamenti? Ve ne stareste tranquilli o fareste esattamente quello che Israele sta facendo proprio ora?

    Amy Goodman: Era Dan Gillerman, ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite. Noam Chomsky, la tua risposta?

    Faceva riferimento al Libano, invece che a Gaza…

    Amy Goodman: Esatto…

    Sì. Beh, è vero che sono stati lanciati centinaia di missili, e ciò ovviamente deve essere fermato. Ma non ha detto, almeno non in questo commento, che i missili sono stati lanciati dopo i pesanti attacchi israeliani contro il Libano, che hanno ucciso secondo gli ultimi rapporti circa una sessantina di persone e distrutto molte infrastrutture. Come sempre, le cose hanno dei detonatori e occorre decidere quale sia stato l’evento scatenante. Dal mio punto di vista l’evento che ha scatenato tutto ciò, gli eventi, sono quelli che ho detto – la costante e intensa repressione, i molti sequestri, le numerose atrocità a Gaza, l’occupazione in pianta stabile della West Bank, che, di fatto, sarebbe semplicemente l’assassinio di una nazione, qualora continuasse, la fine della Palestina; il rapimento dei due civili palestinesi a Gaza il 24 giugno, e la reazione alla cattura del caporale Shalit. E c’è differenza, per inciso, tra rapimento di civili e cattura di soldati, anche il diritto internazionale la riconosce.

    Amy Goodman: Puoi spiegarci in cosa consiste?

    Se c’è un conflitto in corso, al di là della guerra vera e propria, in caso di cattura di soldati, questi devono essere trattati umanamente, ma non si tratta di un crimine equiparabile con il rapimento di civili e il loro trasferimento oltre confine. Questo è un crimine grave ed è questo di cui non si dice nulla nella stampa. E, di fatto, si ricordi che — voglio dire, non è necessario ricordare ogni volta che ci sono attacchi continui contro Gaza, che è in pratica una prigione, una immensa prigione, sotto attacco continuo: strangolamento economico, attacco militare, assassinii, e così via. In confronto con ciò, la cattura di un soldato, comunque la si consideri, non figura molto in alto nella scala delle atrocità….

    chi vuol leggere tutto:
    http://www.zmag.org/Italy/chomsky_goodman-israelepalestina.htm

  61. riporto qui il commento di guido turco, qualora fosse sfuggito.

    @tashtego – Su quanto dice e riporta questo signore non c’è che da stendere un pietosissimo velo. Qui siamo nel regno della più buia ignoranza, dei fatti e delle ragioni che accompagnano i fatti. Disperando che serva, rimando costui a qualche buon libro di storia, ed un viaggio in Israele, Territori dell’Autonomia e Siria. Ci vada, guardi con i suoi occhi, parli con la gente, si comporti come è abituato fare a casa sua, che ne so cerchi un libro di Calvino, o un Internet point a cui accedere al web senza filtri. Dimenticavo, rispetti l’ordine del viaggio, in quanto nell’ultimo stato non può entrare con il passaporto vistato dal governo di Gerusalemme, e in quello di mezzo potrebbero farle qualche domanda di troppo.

    mi piasce quando incontro una mente robusta.

  62. tristissimi i soliti liceali attardati, col musetto arricciato, che invitano & ancora invitano a leggere libri di storia, che loro fanno capire di averne fatte scorpacciate e quindi avere titolo più di voi – brutti ignorantoni – ad argomentare, salvo che poi di argomentazioni non se ne vede nemmeno l’ombra, eppure con tutti i tomi di Storia (meglio l’esse maiuscola) che si sono sorbiti qualche idea se la sarebbero dovuta fare.

  63. @Lorenzo Galbiati. Ho letto tutto ciò che hai scritto, secondo me ti ha risposto bene Andrea Inglese sulla faccenda dell’antisemitismo: che é razzismo, e quindi non c’entra un bel niente con la politica dello Stato d’Israele, che, of course, è criticabile quanto qualunque politica estera di qualunque Stato.
    C’è un brutto clima, questo trovo: dalla svastiche al ghetto, ai blog e siti che rigurgitano antisemitismo (ufficialmente, o solo nei comments): basti andare a guardare sul blog di Beppe Grillo, uno dei più visitati del mondo, che ha postato su questa guerra un solo post: che faceva vedere i bambini libanesi massacrati. A quel post ci sono stati qualcosa come tremila commenti, svariati dei quali inneggianti a Hitler.
    Mi è piaciuto l’intervento di Temperanza, che invita ad abbassare i toni, alla “temperanza” appunto (ehm… :).
    Personalmente, ho grande pena per quello che stanno passando i civili libanesi. Ma trovo, detto per sommi capi, che Israele sia un paese ESASPERATO.
    In Italia, giustamente, stiamo ancora a piangere le vittime degli attentati terroristici degli anni ’70. In quegli anni, la società italiana era appunto esasperata, stanca dei morti senza senso.
    Israele è da quando esiste che vive una situazione ne più grave (decuplicate il terrorismo che c’è stato in Italia e spalmatelo su un arco di tempo lungo sessant’anni); mi domando: chi si riempie la bocca con acidissime invettive anti-israeliane, come reagirebbe a vivere così?

  64. @tash
    Non mi cadere nella trappola del sapientone e del sapientino. Abbiamo preso posizione, ognuno la sua. Ma proviamo a fare un salto dialettico? A trovare una sintesi “decente” per tutti?

    Tu consideri Israele uno “stato artificiale”. Da un punto di vista storico e dialettico questa affermazione lascia aperta (almeno) una via di fuga: “ciò non toglie che lì vivano milioni di persone che la considerano la loro patria…”. Se ne può discutere, allora.

    Ma c’è il discorso religioso. Il punto di vista religioso è senza ritorno. Abbiamo due opposti fondamentalismi che si scannano. Da una parte i Cristiani Rinati, i devoti della Parusia, che aspettano il nuovo Salvatore venuto a convertire gli Ebrei. Israele, in questa visione, è la fortezza delle Origini Cristiane dell’Occidente. Poi ci sono gli Ebrei. Anche per loro “Terra e Sangue” sono inscindibili, come dice Messori. I Musulmani, invece, si battono perché rivogliono indietro la loro storia secolare: Gerusalemme seconda città santa dell’Islam. Di conseguenza, se a scontrarsi saranno i grandi monoteismi, come dice con toni apocalittici Messori, finirà che avremo “un miliardo di musulmani contro cinque milioni di israeliani. E Israele, quando sarà con le spalle al mare, sarà costretto a usare la bomba atomica”. Sempre che spinga il pulsante per primo.

    Uno snodo interessante del discorso religioso è quello della archeologia. Da una parte ci sono gli studiosi musulmani che cercano di negare l’esistenza del Tempio di Gerusalemme (il Muro del Pianto sarebbe un ex complesso edile islamico). Dall’altra archeologi e storici di fede ebraica che si sforzano di dimostrare come gli islamici abbiano deciso di fare Gerusalemme città santa solo dopo la “Guerra dei sei giorni”. Vediamo come il discorso religioso, cristianista, ebraico ortodosso, islamista, nella sua essenza sia sempre un gioco di contraffazioni e contro-falsificazioni storiche.

    Il discorso storico-dialettico, però, un altro nemico ce l’ha. Si chiama ideologia. La religione della rivoluzione. Penso a Ferrando, alle minoranze trotzkiste dello ‘strappo’ con il filo-governativo Bertinotti. Ferrando una volta l’ho incontrato al Buffet della Stazione Termini, mi è sembrato innocuo, simpatico. Ha scritto un libro intitolato “L’Altra Rifondazione” in cui più o meno spiega che “Due popoli due stati” è una frase fatta, che “lo Stato di Israele non è l’espressione dei diritti nazionali ebraici. E’ una creatura storica artificiale”. Israele nasce da un atto di esproprio e si regge su una politica imperialistica. Conclusione: “Sono favorevole a uno Stato arabo-palestinese con il diritto di autodeterminazione della minoranza ebraica”. Lo dicevo che Ferrando è un tipo su di giri, uno di quei personaggi un po’ chapliniani, fuori dal mondo, che in passato avrebbero fatto la fortuna di Conrad e Kipling.

    Sarei anche disposto a sentirlo, lui e tutti i compagni che se la prendono con le Nazioni Unite, in un gioco al massacro che si presta benissimo alla smobilitazione dell’internazionalismo democratico propagandata con grande sfarzo dagli editorialisti atlantici. A preoccuparmi però non è Ferrando, ma che uso possono fare di Ferrando i media. Ricorderai la puntatona pre-elettorale di Matrix con Ferrando in gran spolvero. Prima della trasmissione, tutti i sondaggi davano la sinistra avanti di non si capisce quanti punti. Dopo è stato un flop. Mentana a fare da gran cerimoniere di questa rivoluzione della fuffa.

    Insomma, Tash, 1) Israele ha diritto a uno stato? 2) Tu sei d’accordo o no con “Due popoli due stati?” 3) L’attacco di Hezbollah alle fattorie della Shebaa del 12 luglio (7 soldati israeliani morti e 2 prigionieri) ha scatenato una “aggressione” o una “reazione” di Israele (il professor Chomsky citato da Galbiati se la sbriga così: “la fase successiva è stata aperta dal rapimento di due soldati israeliani, dicono al confine…”). E allora, Nasrallah come il partigiano Johnny? L’eventuale missione Onu a guida europea come la longa manus dell’imperialismo crociato e sionista? Israele come il Sud-Africa dell’Apartheid?

    Il professor Margalit è convinto che ci sia stata una sorta di saldatura tra ideologia e religione rivoluzionaria. E’ il sogno della rivoluzione “giusta”. Rivoluzione comunista (“futurista”) e rivoluzione islamista (“reazionaria”). Come pure “giusta” si autodefinisce la Destra Atlantica (futurista e reazionaria nello stesso tempo, è il bello del postmoderno).

    Terroristi rossi nella Russia zarista; terroristi anarchici nelle brigate antifranchiste; terroristi dell’11 settembre; terroristi atlantici in Medio Oriente. Interessante quel cenno di Marco Mantello a Shamir, campione del ‘terrore israeliano’.

    Margalit sostiene che è molto meglio sedersi al tavolo delle trattative e trovare soluzioni “decenti”. Decenti, non per forza “giuste”. Lasciamo Bibbie e Capitali nelle mani di Preti e Partiti e accontentiamoci di riforme più ‘umane’.

    @galbiati
    Senza dubbio il giudizio sul Sionismo è a tinte fosche. Figurati!, è stata messa in discussione addirittura la figura di Ben Gurion. Margalit fa pelo e contropelo al corrotto Sharon. Ci sono intellettuali come Finkelstein che hanno criticato “l’industria dell’Olocausto”, spiegando che più facciamo film (e soldi) sui campi di concentramento più coltiviamo il ‘fastidio’ europeo verso l’Ebreo, e quindi un antisemitismo sottile, non gridato, ‘di ritorno’. C’è chi ricorda le potenze alleate, la Gran Bretagna per esempio, che alla fine della seconda guerra mondiale non è che accolsero gli ebrei proprio a braccia aperte. La percezione dell’Olocausto, nel dopoguerra, era zero carbonella, e così si verificò il caso dei ‘cpt’ inglesi di Cipro (sempre per Ebrei). C’è anche chi denuncia gli ambienti del sionismo tedesco che patteggiarono con Hitler la scelta della Terra Promessa (su questi documenti storici però vorrei mettere le mani, sai com’è…).

    Edward Said, infine, ha invitato a non confondere le critiche alla politica di potenza israeliana con l’antisemitismo, molto prima che ci pensassimo noi. Ma da qui a dire che “Hitler era ebreo”, come leggo dal sempre stupefacente sito di Indymedia, ce ne vuole. Quindi non so chi si deve sedersi al tavolo per primo, me ne frego di questo galateo sotto le bombe, delle ragioni e dei torti. L’importante è che ci sia un tavolo, da qualche parte. E lontano da Teheran. Trattativa, compromesso, democrazia.

  65. Inglese l’ha specificato, non voler allargare troppo la sua analisi ma concentrarsi sul rapporto israelo-libanese. Eppure mai come in questa situazione credo sia opportuno ampliare il raggio d’osservazione. E’ possibile che dietro la cruentissima azione israeliana ci sia una precisa volontà degli Stati Uniti? Provocare una reazione siro-iraniana contro Israele per poter quindi avere mano libera, a livello di opinione pubblica, per un’azione militare su questi due paesi, da tempo nel mirino di Washington?
    (Spero sia solo esile fantapolitica eccitata dalla canicola estiva.. )

  66. antisemitismo allo stato puro. Ecco cosa leggo nei vostri post, ed ecco perchè non perdero’ il mio tempo a spiegare a persone offuscate dall’odio come voi per quali motivi Israele ha diritto ad esistere ed a difendersi. Purtroppo fino a che i vostri figli, fratelli o sorelle non rimarranno uccisi da un attentato terroristico di matrice islamica non potrete capire (E forse il vostro odio ve lo impedirà ancora….).
    Il vero nemico è il terrorismo islamico globale, che ha dichiarato guerra al nostro mondo occidentale, al nostro stile di vita, alle nostre culture e tradizioni. Purtroppo tra quelli come voi ed i vostri antenati che redigevano i protocolli dei savi di sion non vi è differenza, e per fortuna (come tanti prima di voi) voi scomparirete, mentre il popolo ebraico sopravviverà anche a questa aggressione.
    daniele

  67. ..ed io che ingenuamente pensavo il caldo facesse male solo a me.. vado a fare una bella doccia rinfrescante, forse è meglio che la faccia anche tu Daniele.. con cordialità

  68. @daniele
    grazie per l’attenzione. E’ sempre questo il limite dei commenti nel blog. Uno si siede, ce l’ha a morte con il mondo, e se la sbriga in quattro e quarantotto. Peccato.

    @claudio
    non è solo la canicola, ci arriveremo a Syriana. Che non è solo un film su cui farsi altre quattro risate, come pensano i cazzutissimi del giornalismo atlantico.

  69. “per fortuna (come tanti prima di voi) voi scomparirete, mentre il popolo ebraico sopravviverà anche a questa aggressione.”

    Siamo ben messi, non c’è che dire.

    All’odio, al razzismo e alla stupidità rispondono l’odio, il razzismo e la stupidità e via così, ping pong, tennis da tavolo per l’eternità.

  70. @caro marco
    ma davvero credi che io non sappia cos’è o -meglio- cosa dovrebbe essere l’antisemitismo?
    che l’antisemitismo è l’odio per il popolo ebraico vallo a dire a tutti gli ebrei, e ai politici, soprattutto di destra, che bollano come antisemite molte opinioni dichiarazioni e comportamenti nei confronti di Israele, compresi i miei, nel mio piccolo.
    dici che hai pena per la situazione dei civili in Libano: e allora perchè tu e altri ebrei non manifestate dissenso su come il governo e il Parlamento israeliani compatti si stanno comportando? Perchè si sentono solo voci di comunità ebraiche che difendono sempre e comunque Israele? e che sottintendono o dicono esplicitamente che chi si schiera contro Israele è antisemita?
    dici che Israele vive in mezzo al terrorismo: dicevi Israele o la Palestina? ti sei mai chiesto quanta sicurezza hanno i palestinesi nella loro terra? quale e quanto terrorismo subiscono? no, tu ti preoccupi solo dei poveri israeliani che ogni tanto rischiano di morire per un kamikaze.
    mai pensato che gli israeliani occupano coi militari da 40 anni, dico 40 anni, terre in cui vivono dei poveracci, sottoposti periodicamente a carri armati e bombardamenti aerei, come e quando Israele vuole?
    chi se ne frega se il kamikaze magari vive in povertà, ha visto la sua casa distrutta da un missile israeliano, è cresciuto con i carri armati israeliani sempre ben in vista, con i check point fissi e mobili che l’hanno sempre accompagnato mentre si spostava attraverso strade piene di macerie e magari ha visto pure molti amici e parenti morti o feriti perchè erano “effetti collaterali” di un bombardamento mirato verso un sospetto.
    io, se permetti sto dalla parte dei più deboli, dei più oppressi, dei senzaterra, e se permetti gli oppressi, i senza stato, senza terra anzi i reclusi nella loro terra, sono i palestinesi non certo gli israeliani.
    se tu andassi a manifestare per la liberazione dei territori occupati, e per la fine della guerra in libano, forse capirai meglio ciò che volevo dire. (anche Inglese non l’ha capito, ma credo per la fretta)
    @roberto
    non capisco che ne posso fare delle tue analisi se quando mi espongo e dico la mia su come va affrontato il problema israelo-palestinese in modo concreto, partendo da un giudizio etico (e giuridico, che dovrebbe venire di rimando) della situazione, tu mi rispondi che te ne frega come risolverlo. Ma allora che ne parliamo a a fare?
    cmq ti rispondo io per tashtego:
    1. Israele lo stato se l’è conquistato, ce l’ha già. Porsi il problema se ne ha diritto o no è assurdo: c’è ormai e non tocca più ad altri dire se debba esserci o no. semmai c’è il dovere che gli arabi israeliani non vengano discriminati.
    2 due popoli due stati, certo, è dal 1947 che dovrebbe essere così. peccato che gli arabi non l’hanno accettato. ma era giusta la spartizione prevista nel 1947, che assegnava allo stato ebraico più terra di quello arabo nonostante il fatto che gli arabi fossero in maggioranza? tu che ne dici?
    comunque ripeto: Israele c’è, è lo stato palestinese che manca, in compenso c’è l’occupazione israeliana sulla cui origine e finalità sarebbe bello discutere. Chomsky ha detto la sua. Io la penso così e cioè che i politici israeliani non riescono, di fatto, a concepire uno stato autonomo palestinese. posso sbagliarmi, ma mi aspetto dati convincenti per ricredermi.
    3. Israele ha aggredito il Libano, non ha reagito. La differenze e i distinguo sono importanti: gli hezbollah, non il Libano, hanno ucciso e rapito soldati.
    Israele bombarda e invade il Libano.
    @daniele
    hai ragione Daniele, io per te sono un antisemita.
    grazie del tuo intervento, qualcuno qui coglierà che la mia provocazione iniziale non era gratuita.
    non certo @temperanza
    che scrive che “All’odio, al razzismo e alla stupidità rispondono l’odio, il razzismo e la stupidità” del commento di Daniele. Vorrei sapere dove hai trovato un odio razzismo e stupidità simmetrici e antitetici a quelli che trasudano dal commento di Daniele.

  71. ma avete guardato una carta geografica della zona, di recente?
    secondo voi che forma dovrebbe avere lo stato palestinese?
    è un po’ tardi per la proposta di due stati, che resta in ogni caso la “migliore” e l’unica pensabile.
    detto questo voglio portare il discorso all’estremo.
    non credo che nessuna composizione sia ormai possibile, troppe ingiustizie, troppo odio, nessuna possibilità di instaurare un minimo di fiducia reciproca, troppi morti da ambedue le parti (ma i morti palestinesi sono molti di più).
    ogni composizione del conflitto che implichi un congelamento allo stato attuale è vista dai palestinesi come una sconfitta epocale, come la rinuncia a fare giustizia.
    l’accettazione della sconfitta richiede una lucidità che loro non hanno e non possono avere.
    ma sia chiaro che la parola “pace” significa “sconfitta” per i palestinesi.
    se aveste sedici anni e foste nati e cresiuti snella striscia di Gaza, cioè in una specie di riserva recintata, come vi sentireste?come considerereste la prospettiva di una pace?
    non stareste in un garage a costruire razzi?

    se non si fosse capito io sto coi palestinesi.

  72. tashtego,
    abbiamo scritto la stessa cosa nello stesso momento, vedi il tuo capoverso finale.
    se ti ricordi, la stessa cosa se la son fatta sfuggire anche berlusconi e andreotti non molti anni fa, incredibile vero?

  73. @Galbiati

    Ti ricordo che tu con me non parli, ma in ogni caso, visto che lo fai e mi chiedi dove li ho trovati:

    per esempio la settimana scorsa, quando una persona che lavora nell’editoria e che vota a sinistra mi ha detto che le uniche fregature le ha sempre ricevute dagli ebrei, che com’è noto nell’editoria sono in numero preponderante e si alleano per fare affari prevalentemente tra di loro.

    O un mese fa, quando ho sentito dire che gli ebrei sono molto intelligenti, anzi, il sale della terra, peccato che facciano gruppo e non si mescolino.

    O anche quand’ero bambina e non era ancora partita la campagna del politicamento corretto e sugli ebrei si avevano e si praticavano gli stessi bonari pregiudizi di prima della guerra, e si diceva ancora che “puzzano”, cosa del resto che ho sentito dire dei neri e persino dei russi. L’altro, come è noto, puzza sempre.

    Dunque avevo un orizzonte un po’ più largo che questa striscia di commenti, se non altro perché ho abbastanza buona memoria.

    Ma volendo posso dire che li ho trovati anche in frasi tue come questa:

    “mi chiedo quanto manca a dire che gli israeliani, in gran maggioranza, sono come i nazisti, e che gli ebrei della diaspora li assecondano.”

    O questa:

    “E se in gran parte sono come nazisti o terroristi, mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo: solo per rispettare quel 10-20% di ebrei capaci di criticare il terrorismo di stato israeliano, capaci di dispiacersi per l’immane uccisione di vite arabe?”

    O questa:

    “Mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo: ”

    O questa:

    “E quindi io dico a quegli ebrei, senza problemi: “buttatela pure nel cesso la Torah, che fate prima”.
    E chiedo a te, se l’antisemitismo oggi è diventato questo, mi chiedo cosa ci sia di male oggi nell’antisemitismo.”

    Frasi che scrivi, a quanto dici, a scopo “provocatorio”, evidentemente senza chiederti che effetto possono avere e cosa possono scatenare. Alla faccia del pacifismo, che ai miei occhi non riguarda solo il corpo, il sangue e la morte, ma tutto quello che finirà per provocare il sangue e la morte.

    Io penso che parole come queste tue che ho citato e come quelle che ho letto sul tuo blog fomentino l’odio.

  74. @temperanza
    dimenticavo: sicura che le mie frasi non fomentino il tuo di odio?
    comunque dato che per te sono io a fomentare l’odio antiebraico, non Israele e chi supporta i suoi metodi, dammi pure dell’antisemita anche tu, che mi fa piacere, da te.

  75. Lorenzo, in amicizia: le provocazioni bisogna saperle fare, altrimenti si piscia fuori dal vaso. Faccio davvero fatica a seguire i tuoi ragionamenti: quando leggo certe tue frasi “provocatorie” mi viene la nausea e mi passa la voglia di continuare a leggere. E questo “è male”.

    Sono cresciuto in mezzo agli ebrei (soprattutto libanesi, tra l’altro. Ma anche livornesi e egiziani). Da bambino, sapevo quand’era pesah prima della pasqua cristiana. Mia madre sa cucinarti una cena kasher senza sbagliare una pentola. Mia moglie, da ragazza, lavorò per anni in una famiglia ebrea e curò come un figlio suo il loro bambino, il mio primo lavoro l’ho trovato da un architetto ebreo. Il mio primo libro l’ho pubblicato grazie a Bruno Zevi. Ho assistito a circoncisioni, matrimoni, funerali, etc. sono sensibilissimo al discorso.

    Però… però c’è una cosa alla quale non so dare una risposta. E’ una cosa che sta nei numeri, nella crudeltà dei numeri: i morti israeliani, dall’inizio della seconda intifada, sono, rispetto quelli palestinesi, in un rapporto di 1 a 4.
    1 a 4.
    1 israeliano, 4 palestinesi. Questa assimetria c’è. Qualcosa di profondo significa. Anche se i palestinesi fossero un ammasso di terroristi assetati di sangue, antioccidentali, fondamentalisti, etc. etc. l’assimetria c’è.

    Hamira Hass è una delle giornaliste israeliane che cerca da anni di dare risposte sull’argomento.

  76. @galbiati

    E’ possibile che di te e soprattutto di quello che scrivi e diventa pubblico (che mi interessa di più) io non capisca niente. Anzi, è probabile. Ma non ti allarma non essere capito su un tema del genere? Parlassimo di metrica una incomprensione non sarebbe grave, sul conflitto mediorientale invece io cercherei di farmi capire bene, se volessi provocare, perché tutti capissero che la provocazione, se è tale, e il paradosso, se è tale, sono solo artifici retorici per spostare in avanti il discorso, per fare progressi nella discussione.

    Ma è molto difficile capirlo in quel che scrivi, anzi, quasi impossibile.

    Poi tu sposti il discorso su un’antipatia personale tra te e me. Io non la provo, non ho sentimenti nei tuoi confronti, né negativi né positivi, ho solo reazioni di fronte alle tue parole, cosa che mi pare non accada da parte tua, benché tu dica a Inglese questo:

    “io sono perfettamente d’accordo con te nel giudicare le idee, le azioni e non le persone; e sono d’accordo con te sul fatto che cmq un’idea guasta può guastare una persona.”

    Bene, questa tua idea io la condivido, e se l’hai detta sul serio forse varrebbe la pena che alla luce di questa tua idea tu rileggessi quello che hai scritto.

  77. “La politica di Israele consiste proprio nel tenere in ostaggio intere popolazioni”

    Gilbert Achcar[1], intervista di Paola Mirenda per Liberazione – 15/7/2006

    Il 20 luglio 2006, esattamente un anno dopo il nostro ritorno dai Territori Occupati[2], Tsahal (l’esercito israeliano comunemente noto come IDF – Israeli Defense Force) è al settimo giorno di bombardamenti sul territorio libanese.

    Esattamente un anno dopo il nostro ritorno mi trovo su un autobus diretto verso il posto dove lavoro (e neanche per un istante penso ai brividi provati percorrendo Tel Aviv – Old Yafo sullo stesso tipo di mezzo un anno prima): è estate, sono circondato da ragazzi in tenuta da spiaggia, apparentemente lontanissimi da qualsiasi “idea” di guerra. Uno di loro ha un giornale, in prima pagina un’immagine delle macerie di Beirut cattura la sua attenzione: il ragazzo, credo abbia più o meno la mia età, si lascia scappare un commento, un commento che include un “…peccato per Hitler …poteva almeno finire il lavoro”. E’ un commento che, in un contesto simile, può scappare. Ma è un tipo di commento destinato a trovare sempre più spazio tra le parole e nella mente dei ragazzi, degli uomini e delle donne che percepiscono, al di là della fittissima rete di controllo dei media ufficiali, l’arroganza e il disprezzo per la vita umana che caratterizza la “sproporzionata” (questo l’aggettivo più in voga nei discorsi del nostro Ministro degli Esteri) reazione della politica dello stato d’Israele a fronte del “rapimento” di tre suoi militari.

    E’ un tipo di commento che, in qualsiasi caso, non può tuttavia essere giustificato. Perché è sulle parole, anche e soprattutto su quelle del “senso comune”, del commento estemporaneo, del giudizio sarcastico frettoloso, della generalizzazione saccente, che si edificano i risentimenti e le ragioni di un conflitto.

    La guerra non è fatta solo di operazioni militari e diplomazie fallite, la guerra si costituisce e si porta avanti nelle parole, nell’apparente formalità d’uso delle parole che, nei fatti, plasmano e distorcono i contenuti e la stessa realtà quando diventano pubbliche; il conflitto che infiamma il Medio Oriente, e che trova costante alimentazione nell’insostenibile situazione israelo-palestinese, ne è un caso emblematico. Per capirlo, prendiamo ad esempio quanto detto fin qui, i termini toccati: le forze armate di Israele, che sono forze di occupazione militare su territori che non fanno parte dello Stato d’Israele, sono definite forze “di Difesa”; l’aggettivo “sproporzionata” viene utilizzato al posto di “illegittima” (reazione, tradotta in invasione di uno Stato sovrano, il Libano, con attacchi diretti ai civili, in totale disprezzo del diritto internazionale[3]); “rapiti”, aggettivo di norma utilizzato per i civili vittime di rapimento, sostituisce (nei grandi media occidentali) un più consono “fatti prigionieri” dato che si tratta di militari in servizio caduti in un’imboscata..

    Sembrano dettagli, non lo sono[4]. Questa forma spregiudicata di controllo e propaganda non è assente dall’“altra parte” dove, trascurando le finezze e le sfumature più o meno “laiche”, assume connotazioni marcatamente religiose, almeno nei temi.

    Non sono dettagli perché nel momento in cui ci si scopre, in qualità di cittadini di uno Stato sovrano e con un governo democraticamente eletto, giocoforza “partigiani” dell’una o dell’altra, opposta, propaganda – e per scoprirlo basta vedere l’uniformità con cui i media ufficiali ci propinano le notizie – qualsiasi ipotesi di equivicinanza viene a cadere: tecnicamente noi italiani, così come in linea di principio l’Unione Europea, “sosteniamo” la politica dello stato d’Israele[5]. E la politica dello stato d’Israele è in conflitto con la popolazione (perché, non dimentichiamoci, Hamas è stato democraticamente eletto, e per ottime ragioni, e Israele non si è limitato a non riconoscerne l’autorità, ma ne ha arrestato 8 ministri alla fine di Giugno) palestinese che risiede nella West Bank e nella striscia di Gaza.

    A questo punto che senso ha indignarsi, da parte dei professionisti dell’umanitario, per la sospensione dei finanziamenti dell’Unione Europea all’Autorità Nazionale Palestinese nel momento in cui è una decisione pienamente coerente con le politiche di sostegno ad Israele? Perché meravigliarsi e denunciare il “tentativo da parte della Ue di sostituire le ONG all’Autorità palestinese[6]” quando il disegno che viene tracciato era chiaro già da prima della vittoria (ufficiale) di Hamas?

    Vediamo, nel dettaglio, su quali presupposti si basa questo “disegno”:

    – Israele non può assimilare tre milioni e mezzo di palestinesi: non potrebbe garantir loro gli stessi diritti civili degli israeliani perché perderebbe, nel tempo e in considerazione del tasso di crescita dei palestinesi, la peculiarità di Stato ebraico. Questa compattezza “di razza” artificialmente costituita[7] e militarmente mantenuta[8] consente ad Israele di risultare, da “corpo estraneo” inassimilabile a sua volta, costante fattore di instabilità nell’intera regione mediorientale. Una instabilità che non lascia, ai paesi confinanti, nessuna possibilità di pianificazione dello sfruttamento delle risorse dell’area a tutto vantaggio delle compagnie private sostenute dalle potenze straniere (dagli USA[9] all’Arabia Saudita) che direttamente o meno sostengono la stessa Israele;

    – Israele non può cacciare tre milioni e mezzo di palestinesi, tantomeno eliminarli;

    – Israele non può permettere l’esistenza di uno Stato Palestinese unitario e stabile: sarebbe un grosso rischio per la sua stessa sopravvivenza[10], nonché la perdita di un grosso bacino di consumatori.

    A fronte di questi presupposti, la soluzione adottata dalla politica Israeliana a partire dal 1967, e in seguito sempre più raffinata, è stata quella di tenere “in ostaggio” questi tre milioni e mezzo di persone attraverso una serie di finti accordi[11] che hanno portato all’esistenza di una serie di piccole riserve chiuse (le città e le aree urbane della West Bank, ovvero il 22% della Cisgiordania, mal collegate tra loro) e una grande fascia di concentramento, la striscia di Gaza, considerata il più grande ghetto del mondo. Si può capire di cosa sto parlando solo tenendo sotto gli occhi una cartina dell’area[12]: la “Palestina” è un arcipelago di terra, una serie di isole recintate ed occupate dall’IDF e dai suoi check-point. Un sistema di prigioni a cielo aperto, collegate da strade dalla percorribilità limitata, sufficientemente facili da gestire e controllare per un esercito efficiente e ben equipaggiato come quello israeliano.

    Abbiamo parlato dei presupposti e delle soluzioni, per così dire, “logistiche”, ma non del “disegno”. Qual è questo disegno, e perché sembra così chiaro?

    Il disegno (che in realtà è l’unica soluzione politicamente sostenibile per Israele) è il mantenimento dello status quo in attesa di soluzioni migliori (o, se possibile, in eterno): togliere i fondi all’ANP e metterli nelle mani delle ONG umanitarie è un tentativo di decapitare qualsiasi iniziativa politica da parte dei palestinesi senza farli morire di fame, cioè fare in modo che sopravvivano in queste riserve – già realizzate – al di sopra del livello di povertà grazie agli aiuti umanitari. Fare in modo che sopravvivano senza uno stato, senza iniziativa e senza essere israeliani.

    E’ in vista di questo “traguardo” e del ruolo “ibernante” che le ONG finirebbero per assumere in Palestina che va riconsiderato tutto l’intervento umanitario e l’efficacia delle reti di solidarietà: quanto può essere utile mettere in piedi un progetto che non può avere continuità[13], che non può avere senso se non nel breve periodo ma concorrendo, allo stesso tempo, a peggiorare la situazione nel lungo periodo, reiterando l’assenza di iniziativa e, addirittura, ostacolandola? Quanto è utile continuare ad essere supportati da uno Stato che si pone come imparziale ma imparziale non è? Quanto è fattibile portare avanti “sul terreno” un discorso umanitario indipendente dalla politiche nazionali e apertamente critico verso quelle israeliane?

    Il rischio è quello di operare, in qualsiasi caso, per consentire a tre milioni e mezzo di persone di sopravvivere senza uno stato, senza iniziativa e senza essere israeliani. La preda migliore per gli interessi delle potenze arabe della regione, una preda già da tempo strumentalizzata.

    Ma Israele cosa ci guadagna? Israele qualcosa (molto) ci perde: l’enorme apparato di controllo preposto al mantenimento di questa situazione paradossale richiede ingenti risorse (ad un paese non autosufficiente[14]); un tributo, estremamente circoscritto ma costante, di vite umane; il blocco dello sviluppo della stessa Israele che, oltre a costringere lo Stato ebraico a tenere in ostaggio la sua stessa popolazione, rende improponibile la prospettiva del “mantenimento dello status quo” ad libitum. Senza considerare l’aver messo alla luce due generazioni completamente militarizzate e plagiate da un “paradigma della difesa” che sarà impossibile sradicare. Senza considerare la reazione violenta dei palestinesi, inefficace dal punto di vista militare ma in grado di far vivere gli israeliani in un sistema di allerta e sospetto permanente che sarà difficile sostenere per sempre. Senza considerare che le simpatie verso Israele dell’opinione pubblica occidentale vanno scemando con incredibile rapidità[15], proporzionalmente a quelle dirette verso gli Stati Uniti, con l’aggravante “razzista” legato al retaggio ebraico…

    Ecco che spunta, effettivamente, lo spettro di un nuovo antisemitismo – un antisemitismo strano, cervellotico, creato su immagine e somiglianza della brutalità militare israeliana e non sui soliti stereotipi dal naso adunco. I più attenti, però, si accorgono che spesso quello che si vorrebbe far passare per antisemitismo, cioè per un’antipatia genuinamente “razzista”, è in realtà antisionismo, ovvero qualcosa che si pone contro un movimento politico (così come potrebbe essere “antinazismo”), uno tra i più longevi di quei movimenti che, nati in Europa alla fine del XIV secolo, ponevano “sangue e suolo” tra i valori principali da perseguire. Per questa sua componente “razzista”, il sionismo – ovvero l’ideologia di base dell’attuale politica d’Israele – fu giudicato “una forma di discriminazione razziale” dalla risoluzione ONU 3379 del 10/11/1975 (poi abrogata dalla 4686[16] del 16/12/1991 – non appena “terminata” la guerra fredda).

    Esistono molti gruppi di ebrei, dagli attivisti per i diritti umani agli ultraortodossi, apertamente antisionisti e in contrasto con le politiche di Israele – nessuno si sognerebbe di chiamarli “antisemiti”.

    Sembra questo dell’antisionismo un distinguo di comodo, utile a mascherare una nuova forma di razzismo antisemita, eppure questo distinguo potrebbe tornare utile quando, per contrastare una battuta che inizia con “…peccato che Hitler” sarà facile separare un’ideologia di stampo neocon da una razza e/o religione, ed una causa storica da un suo effetto.

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    [1] Gilbert Achcar, libanese, scrive per Le Monde Diplomatique ed insegna Scienze Politiche all’Università di Parigi-VIII (Saint-Denis). Il testo completo dell’intervista, in traduzione italiana, è disponibile all’indirizzo: http://www.zmag.org/Italy/achcar-doppioattaccoisraele.htm .

    Per la versione originale (in inglese): http://www.zmag.org/content/print_article.cfm?itemID=10581&sectionID=107 .

    [2] Dal 19/6 al 20/6/2005 chi vi scrive ha partecipato, nell’ambito del corso regionale per peacekeeper – mediatori di pace, ad uno stage nella West Bank per monitorare i progetti di cooperazione e sviluppo di organizzazioni non governative italiane e straniere.

    [3] Giova a questo proposito ricordare che non è una novità per Israele ignorare le elementari regole del diritto internazionale: ci sono 72 risoluzioni (dalla 93 del 18/5/1951 alla 1435 del 24/9/2002) del Consiglio di Sicurezza [CS] delle Nazioni Unite, più della metà delle quali disattese, che esprimono condanna all’operato di Israele. E’ possibile consultarle tutte in questa pagina del sito delle Nazioni Unite: http://www.un.org/documents/scres.htm. Avendo in mente questa cifra record, resa possibile grazie allo strumento “veto USA”, non senza ironia si può accettare per valida la pretesa di Israele di far rispettare la risoluzione 1559 del 9/2004 sul disarmo delle milizie di Hezbollah relativamente al “nuovo” conflitto in atto.

    [4] In proposito consiglierei un testo, “LTI – La lingua del Terzo Reich” di Victor Klemperer [ed. Giuntina, 1998]. Klemperer, filologo nonché ebreo tedesco, scrisse una serie di taccuini, in codice, durante la dittatura nazista. Questo libro, pubblicato nel 1947, li raccoglie in maniera organica, restituendoci il frutto delle osservazioni del professore: il modo in cui la lingua della propaganda (nell’esempio nazista) costruisca nuovi lemmi e nuovi ordini di pensiero, sostituisca vecchie parole a nuovi significati, costringa le stesse vittime del regime a farvi ricorso instaurando un processo di cattività e oppressione non solo fisica ma soprattutto mentale. Il testo è altresì molto interessante perché sottolinea le linee di convergenza tra l’ideologia alla base del sionismo di Herzl e i deliri nazionalsocialistici del Mein Kampf di Hitler.

    [5] Basti ricordare, in occasione dei festeggiamenti del 58° anniversario dell’indipendenza di Israele all’Hotel Excelsior di Roma, come l’ex premier Berlusconi ed il neoeletto Prodi si siano trovati uniti nel brindare allo stato ebraico. Berlusconi ha poi dichiarato “L’Italia tutta, non quella divisa in due, non quella del centrodestra e del centrosinistra, sarà sempre al fianco di Israele come baluardo della difesa della sua democrazia e della sua libertà […] Israele è parte fondamentale dell’Occidente ed è un paese europeo […] come capo dell’opposizione sono sicuro di essere in piena sintonia su questi temi con la sinistra che avrà la responsabilità di governo […] Tutti noi, tutti gli italiani, siamo israeliani” [da Il Giornale n.104 del 4/5/2006]. Presenti, per l’occasione, sia Fini – all’epoca ancora Ministro degli Esteri – che D’Alema, il quale ha dichiarato “Su questo tema, la difesa di Israele, non c’è una politica di parte in Italia, ma una posizione che appartiene a tutto lo schieramento politico democratico” [ibid.]

    [6] Come risulta da un appello congiunto lanciato, nel maggio 2006, dalle stesse ONG italiane attive in Palestina. Fonte: http://unimondo.oneworld.net/article/view/132989/1/?PrintableVersion=enabled

    [7] Sull’assenza di una “costituzione” dello Stato d’Israele e sul modo in cui una manciata di Leggi Fondamentali tengano insieme la contraddittoria definizione di Stato “democratico” ed “ebraico” (generando una pericolosa asimmetria nell’estensione dei diritti civili ad ogni cittadino), segnalo l’articolo “Razzismo democratico” di Jonathan Cook [da Al-Ahram Weekly del 8-14 e 15-21 luglio 2004] disponibile in traduzione italiana qui: http://www.tsd.unifi.it/jg/it/index.htm?surveys/palestin/cook.htm

    [8] In Israele la leva è obbligatoria per ebrei, drusi e circassi e dura, a partire dai 18 anni, tre anni per gli uomini e due per le donne. Dopo la leva obbligatoria tutti gli uomini vengono richiamati per un mese all’anno fino ai 45 anni.

    [9] Sull’influenza dell’AIPAC – American Israel Public Affairs Committee – (la più potente lobby statunitense – dopo quella dei pensionati) sulla politica estera statunitense, è disponibile un saggio online [in inglese] di J. Mearsheimer e S. Walt: http://ksgnotes1.harvard.edu/Research/wpaper.nsf/rwp/RWP06-011/$File/rwp_06_011_walt.pdf

    [10] Eventuali alleanze di questo futuro Stato palestinese con paesi arabi dalle velleità egemoniche (Siria, Iran) sarebbe troppo rischioso per Israele.

    [11] “Il cosiddetto processo di pace [del periodo 1991-2001] venne interpretato dalla classe politica israeliana come la continuazione della guerra contro i palestinesi con mezzi politici” Michelguglielmo Torri, curatore de “Il grande Medio Oriente nell’era dell’egemonia americana” [ed. Bruno Mondatori, 2006].

    [12] E’ proprio vedendo questa cartina che Arafat rifiuterà la “generosa offerta” di Barak durante gli accordi di Camp David del 2000. Un rifiuto che fece fallire gli accordi e risultò, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, “inspegabile”.

    – Occorreranno alcuni mesi prima che si riesca a superare la soglia della disinformazione e a recuperare elementi complessivi che permettano di capire finalmente il rifiuto di Arafat a ciò che mai nessun governo israeliano gli avrebbe proposto. La prima difficoltà che ci viene incontro è che per lungo tempo dopo il vertice non si sono mostrate carte geografiche che permettessero di capire quale tipo di stato veniva “generosamente” offerto da Barak ai palestinesi. Si sarebbe così visto che il territorio della Cisgiordania appare spezzettato dalle colonie israeliane in tre aree, per due delle quali non c’è nessun collegamento se non attraverso strade dello stesso Israele, che possono essere chiuse a discrezione del governo israeliano – in Margherita Platania, “Israele e Palestina” [ed. Newton, 2005]

    All’indirizzo http://www.khalas.it , nell’area download è possibile trovare una raccolta di cartine della West Bank e di Gaza.

    [13] Un’attività di microcredito, quando ben programmata e realizzata (cosa già di per sé non facile), indubbiamente ristabilisce possibilità di produzione precluse dalla situazione palestinese. Ma quante attività possono aspirare alla continuità in una situazione così precaria? Le poche che ho visitato sono terminate nell’arco di due-tre mesi successivi senza lasciare traccia.

    [14] Ma che riceve dagli USA 3 miliardi di dollari l’anno in assistenza diretta (senza contare gli aiuti in materiale bellico e in informazioni di intelligence).

    [15] Anche perché il sistema di controllo delle informazioni viene duramente provato dall’esistenza di Internet…

    [16] Ci sono dei dettagli interessanti riguardanti questa risoluzione:

    – è tra le risoluzioni ONU dal testo più corto in assoluto (“The general assembly decides to revoke the determination contained in its resolution 3379 (XXX) of 10 November 1975”)

    – fu chiesta e introdotta personalmente da Gorge Bush padre con una formula (l’uso strumentale dell’olocausto) che poi diventerà nota: “…to equate Zionism with the intolerable sin of racism is to twist history and forget the terrible plight of Jews in World War II and indeed throughout history.”

    Su Wikipedia è disponibile una buona parte del discorso introduttivo del presidente Bush, molto interessante per rintracciare i forti legami tra il sionismo e i neocon statunitensi:

    http://en.wikipedia.org/wiki/UN_General_Assembly_Resolution_4686

  78. @Biondillo

    Sono d’accordo con quello che dici, anch’io faccio quel conto, e non solo quello dei morti, ma del numero delle lauree, delle possibilità, delle aspettative di vita, di salute, di futuro, di sviluppo, di speranza.

  79. Caro Gianni, dove sono le frasi provocatorie se non nel mio primo commento, che si chiudeva con un Chiedo?
    Lì volevo aprire la discussione sull’appiattimento della comunità ebraica internazionale (salvo le eccezioni, che ci son sempre) sulle posizioni di Israele e su quanto poco ci vuole oggi per prendersi dell’antisemita da chi difende (Israeliani, ebrei, politici) comportamenti terroristici gravissimi (già la sola occupazione dei territori palestinesi di per sè è un fatto gravissimo) come quelli di Israele.
    E’ da lì che occorre chiedersi cosa significa essere etichettati come antisemiti oggi.
    Comunque se avessi scritto solo quel commento avrei potuto essere frainteso in buona fede.
    Ma con tutto quello che ho scritto, e dopo i commenti di Turco e di Daniele, a un certo punto, chi vuole intendere intenda.
    E comunque non è detto che scrivere cose che facciano venire a te od altri nausea sia “male”: anch’io ho nausea di molti discorsi.
    Soprattutto, io ho nausea di guerre e sete di pacifismo e certo non mi aiuta leggere l’israeliano Amos Oz, considerato progressista e vicino ai pacifisti, invitare i pacfisti israeliani a sostenere la guerra al Libano.

  80. Come ho spiegato nel mio “Occhio pin occhio. Impossibilità dell’esodo”, le bugie hanno le gambe corte ma le braccia lunghe: semplicemente imprigionano, incastrandosi in una specie di matrioska mentale. L’ormai defunta psicanalisi cercò di contrappuntare il tema sulla paranoia, che come noto è un castello in aria a fondamento reale. Prendiamo per buona la cosa: avremo comunque un ghetto interiore, per cui l’esodo sarà sì possibile dai confini esteriori, ma mai da quelli interiori. Non che negata, la shoah perciò continua: un olocausto irreparabile delle energie migliori (dato l’assioma: si vive una volta sola).

  81. E cosa fai per “stare” con i palestinesi, @Tash? Che cosa fai, mi chiedo. O dici “sto con” così per dire?

    Che cosa FAI se scrivi:

    “non credo che nessuna composizione sia ormai possibile, troppe ingiustizie, troppo odio, nessuna possibilità di instaurare un minimo di fiducia reciproca, troppi morti da ambedue le parti (ma i morti palestinesi sono molti di più)”

    Perché come sempre l’assurdo del nostro “stare con” è l’impotenza e la risibilità di questo stare.

    E’ interessante il discorso sulle ONG riportato da Diego. Mi ha fatto molto riflettere. I palestinesi sono ostaggio di tutti gli attori del conflitto, e come popolo sono ostaggio della loro stessa dirigenza, da Arafat in poi, se la memoria delle mie letture di Said non mi tradisce.

  82. @diego
    L’ultimo commento di Diego per me potrebbe diventare un post (ecco a cosa servirebbe il wikispazio di cui parla Jan, a lavorarci su questi benedetti pezzi!, redazionalmente).
    (a proposito, Diego, sono tutti e due i roberti che hai detto, diciamo che ho una prosa alla Joker. Però non sono il terzo, la colombina. Proprio no. Sulla “essenza” di quello che dici vedi sotto. E’ sempre un piacere leggerti).

    @claudio (non è la canicola)
    @egregio dott. Guido Turco
    Samir Kassir è uno scrittore libanese di origini siropalestinesi. Un giornalista e uno storico del suo paese. Scrive che la Siria è un regime del cazzo, una sporca dittatura. Nel 2001 si avventura tra gli attivisti della “Primavera di Damasco”. I servizi libanesi e siriani lo tengono d’occhio.

    Nel 2004, Kassir fonda un partito, “Sinistra democratica”, anticapitalisti e antimullah. Quando viene assassinato Hariri (l’ex primo ministro libanese), il nostro Kassir scende in piazza. Ed è dopo quelle grandi manifestazioni popolari che il governo siriano capisce che è meglio ritirarsi dal Libano.

    Il 2 giugno 2005, Kassir entra in macchina, gira la chiave e salta in aria. La Siria nega ogni coinvolgimento. Ma è un avvertimento. La rivoluzione dei cedri sta per essere estirpata. Dopo Kassir, una graticola di omicidi arrostisce Beirut. A chi dava fastidio la sinistra democratica libanese?

    Alla Siria, senza dubbio. Ma dopo la morte del presidente Hariri qualcuno ha insinuato che sotto ci sia lo zampino di qualche intelligence straniera. Non vorrei essere nei panni del dottor Turco per la gastrite che gli procurerò in questo momento, ma devo nominare il Middle Est Forum e lo U.S. Committee for a Free Lebanon (USCFL).

    Se non soffrite troppo la canicola provate a seguirmi in questo ragionamento. Un film come “Syriana” ci insegna che il potere atlantico è proteiforme, ha scatti democratici e spinte conservative. Idealmene vorrebbe esportare democrazia, materialmente non ci riesce.

    Come fa giustamente notare Diego, Hariri stava cercando di fare quella ‘grande coalizione’ che inseguiamo tutti come una chimera. E se vuoi fare una politica di appeasement devi pescare anche in Amal-Hezbollah, che infatti alle elezioni del 2000 aveva garantito ad Hariri il voto del Libano meridionale. Gli atlantici, però, con Hezbollah non vogliono averci niente a che fare.

    In un post dell’AEI, il dottor Michael A. Ledeen scrive che l’amministrazione americana si sta appisolando nella solita siesta diplomatica. Con la scusa di preservare la stabiltà dell’area mediorientale finiremo per fare la pace con Hezbollah. Ledeen se la piglia con la Cia, con le inutili iniziative di pace per gli innocenti (“peace-initiative-for-the-innocents”), con quelli che dicono ma dai, la Siria ci ha sempre aiutato, Assad è giovane, ci sta provando, ce la sta mettendo tutta, e in fondo abbiamo ancora molti amici a Damasco.

    Secondo l’analista dell’AEI, tutto questo mormorio vigliacco ha un solo nome: temporeggiare. E i romani non indietreggiavano mai, quando l’hanno fatto hanno sempre perso. La guerra contro Hezbollah è un capitolo locale della lotta al terrore globale.

    Mi segue, dottor Turco? Se il contesto è questo, vuol dire i governissimi di Hariri o di Siniora sono una buffonata? “Con l’assassinio di Hariri in Libano”, è un minaccioso comunicato diffuso dal USCFL, “i basisti siriani sono fuori controllo. Chi sarà il prossimo?”.

    Non sto dicendo che uno spietato killer della delta force ha fatto fuori Hariri, lo so che Lei non guarda certa robaccia di serie B. Ma ho come l’impressione che la morte di Hariri, e di Kassir, potrebbe soddisfare parecchi attori in questa vicenda (diego, l’essenza è intangibile, ci scorre sopra, intorno, non possiamo che intuirlo, capirlo è ancora troppo presto).

    Mi dirà, dottore, che sono tortuose narrazioni che non portano a niente. Oggi la Rice ha provato ad aprire le trattative, ma nisba. Un volo a Beirut e via verso i consoni lidi romani. Ma Olmert no, lui ha già preso le distanze dal “Libano democratico”. Lavora con una risoluzione ONU alle spalle che praticamente dice la stessa cosa che stanno facendo i militari israeliani: disarmare Hezbollah. Lo confermano le bellicose dichiarazioni di questi giorni, in cui il presidente israeliano sostanzialmente rifiuta di trattare con Siniora fino a quando continueranno i lanci di razzi.

    Gli alleati atlantici vedono nella ‘lentezza orientale’, nei bizantinismi della politica di Beirut, un modo per svincolarsi dalla tutela occidentale. Siniora morde il freno, come il suo predecessore. In patria vuole dialogare con tutti: qualche tempo fa i ministri sciiti di Amal-Hezbollah erano usciti dal governo, perché il giovane premier si era messo in testa di fare troppe domande sugli omicidi eccellenti come quello di Kassir. Ma poi Siniora deve averci ripensato, e i ministri ribelli sono rientrati di corsa nell’esecutivo. Il presidente Siniora ha dichiarato che il “Partito di Dio” combatte per la “Resistenza” del Libano.

    Gli americani hanno scaricato sull’Europa la parte diplomatica della crisi libanese. Non perdono tempo con chi definisce resistenti i terroristi. La tabella di marcia atlantica è regolata sull’ora della IV guerra mondiale: “Mettere fine all’occupazione siriana in Libano”, come ammoniva un rapporto firmato dai warlords della destra atlantica nel 2000.

    Il countdown sulla Siria è partito già da un bel pezzo, ma Bush e Blair latitano, si crogiolano negli ozi afgani e irakeni. Meno male che c’è Israele in prima linea, a combattere contro il terrorismo. Tel Aviv risolverà il dossier regionale libanese.

    A questo punto, non resta che sperare ancora una volta nelle diplomazie, nei giochi più o meno sporchi dell’intelligence. Che cosa potrebbe tentare l’Italia una volta che si trovasse coinvolta nella missione umanitaria in Libano?

    Hezbollah è un “Majlis ash Shura”, un consiglio consultivo di venti membri, in prevalenza uomini di fede. Prendiamo le misure ai colleghi di Nasrallah, andiamoli a trovare nelle loro corti di Al Biqa e Al Janub, nella Valle di Beka, nella zona Ovest di Beirut (probabilmente sta già succedendo).

    Ricordiamoci che il ‘consiglio’ di Hezbollah ha il potere di creare e destituire califfi se questi ultimi vanno contro la morale del Corano. Facciamogli capire che lanciare missili da un condominio di Beirut mentre nell’altra stanza i bambini fanno colazione non è morale, normale, accettabile. Non dobbiamo convincerli a fare la cosa giusta. Solo impedirgli di fare quella sbagliata. Schieriamo le truppe dell’ONU. E blocchiamo l’avanzata israeliana.

    @galbiati libero
    “poveri israeliani che ogni tanto rischiano di morire per un kamikaze”
    (marinetti?! era niente in confronto)

    “gli hezbollah, non il Libano, hanno ucciso e rapito soldati”
    (Sono 33 i deputati del Blocco della Resistenza e dello sviluppo di Amal-Hezbollah nel parlamento libanese)

    @tash
    “l’accettazione della sconfitta richiede una lucidità che i palestinesi non hanno e non possono avere”. (Anche l’italia ha impiegato molto tempo per fare i conti con la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Eppure siamo qui. E’ inutile precludere possibilità ai palestinesi).

  83. @roberto
    prendo atto che non rispondi mai nel merito e ti limiti a riportare dati o peggio a fare battutine su frasi estrapolate per schernire me, ad es. che mai mi son preso gioco di ciò che hai scritto.
    la serietà è un’altra cosa.

  84. Vi sto seguendo, ringrazio Diego e Roberto per gli ultimi 2 post. Non è facile farsi un’opinione coi media che ribaltano i codici linguistici pasturando nei luoghi comuni, quindi grazie per la chiarezza di alcuni vostri passaggi.

  85. MI CORREGGO:
    @roberto
    prendo atto che non rispondi mai nel merito e ti limiti a riportare dati o peggio a fare battutine DEL CAZZO (PRIMA IL GHETTO DI ROMA, ORA MARINETTI) su frasi estrapolate per schernire me, ad es. che mai mi son preso gioco di ciò che hai scritto E CHE TI HO RISPOSTO SEMPRE ARGOMENTANDO A LUNGO.
    TI CREDI TANTO SUPERIORE?
    BE’, SONO CAPACE DI SFOTTERE ANCH’IO, MA NON E’ QUESTO IL LINGUAGGIO CHE PREFERISCO. PERO’, SE INSISTI, VEDRO’ DI ADATTARMI.

  86. Io ho sposato una donna italiana, di religione ebraica. Una donna che si sente italiana naturalmente, che ha anche parenti in Israele. Mio figlio quindi è “naturalmente” ebreo. Questo per me è stato il secondo matrimonio. Cosa c’entra tutto ciò? E che io sono entrato nel mondo ebraico da grandicello, ho iniziato a capire le paure, i rancori e i desideri, da un altro punto di vista. Per forza di cose mi sono sentito coinvolto, emotivamente coinvolto. Mia moglie, come ogni persona di cultura, soffre della situazione per il libano, per i libanesi. Anch’io, naturalmente vedo quello che vedono tutti. Ma tutti, non vedono quello che non si può vedere, ma non possono neppure sentire quello che non possono sentire. E’ un discorso un poco complicato, che inizia da lontato, che inizia da un inizio pretestuoso, da un monoteismo mai completamente “digerito”. E’ questa, terminologia assolutamente impropria, “digerito” è un termine brutale, ma non ne trovo degli altri, saprete perdonarmi. Gli israeliani di religione ebraica sono destinati a scomparire. Gli israeliani di religione islamica fanno molti più figli. Sembra una provocazione detta così, ma fra non molto, la maggioranza di israeliani, saranno di religione islamica. Quando questo avverrà, avremo un altro “libano”… altre nazioni, altre etnie, o quelle che oggi si dividono il territorio M.O. continueranno a dividersi quello che è indivisibile. (un monoteismo) E’ un discorso stupido, ma in questa stupidità, un poco di verità.

  87. se scrivo che sto con i palestinesi, voglio significare che fondamentalmente li ritengo vittime di una catena storica di indicibili sopraffazioni.
    una volta “stare con i palestinesi” non voleva dire far parte di un’associazione di volontari che aiutano, ma di organizzazioni politiche (partiti) che lavoravano per una pace giusta.
    oggi esistono ancora?
    la differenza tra politica ed etica era nella distinzione tra piani dell’agire (e del pensare).
    in ogni caso, temp, ho smesso di sentirmi responsabile in prima persona per i mali del mondo.
    oggi la reazione tipica è quella di tipo cattolico, a-politica ed essenzialmente di soccorso: cioè largo alla pietas, perché la politica non la vuole più nessuno e il modello di comportamento diventa teresa di calcutta.
    io sono di un’altra scuola.
    roba vecchia.

  88. Lo scritto di sopra, di Michele, così sentito e così sensato,
    mi ha colpito nel vivo.
    E gli israeliani di religione cristiana, quelli malvisti da islamici e da israeliti (più da quest’ultimi francamente) come la vedono la situazione?
    MarioB.

  89. @Tash

    “in ogni caso, temp, ho smesso di sentirmi responsabile in prima persona per i mali del mondo.”

    fai bene, io ancora non ci sono riuscita, e non avendo alcun modo per risolverli cerco di fare ordine come posso, almeno nel linguaggio.

    nel linguaggio comune, che per il linguaggio in senso alto non ho né i mezzi né gli strumenti.

  90. @diego
    Giorgio Israel affonda il bisturi in quello stallo, in quella incapacità di trovare sempre nuovi punti di vista, in quella subalternità della sinistra agli idealismi vittoriosi di questi anni, in quella paura di cambiare le proprie idee che è come un macigno, una sorta di pietra sopra tutte le contraddizioni, un letargo dialettico che costituisce anche il limite della mia piccola inchiesta sull’islam e di tante cose che scrivo (che scriviamo). Dice Israel riferendosi alla banda dei quattro ‘intellettuali contro’ (John Berger, Noam Chomsky, Harold Pinter, José Saramago): “Ma le ragioni per cui i nostri quattro cervelloni hanno bisogno di dire che ‘le vere vittime sono i palestinesi’ non hanno nulla che vedere con la realtà ed esprimono piuttosto in modo paradigmatico tutta la nevrosi degli intellettuali del postcomunismo. Di autentica nevrosi si tratta perché il crollo del comunismo ha lasciato i suoi adepti e i suoi simpatizzanti o fiancheggiatori in uno stato di schizofrenia. Non hanno più un progetto, non hanno una prospettiva, né l’ideale di una società senza classi da costituire. Resta solo la critica del capitalismo e dell’imperialismo. Ma una critica senza progetto razionale non può essere scientifica, neppure nel senso in cui pretendeva di esserlo il marxismo. Può essere soltanto critica moralistica e dietrologica: andare a cercare chi c’è ‘davvero dietro’ a ogni evento, quali sono gli ‘interessi’, quali i ‘complotti’, che si tratti del dottore rapito o della questione dell’acqua. E quando all’analisi razionale si sostituisce il moralismo dietrologico ogni barriera cade e si esposti a sostenere ogni fandonia, anche la più efferata: per esempio che la condizione dei palestinesi è uguale a quella degli ebrei di Auschwitz (Saramago docet); o a essere indulgenti nei confronti del fatto che il riferimento alla congiura dei Protocolli dei Savi di Sion sia un articolo dello statuto di Hamas”.

    @tash
    “Se ci fosse la guerra vera, quelli levatemeli da dietro le spalle, che ho paura”. (L’ex ministro comunista Kaya Bellillo, a proposito del senatori ribelli dell’Unione).

    @galbiati
    Sempre a proposito di Chomsky, che ho letto e apprezzato tanto in passato, ma che purtroppo sembra essersi fermato ai tempi del Vietnam, ecco cosa dice il solito Israel: “Che direste allora dei magnifici quattro ‘intellettuali contro’ (così li definisce il manifesto) che hanno diffuso l’appello ‘Le vere vittime sono i palestinesi’, secondo cui la ‘vera’ causa della guerra in Libano non è il rapimento di un soldato israeliano, bensì un evento occultato dai media, e cioè il rapimento da parte degli israeliani di due civili, un dottore e suo fratello. Si noti, di passaggio, l’uso truffaldino del termine ‘rapimento’: i nostri si guardano bene dal dire che gli israeliani ‘arrestano’, e che le persone da loro incarcerate godono di tutti i trattamenti previsti dalle regole internazionali (visite dei parenti, della Croce Rossa, ecc.), fino alla facoltà di promulgare manifesti politici; mentre i ‘rapiti’ in senso proprio di Hamas (‘fatti prigionieri’, secondo Diego, ndr) spariscono nel nulla e niente si sa della loro sorte. (…) C’è voluta la mente del più grande linguista vivente per produrre un simile exploit della ragione e della logica: quanto basta per diffidare delle teorie meccaniciste di costui, tema su cui bisognerà pur tornare”.

    Altre provocazioni
    Domanda: “E quelli che dicono che è la miseria a spingere i palestinesi alla guerra?” La risposta di Messori: “Una scemenza smentita da un fatto incontrovertibile. Hanno calcolato che con i soldi spesi dai paesi arabi per fare tre guerre a Israele, avrebbero potuto regalare a ogni palestinese una villa con piscina”.

  91. tashtego, tu stai coi palestinesi perché sei comunista. punto. funziona così: un bel giorno, per svariate ragioni, capita che uno decide di essere comunista. a quel punto, volente o nolente, gli tocca prendersi tutto il pacchetto, mica può discernere questo sì e questo no, questo mi va bene e questo male. nel pacchetto “comunista” sono incluse le cose che ben sappiamo, tipo stare dalle parte dei gay, degli extracomunitari, degli sfruttati eccetera. e poi c’è anche ‘ sta cosa qui, nel pacchetto, ovvero che un comunista deve essere filopalestinese. dev’esserlo e basta, dogmaticamente, come un cattolico, dogmaticamente, per essere tale, deve credere all’immacolata concezione o alla resurrezione dei morti. non è insomma la ragione che suggerisce da che parte schierarsi bensì l’adesione alla dottrina, la fede, il credo. l’anima. la ragione subentra dopo, in un secondo tempo, per giustificare l’anima, come un’ancella che lavora al suo servizio e la puntella. l’anima decide il che cosa, la ragione il perché. e di perché, volendo, se ne trovano sempre, e pure ragionevoli, come dimostrano molti commenti qui, ma non è questo il punto. il punto è che se domani i palestinesi, per assurdo, gettassero dieci bombe atomiche su israele annientandola, tu tashtego, tu inglese e voi comunisti sareste comunque dalla loro parte, dei palestinesi intendo, e riuscireste comunque a trovare delle ragioni plausibili a giustificazione del gesto. perché così vuole la vostra ideologia. perché altrimenti non sareste comunisti. perché la vostra anima sta da quella parte ed è lei a decidere per voi, anche se vi illudete sia la ragione a farlo, ma la ragione è solo schiava delle passioni, lo diceva anche hume mi pare.

  92. @ mario: la paura allo scoppio di una bomba a 3 metri è nulla al confronto dell’angoscia che possano scoppiare x bombe a y metri ad ogni momento. Ognuno avrà avuto in passato almeno un amico fissato con la bomba atomica: fissato è quando la preoccupazione tracima e diventa paranoia. Questo è ghetto interiore, e mi sembra (detto con rammarico) che gli israeliani siano passati da una realtà pesante come un incubo (la shoah) a un incubo pesante come una realtà (Israele).
    Io che sono scettica sulla psicanalisi (soprattutto quella del dott. Geppetto di cui sopra), noto che essa, invece di chiarire, viene usata come ritorsione: “tu credi di essere razionale, e invece sei mosso dal rimosso = trimosso”).

    Un ricordo che vale quel che vale: tempo fa facevo ripetizioni a due bimbi ebrei. Il papà, venuto in confidenza, mia mostrò la foto di quando s’era ucciso. Aveva messo l’autoscatto e ‘era tuffato dalla finestra di un kibbutz.

  93. @cj
    Ho già scritto all’egregio cavaliere dottor Guido Turco che la manfrina dell’anticomunismo è un piagnisteo con punte di cazzutismo atlatico, se non è supportata da impegno e lavoro critico.

    Mi sembra che anche Lei cada nello stesso visceralismo che tanto critica. La invito a riconsiderare cosa scrive il professor Jameson: “Questo è sempre il punto di vista che vogliamo raggiungere con la dialettica: smascherare i fenomeni e trovare le contraddizioni fondanti che gli stanno dietro”. Che è cosa diversa dal gridare al lupo al lupo.

    Cordialità

  94. @roberto
    ah be’, se lo dice Israel!
    quello che dice Israel sui prigionieri degli israeliani trattati con il velluto non corrisponde affatto a quel che ho sentito io negli ultimi anni e francamente mi fa un po’ ridere: e da quando Israele si comporta così? Certamente non dagli anni ’80, che vengono descritti così da un rapporto ONU:
    In particolare, le politiche (di Israele) e le sue azioni nei
    territori occupati continuano a costituire violazioni evidenti di una
    serie di precise norme di legalita’ internazionale. Queste norme
    sono: la Carta delle Nazioni Unite – la Dichiarazione Universale dei
    Diritti Umani – la Convenzione di Ginevra per la Protezione dei
    Civili in stato di guerra del 12 agosto 1949 – la Convenzione di
    Ginevra per la Protezione dei Prigionieri di guerra del 12 agosto
    1949… Le politiche di deportazione, le torture dei detenuti, gli
    arresti di massa, la demolizione delle case (palestinesi), i pestaggi
    arbitrari e gli omicidi di persone innocenti – fra cui bambini donne
    e anziani – oltre alle umiliazioni inflitte ai palestinesi nella loro
    vita quotidiana, sono state sistematicamente applicate dalle
    autorita’ israeliane nei territori occupati. Tutto cio’ e’ stato
    aggravato dalla crescente violenza dei coloni (ebrei) armati contro
    la popolazione palestinese disarmata.” (22)

    E che dice Israel della tortura, ne parla?

    Come si e’ gia’ visto, nei rapporti della Commissione dell’ONU per i
    Diritti Umani si accusa spesso Israele di praticare la tortura, che
    e’ uno strumento di Terrore universalmente condannato. Lo Stato di
    Israele non solo pratica la tortura, ma e’ persino arrivato a
    legalizzarla, unica fra le democrazie mondiali. Lo afferma Amnesty
    International:
    “Lo Stato di Israele ha a tutti gli effetti legalizzato la tortura,
    nonostante sia un firmatario della Convenzione Contro la Tortura
    (dell’ONU). Israele ha fatto questo in tre modi: primo, l’uso da
    parte dello Shin Bet (Servizio di Sicurezza) di ‘quantitativi
    moderati di pressioni fisiche’ (sui detenuti) fu permesso dal
    rapporto della Commissione Landau nel 1987 e approvato dal governo…
    secondo, dall’ottobre 1994 il Comitato Ministeriale di Controllo
    dello Shin Bet, organo del governo di Israele, ha rinnovato il
    diritto di praticare (sui detenuti) un uso ancor maggiore della forza
    fisica… e terzo, nel 1996 la Suprema Corte di Israele ha emesso una
    sentenza che permette a Israele di continuare nell’uso della forza
    fisica contro specifici detenuti.” (28)

    Per correttezza non so se sia cambiato qualcosa negli ultimi anni.
    Allora come la mettiamo cone le caceri di lusso e i trattamenti da nababbi a cui allude Israel?

    Per concludere: se le cose andassero così, come vorebbe Israel, non si avrebbero mai dubbi sul numero e sull’identità dei civili (o paramilitari) palestinesi, libanesi ecc “arrestati” e presenti nelle carceri israeliane, e quindi Chomsky direbbe cazzate o sarebbe disinformato. e cmq mi hai risposto banalizzando la tesi di Chomsky (che ha dimostrato di considerare plausibili anche altre tesi), che peraltro non è solo sua, dato che è presa dal Financial Times. e non mi hai detto qual è la tesi alternativa, qual è il motivo secondo te.

    Ma veniamo a
    ISRAELE E NAZISMO.
    Dato che nel mio primo, provocatorio commento, messo in forma di domanda, chiedevo la differenza tra il modo di agire degli israeliani e quello dei nazisti,

    “DIECI A UNO:
    Lo slogan delle rappresaglie usato da un Israeliano dice più di ogni altra cosa della nostra barbarie
    Avrei voluto che questo momento non arrivasse mai.
    “Gli aerei israeliani dovranno bombardare dieci edifici a più piani nei sobborghi meridionali di Beirut, roccaforte di Hizbollah, per ogni nuovo razzo a lunga gittata che colpirà il porto settentrionale di Haifa, terza città dello Stato ebraico per importanza. Lo ha reso noto la radio dell’Esercito, secondo cui l’ordine all’Aviazione è stato impartito personalmente dal capo dello stato maggiore interforze, generale Dan Halutz; questi ha fatto in particolare riferimento alla zona di Dahaya della capitale libanese, dove maggiore è la concentrazione di militanti e sostenitori del Partito di Dio”.

    In una notizia in breve riportata dai quotidiani online torna l’incubo peggiore della storia umana, quel dieci a uno, la rappresaglia nazista, simbolo di un orrore che non ha insegnato proprio nulla.
    Questa notizia breve ci dice con una inaudita violenza che siamo davvero ad un punto di non ritorno…..”
    Questo è MASO NOTARIANNI nell’editoriale che potete leggere su http://www.peacereporter.net

    E CHI é DAN HALUTZ?
    Ne faceva riferimento Yonahan Shapira nel 2003 nella sua famosa lettera in cui annunciava il suo rifiuto, come pilota dell’esercito, di bombardare o prestare servizio nei territori occupati.
    Ecco cosa scrive Shapira al termine della sua lettera:
    “Prima di concludere vorrei descrivervi alcuni momenti, vissuti negli ultimi due mesi, che fanno venire i brividi . Durante l’intervista relativa al mio rinvio dall’aviazione ero seduto di fronte al Comandante delle forze armate dell’aeronautica, l’ho sentito dire e ripetere che tutte le missione effettuate da noi, ivi comprese le più difficili, erano e sono altamente morali tanto che anche il professore Asa Kasher è d’accordo.
    Poco dopo, di sua iniziativa, Dan Halutz, il Comandante delle forze dell’aviazione, candidato al posto di Vice Capo di Stato Maggiore, ha declamato, davanti a me, come lui considerava il valore del sangue : in ordine discendente, partendo dal sangue ebreo fino al sangue palestinese.”
    Chi volesse leggere tutta la lettera:
    http://www.coordinamentorsu.it/doc/altri2004/2004_0205jonatan.htm

    QUINDI, PER DAN HALUTZ,
    -nel 2002-03 le missioni di bombardamento della Cisgiordania, in cui più di metà delle vittime erano civili, erano altamente morali.
    -il valore del sangue non è lo stesso: al primo posto quello ebraico e all’ultimo quello palestinese
    (non ci è dato sapere purtroppo i valori intermedi)
    – la straegia di guerra da adottare contro gli hezbollah dev’essere di 10 a 1, più precisamente: Gli aerei israeliani dovranno bombardare dieci edifici a più piani nei sobborghi meridionali di Beirut [… ], per ogni nuovo razzo a lunga gittata che colpirà il porto settentrionale di Haifa.

    Sbaglio se affermo che se queste notizie avessero larga diffusione nei mass media e fossero pronunciate da un comandante di uno stato arabo (ad es., ma non solo da un arabo) sentiremmo ovunque giudizi di nazismo in relazione all’operato dell’esercito di quello stato?
    Credo di no, ma attendo altri pareri.
    E comunque, tengo a precisare che io sono sempre favorevole ai distinguo e poco incline alle etichette e quindi eviterei di usare la parola nazismo diffusa a piene mani per chiunque compia certi atti. Tuttavia, chi lo fa, cioè una buona fetta della stampa, dovrebbe avere la correttezza e l’obiettività di basarsi unicamente sui fatti nel dare i giudizi, a prescindere dall’identità di chi li commette.

  95. @roberto
    Giorgio Israel al limite taglia il burro rancido della pianificazione impossibile e lo spalma sul pane raffermo della tautologia sionista. “Ma una critica senza progetto razionale non può essere scientifica” non vedo cosa ci possa essere di male in questo e, soprattutto, non credo che le argomentazioni del sionismo possano rientrare in qualche scientificità che non sia l’eugenetica.
    Giorgio Israel è il principale opinionista di http://www.informazionecorretta.com – non me la sento di aggiungere alcunché, pensa ciò che vuoi, ma toccare la merda mi fa ancora schifo. Non ho idea di come sia da matematico, posso solo aggiungere che Chomsky non ci ha capito un cazzo neanche di linguistica. Non ho mai letto Pinter né Saramago, per ora non ho intenzione di farlo, quindi boh.
    Il mio personalissimo letargo dialettico può essere ascrivibile ad una resa – una comodità alla fine – o più banalmente ad una mediocrità della quale non oso più vantarmi. Non mi sento vittima di alcuna “subalternità ideologica della sinistra”, ci ho messo diversi anni a capire che non ho idea di cosa possa essere una sinistra. Certo questa consapevolezza non mi salva da un’immersione che probabilmente non vedo e non sento, non mi salva dal “vivere di idee ricevute” come affermava qualcuno dopo la mia isteria di ieri. In effetti il mio letargo dialettico non si è risvegliato neanche dopo i pugni allo stomaco delle immagini dal Libano, dopo l’ansia per le notizie da Nablus che non arrivavano e continuano a non arrivare. Forse i miei sentimenti sono meno puri di quanto immaginassi, i miei sensi certamente spuntati e ammorbiditi dal sobrio benessere delle routine… Timidamente ho buttato giù, con fatica, dei dati, e ho cercato di usare quel che resta di esperienze personali – ormai sbiadite – come collante. Il risultato è insipido, non posso negarlo, privo di elementi spettacolari, privo di verbosismi fighi, privo in effetti anche di coerenza interna. Ma preferisco riportare il dettaglio dell’intervento d’apertura di Bush padre nel momento di ratificare la risoluzione 4686 – che mi sembra tuttora una convergenza di “coincidenze significative” (1991 è la data in cui il prestigio e le simpatie per Arafat cominciano a declinare nell’incastro delle tavolate e le strette di mano, per esempio) – che impiegare sei frasi per poter rendere tangibile il sentimento che un palestinese possa presumibilmente avere nei riguardi della Nakba: non è compito mio, non sono palestinese, non conosco neanche l’arabo.
    Vedi io in questa paura di cambiare idea ci credo poco, penso di averlo fatto molte volte (forse senza mai accorgermi di essere semplicemente passato da un lato all’altro e ritorno dello stesso paradigma, ma fortunatamente non potrò saperlo mai) e al momento penso di essere tornato sui miei passi: dalla convinzione che il potere d’identificazione nel simbolo, nella mitografia periodicamente stabile di una pretesa “cultura”, custodisse la verità delle azioni all’impossibilità di sezionarne un momento originario dai momenti artificiali, proprio in questo passaggio forse, mi sono accorto che alla fine c’è un più forte, e il più forte custodisce le contraddizioni e se ne ciba. Ma non dura per sempre, e il più forte lo sa, e brucia tutto finchè dura: l’oscenità del sionismo, l’oscenità dei neocon, sta nel non voler comprendere che le cose non arrivano a termine, si esauriscono, mutano, l’oscenità del sionismo sta nella pretesa di mantenere la contraddizione in stato di sospensione eterna, in un’attesa che non è messianica – in un’attesa che è manutenzione.

  96. Forse vale la pena di rispondere, per quanto possibile, persino @ cj.
    Non tanto per il contenuto specifico del suo commento, che è imbarazzante, quanto perché si tratta di un modo di (non) pensare divenuto tipologico, oltre che del tutto all’oscuro di cosa sia davvero, un “comunista”.
    Non mi frega tanto di rintuzzare l’accusa di adesione dogmatica alle ragioni di uno dei due contendenti (sono molto più di due, in realtà), quanto di rivedere qualche buccia all’affermazione che il comunismo sia, al pari del cattolicesimo, una religione.
    È una tesi cara ai falsi razionalisti di bassa scuola liberal borghese, i cosiddetti “liberi pensatori” da circolo sportivo (quelli che si misurano il pisello sotto la doccia), benpensanti (in genere cripto-fasci o fasci tout court) che non sanno un cazzo né di cattolicesimo, né di marxismo, che si accontentano di giudicare da fuori come contrapposti al loro “libero” pensare.
    Aggiungo che non sono comunista per impossibilità storica ad esserlo (visto il fallimento disastroso di tutti i regimi comunisti), ma di fronte a commenti del genere rivendico in pieno la mia formazione marxista, che almeno mi ha dato strumenti efficienti per interpretare il mondo, a fronte del nulla mentale che si porta adesso, della non-politicità di ogni sguardo e posizione dei ggiovani sotto i trent’anni, dell’acriticità rispetto al vento mediatico che li investe e li forma.
    Può darsi che il comunismo comportasse l’adesione ad un “pacchetto” nel quale era ricompreso lo stare-coi-palestinesi, ma nel pacchetto, più in generale, c’era una presa di posizione netta per le classi dei dominati, dei sopraffatti, degli sfruttati, dunque anche dei palestinesi.
    Certo era difficile essere comunisti e parteggiare, che ne so, per la Francia nella guerra d’Algeria, esattamente come lo era parteggiare per Agnelli durante uno sciopero Fiat.
    Quelli che non sanno un cazzo di cosa significa prendere una posizione di fronte alla “orma del mondo” non possono capirlo.
    Si trattava di uno sguardo proveniente da una precisa angolazione, che scaturiva da un metodo e da una lettura.
    Chi oggi può dire di possederne uno altrettanto acuto & potente?
    (ho poco tempo, ma forse rendo l’idea)

  97. Che dire? Spero che quelli che possono ottenere qualche sia pur misero risultato siano più freddi e portino a casa, grazie alla loro freddezza, almeno un cessate il fuoco.

  98. @diego
    “c’è un più forte, e il più forte custodisce le contraddizioni e se ne ciba. Ma non dura per sempre, e il più forte lo sa, e brucia tutto finchè dura”. Diego, vai sempre meglio secondo me. Scendi sempre di più nel profondo, personale e tenebroso.

    Ledeen vuole bruciare tutto è subito. Quelli come lui sono dei neoromantici, dei dannunziani, ecco perché sto sempre lì a prendermela con l’irrazionalismo anarchico che è la tara genetica della cultura italiana.

    Il testo dei volantini lanciati sulla reggia di Damasco:
    “Siriani! Imparate a conoscere gli americani!
    Noi voliamo su Damasco, potremmo lanciare bombe a tonnellate.
    Non vi lanciamo che un saluto a stelle e strisce: i colori della libertà.
    Noi non facciamo la guerra ai vecchi, ai bambini, alle donne.
    Noi non facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali,
    al vostro cieco crudele testardo governo che non sa darvi né pace né pane
    e vi nutre d’odio e d’illusioni”.
    (liberamente ispirato al volantino redatto dal Vate prima della transvolata su Vienna, 1918. http://www.cronologia.it/storia/a1918aa.htm)

    @Galbiati
    “Sbaglio se affermo che se queste notizie avessero larga diffusione nei mass media e fossero pronunciate da un comandante di uno stato arabo (ad es., ma non solo da un arabo) sentiremmo ovunque giudizi di nazismo in relazione all’operato dell’esercito di quello stato?”

    Come fai notare tu, la notizia del generale nazista la leggo tranquillamente sui principali quotidiani, ma anche su Indymedia e Peacelink. Non so a che altra diffusione ti riferisci. In tv? Ne hanno parlato anche al tg regionale. Allora forse stavolta siamo d’accordo. Io volevo proprio dire che nel “senso comune” gli israeliani vengono “dipinti” sempre di più come delle SS. Altri però dicono che gli israeliani sono “diventati” delle SS. Questo mi sembra un po’ più grave. Una cosa è guardare il dipinto, l’altra credere che sia vero. Se n’è accorto Diego, avvisandoci dei costi che il dissennato militarismo israeliano avrà sulla comunità ebraica globale.

    @tash
    “razionalisti di bassa scuola liberal borghese, i cosiddetti ‘liberi pensatori’ da circolo sportivo (quelli che si misurano il pisello sotto la doccia), benpensanti (in genere cripto-fasci o fasci tout court) che non sanno un cazzo né di cattolicesimo, né di marxismo, che si accontentano di giudicare da fuori come contrapposti al loro ‘libero’ pensare”.
    In pratica la rivoluzione di sansone contro tutti i filistei.

  99. tashtego, il punto è che anche senza conoscerti io so già tutto di te. ad esempio. so che sei abortista. so che sei contro la pena di morte. so che sei filopalestinese. so che sei a favore delle droghe leggere. so che sei a favore degli scioperi e della manifestazioni di piazza. so che sei anticapitalista. so che sei ateo. so che sei per le pari opportunità. so che sei dalla parte dei gay. eccetera. allora il problema è: tu sei tutte queste cose perché sei comunista o sei comunista perché sei tutte queste cose? quello che ho cercato di dire nel mio “imbarazzante” commento è che secondo me la risposta è la prima. tu sei tutte queste cose perché sei comunista. ovvero dogmaticamente. a prescindere. per marchio ricevuto. ciò non vuole dire che tu non abbia ottime ragioni per schierarti da una parte o dall’altra, ma le ragioni, come ho già detto, vengono in soccorso dopo, quando l’anima ha già deciso. e la tua anima è un monolite chiamato comunismo (lo dico senza nessun tono dispregiativo, sia ben inteso).

  100. Chissà come mai condivido queste “eventuali” posizioni di Tashtego, qui sopra elencate
    e non sono comunista?
    Sarò un colpevole comunista inconscio?
    Oppure sarà perché aderisco ad “una presa di posizione netta per le classi dei dominati, dei sopraffatti, degli sfruttati, dunque anche dei palestinesi….”
    MarioB.

  101. cJ, a esempio mio nonno materno era un militante del partito, patriarcale, salutista, credente per quello che poteva essere uno come lui, odiava gli omosessuali e non capiva un cazzo di libertà civili. lui era comunista perché voleva la rivoluzione del proletariato. certo allora c’era stalin e il piano marshall – è che il monolite più che altro si è impiantato nella prospettiva della tua analisi

  102. ..quando leggo commenti come quello di cj non so davvero cosa pensare.. ed anche i pensieri più semplici si ritraggono, come intimoriti dal maltempo.. lasciamo spiovere

  103. A proposito di tortura, Amnesty international dice che viene praticata da 132 paesi nel mondo, non sono riuscita a fare il link ma ho copiato la pagina:
     
     

    La tortura nel mondo
    Nel 2003 Amnesty International ha registrato casi di tortura e maltrattamenti, da parte di forze di sicurezza, agenti di polizia ed altri organi dello Stato in 132 paesi:

    Africa: Algeria, Angola, Burundi, Camerun, Ciad, Comore (Isole), Congo (Repubblica del), Congo (Repubblica democratica del), Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Kenya, Liberia, Libia, Madagascar, Malawi, Marocco / Sahara Occidentale, Mauritania, Mozambico, Namibia, Niger, Nigeria, Rwanda, Senegal, Sudafrica, Sudan, Swaziland, Togo, Tunisia, Uganda, Zambia e Zimbabwe.

    Asia: Afghanistan, Bangladesh, Cambogia, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Filippine, Giappone, India, Indonesia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Laos, Malaysia, Maldive, Mongolia, Myanmar, Nepal, Pakistan, Singapore, Salomone (Isole), Sri Lanka, Tagikistan, Taiwan, Turkmenistan e Uzbekistan.

    Americhe: Argentina, Bahamas, Belize, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Giamaica, Guyana, Haiti, Honduras, Messico, Nicaragua, Paraguay, Perú, Stati Uniti d’America, Suriname, Trinidad e Tobago, Uruguay e Venezuela.

    Europa: Albania, Armenia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Ceca (Repubblica), Estonia, Federazione Russa, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Macedonia, Moldova, Polonia, Portogallo, Romania, Serbia e Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria e Ucraina

    Medio Oriente: Autorità Nazionale Palestinese, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iran, Iraq, Israele / Territori Occupati, Kuwait, Libano, Qatar, Siria e Yemen.

  104. Come si arriva allo sceicco Nasrallah? Il “Blocco della Resistenza e dello sviluppo” comprende deputati di Hezbollah e di Amal. Le milizie di Amal in questo momento stanno combattendo con il Partito di Dio, al confine meridionale. Nabih Berri, il capo di Amal, è il chairman della politica libanese. Come presidente del parlamento, in questi ultimi giorni è stato costantemente a fianco del premier Siniora.

    Stamattina i due hanno incontrato i muftì sunniti e sciiti, in una riunione che l’agenzia libanese NNA ha definito “ad alto livello”. Il 17 luglio, Siniora e Berri hanno ricevuto la delegazione ONU per definire quale sarà la fascia di sicurezza che Prodi vorrebbe affidare al contingente italiano.

    In un’intervista apparsa su “La Stampa”, un giornalista a chiesto a Siniora: “Potete convincere gli Hezbollah? Siete in contatto”. Il premier ha risposto: “Ho dei contatti. Non si sono mai interrotti e continueranno a operare senza sosta”. Il contatto è Berri. “Mr. Siniora non ha parlato direttamente con lo sceicco Nasrallah prima che scoppiasse la guerra” scrive il New York Times, “i rapporti sono intrattenuti dal presidente del parlamento, Nabih Berri, che è fedele alla Siria”. E infatti ieri, in diretta su Al Jazira, Nasrallah ha rifiutato la proposta ONU di restituire i prigionieri, aggiungendo che Berri è “l’unico canale per negoziare con Hezbollah”.

    Chi è Berri? Un burattino della Siria stile Vichy, secondo gli analisti yankee. Eppure Berri non porta i turbanti che mettono tanta paura ai giornalisti atlantici. Negli anni settanta ha lavorato alla sede della “General Motors” di Beirut e il suo esilio l’ha trascorso a Denver (’76-’78). Nella metà degli anni ottanta, quando scoppia la “guerra dei campi” – una sadica resa dei conti tra le fazioni libanesi –, Berri non è tenero con gli i cugini del Partito di Dio (in quel caso, Amal viene usata in funzione anti-Hezbollah e anti-palestinese).

    Dopo la guerra civile, grazie ai buoni uffici di Damasco, Berri si occupa della ricostruzione del Libano meridionale e di Beirut Ovest, e ri-militarizza un deluso Arafat. E’ il decollo. Nel ’92, diventa lo speaker del parlamento libanese. Contrario alla “Rivoluzione dei Cedri”, ha comunque dichiarato che bisogna continuare le indagini sulla morte dell’ex premier Hariri.

    Nel ’97, una delegazione di abitanti dei villaggi della Valle di Shebaa, la zona contesa con Israele dove sono stati rapiti i due militari. I cittadini libanesi chiedono di mettere fine alle prepotenze dei coloni. Berri interviene, contatta i ministri europei e americani, favorisce un’operazione targata Croce Rossa.

    Potremmo contare su di lui per un cessate il fuoco. Ripartendo proprio dallo status delle Fattorie israeliane nella Valle di Shebaa. C’è una dichiarazione ONU che parla chiaro: i coloni israeliani devono ritirarsi, abbandonare le fattorie. Un’altra ‘dolorosa concessione’. Parliamone, al vertice di domani. Se Israele rispetterà la risoluzione ONU avremo un motivo in più per disarmare Hezbollah.

    Sempre domani, iniziamo a fare pressioni sui ministri francese e saudita. Berri ha studiato alla Sorbona, ha interessi nell’industria del petrolio, recentemente ha incontrato il ministro dell’energia iraniano per promuovere nuovi affari tra Beirut e Teheran. Insomma è uno che riconosce l’odore dei soldi e forse pensa prima ai suoi interessi che a quelli di Allah.

    In più, sembra che Berri non abbia ingoiato il rospo dell’attacco improvviso sferrato da Nasrallah. Non era nei patti. La valle di Bekaa doveva restare “calma” fino alla fine dell’estate. Hezbollah sta lentamente rosicchiando consensi intorno ad Amal. Un motivo in più per accendere il fuoco che cova sotto la cenere. Arriviamo a Nasrallah grazie a Berri, mentre lavoriamo per dividere Amal da Hezbollah.

  105. Ammesso che questa polemica possa interessare qualcuno, dato che qui è completamente off topic, butto lì qualche precisazione.
    @cj
    Saprai tutto di me, ma dei comunisti non sai nulla, cj.
    La tua percezione del cosiddetto “comunismo” è vaga, perché a quanto pare te li figuri come dei blandi radicali alla Marco Pannella, con una spruzzatina di Fabio Mussi.
    Quelle che hai elencato sono normali e moderate posizioni laiche da società civile, posizioni che posso condividere con un qualsiasi radicale.
    I comunisti erano (sono?) ben altro.
    Erano per la dittatura del proletariato, per l’abolizione della proprietà privata, per la collettivizzazione forzata della campagne, per la proprietà e per la gestione pubblica dei mezzi di produzione, erano per dare il potere ai soviet, cioè per mettere in mano agli operai il potere nella, & sulla, fabbrica, erano per fucilare i traditori e i reazionari e i contro-rivoluzionari, proibivano ogni manifestazione religiosa e consideravano la religione un oppiaceo per addormentare le masse, affermavano che occorreva chiedere a ciascuno secondo le sua capacità e dare a ciascuno secondo i suoi bisogni, erano contro ogni tipo di guerra perché la guerra, per i comunisti, non era mai nell’interesse dei lavoratori, ma solo in quello del capitale, eccetera.
    Come vedi roba ben più seria di quella elencata da te.
    Chissà poi cosa ti immagini quando affermi che i “comunisti” sono “dalla parte dei gay”.
    Che significa per te stare “dalla parte dei gay”?
    Insomma stare dalla parte dei palestinesi è una cosa da froci comunisti?

  106. Safed, al confine tra Libano e Israele. Comando settentrionale israeliano. Gian Micalessin, inviato del Giornale, partecipa a un briefing tra militari e giornalisti. “Il generale Shuki Shakhrur non ha peli sulla lingua”, annota Micalessin sul suo taccuino. Il reporter sembra affascinato dalla risolutezza militare israeliana. Rapito dalla determinazione dell’ufficiale. “Le sue parole risuonano davanti a un pugno di giornalisti”. Senti il tono del comando che riempie la stanza, ed è un ordine che ti rende meno solo. Più reporter al fronte. Più embedded.

    La guerra in Libano non ha vie di fuga. “Le parole del generale Shakhrur hanno appena cancellato tutti i se”. Non c’è spazio per la passività diplomatica. Ci vogliono frasi attive e sintetiche. La Siria non si minaccia con il condizionale ma con un eterno presente indicativo. Il generale non perde tempo a spiegare i “dettagli” dell’operazione. “Potrebbe dire da qui a Beirut e sarebbe lo stesso”. In questa frase c’è una specie di ‘tattica’ e di ‘strategia’ metafisica, la fiducia incondizionata di chi scrive verso la potenza di fuoco israeliana.

    L’attacco non è né un’invasione né un’occupazione. Si tratta di “azioni cucite su misura” contro Hezbollah, come dichiara il generale. Il cronista, fedele, prende appunti. Ma quando deve descrivere gli hezbo-missili su Haifa, l’autore sostituisce l’immaginazione fantastica all’accuratezza delle fonti. I bombardamenti perdono la loro ‘misurabilità’. Diventano “tempeste d’acciao”. Sembra una splash-page di Ken il Guerriero.

    Col tempo, e con l’esperienza, Micalessin ha imparato ad alternare giornalismo e narrativa, a sceneggiare con oculatezza ideologica i suoi racconti. Non è più cronaca, non è più una scrittura lineare che riporta fatti (la verità israeliana), ma è invenzione stilistica, cyber-guerra, ti distruggo con un raggio missile (la finzione palestinese).

    L’analisi del pezzo di Micalessin non mette in discussione i razzi su Israele. Sia chiaro: “Ottanta in tutta la giornata. Il colpo più duro lo subisce Haifa, la capitale del nord. Sabato sera il comando della Difesa civile ha invitato la popolazione civile a lasciare i rifugi e a tornare al lavoro. Alle dieci di domenica mattina, primo giorno della settimana, le strade sono di nuovo affollate, le macchine di nuovo in circolazione, i negozi finalmente riaperti. Le sirene raggelano tutti. Due minuti più tardi la duplice, tremenda esplosione. Un razzo precipitato sulla periferia della città colpisce in pieno l’impiegato di un centro commerciale in corsa verso il rifugio. Un secondo dilania un automobilista spazzato via assieme alla sua autovettura mentre percorre una delle principali arterie del centro. Tutt’intorno almeno undici feriti, insanguinati e terrorizzati (…)”.

  107. Ripongo la questione – per me cruciale – che ho già sollevato più sopra, forse un po’ confusamente.
    Nel tentare di formulare un giudizio sulla questione israelo-palestinese, quanto è lecito risalire a ritroso nel tempo lungo la catena storica di cause-effetti?
    Se escludiamo, forse giustamente, la messa in discussione della nascita dello stato di Israele secondo modalità non certo favorevoli alla parte araba, dove possiamo attestare la partenza della catena? Guerra del ’67? Guerra del Kippur? Prima Intifada? Seconda Intifada? Quando?
    Se aveste l’ipotetica facoltà di far ritirare Israele, di farla tornare sui suoi passi, a quale di questi accadimenti le imporreste di ritornare e attestarsi?
    E se poteste fare lo stesso col movimento palestinese?
    Qual è il punto storico di non-ritorno dell’intera questione?
    Dico questo, perché esaminata nel suo immediato intervallo strategico militare, l’attuale azione israeliana sembra avere buone ragioni di sicurezza.
    Ma il problema è: quando e perché è nata l’organizzazione Hezbollah, a seguito di quale situazione e con quali scopi? Sono islamisci cattivi e basta? Sono terroristi e basta? Ci accontentiamo di questo? Come puro paradosso di scuola, se subito al di là della frontiera, metti svizzera, qualcuno iniziasse a buttare missili su Milano, la prima domanda da porsi non sarebbe: perché lo fanno? Cosa gli abbiamo fatto?

  108. Tra l’altro, credo che buona parte degli hetzbollah non siano proprio palestinesi, in quanto i palestinesi sono prevalentemente appartenenti ad una setta o scuola coranica sunnita, mentre gli hetzbollah sono di sicura fede sciita.
    . Per altro ho letto oggi che in Iraq esiste un nuovo fenomeno inquietante cioè l’eliminazione di molti profughi palestinesi da parte di squadre della morte di ignota provenienza, forse sciite.
    Come se non bastasse….

    MarioB.

  109. Come se non bastasse, caro Mario B., oggi gli israeliani hanno attaccato l’Onu e chiedono pure le scuse.
    Che il mondo arabo sia diviso e sia una nervatura di rivalità, sette, ostilità, non è cosa nuova. Francamente, che se la sbrigassero tra loro. Ma che tutto il pianeta debba sparire perchè non ci siamo ancora lavati l’onta nazista è un po’ troppo…

    Ho sempre pensato che nella definizione “popolo eletto” ci sia la più violenta, perfetta, incontrovertibile espressione di razzismo mai formulata nella storia dell’umanità.

    Ma ognuno, nella religione, può credere a ciò che vuole. Anche che zio Pippino aveva l’asino volante e quindi lui è il Profeta dell’Asino Volante. O che io abbia il sangue divino che mi scorre nelle vene per trasmissione genetica…la più grande delle palle mai ascoltate nella vita.

    Oggi, di fronte a queste ostilità e a questo fottersene anche dell’Onu (da parte non dei terroristi, ma da quella che viene indicata l’unica democrazia in MO) ho proprio la sensazione che tutto il pianeta sia sotto scacco di una convinzione assolutistica.

  110. @ggiornamenti
    Dopo aver risposto picche alla Rice, Berri sembra disposto a trattare con il governo italiano per la liberazione dei soldati israeliani. Ne parlano stasera al tg5 delle 20.00.

    In passato, Israele ha accettato scambi di prigionieri con Hezbollah. Nel febbraio del 2004, ha rilasciato 429 prigionieri, insieme a 59 salme di nemici caduti, in cambio di un civile israeliano e di 3 salme di soldati.

    Daniel Pipes afferma che il civile israeliano era “probabilmente impegnato in ambigue trattative d’affari” (una spia?). Ad ogni modo, dopo lo scambio di prigionieri sono ripresi gli attacchi di Hezbollah.

  111. Berri ha risposto picche alla Rice:
    che strano, il segretario di stato della nazione che rifornisce di armi Israele, e che anche in questi gg ha dato a Israele vari missili da sganciare in Libano, non ha convinto il braccio destro del presidente del Libano sui termini del cessate il fuoco.
    Non pretende certo di essere un’analisi questa ma è bene a volte ricordare
    come i dati di fatto più lampanti e consolidati vengono sempre a riproporsi al di là di quelli contingenti.
    Sono quindi d’accordo con Tashtego: si risolve la crisi in Libano pensando solo a come isolare i cattivi Hetzbollah?
    No, si risolve la crisi pensando a un nuovo Medioriente, come ha detto la Rice. Peccato che la Rice e Israele hanno in mente un nuovo Medioriente in funzione unicamente della difesa e della sicurezza di Israele e dunque la situazione non farà altro che peggiorare, visto i concetti di difesa e sicurezza che hanno USA e Israele.
    Torno a dire che per avere la pace, occorre rendere giustizia. E la giustizia passa dalla restituzione dei territori occupati e dalla risoluzione della situazione a Gerusalemme.
    Fin tanto che sentiremo i politici mettere come priorità disarmare Hetzbollah, Siria, Iran, Hamas e altre congreghe palestinesi, non faremo altro che sostenere il gravissimo crimine che avviene ogni giorno con l’occupazione in Cisgiordania, e poichè senza giustizia non v’è pace possibile (a meno di eliminare totalmente il soggetto che subisce l’ingiustizia: in quel caso c’è una pace cattiva, frutto dell’odio), tutto questo andrà anche a minare la sicurezza di Israele.
    Quello che dovremmo chiederci noi, a mio parere, è come muoverci verso i politici e gli ebrei della comunità internazionale, per fare in modo che si riconosca che ogni situazione, ogni azione, deve partire da presupposti etici che mettano in primo piano il ristabilimento della giustizia.

  112. @galbiati

    Visto che abbiamo centrato l’argomento (chi sono in questo momento i protagonisti del grande gioco), che ne dici se per un attimo lasciamo stare la situazione generale, la questione di Gaza e di West-Bank, e proviamo a concentrarci sulla crisi al confine tra Libano e Israele?

    Lo so che sono aspetti collegati della stessa vicenda storica, ma credo anche andrebbero distinti e analizzati uno alla volta, prima di una sintesi più generale. Come dire, io sono più per il contingente che per l’ideale, più per una pace “decente e subito” piuttosto che “giusta e mai”.

    Berri ha ‘mediato’ per Nasrallah chiedendo di fare il punto sulle fattorie della Valle di Shebaa. Ieri ho scritto che c’è una risoluzione Onu che impone a Israele di ritirarsi dalla Valle. In realtà la situazione è più complessa. E ancora una volta Israele non ha tutti i torti, anche se, evidentemente, non ha ragione (vedremo che ruolo svolge la Siria nella contesa del Monte Libano).

    Ripartiamo da qui? So che in questo momento ci sono persone che stanno morendo sotto le bombe. E che potrei dare l’impressione di divertirmi con la fanta-politica. Ma sto solo cercando di capire come stanno le cose. Il pessimismo impedisce di ragionare.

  113. @roberto
    io credo che proprio la ricerca sempre di una pace decente e subito, avulsa dalle considerazioni generali, trasformi in un’utopia, in un ideale mai raggiungibile la pace “giusta” e quindi la pace stabile, la pace che non è solo una tregua.
    ma comunque, per carità, di fronte a un’emergenza umanitaria come quella che c’è in Libano la ricerca di una tregua al momento è un dovere per tutti.
    è il come e il dopo che però a me interessano di più.
    e cmq leggo con interesse le notizie documentate e “contingenti” che riporti, dato che ne so molto meno di te.

  114. Via tutti gli Israeliani dalle alture di Golan,
    dai territori occupati dal 1967 senza eccezioni di insediamenti o fattorie varie abusive o no.
    Allo status quo ante.
    Così non si fa la pace.
    Anche Israele dovrebbe rispettare non so quante direttive ONU dissattese che lo rigurdano, e non tirare in ballo solo la 1959,( o quel che è)
    ossia quella che riguarda il disarmo degli hetzbollah.

    A mio modo di vedere la situazione è molto pericolosa e credo pure che la politica americana persegua da anni una tattica internazionale cieca e disastrosa, e non credo che il summit di Roma risolverà qualcosa per il M.O ,temo che la maggioranza voglia stabilire, costruire un M.O addomesticato come diceva ieri in RaiRadio3 Samir al Qariuti.
    Io credo che sia necessaria una seria convenzione generale con la presenza di Russia Cina ed India per il ristabilimento della pace in M.O., un convenzione che presidi un parte di questi territori con presenze di forze ONU, non solo NATO ma veramente internazionali.
    MarioB.

  115. @cf
    Finché se movono i cinesi gli israeliani sventoleranno la Stella di David su Beirut. Le truppe ONU vanno bene, a patto che siano qualcosa di diverso dall’UNIFIL che doveva tutelare la striscia di sicurezza e i confini sud del Libano. Ma non è meglio qualcosa e subito che niente fino a domani? Cessate-il-fuoco.

  116. @andrea
    @cf

    La “Giornata” del foglio prevede, ovviamente, “prima” la pioggia di razzi sul nord di Israele e “dopo” “i bombardamenti su Beirut e nel Sud del Libano. C’è sempre una sequenza disonorevole, una serialità distorta e preconfezionato delle informazioni.

    Per trovare la notizia della quindicenne arabo-israeliana uccisa dagli hezbo-missili, invece, devo cercare con la lente di ingrandimento in uno deglieditoriali del manifesto (per fortuna che c’è Ester Nemo). Niente titoli sulla ragazzina. La notizia è nel corpo grigio dell’articolo.

    Sogno una Redazione senza questi pregiochetti. Un manifesto che non definisca “colorita” la seguente dichiarazione di Ahmadinejad, secondo cui: “Chi semina vento raccoglierà un uragano che spazzerà l’intero medio oriente” (ieri).

    Una Nazione dove si possa leggere che:

    1) gli israeliani usano “fosforo bianco. Munizioni termobariche sulla città libanesi” (il manifesto).

    Ma anche che la notizia è stata diffusa dal medico libanese Bachir-Cham. Il manifesto dice: “Lo testimonia il prof. Bachir Cham, un medico di origine libanese che dirige un ospedale in libano affiancato da altri medici belgi”.

    Che bisogno c’era di sottolineare il fatto che il medico era “di origine libanese” se vive e lavora in Libano? Forse il giornalista voleva evidenziare che Bachir Cham è di origini belga-libanesi? (il riferimento successivo ai colleghi). Ma allora cosa serve questa frase? A dare più autorevolezza al medico? (la sua maggiore obiettività ‘belga’). Inciampi semantici che fanno il gioco di chi vuole delegittimare il dottore libanese.

    Nei blog della destra atlantica è tutto un vociferare che Bachir-Cham è lo stesso dottore che denunciò l’uso di fosforo bianco su Falluja (ma non significa che sia al soldo dei terroristi). Del dottore si parla diffusamente sul sito Uruknet. Quindi senz’altro è un po’ schierato. Ma ripeto, non significa che sta mentendo. L’importante è non confondere le idee dei lettori con locuzioni ambigue. http://uruknet.info/?l=i&p=-2&hd=0&size=1

    E dove si possa leggere che:

    2) “Hezbollah si è vantato di avere tentato di sparare missili contro gli impianti chimici di Haifa nella speranza di disperdere gas che avvelenassero la popolazione civile. I missili di Hezbollah sono caricati con sfere di ferro in modo da provocare il massimo numero di morti tra la popolazione civile… (il foglio).

    Questa citazione sugli hezbo-missili è tratta da un editoriale di David Frum. La descrizione andrebbe grattugiata milligrammo per milligrammo. Il ‘giornalista giusto’, infatti, è abituato a denunciare i film di Palestinwood, nel senso che secondo lui i palestinesi e gli orientali in genere sono maestri della guerra mediatica (abbiamo visto come sia un retaggio delle Crociate).

    Samir Al Qaryuti avrebbe qualcosa da ridire, immagino. E’ una ‘costruzione’ dell’arabo incapace di combattere e di informare, e quindi solo di inventare e di mentire (e di morire).

    Ricordiamo che Frum ha messo addirittura in discussione l’omicidio di Mohammed al Durra, 12 anni, all’inizio della seconda Intifada. Un po’ come hanno fatto a Genova con la storia del sasso che avrebbe ammazzato Carlo Giuliani.

  117. mi sembra molto interessante tutto il thread, ma giungendo ora, non ho avuto il coraggio di leggerlo completamente.
    qualcuno che ha seguito lo riassumerebbe sinteticamente? grazie.

    piu’ sopra qualcuno evocava il nome del padre Sigmund. risponderei che la lettura psicanalitica è stata superata da tempo sia dai nuovi pensatori( antiedipo di Deleuze) che dai nuovi studi antropologici.Freud era talmente padre e fondatore che non ha riconosciuto che la metafora paterna in qualsiasi lettura. un po’ riduttivo.

  118. in ogni caso la lettura riguardo la trinità religiosa, non è certo dell’ebraismo o del crisitianesimo ma ha radici ben piu’ remote, credo addirittura risalga ai miti orfici mediati dall’antichità egizia da Platone sino alla crisitanità dell’epoca romana.
    in ogni caso tra padre e figlio, direi che la nostra epoca sceglierebbe decisamente la sacralità dello spirito santo:la bellezza dell’evocazione.

  119. @magda
    @jan
    il lavoro redazionale dovrebbe essere proprio quello di sintetizzare e riscrivere. Da tutti questi commenti, un nuovo post.

  120. Purtroppo non ho possibilità di connettermi giornalmente. Ma tra le cose che più condivido è l’articolo postato da diego e tratto da Liberazione:“La politica di Israele consiste proprio nel tenere in ostaggio intere popolazioni”
    Gilbert Achcar[1], intervista di Paola Mirenda per Liberazione – 15/7/2006. Cerchero’ di postarlo in home page.

    Molti botta e risposta sono del tutto personali e non li trovo interessanti per la “generalità”. Mi piacerebbe invece avere il tempo per rispondere ad ogni singolo difensore dell’attuale politica israeliana. Ma non ce l’ho. Il pezzo che ho scritto aveva un unico scopo ideale: indurre a tutti quelli che osservano e parlano di questo conflitto di avere il coraggio, come fa Galeano sul manifesto e altri, di parlare di “terrorismo di stato” israeliano. Questa constatazione dovrebbe togliere immediatamente ogni legittimità morale alla “guerra” che Israele sta combattendo. Ma questa constatazione la maggior parte dei media (nostri), per non parlare delle istituzioni internazionali, non ha il coraggio o non ha l’interesse, di farla.

    Nessuna analisi politica, nessun riferimento all’Iran e al suo capo di stato che è antisemita non da oggi, ma da una vita, puo’ giustificare la barbarie dell’esercito israeliano nei confronti dei cittadini libanesi. E la barbarie è anche e sopratutto una questione di “proporzioni”. Tutta la giurisprudenza e il suo apparato concettuale, tutta la giustizia, si basa su sistemi d’equivalenza, su graduazioni, su proporzioni. Il concetto di difesa stesso, implica l’idea di una legittimità e di una illegittimità. Ossia di una criminalità. Se oggi Israele si difende dal partito Hezbollah, lo fa in modo criminale. E lo può fare grazie agli USA. Ma fino a quando l’impunità sarà possibile, è una delle domande che i cittadini israeliani per primi dovrebbero porsi.

    Sono poi d’accordo con Roberto, quando chiede un’informazione interamente non pregiudiziale e vede i limiti anche del “manifesto”.

    Ma se nessuno avrà in mano la soluzione della questione mediorientale, è importante fissare il più pubblicamente possibile alcuni fatti incontestabili da cui muovere una riflessione. Altrimenti viviamo nell’ipocrisia costante di questi giorni. Con il teatrino vergognoso del governo di centrosinistra italiano che si vanta del nulla e si autoapplaude. Ragionare di tutto questo ci porterà a ribattere ai varie forme di razzismo, l’antisemitismo per prima cosa. Ma come sappiamo giudicare l’azione di un governo democratico quando è criminale, cosi sappiamo distinguere una critica politica da un attacco razzista.

  121. “bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla”

    1.
    Le Sheeba Farms. Quattordici fattorie di coloni arroccate sul versante occidentale del Monte Hermon. Il monte Sion, la vetta della “Terra Promessa” (Deuteronomio, 3:8). Negli insediamenti vivono cinquemila ebrei etiopici. I Falashas. Sono arrivati qui nel 1980 da Beta Israel, la ‘casa’ di Davide nel continente africano. Sono contadini trapiantati per soddisfare le assillanti esigenze demografiche che tormentano il governo israeliano. Ripopolazione, sfruttamento ed emarginazione. Forza-lavoro. Sul Monte Hermon ci vengono anche gli israeliani ricchi in vacanza, c’è una stazione sciistica e si praticano sport di montagna. Negli ultimi anni, pare che anche la vicina Siria abbia investito milioni nel turismo alpino.

    Dall’altra parte del Monte Hermon c’è il villaggio libanese di Shebaa. Agricoltori che coltivano frutta e verdura, in prevalenza sunniti, che tifano per il vecchio Nasser e sognano ancora il panarabismo. Il terreno della valle è fertile, le sorgenti fanno gola a tutti. Gli abitanti di Shebaa hanno convinto il presidente del parlamento libanese Berri a scuotere le cancellerie internazionali sulle prepotenze dei coloni ebrei. Al Jazeera e gli altri canali arabi amplificano la protesta sulla ‘guerra dell’acqua’.

    La disputa di Sheeba è uno dei micro-livelli del conflitto arabo-israeliano. Una questione di confini da ridisegnare tra Libano, Siria e Israele (nel frattempo ci pensa Hezbollah). La contesa territoriale si comprende soltanto in una macro-dimensione storica più complessa, l’annessione delle Alture del Golan dopo la “Guerra dei sei giorni”. Gli israeliani hanno attaccato, hanno vinto, si sono ritirati parzialmente dalla Shebaa Valley. Ma restano in tutto il Golan, nonostante la risoluzione ONU del 2003 che ha definito l’occupazione “illegale”.

    2.
    Il metodo di analisi del conflitto, dunque, dovrebbe essere induttivo e non deduttivo. Qualsiasi piano di pace deve affrontare uno per volta i dati parziali (le Shebaa Farms), invece che ambire a una soluzione generale (il Golan). Un processo di analisi dal basso in alto che parte dalle ‘tracce’ delle esperienze locali e influenza l’azione politica più generale.

    Intervistato da ‘Avvenire’, l’ex ministro degli esteri israeliano Ben Ami ha steso i quattro punti chiave di una possibile road-map che risolva la guerra in corso: 1) Hezbollah consegna i militari israeliani catturati al governo libanese; 2) Beirut scambia i soldati ‘rapiti’ con i detenuti libanesi rinchiusi nelle carceri israeliane; 3) si apre il negoziato per risolvere il contenzioso sulle Shebaa Valley; 4) l’intervento della Forza Multinazionale sancisce la fine delle ostilità. L’esercito libanese riprende il controllo del confine. Hezbollah viene disarmato e sceglie la strada dell’opposizione parlamentare (se no scompare).

    Si potrebbe aggiungere che 5) il governo libanese riconosce l’esistenza dello stato di Israele; 6) il governo israeliano si ritira dagli insediamenti di Shebaa, come ha dichiarato il presidente Sharon in un’intervista del 2001. Subito dopo, riprende la trattativa sul Golan. Da una ‘piccola’ a una ‘grande’, ‘dolorosa concessione’.

    3.
    Ci vorrebbe un mago della geopolitica per risolvere la disputa sul confine di Shebaa. Il professor Said imputava giustamente alla scellerata politica europea dei ‘mandati’ la causa di tutti i conflitti odierni. C’è dunque una responsabilità storica delle potenze occidentali del passato e dei paesi arabi e di Israele nel presente.

    Prima di addentrarci nelle caverne della cartografia storica, restiamo un attimo alla luce del sole, per dire che la diplomazia francese deve attivarsi per convincere i siriani a riprendere possesso di una terra che in fin dei conti è loro. Chi lo dice? La missione cartografica dell’ONU che nel 2000 ha ristabilito i vecchi confini, sulla base di polverose mappe francesi, libanesi e siriane.

    Le Nazioni Unite hanno imposto a Siria e Libano di “determinare tra loro gli esatti confini nella regione della Sheeba Farms”. Ma definire i confini significherebbe privarsi della ‘resistenza’ (muqawama) di Hezbollah. E quindi scendere a patti con Israele. Il governo siriano, “sponsor del terrorismo”, in realtà non lo controlla al cento per cento, anzi, teme l’autonomia di Nasrallah, gli ordini che potrebbero arrivare da Teheran.

    La Siria è l’anello debole della catena. Ecco perché la Francia dovrebbe prendere l’iniziativa. Ieri, al vertice di Roma, i francesi ha fatto un passo avanti, offrendo truppe fresche al segretario generale delle nazioni unite. Ma Parigi deve dialogare di più con Damasco.

    All’epoca del mandato francese, gli ispettori dell’intendenza parigina si erano già accorti che nella zona di Shebaa c’era qualcosa che non quadrava. Per esempio non si capiva a chi pagavano le tasse i contadini della valle, al governo libanese o a quello siriano? Il mandato assegnava de iure il controllo degli insediamenti alla Siria, de facto la popolazione era in prevalenza libanese.

    Le cose si complicarono dopo l’armistizio anglo-francese del ’49. Tra gli anni cinquanta e sessanta, polizia e popolazione diventarono a maggioranza siriane. Il governo libanese iniziò a disinteressarsi della questione. Dopo ci sono state l’invasione israeliana del ’67, è arrivata la carovana missionaria di Hezbollah, è scoppiata la guerra.

    Ma attenzione, il Libano non partecipa alla Guerra dei 6 giorni. Eppure Israele invade lo stesso il suo territorio. Nascono le fattorie del Monte Sion. Il governo Barak si ritira nel 2000, in ossequio alla risoluzione ONU. Inizia lo stillicidio dei missili di Dio. Oltre quaranta attacchi nei due anni successivi al ritiro. Rapimenti e omicidi di ufficiali israeliani. Incursioni che sono diventate quotidiane nel 2006.

    Le ricerche sui ‘veri’ confini della Shebaa Valley hanno lasciato dei dubbi, ma nello stesso tempo l’ONU ha rifiutato le prove addotte dal governo di Beirut per dimostrare che quei territori erano libanesi. Secondo le Nazioni Unite c’è un solo modo per risolvere la contesa: la regione delle fattorie di Shebaa è territorio siriano. L’esercito libanese deve collaborare con le forze multinazionali per disarmare Hezbollah. Chiudere i lavori della commissione che si sta occupando di definire i confini con la Siria.
    La nuova frontiera sarà la vecchia “Blue line” segnata dall’ONU nel 1978, ex “Purple-line” (1967), ex “Green-line” (1948), ex Trattato di Sevres (1920).

  122. Sono stradaccordo. come non esserlo? e come non adirarsi contro Israele?impossibile e ingiusificabile qualsiasi difesa che non puo’ essere accolta in nessuna azione di diplomazia internazionale, ma solo annoverata tra gli archivi di letteratura generalista.
    non si puo’ restare a guardare indifferenti e muti.

  123. @tash
    hai ragione. Bisogna approfondire (ci sto provando). Quando faceva comodo che le milizie libanesi si sbranassero tra loro, Israele sfruttò Hezbollah per sgomberare “Fatahland”. (Da riscrivere anche la storia del revisionismo sionista e della destra israeliana).

    @andrea inglese
    non si può che essere d’accordo con te (l’ultimo commento). Ma la cosa non ti preoccupa un po’? (che siamo tutti d’accordo).

    @carlo panella
    Leggo proprio ora, in un suo articolo di oggi, che è prioritario risolvere la questione delle Fattorie di Shebaa. Arriva tardi, dottore. La rimando al mio commento di ieri, su queste pagine.

    ————————————————————————————

    Nel frattempo, continuano le adesioni alla prossima Marcia Antisionista:

    1) Bobo Craxi: “Non ci sarà alcuna sicurezza per Israele se da aggredito si trasforma in aggressore”.

    2) La moderata Mina Salina sul blog i “Giardini dell’Anima”: “tra le regole religiose di Hezbollah c’è il divieto di uccidere o far del male intenzionalmente a civili nemici”. Ma anche: “la finalità politica” del Partito di Dio nel parlamento libanese è di “instaurare uno Stato islamico sul modello della Repubblica Islamica dell’Iran”. Ovvero, una teocrazia in uno stato multi-confessionale.

    3) I ragazzi di Forza Nuova al grido di: “Per gli Hezbollah fino alla vittoria!”. Hanno appeso striscioni e gagliardetti contro la guerra sull’ambasciata di Israele (ops, “Avamposto sionista in Medio Oriente”). I celebri pacifisti della Marcia su Roma.

    Mi ricordo uno di Forza Nuova, quando abitavo a Monte Mario. Costui era famoso perché, nottetempo, attaccava manifesti autoprodotti nel quartiere, tipo “Morte ai Sionisti”. Un giorno stava incollando un manifesto contro la sporca guerra capitalista in Iraq. Si avvicina un ragazzo che evidentemente aveva qualcosa da ridire, e quindi qualche frocesca simpatia filoebraica. Il forzanuovista pacifista gli sferra un cazzottone sul naso. Poi minaccia anche la madre del ragazzo. Perché in Iraq i bambini muoiono sotto le bombe.

    E come dimenticare gli editoriali on line a cura del dottor Fiore: 1) “Questa guerra è troppo censurata” (il Libano); 2) “Il Quarto Reich costruisce Lager” (il Reich sarebbe Israele); 3) “Opzione Salvador per la Palestina”; 4) “Petrolio per Sion”; 5) un nichilistico “Perché il futuro dell’occidente finirà in tragedia”, il brano più gettonato nella top ten dell’irrazionalismo estivo 2006.

    5) Non manca una dichiarazione del Veneto Fronte Skinheads (22 attivisti assolti per incitamento all’odio razziale, con svastiche e braccia alzate, Brescia 1996). Sono quelli del “Potere Bianco” di Ian Stuart, della rivista “Blood & Honour”. In Italia la rivista si chiama “L’Inferocito”. Ecco la dichiarazione di uno dei militanti: “Gli americani sono i primi dittatori della terra, disegnano il mondo a modo loro senza rispettare le culture e le identità nazionali. Fanno il gioco dello stato d’Israele e delle sue mire espansionistiche” (Marco, 29 anni, giardiniere a Pavia).

    6) Gli ultrasinistri malpancisti dell’Unione che urlano: Olmert buffone!, ritiriamo il nostro ambasciatore da Israele!, condanniamo Israele con le sanzioni! e intanto mandano due distaccamenti del Col Moschin e unità speciali della Marina, in missione kombat (kombat), nella provincia afgana di Kandahar (voto di fiducia di ieri, ma nessuna manifestazione di piazza).
    http://bellaciao.org/it/article.php3?id_article=14415

    Imperdibile: Matteo, 24 anni, poeta-blogger di Vicenza: “…Ancora fumo in Palestina/ Pietre volano contro Israele/ l’occupazione FINIRA’!!”.
    http://cokeine.giovani.it/

    Sporche scuse rimediate dai bastardi imperialisti israeliani per giustificare l’attacco/1:
    “Beirut, 12 luglio 2006: I soldati israeliani uccisi oggi dai guerriglieri del movimento sciita libanese Hezbollah nei combattimenti lungo la ‘linea blu’ di demarcazione tra Libano e Israele sono SETTE***. Lo ha affermato il leader di Hezbollah, sheikh Hassan Nasrallah. In una conferenza stampa ancora in corso a Beirut, Nasrallah ha precisato che tre soldati sono stati uccisi stamani durante la cattura dei due militari israeliani ora in ostaggio di Hezbollah…”.
    *** “Alcuni soldati”, per Indymedia
    http://italy.indymedia.org/news/2006/07/1120591.php

    Sporche scuse cripto-fasciste/2:
    Hezbollah non è fatto solo di terroristi. Ha tre ministri e svariati deputati nel parlamento libanese. “Il loro attacco va considerato come un atto di guerra vero e proprio di uno stato sovrano (il Libano) contro un altro stato sovrano (Israele). In questo caso Israele agirebbe nella piena legalità istituzionale in base all’articolo 51 delle Nazioni Unite, che consente il ricorso alla forza in base al ‘diritto naturale di autotutela’. (Il Riformista, 21 luglio 2006).

    Inaffondabile: il teorico del complotto permanente, Maurizio Blondet, sulle pagine della Padania. Articolo ripreso, commentato ed esaltato da Indymedia. Un nuovo asse newpadano?:
    “Insomma sarebbe stato Israele a violare la sovranità territoriale del Libano (cosa che del resto fa comunemente con i suoi aerei), mentre Hezbollah si sarebbe fatto giustizia da sé, al posto di uno Stato libanese sostanzialmente disarmato”.
    http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=62856,1,1
    http://italy.indymedia.org/news/2006/07/1119754_comment.php

    (continua…)

  124. >>>> Imperdibile: Matteo, 24 anni, poeta-blogger di Vicenza: “…Ancora fumo in Palestina/ Pietre volano contro Israele/ l’occupazione FINIRA’!!”.

    si tratta di una canzone della banda bassotti, una canzone del 1991 circa.
    Prendere una frase decontestualizzandola dal blog e’ una cosa che potrebbe falsare la realta. mica sono antisemita!!

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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