Inerzia #2

Seconda dose del dialogo sull’inerzia. Il tema si fa più spesso. Il caldo avanza. L’inerzia sale

Maria Luisa: Quanti stimoli, caro Antonio. Innanzitutto il professore era simpatico, anche se molto sicuro di sé. Dopo anni direi troppo sicuro. E io non lo ero affatto. Prima asimmetria riscontrata nel processo. L’inerzia del ricordo è andata avanti nonostante forme, generi e ruoli opposti. Forse eravamo l’incarnazione di due carrelli di forme diverse, con moti sicuramente non simmetrici e anche qualche attrito differente. E qui si innescano i termini di tempo, di inerzia e di simmetria temporale. Ecco in questo secondo incontro virtuale mi affascina ripartire dai concetti di simmetria e di inerzia temporale. Se lascio scorrere il termine simmetria nella mente, immediatamente sento sorgere una sensazione di armonia, di ordine definito, quasi di perfezione. Rompo però gli schemi dell’esperimento da cui sono partita e mi calo in una situazione in cui entra un elemento di disordine, di non perfetta simmetria. In tempi diversi, e quindi in una situazione asimmetrica l’inerzia come funziona? Nei loro commenti sia Jan che Vittore hanno accennato all’asimmetria. Si comprende che cosa avviene nell’attimo dello scontro dei carrelli, ma nell’attimo successivo e in quello dopo ancora? E se i due carrelli non avessero la stessa forma, oppure se partissero da punti differenti, o se avessero velocità differenti?

Antonello: Cara Maria Luisa, quanto a stimoli, mi pare che anche tu non scherzi. Compito del bravo fisico, si sa, è quello di districare pazientemente i fili delle argomentazioni, distinguere problema da problema e cercare di capire da principio le cose semplici e di arrampicarsi poi verso le più complesse. Questa era almeno l’idea che viene solitamente attribuita a Galileo, il celebre metodo galileiano, semplificare, isolare i fenomeni, studiarli così isolati e poi, in qualche modo, “metterli assieme”.

Tragica operazione – da un lato – che porta per l’appunto ad avere ottime teorie di cose che non esistono e a non avere alcuna teoria degna di tal nome per le cose reali. Tuttavia – d’altro lato – occorre rassegnarsi, le cose che la fisica riesce a descrivere e a capire bene sono per l’appunto le situazioni ideali, quelle che non esistono rigorosamente mai, che però sono come un faro nella notte, un modello di pensiero cui rifarsi dovendo descrivere il fenomeno vero, quello che avviene davanti ai nostri occhi, sporco di mille interferenze, opaco e complicato. Queste righe dovrebbero introdurre l’idea che l’inerzia pura, o la simmetria pura molto raramente esistono, sono l’eccezione, non la regola. La regola è l’asimmetria, la regola è un moto non determinato mai soltanto dall’inerzia.

Esempio, tu te li vedi i due carrelli del tuo simpatico professore che si scontrano e si fermano senza cadere di lato al binario sul quale correvano, senza lanciare qualche pezzo intorno, senza emettere alcun suono (perché il suono mica è contemplato dall’inerzia…).

Eppure, eppure, lo dici tu stessa che l’idea di simmetria ti ispira armonia, ordine definito, quasi perfezione, dunque è una cosa bella che abita la tua mente e quella di molti umani, si direbbe, ed è così perché in verità tale idea è realizzata innumerevoli volte in natura, quasi, però, mai perfettamente; il corpo umano è grosso modo simmetrico, almeno esternamente, e così quello di molti animali, i cristalli, i corpi celesti, sì, tutti, quasi simmetrici. Tante approssimazioni ci hanno suggerito un’idea.

Così per l’inerzia dei corpi. Se lancio un sasso, esso prosegue la sua corsa, per un po’, se lo lancio con più forza prosegue per un tratto più lungo, e poi ricade verso terra. Se lancio una boccia su uno di quei deliziosi campi di bocce che si usavano quando ero piccolo io, la boccia prosegue una volta lasciata la mano, ma tutto sta per l’appunto a farla fermare dove vogliamo noi, vicino al pallino. Non succede mai che prosegua per sempre. Perché c’è sempre qualcos’altro oltre la pura “spinta inerziale” (che peraltro ancora qui non sappiamo cosa sia), c’è qualche altro fattore che sporca l’esperimento. La biglia di vetro su una superficie superliscia fa molta strada, ma alla fine si ferma. Ma è questa possibilità di trovare stratagemmi per farla andare sempre più lontano che ci fa pensare al caso ideale in cui andrà per sempre, per sempre, via, in mezzo alle galassie, incurante di quanto le scorre incontro; sempre, s’intende, nella fantasia degli umani, dato che perfino i fisici sembra siano tali.

E però, perché mai il sasso, lanciato dalla mano, continua ad andare avanti e non si ferma lì, nel punto e nell’istante in cui la mano lo abbandona? Ma perché davvero, è così necessario, così intuitivo? Sarà perché il moto rettilineo uniforme è uno stato stabile. Tu che dici?

Vedremo in ogni caso nella prossima dose.

[Leggi anche la prima dose.]

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7 Commenti

  1. Buongiorno.
    L’inerzia mi ricorda le riflessioni freudiane sviluppate in “al di là del principio di piacere” dove si teorizza e argomenta riguardo la maggiore forza del principio di conservazione dello status quo rispetto al principio di piacere. Quindi secondo questa visione psicologistica, positivistica, meccanica, i corpi e insieme a loro i corpi psicologici governati da leggi cosmiche, tendono all’inorganicità, al mantenimento dell’inerzialità iniziale, tendono alla morte contrariamente a quanto presupporrebbe il principio di piacere, principio di vita.
    Rircordo il bambino portato ad esempio e il suo ontogenetico lanciare lo jojo infinitamente per osservare costantemente che l’oggetto veniva allontanato e ripreso con una costante fissità maniacale.
    un’interazione di leggi fisiche e antropologiche assolutamente immobilistiche.

  2. mi permetto di osservare timidamente una certa confusione, nel senso di poca chiarezza, nell’esposizione fin qui prodotta, tesa soprattutto – al contrario del dialogo voltolini/sparzani sull’entropia – sembrerebbe ad un divagare erudito attorno a concetti – almeno per me – misteriosi et cruciali.

    io non ne capisco una matza, ma a scuola e poi all’università di insegnano che un oggetto “tende a permanere nello stato in cui si trova”, sia esso di quiete (relativa) o di moto: in questa affermazione c’è la stessa quantità di spiegazione che nell’affermare, metti, che il cielo è blu.
    cioè è puramente fenomenica, o almeno così è sempre sembrato ad una mente refrattaria alla matematica come la mia.

    ma vabbè: è un concetto di permanenza assoluto?
    oppure è relativo al sistema di riferimento?
    e cosa significa, *veramente*, questa “tendenza alla permanenza”?
    cosa significa, cos’è, l’aumento di peso che percepisco quando prendo l’ascensore?
    qual è il rapporto tra il concetto di inerzia e quello di gravità?
    e a quale tipo di narrazione paradigmatica è meglio riferirlo?
    voglio dire: esiste, metti, una spiegazione relativistica dell’inerzia?

  3. Un oggetto tende a permanere nello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme “fin quando non intervenga una forza che modifichi il suo stato”. Ma il punto è: esiste nell’universo una condizione di assoluta inerzia? cioè: se sono dotato di congenito buon umore potrò serbarlo tutta la vita malgrado le amarezze, le frustrazioni, le porcate e il pensiero della morte? in questi termini l’analogia tra allegria perenne e quiete indisturbata può essere un pretesto per spiegare l’inerzia, intesa quindi come perfezione assoluta. Credo che il senso di questo splendido e struggente discorso sull’inerzia stia tutto qui, nella ricerca di una perfezione che non c’è. O meglio, esiste in quanto teorizzabile, nulla esistendo fuori del pensiero, ma appunto: esiste e basta, e credo anche si prenda gioco di me. Capita in effetti che io di questa astrazione abbia bisogno, dovendomi ad essa rifare per porre i termini della mia finitezza. Io non esisto se non postulo un qualcosa che a sua volta è astratto, e che posso indurre al mio cospetto solo se immetto condizioni al contorno. Come dire che per campare m’incateno e mi chiudo in caverna.

    Ancora complimenti a Sparzani.

  4. Ampliando e azzardando: inorganicità, inerzia, entropia, immobilismo, thanatos
    contro: organicità, moto, sinergia, olismo, eros.

  5. In natura l’inerzia non esiste, prevale il potere di urti, attriti, serpeggiano dovunque le attrazioni gravitazionali, non esistono binari lisci, carrelli perfettamente uguali, la biglie di ferro e la piume non si sognano nemmeno di atterrare nello stesso momento. Sono sempre presenti importune correnti magnetiche come sciami d’api furiose.
    L’inerzia è uno stato mentale, un paese d’utopia vuoto e prefetto, disabitato ed astratto, armonioso e simmetrico, dove suona la musica delle sfere mosse dal moto perpetuo nel loro tintinnio leggero. Senza un alito di vento, un profumo. Tutto liscio e scorrevole.
    L’inerte, in-artem, il senza arte, senza quella capacità di modificare la materia, senza braccio armato per qualsiasi battaglia, il disarmato cronico, vive clandestino nel mondo degli spigoli, Oblomov, sognatore di notti bianche, idiota, inetto, diventa spesso scrittore, poeta, pittore o musicista. E si strugge.

    “Tempo prima Macario gli aveva detto che lo riteneva incapace di lottare e di afferrare la preda, ed egli di questo rimprovero s’era gloriato come di una lode.
    (…)
    Egli invece si sentiva incapace alla vita. Qualche cosa, che di spesso aveva inutilmente cercato di comprendere, gliela rendeva dolorosa, insopportabile. Non sapeva amare e non godere; nelle migliori circostanze aveva sofferto più che altri nelle più dolorose. L’abbandonava senza rimpianto.

    Italo Svevo_Una vita

  6. Grazie Arte_misia del tuo commento con citazione. Con Svevo colpisci nel segno: aggiungerei questa: “Io ero abbastanza colto essendo passato attraverso due facoltà universitarie eppoi per la mia lunga inerzia, ch’io credo molto istruttiva.” (Italo Svevo, La coscienza di Zeno). Non male eh?
    Tashtego, grazie delle domande, aspetta un attimo, adesso arriva quel che vuoi tu, prima, si sa, bisogna attirare le api con un po’ di miele…
    Intanto abbiamo tutti colto che la fisica si occupa di casi ideali, belli e semplici, ma ideali, mica è poco.
    Garantisco che alla fine non dirai più che non ci capisci una matza. A presto
    antonello

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antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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