L’epistolario di Antonio Vallisneri
di Sergio Garufi
A. Vallisneri, Epistolario (1714-1729), in Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri – Carteggio, CD a cura di Dario Generali, Firenze, Olschki, 2006, pp. XIV-1873, euro 50,00.
Con questo CD l’Edizione Nazionale vallisneriana si è arricchita di un altro contributo fondamentale, che mette a disposizione degli studiosi un materiale ingente sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Nell’edizione elettronica proposta da Olschki sono pubblicate più di 1100 lettere, comprese fra il 1714 e il 1729, che completano l’epistolario del naturalista scandianese, aggiungendosi alle 476 precedentemente raccolte nei due volumi Angeli, curati sempre da Generali, usciti nel 1991 e nel 1998, relativi agli anni 1679-1710 (vol. I) e 1711-1713 (vol. II).
Nell’imponente raccolta di lettere che ora esce alla luce e che il curatore ha rinvenuto, in decenni di accanite e puntuali ricerche, in fondi dispersi per tutta l’Italia e l’Europa, sono trattati temi fondamentali per la scienza e la cultura del primo Settecento, che vanno dall’anatomia comparata alla medicina, dall’embriologia alla filosofia, dalla storia naturale all’erudizione.
Nei documenti epistolari si trovano dibattuti molti degli argomenti che animarono le opere a stampa vallisneriane, ma anche prese di posizione che lo scienziato non arrivò poi mai, per motivi prudenziali di autocensura, a rendere pubbliche, vere e proprie pagine di libri mai scritti rimaste per secoli affidate al fragile supporto della testimonianza unica dei manoscritti inediti, e che ora vengono restituite alla consapevolezza e alla memoria collettiva dal paziente e sapiente lavoro ecdotico di Dario Generali.
Un esempio fra tutti potrebbe essere quello della spiegazione della presenza di fossili marini sui monti, che rappresentava tra Sei e Settecento un argomento assai dibattuto e dalle pericolose implicazioni bibliche. L’interpretazione ortodossa voleva che tali reperti fossero stati portati sulle cime delle montagne dal Diluvio universale, mentre Vallisneri, in privato, perché pubblicamente sarebbe stato rischioso sostenerlo, negava la realtà storica del Diluvio e riteneva, appoggiandosi alle sue ricerche, che i fossili marini si trovassero sulle montagne a causa dei mutamenti geologici della crosta terrestre, che avevano portato, nel corso del tempo (che credeva assai più antico dei seimila anni della narrazione biblica), all’emersione di terre precedentemente sommerse e all’abbassamento sotto il livello del mare di altre.
Limitandosi alle sole sue opere a stampa e, in particolare, al De’ corpi marini che su monti si trovano, uscito la prima volta nel 1721 e poi riedito nel 1728, prima dell’edizione postuma delle sue Opere fisico-mediche del 1733, sarebbe impossibile conoscere le sue posizioni antidiluviane, ed anzi un noto studioso, affidandosi unicamente alle pagine di quest’opera, dedusse che Vallisneri fosse un alfiere del pensiero tradizionalista e fosse addirittura giunto a fare proprie tesi romanzesche e prive di ogni valore scientifico. Scorrendo invece le lettere che indirizzò a Johann Jakob Scheuchzer e a Louis Bourguet la sua scelta antidiluviana appare con la massima evidenza, così come emerge la ragione della sua prudenza nelle opere a stampa, finalizzata ad evitare problemi con la censura ecclesiatica e «perché taciano i preti».
Documenti fondamentali per comprendere il pensiero e l’opera del professore patavino al di là di reticenze ed autocensure, le lettere pubblicate in questo CD rappresentano pure uno strumento determinante per ricostruire la rete di comunicazione scientifica, di scambi librari e museografici, di rapporti editoriali e di collaborazioni di cui Vallisneri fu al centro e che gestiva come mezzo di approvvigionamento di materiali librari e di reperti, ma anche per divulgare le sue teorie e per realizzare una vera e propria forma di egemonia culturale, che lo rese uno dei naturalisti e dei cultori delle scienze della vita più noti in Europa nei primi trent’anni del Settecento.
Stese in una prosa tersa ed efficacissima, sostenute da forza argomentativa, arguto realismo e penetrante ironia, le lettere di Vallisneri emergono anche, in questa raccolta che ha dato loro unità e continuità espositiva, come un’opera non trascurabile, per il genere epistolare, della letteratura italiana, che colpisce il lettore come un pregevole esempio del volgare scientifico della tradizione galileiana. Straordinariamente piacevoli da un punto di vista letterario appaiono inoltre certe comunicazioni di carattere familiare, in cui, per esempio, l’autore si rammarica del venir meno, col passare degli anni, del suo vigore erotico o ironizza, con il marchese piacentino Ubertino Landi, che era appena entrato nella dura «religione de’ maritati», sui “piaceri” coniugali, per sopportare i quali l’amico avrebbe dovuto «armarsi», per il resto della vita, «d’una santa pazienza»; come ben sapevano i preti, che certo non si sarebbero lasciati sfuggire, come «disse un papa», «il matrimonio», se si fosse trattato di «un buon boccone» (anticipando così le tesi del violento e fortunatissimo libello del filosofo-naturalista mugellano Antonio Cocchi).
La sensibilità e l’attenzione filologica con le quali è stato condotto il lavoro appaiono notevolissime, nonostante le dichiarazioni con le quali il curatore insiste nel sottolineare l’esistenza di possibili imprecisioni e il carattere di passaggio intermedio di questa edizione rispetto a quella che si sta progettando dell’intero carteggio, comprensivo anche delle lettere dei suoi corrispondenti, per una massa di documenti che andrà ben oltre le 10.000 unità. Si tratta di una modestia e di un rigore che risultano ancora più evidenti dal contrasto rispetto alla superficialità e all’irresponsabilità di altre edizioni, ospitate in sedi e collane prestigiose, che hanno in passato pubblicato, senza troppi scrupoli e cautele, gruppi contenuti di lettere vallisneriane, che qui sono state riprese dai testimoni manoscritti ed emendate in centinaia di luoghi rispetto a quelle edizioni.
Accidenti Sergio, grazie!
Straordinariamente piacevoli da un punto di vista letterario appaiono inoltre certe comunicazioni di carattere familiare, in cui, per esempio, l’autore si rammarica del venir meno, col passare degli anni, del suo vigore erotico o ironizza, con il marchese piacentino Ubertino Landi, che era appena entrato nella dura «religione de’ maritati», sui “piaceri” coniugali, per sopportare i quali l’amico avrebbe dovuto «armarsi», per il resto della vita, «d’una santa pazienza»; come ben sapevano i preti, che certo non si sarebbero lasciati sfuggire, come «disse un papa», «il matrimonio», se si fosse trattato di «un buon boccone» (anticipando così le tesi del violento e fortunatissimo libello del filosofo-naturalista mugellano Antonio Cocchi).
Accidenti, grazie Garufi, morire senza queste decisive informazioni sull’epistolario di Vallisneri sarebbe stato un vivere invano.
Per motivi di sintesi, ho omesso di segnalare che quei brani delle lettere di Vallisneri riecheggiano le tesi antimatrimoniali del celebre trattato cinquecentesco “Quaestio lepidissima: An uxor sit ducenda” di Monsignor Della Casa, e preannunciano uno stile e delle argomentazioni che saranno tipici del libertinage érudit primosettecentesco, in cui si fonderanno insieme conoscenze scientifiche, divertissement erudito, pesanti giudizi antiecclesiastici, considerazioni sulla natura del piacere e del dolore, sull’idea di felicità e sul modello ideale di vita per un naturalista; come il riferimento alla dissertazione “Del Matrimonio” di Antonio Cocchi intendeva suggerire. Studi come quello di Dario Generali, quello di Michele Mari e quello di Luciano Guerci, l’uno su Vallisneri, l’altro sulla letteratura amorosa del Settecento e l’ultimo sull’idea di matrimonio in Italia nel secolo dei Lumi, hanno fra le altre cose il merito di ricollocare queste enunciazioni all’interno del contesto letterario del tempo. Oggi può sembrare tutto molto naif e risibile, ma allora professare apertamente idee libertine, attaccando l’istituzione matrimoniale sia come contratto che come sacramento, o sostenendo che “Iddio non proibiva la copula carnale fuori dallo stato matrimoniale”, significava subire le persecuzioni dell’inquisizione. Ma temo che anche con queste informazioni si muoia ugualmente invano.