Piccola apocalisse postmondiale
di Helena Janeczek
Emancipate yourselves from mental slavery, no one but yourself can free our minds (Bob Marley, Redemption Song)
In Alta e forse Bassa Lombardia viene giù un nubifragio che andrebbe classificato come tempesta, in una città che grazie a un precedente governo fondamentalista indù occorre chiamare Mumbai si contano i cadaveri dei pendolari dilaniati che nessuno ha la bontà di rivendicare, la striscia di Gaza e i confini fra Libano e Israele sono sull’orlo della guerra, a Mogadiscio si sparava a quelli che guardavano le partite e si continua a sparare, a Vibo Valentia devastata dall’acqua brucia un negozio devastato da una bomba, a Napoli bruciano i rifiuti, a Beirut viene bombardato l’aeroporto, in Kashmir sono ammazzati altri quattro indù, il Libano chiede la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, gli Stati Uniti accusano Siria e Iran di usare Hebzollah e Hamas, l’India esige chiarimenti dal Pakistan, forti piogge in Cile causano undici morti e tremila sfollati, il Giappone chiede che il consiglio di sicurezza dell Onu voti presto sugli esperimenti missilistici della Corea del Nord.
Il calcio è una metafora della guerra, ma non è la guerra, siamo sull’orlo di una guerra o più di una guerra con possibilità di proliferazione ed escalation nucleare, il calcio non è la guerra e quindi che cazzo ce ne frega di che cosa Materazzi abbia detto veramente a Zidane, soreta, mammeta, e invece ce ne frega, ce ne frega, il calcio è una metafora della guerra, il calcio è specchio e prefigurazione, prefigurazione tragicomica ma pur sempre prefigurazione, è specchio per le allodole, per chi sull’orlo della guerra è distratto da panem et circensis, e allora scusate se prima di cominciare a tremare seriamente, guardiamo un attimo indietro.
Per giorni, nonostante le smentite dell’interessato che si dichiara un povero ignorante, circola la parola “terrorista”: lanciata come mera ipotesi dal Guardian, ripresa come notizia da Repubblica, ampliata “in figlio di una puttana terrorista” e varianti plurime da quelli che in ogni parte del mondo leggono le labbra alla moviola, che cominciano a decrittare mammeta, soreta, ma al “terrorista” nessuno sembra voler rinunciare, un cugino di Zidane si dice addirittura convinto che l’insulto sia stato “ figlio di un Harki”, cioè un’allusione ai collaborazionisti arabi durante la guerra di indipendenza algerina, mentre Materazzi Marco da Lecce probabilmente non sa manco bene dove sta di preciso l’Algeria, mentre arriva infine la mamma di Zidane a chiederne i testicoli su un piatto d’argento.
Questa sarebbe una notizia rasserenante: dimostra chiaramente che non siamo allo scontro fra l’Italia bianca e cristiana e la Francia terzomondista, come disse quello solito delle magliette, ma alla rissa fra due figli di mamma che condividono l’imperativo che la madre e la sorella non si toccano, che siamo piuttosto ad un conflitto tutto interno, diciamo, alla nostra antica cultura mediterranea, ma della nostra antica cultura mediterranea nessuno se ne impippa, perché qui bisogna consumare uno scontro fra Nazioni e oltre alle Nazioni uno scontro all’interno dello Scontro di Civiltà e allora buonanotte a mammeta, soreta.
William Gallas, uno dei negri di questa squadra di “negri, islamici e comunisti”, così definita dal ex ministro Calderoli, dichiara a un tabloid inglese “sappiamo che gli italiani si comportano così: quando sono dominati cercano di provocare, sono imbroglioni, non possono essere fermati. Quando ho visto Zidane andaresene così, avrei voluto spaccare la faccia a Materazzi. Gli italiani barano, ma non possiamo farci nulla”.
Ritals. Maccaroni ecc. Ma che bello! Diventa più francese anche tu, William Gallas, diventa un po’ più bianco rispolverando su un giornale britannico i bei vecchi e classici pregiudizi antitaliani, persino Le Pen che brontolava perché le Bleus erano trops noirs, ora che c’è in ballo la Nazione è pronto a giustificare il capitano della Nazionale, ma che bella questa fioritura di razzismo di tutti contro tutti nel seno della vecchia, imbellicosa Europa, della vecchia e cara Europa unita.
E’ fatta così, l’Europa unita: di cafoni terroni che se non avessero avuto le gambe buone avrebbero verosimilmente dovuto immigrare, arruolarsi, sgobbare in nero per due soldi, di figli di neri nati nelle banlieues che se non avessero avuto le gambe buone avrebbero contribuito a incendiare, è alla frutta, la cara vecchia Europa, e si difende come può, coi luoghi comuni del politicamente corretto e del razzismo, con le menzogne dolci o cattive.
Dei dieci giocatori in campo domenica, quattro sono nati nelle ex colonie o nei territori della Francia Oltremare.
Patrick Viera, Dakar, Senegal, 23.6.1976.
Lilian Thuram, Pointe-à-Pitre, Guadeloupe, 1.1.1972.
Florent Malouda, Cayenne, Guinea Francese, 13.6.1980
Claude Makelele, Kinshasa, Congo, 18.2.1973
Sono arrivati persino dalla Caienna, capitale della famigerata ex colonia penale e dalla città che fu chiamata Léopoldville, ex capitale del Cuore di Tenebra, e noi pensiamo ancora che questo sia “terzomondismo comunista” come tuona Borghezio o come piaceva pensare a noi “integrazione multietnica e multiculturale”?
“Multiculturale” era forse quella di prima, o almeno potevamo ancora illuderci che fosse tale, la squadra coi giocatori di origini basche e spagnole e italiane (Lizarazu, Pires, Candela), quella con i meticci, questa invece aveva l’aspetto di squadra ex- o neocoloniale, col suo allenatore bianco identico alla tipologia che impersona Daniel Auteuil in Niente da nascondere, coi occhialini da intellettuale francese e la puzzetta sotto il naso che sta a guardare i suoi neri così in maggioranza e così neri da far pensare ai gladiatori, ai liberti nubiani.
Mistah Kurtz.
“I miei ragazzi, la mia squadra, la mia nazione”.
Il suo campione Zinedine, “bellezza della religione”, bamboleggiato in Zizou, molto prima di essere espulso per la testata, chiedeva di poter essere sostituito per stanchezza e il dolore alla spalla lussata e non sappiamo se è stato il furor di popolo o il suo mister a non farlo uscire.
Però che c’è di male, non è così da sempre per tutti gli sport americani? Ma questi calciatori non hanno nemmeno l’ambivalente consolazione di chiamarsi Michael Jordan, o Jesse Owen o Cassius Clay e dunque poter decidere che da oggi diventeranno Muhammed Ali, non possono rivendicare di essere stati “stolen from Africa/ brought to America”, questi hanno cognomi e spesso anche nomi africani e non sono più né questo né quello, non sono nemmeno legittimi discendenti di veri schiavi, e chi non è stato vero schiavo per che razza di libertà e a che titolo può mai lottare?
E’ in questa prospettiva, quella dell’impero coloniale globale che è quello in cui i Bin Laden fanno affari con i Bush mentre in Texas e in Arabia estraggono il loro petrolio ragazzi messicani o pakistani clandestini e sfruttati, noi, noi vecchia cara Europa, ci ritroviamo all’avanguardia come lo eravamo quando capimmo che fin quando c’erano gli indigeni da sfruttare della schiavitù vera e propria potevamo anche fare a meno e guardavamo dall’alto in basso dei nostri parrucconi i nostri fornitori di tabacco e cotone americani. E allora continuiamo a fare affari, a vendere di tutto a tutti, inclusi i calciatori neri, e alleniamoci nel razzismo di tutti contro tutti, in questo magnifico gioco di svago e copertura, mentre scoppiano le guerre, quelle vere.
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Grande Helena! E’ sempre un piacere leggerti. Un vero balsamo intellettuale, che riduce in poltiglia le pippe e i commenti pipposi postati in altero loco. Si può anche dissentire su alcuni punti, ma non si può non accorgersi di un pensiero che scorre e di occhi sempre aperti e accesi sul sostrato di complice idiozia che maschera a festa l’orrore e la maceria.
p.s.
Dovresti scrivere più spesso, per quel che mi riguarda.
Beh è davvero un testo singificativo, o Helena
Tutti i gioghi o sport agonistici sono simbolici o metafore di guerra,
persino gli scacchi ed i vari tipi di dame lo sono.
Meno male che sono stati inventati, forse dovrebbero sublimare
o trasformare l’umana aggressività in un fatto meno costoso, cruento, sanguinario.
Però mica sempre funziona la ricetta, a me sembra che spesso l’attività tifoidea sportiva in certe situazioni potenzi la violenza repressa.
A me, che son parruccone e vecchione,
vengono i mente storie di panem et circenses, storie di Bisanzio e partiti dei rossi dei verdi all’ippodromo con relativi tumulti, scannamenti, incendi.
Però guarda caso le guerre, quelle vere,
con i morti veri e catapulte frecce daghe lance pili scudi,
si svolgevano in periferia, tipo:
nelle foreste della Germania
sulle steppe della Dacia
ai confini della Mesopotamia….
Tanto per portare un po’ sfiga ovvero sfortuna, ecco.
MarioB.
direi che ci voleva proprio un post così: scrittura capace di guardare oltre il fatto in sè, andare oltre il semplice noi contro loro, riportandoci davanti agli occhi i veri problemi.
Grazie.
@ciao andrea, scusami, ma io il problema non lo vedo: né il semplice noi contro loro (noi chi poi?!), né la possibilità di definire il fatto in sé come portatore di una qualche verità ( e quindi superabile sotto l’aspetto retorico, “guardando oltre”)…
@ciao helena: ebbene, il paesaggio che descrivi è desolante. e credo che, in merito al problema “marginale”, cioè quello della metafora calcistica della guerra, il problema sia causato più che altro dai giornali “che aizzano la caina”; e non dagli *eroici* interpreti del calcio, che in questo senso non centrano niente. mi sembra anche fin troppo volgare occuparsi della questione materazzi zidane, mi spiego meglio, anche perché: ma chi diavolo sono materazzi e zidane, se non due menti decisamente grezze, come quella di calderoni per altro(di gallas, della madre di zidane e forse anche della sorella, ed ecc, ecc)?! quindi, come possiamo aspettarci uno spettacolo che non sia deleterio da loro? e infondo il calcio è questo:“coloro che lo giocano”! altro che fair play e bellezza nello sport, fratellanza, sani principi ed educazione: la totalità di coloro che lo praticano sono ragazzi non emancipati dalla violenza, che vivono l’idea del gesto violento e la pratica dello stesso come rivalsa, “anche sociale”, senza saperlo per altro che “se colpiscono un nero sarà diverso dal colpire un bianco” (quanto meno sul piano della speculazione giornalistica); eppure ci sarebbe da farglielo notare a questi signori, visto che sono così opulentemente ricchi che potrebbero anche occuparsi “di se stessi”, invece di umiliarsi su uno di quei curatissimi prati, non dovendo lavorare per il resto della loro vita potrebbero studiare e capire, quanto meno per “emanciparsi”, insomma, fruttare l’occasione.
c’è anche da dire, helena, che i nostri politici ( ma non solo i nostri) sono molto più diseducativi e ignoranti dei calciatori. giusto per concludere, vederli in parlamento “come in uno stadio” è una visione di raro squallore, o in campagna elettorale( cosa sono disposti a dire, quale ardite metafore!!!).
complimenti helena, bel post!
@angelo: i problemi (non il problema) elencati nel post; noi contro loro: italia/francia, bianchi/neri, sud/nord, …; guardando oltre: venivo dal post precedente dove ci si incaponisce un po’ troppo sul calcio e basta.
@andrea: non vedo nemmeno “i problemi” comunque – banalmente l’unico è quello della guerra!!! e, inoltre, sono d’accordissimo che quello del calcio non esista ( se non fosse che è sintomantico d’altro…)
siete anche voi “nel pallone” come titolava il manifesto ieri…
aspettiamo che passi la sbornia-mondiale che magari su ‘sto blog si torna a parlare di eventi concreti e non di discorsi fumosi
goal!
Cûk è molto dispiaciuto, ora Cûk è triste. Cûk non capisce perché si parli senza dire niente, nullificandosi nell’atmosphera virtuale con frasi roboanti senza pensieri sfavillanti (altro che pensiero che scorre, Ugolino; qui siamo al mischiare capra e cavoli cercando di darsi un contegno; siamo all’indegno?). Ora Cûk ha il mal di testa. Una piccola lacrima sta sanguificando il suo bel viso. Cûk ora se ne va, triste e solo. Se ne va nel suo angolino a pulirsi la bocca e poi, con lo scopino del cesso, la mente. Ma prima mi permetto di sporcommentare … Partiamo dall’esordio apocalittico: embè? Forse voleva lei dirci, cara Helena, che discuter di calcio e similamenità alle soglie di una guerra e con tutti i problemacci che ci prendono ai polpacci proprio non se puote? Signora mia, certo: se si discutesse solo di calcio. Ma essendo noi, oltre che tifosi rancorosi, anche intellettuali asinini, e alcuni, me tra questi, anche in primis militonti nel Partito del Se-scendi-in-strada-è-meglio, va be’, tranquilla, si discute-discute finanche del dolore della cute. Lei sorvola, mia cara. E Cûk è dispiaciuto per gli applausi. In fondo, nella prima parte non dice cose diverse dal Berrettoni precedente; con un po’ di più di stile, ma più o meno il concetto è lo stesso: la stessa banalità, in fondo, se mi è permesso: perché dire della “distrazione” collettiva di fronte ai mali del mondo, usando a tal fine il calcio, è tristemente dire una banalità. Poi fa un passo indietro, e anche lei (secondo capoverso), anziché parlare delle cause dell’aggressione al Libano da parte di Israele, parla dell’affaire Materazzi-Zidane … (il terzo capoverso, dove cita Gallas, proprio non l’ho capito; mi scusi, è che c’ho il cervello troppo preso a calci dal calcio. E neppure il quarto forse ho capito. A questo punto mi dico che non capisco neanche il post). Certo, poi mette in mezzo addiritura il negriano “impero coloniale globale”, e allora, davvero, siamo tutti felici di non essere beceri tifosi, ma seri e attenti all’altro e saccenti del “parolmondo”, ovvero sappiamo che siamo alle soglie della nuova guerra e noi, con le nostre sterili discussioni d’agonicalcio, all’avanguardia del tutti contro tutti, veri razzisti asemiotici pronti a diventar carne da cannone … Mi permetta: con etilica poesia le vorrei dire che la sua non-idea m’ha sfinito e davvero, pur fibrillando e sfibrandomi nella lettura, ho fatto fatica ad aprirmi un varco al di là del senso comune, e sempre con la speranza di incontrare, trasleggendola, un buon senso … Mi scusi dell’eccesso, ma Cûk è trombone e tutto dimentico, anche il galateo …
PS: E il calcio, mi permetta, è solo se stesso, ossia anche altro (è allegoria, dunque metafora allargata): è sistema economico-finanziario, ed è circo: in una parola: è spettacolo (nel senso di Debord, ossia spettacolo della merce). E qui cadiamo a bomba: vive della stessa pasta di cui si nutrono (uhaaauuuuuuu! Che citazione colta!) le guerre presenti e future (orsù, votiam-votiam-per-l’afghanistàn!). Eppure, pur sapendo ciò, io mi diverto a parlar di calcio (anche di, non solo di) …
Cûk –Cûk fa ciuff-ciuff e va lontano dalle sue stesse neuroparole
Cûk-Utitz, del Club delle Scintille Nere
parvum parva decent […]
Lei invece, che è homo grande, può solo approntare roghi
spesso Dio rivela le cose migliori ai più umili […]
Non sono un umile, e poi Dio è una menzogna inventata per avariare il genere umano
cuk, prova a riporre per un attimo il Buffon(…) che è in te, e poi, vaporata la sbornia insieme alle “scintille nere” (che bel nome, esemplare: mi ricorda “vagamente” qualcosa), prova a rileggere il testo: magari ti accorgi (tu che citi allegorie e metafore “allargate”: a proposito, devi avere un gran bel manuale di retorica sottomano!) – che hai commentato un testo che hai visto solo tu. O forse vi hai solo letto quello che ti faceva comodo. E sì: ubi nigrum lumen, minor cessat. Etiam cogitus (ac coitus).
sì, sì cuk, hai ragione: è l’oppio dei polipi!!!
Sembra quasi fuori tema tornare al tema del post, a questo punto.
Comunque complimenti Helena, complimenti davvero per la lucidità, l’indignazione e il decoro del tuo intervento.
Francesca
Caro Ugolino, prima di adombrare sospetti sul nero delle scintille, si informi: il Club delle Scintille Nere era collettivo di artisti proletari nell’Unione Sovietica degli anni Venti, citati finanche dal sommo Majakovskij (lei conosce?). Per il resto, di buffone ho tutto meno la parentela col noto portierone nazionalpopolare (tra l’altro, pessima battuta). Poi torno al post, ché mi stanco presto di divagare. E confermo di averlo letto male: banale-banale lo trovai e continuo a trovarlo banale e fumoso e simile per senso al Berrettoni dell’altro post … Posso dirlo? O si deve solo acconsentire?
(per parlare di allegoria bisogna avere davanti un manuale? Che scuole ha fatto?)
oh pascente Cuk, si ricordi che « il regno di Dio non è nei discorsi, ma nella virtù […]»
Egregio cuk, rimandiamo il tutto ad un prossimo incontro: temo una deriva berrettoniana, e non credo che frau Helena lo meriti: né lei, né il suo scritto.
“L’allegoria come metafora allargata” mi sa tanto di manuale di retorica o, nello specifico, di “materassi”.
Di Majakovskij so solo che, nella Treccani, viene prima di “malfatto” (cfr. De André, La collina, in “Non al denaro…” etc.).
Che scuole ho fatto? Il cepu: mi sono imparato tutto da solo: cioè mi ho fatto da solo.
Ad maiora.
Mi urgie coregere un lapis, e poi me ne ando: la canzione di De André non e “La colina”, ma “Un mato”. L’albumm è l’isttèss.
grazie a tutti coloro che hanno colto e diffuso.
Che questi campionati del mondo abbiano non dico rivelato, ma messo di nuovo in vista alcune tra le fratture e pregiudizi etnico culturali del Continente europeo e ribadito, qualora ce ne fosse bisogno ciò che già dissero i referendum approvativi della costituzione europea e cioè che la tensione verso l’unità e il superamento delle barriere al di là delle convenienze economiche probabilmente si è allentata di molto riaffiorando la merdina nazionalista un po’ ovunque, non si può negare.
È vero che si tratta di un gioco, ma è anche vero che è un gioco rivelante: le grandi masse che costituiscono il Grande Ripieno d’Europa, vale a dire l’immensa classe media allevata dal consumismo occidentale degli ultimi trent’anni (cui appartengo), scopre che tra le cose divertenti da fare, oltre ad andare al supermercato e allo stadio, nonché a stare davanti al televisore e una scopatina il fine settimana, c’è che si può inveire tutti assieme contro i vicini, i macaronì, e i boches, gli wops, e i fucking frogs, eccetera, senza che nessuno alzi almeno un sopracciglio di rimprovero, che anzi, l’ennesimo trombone salito al Quirinale si mette pure lui a dire che “il paese ha ritrovato l’orgoglio” eccetera.
Poi sì, ha ragione Helena, che ha guardare in filigrana sia la competizione che le squadre e le reazioni del tifo e della stampa ne esce fuori qualcosa come una sinossi globale storico culturale dell’Ultima Europa, e spero che quelli che ne sono capaci siano già al lavoro per analizzare e restituirne il senso, se ce l’ha.
Bell’articolo, Helena.
Writer (di fretta)
Io invece non ho capito dove va a parare.
Ho anche cercato di riassumerlo, cosa che aiuta sempre, ma – forse per la mia diffidenza verso gli scritti “etici”, anche detti “riflessioni morali” – non ci sono riuscita, colpa mia.
Ecco, questi sono gli “standard” che ci attendiamo da N.I. :-)
Ma non resisto ad una nota personale: ciò che mi ha colpito, in questo mondiale, è stato il fatto che pur avendo ormai a disposizione una pletora di strumenti atti a “decostruirlo”, le mie viscere se ne sono fatte un baffo di tutti i miei tentativi di distanziamento autoprotettivo: così le due grandi sfide finali mi hanno gettato in un’ansia del tutto autentica, palpabile, per quanto – nell’astratto – chiaramente ridicola. Ed altrettanto corposa, rotonda, è stata la soddisfazione per i colpi di culo di cui indubbiamente abbiamo goduto, stavolta come autentico “bacio degli dei” e non come perfido approntamento di una beffa successiva. Ho perso per un attimo la “partecipazione mistica” con la folla che mi circondava soltanto durante l’espulsione di Zidane, che ho accolto con silenzio e costernazione in quanto andava evidentemente ad intaccare quella dimensione epica che ci eravamo guadagnati battendo in quel modo la Germania, e che ci sarebbe rimasta associata anche in caso di sconfitta onorevole (per la squadra francese soltanto ammirazione, calciatori magnifici, però toccava davvero a loro il turno delle lacrime). Abbiamo invece vinto con un pizzico di vergogna, circostanza che probabilmente simboleggia le nostre ambivalenze in maniera più adeguata. Ora so benissimo che si tratta di piaceri regressivi, che possono probabilmente viversi soltanto in ragione di un certo “imprinting” calcistico acquisito nell’infanzia (le partite interminabili, le figurine eccetera) ma credo che si tratti di un “baraccone”, quello del mondiale, costruito con consumata abilità e neppure troppo corrotto o malvagio, tutto sommato. Quella coppa poi, io l’ho sempre trovata artisticamente magnifica, ipnotizzante, complimenti a Gazzaniga!
a voi vi frega il senso di colpa
avete tifato e non sapete come espiare, così approntate il frasario della domenica che tanto è multiuso, l’indignazione, le tinte forti, la cartapesta morale…
intellettuali di sinistra, la roba più tragicomica del mondo
Caxxo!!! Finalmente uno con le palle!!! Uno tutto stadio e svastica!!! Era ora!!! Fatti vivo più spesso, manicozzi: era dai tempi del post su di cane, di cui sarai sicuramente tifoso, che non si sentiva un tanfo del genere.
@smaniozzi
che dirti di noi maritozzi: « molti sono chiamati, ma pochi sono gli eletti […]»
“Dei dieci giocatori in campo domenica,”
all’inizio non erano undici come sempre?
fabien, willy, lilian, william, éric, claude, patrick, franck, yazid, florent, thierry
(e poi sylvain e david)
“Multiculturale” era forse quella di prima, o almeno potevamo ancora illuderci che fosse tale, la squadra coi giocatori di origini basche e spagnole e italiane (Lizarazu, Pires, Candela), quella con i meticci, questa invece aveva l’aspetto di squadra ex- o neocoloniale, col suo allenatore bianco … coi occhialini da intellettuale francese e la puzzetta sotto il naso che sta a guardare i suoi neri così in maggioranza e così neri da far pensare ai gladiatori, ai liberti nubiani.”
è uscita pazza helena?!
mi faccia il nome di un intelletuale francese con occhiali simili a quelli di domenech
“francese = la puzzetta sotto il naso” non equivale a “italiano = imbroglione”
???
“che sta a guardare i suoi neri”
ha mai sentito domenech parlare della squadra?
lippi come stava a guardare i suoi bianchi?
“questa invece aveva l’aspetto di squadra ex- o neocoloniale”
vada a chiedere a lilian thuram se si sente un colono
qui in francia c’è chi lotta per diffondere l’idea che “francese” vuol dire anche “nero”
e mi creda c’è anche chi lo ha assimilato da tanto tempo
non vedo cosa cambia con la squadra del ’98?
che differenza c’è tra il figlio di due immigrati italiani quello di due immigrati cabili o senegalesi e quello meticcio di un immigrato spagnolo e di una francese o di un immigrato marocchino e di una portoghese nati in francia?
ha mai vissuto in francia?
la storia dell’immigrazione è fresca in italia
Cara Hélène,
lo so che in Francia c’è chi lotta perché “francese” vuol dire anche “nero”.
Lo dico a te come anche agli altri che hanno criticato questo pezzo. Questa non è principalmente una riflessione, un'”analisi lucida”.
E’ vero: mette insieme capre e cavoli e non va a parare da nessuna parte.
Non voleva nemeno essere il grido di indignazione morale per il quale è stato preso.
Questo pezzo si avvale di cliché e sta sulle percezioni, cerca di esprimere un sentimento ancorato a queste percezioni.
Tu hai ragione se rilevi che “francese arrogante” non è molto diverso da “italiano imbroglione”: resta sempre un cliché.
L’unica differenza sta nel fatto che ci sono cliché e pregiudizi contro chi è stato o è ancora la parte debole e discriminata di un paese e cliché che riguardano chi non ha subito discriminazioni. Gli italiani in Francia e in altri luoghi della loro immigrazione (ivi inclusi i meridionali al Nord) erano e sono ancora discriminati.
Qui non si trattava di come sono Thuram o Domenech veramente, ma di come la squadra appariva e a me appariva così, come un sintomo di regresso degli sforzi di integrazione, sintomo di tendenze a formare ghetti, gruppi omogenei di etnia, religione ecc.
E soprattutto come visione del fallimento di un’idea, l’idea del multiculturalismo bello e buono e riuscito di cui le precedenti squadre francesi erano la raffigurazione per molti, me inclusa.
Lo che Thuram è una persona consapevole (oltre che un giocatore bravissimo e corretto) e credo che abbia fatto sentire la sua voce quando recentemente c’è stata la legge sulla rivalutazione del colonialismo.
Ultima cosa: aldilà degli occhialini di Domenech, il pezzo non guarda alla Francia come un “loro” opposto a un “noi” tutto bello e buono, ma all’aria che tira qui e lì e che ha come comune base il suo essere Europa.
Per tutti: grazie, ovviamente, degli apprezzamenti e scusate se non potrò più intervenire in questa discussione perché mi preparo a una giornata allucinante e domani mattina vado in vacanza.
Vi autorizzo a dirmene dietro di tutti i colori (of benetton):-))
@helena: buona vacanza
Ma perché non firmate i post? Ma chi cazzo siete? Come dice Mario Venuti, ci si deve mettere la faccia. Lo so, centinaia di post su questa cosa dei nick, chi dice va bene lo stesso, chi dice con i nick è meglio. Ma io non riesco a seguire i discorsi dei fantasmi. Va be’, torno sul bagnasciuga, oggi il mare è piatto, l’acqua limpida e calda.
@ HJ
Ah, mia cara Helena, la sua precisazione le fa veramente onore … e riporta il suo pezzo nella giusta dimensione: quella di uno sfogo (e nello sfogo hanno diritto di esistenza anche i cliché) … E pensi che c’era già quanlcuno pronto a santificarla … Anch’io le auguro buone vacanze, sinceramente …
@ la rocca (e @ chi la pensa come lui sulla questione del nick)
Mi scusi la pedanteria, vorrei sommessamente ricordarle che nessuno può arrogarsi il diritto di stabilire se sia etico o meno firmarsi col proprio nome o con nick. O vogliamo stabilire, per legge, quale etica debba avere la preminenza? La partecipazione alle discussioni sui blog presuppone il massimo di libertà possibile, sia nei giudizi che nei modi di apparire; sta alla sensibilità di ognuno decidere. Io, ad esempio, mi firmo con un nick non per opportunità o vigliaccheria; solo perche lo pseudonimo rende la mia scrittura più libera, meno vincolata ad una immagine che io stesso mi sono fatto di me. E poi, sinceramente, come dimostra gran parte della letteratura del secolo scorso, truccare i dadi non porta necessariamente a falsare il gioco. Savinio, ad esempio, diceva che le cose più importanti sono quelle anonime. O che dire del lavoro di critica feroce dei sensi comuni di Karl Kraus, il quale pubblicava una intera rivista ricorrendo a nomi inventati (“non è sempre il caso di fare nomi”, diceva) … E potrei anche citarle una bellissima frase di Barthes, per il quale la firma dell’autore fa di ciò che è scritto un mito, ovvero ne certifica la morte. E quanti grandi poeti hanno sognato di sprofondarsi in un assoluto anonimato? La lista dei nomi a favore dell’assenza di nomi potrebbe continuare, almeno sino ai situazionisti … In un bellissimo saggio dal titolo “L’autore e i suoi doppi”, Kilito dimostra come, in certe situazioni, ricorrere ad uno pseudonimo salva dalla censura (in questo caso, potremmo dire dell’autocensura); dice anche che è l’arma dei poveri, ossia di scrittori imprevedibili e folli che non vogliono smettere di prendersi gioco dei potenti e che però stanno anche attenti a non cadere sotto i colpi della repressione. Dissimulare se stessi, non apparire, può essere una forma per dire tranquillamente delle cose in piena libertà. Perché fare del moralismo su ciò? Insomma, può anche darsi che il ricorrere al nickname sia solo un trucco per non inimicarsi nessuno. Ma se fosse veramente così, che c’è di male? Ripeto: che senso ha stabilire quali “comportamenti” siano leciti e quali no? Non stiamo mica decidendo delle sorti della nazione, né tanto meno di quelli della letteratura … Suvvia, caro La Rocca, stiamo solo scrivendo su di un blog!
Cûk-Utitz
@ La Rocca
Se io commentassi come Maria Stella De Dominicis si sentirebbe più garantito?
Che vecchia e noiosa storia! Tra l’altro ho letto interventi civili e intelligenti firmati da nick e interventi stupidi e incivili firmati da “nomi veri”. Sempre che “nome vero” voglia dire qualcosa.
Sa, alla sua domanda “chi cazzo siete?” mi verrebbe da replicare ma lei, chi è? io di lei non so niente, non so neppure se si chiama davvero Niccolò la Rocca. Le dispiace provarmelo?
Shhhh, temp, non irretire l’ospite, magari è un “grande” scrittore venuto a onorarci della sua presenza… Uno che, per giunta, ti cita il sommo filosofo Mario Venuti prima di tornare sul bagnasciuga, vuoi mettere…
E poi, scusa, a volte basta un “click”, e subito capisci il perché di tante visite.
Caro Conte,
ho fatto una gaffe? ahimè, non è certo la prima.
Il fatto è che il nick ha una nobile tradizione, basta chiamarlo pseudonimo e lo si toglie dai bassifondi (che per altro a me piacciono più di certi noiosi tinelli).
Molti, Salinger per primo, si sono pentiti di non averlo usato. Certo, per un rimpianto del genere bisogna avere avuto un successo schiacciante e desiderare finalmente una vita privata.
E’ che noi nick siamo così, deliranti, ci tuteliamo con l’ombra di fronte alla terribile prospettiva del nostro futuro successo planetario:-}
@nicolò
curioso. Se mettere la faccia significa linkare alla pagina del proprio libro qualcosa non mi torna.
Cordialmente
nei banchetti è difficile conservare la purezza […]
“Noi nick…ci tuteliamo con l’ombra di fronte alla terribile prospettiva del nostro futuro successo planetario”!!! Fantastico, temp: un’ombra rossa sospesa tra il nulla e l’eternità; un filo teso, in pieno delirio da blog, tra Pessoa e la Yourcenar!!!
E pensare che qui (cfr.: in rete), ignari della tragicità nietzscheana del nostro destino, un giorno sì e l’altro pure, ci sottopongono a umilianti trattamenti ittico-parietali. E’ la sorte degli incompresi, che si rivela nello stupore poco filosofico di chi proprio non ci comprende e, sordo, volta le spalle alla messe di doni e meraviglie che gli rechiamo in sorte. Meglio, forse, aprire un blog, e vagare di sito in sito tenedo ben alta, ritta e desta, la nostra casettina azzurra che si illumina a comando.
Sarà per questo, mi chiedo, proprio per sfuggire a questo destino, che un guerriero come Angelo Petrelli si è messo a fare il predicatore evangelico? Penso che seguirò il suo esempio, non può essere altrimenti. ;)
Conte e temp: siete dei burloni:-)
Cmq, si potrebbe sintetizzare che gli israeliani hanno approfittato della testata di Zidane per attaccare il Libano.
(nota odiosa e puntigliosa: era Panem et circenses , non circensis.)
Ugolino, lo dico perché mi stai simpatico: non sono mai andato in uno stadio in vita mia e voto prc. La tua capacità di vedere quello che non esiste è spiccatissima, andrebbe sfruttata professionalmente, che so, nel cinema horror.
:)
Sai, che tu occupi la mente per mezz’ora con una cosa inutile come una partita o pensi tutto il giorno ai mali del mondo non fa nessuna differenza, né nella tua vita e di certo in quella degli altri. Quindi puoi rilassarti, lasciar perdere svastiche e puzze e tutto l’armamentario retorico pavloviano di cui qui si è data così sublime prova, ma degna di causa migliore.
Ciao @Mag
Mani, non so come dirtelo, ma mi togli un peso dallo stomaco. E anche una sottile paura dalla mente: non si spiega altrimenti perché stamattina sono uscito col casco in testa, pur non avendo nessun veicolo che ne giustificasse l’uso. :)
Però, permettimi, un rimprovero te lo devo fare: non potevi postare questa tua lieta novella prima delle 21.30? Ora che finalmente so qualcosa in più sulle mie capacità, e potrei indirizzare per il meglio la mia esistenza, visto che mi indichi anche la strada, mi ritrovo ad aver già fatto una scelta definitiva e irrevocabile: la predicazione evangelica. Beh, vedrò se è possibile, magari in questo clima di festeggiamenti lo è, sciogliere il voto da poco fatto e ritornare sui miei passi.
p.s.
Posso rubarti “l’armamentario retorico pavloviano di cui (qui) si è data così sublime prova”? Vorrei usarlo per il primo commento di tashtego con cui non sono d’accordo: mi sembra che faccia “figo” davvero. ;)
p.s.s.
Stai attento, poi, ai “compagni” che trovi in questa “sezione”: all’apparenza sembrano tutti faustiani e filogovernativi, ma ti posso assicurare che, sotto sotto, alcuni nutrono sentimenti così profondamente “sovversivi” che, al confronto, mastello e rutello sembrano due che predicano rivoluzione e dittatura del proletariato da mane a sera. :0)))
non dare ai re del vino, perché dove regna l’ubriachezza non resta più alcun segreto […] e perché se berranno troppo, dimenticheranno il loro giudizio e tradiranno la causa dei figli del popolo* […]
*(o meglio) del povero**
**del povero compagno(?)
Il miglior gesto tecnico-atletico della finale (assieme a una fantastica “veronica” di Henry) è stata senza dubbio, ma a mio modesto avviso (meglio specificare) la testata di Zidane al petto di Materazzi. Dico così perché sono un esteta, non c’è niente da fare.
il live motive del match sono i colpi di testa, chi verso l’alto canonico per vincere, chi verso il basso , istrionico, per perdere, o meglio, stravincere.
” ci sono cliché e pregiudizi contro chi è stato o è ancora la parte debole e discriminata di un paese e cliché che riguardano chi non ha subito discriminazioni.”
grazie helena
non avevo capito le radici del punto di vista italiano sull’arroganza francese
mi sembra più chiaro
(luogo comune trasmesso a generazioni che non hanno vissuto quella discriminazione!)
a questo punto però mi chiedo se gli italiani qualificano di arroganti anche gli americani oppure i tedeschi
“di come la squadra appariva e a me appariva così, come un sintomo di regresso degli sforzi di integrazione, sintomo di tendenze a formare ghetti, gruppi omogenei di etnia, religione ecc.”
non capisco quel sintomo di regresso rispetto alle squadre precedenti
semmai a me è apparso come un sintomo di progresso!
nel ’98 c’erano molti bianchi di origini diverse
quest’anno c’erano molti neri ma sempre di origini diverse: niente omogeneità
“E soprattutto come visione del fallimento di un’idea, l’idea del multiculturalismo bello e buono e riuscito di cui le precedenti squadre francesi erano la raffigurazione per molti, me inclusa.”
beh visto da qui purtroppo il fallimento di quell’idea non risale al mondiale appena trascorso
risale almeno al 2002 al risultato del primo turno delle elezioni presidenziali o a prima ancora
semmai l’idea del multiculturalismo “vincente” è rinata con questa squadra arrivata fino in finale in modo meno “naïf” però che nel ’98
e poi il sentimento di fallimento legato al mondiale non l’ho percepito qua