Douce France/ Sempé
Proprio come un disegno di Sempé *
di
Benoît Duteurtre
trad. Francesco Forlani
Quel giorno, mi trovavo in compagnia di un amico su una spiaggia del Mediterraneo. Il paesino e il suo campanile, aggrappati alla montagna, emergevano da una miriade di palazzine, costruzioni moderne, residenze turistiche, appartamenti multiproprietà, come un nocciolo d’autenticità nel cuore dell’industria del tempo libero.
Non lontano da noi, sulla sabbia- ancora molto poco frequentata in quel mese di maggio – una donna non molto bella, distesa sull’asciugamani, prendeva il sole in due pezzi. Portava occhiali rotondi, un cappello di paglia, e curava l’abbronzatura ascoltando le notizie. Il minuscolo apparecchio radiofonico (con l’antenna tirata su, molto più grande dello stesso apparecchio) gracchiava ininterrottamente,mentre trasmetteva il bollettino meteorologico(anche lì faceva bello) la guerra dei Balcani (sulla spiaggia tutto era calmo), la crisi della Borsa ( trascorrevamo qualche giorno – tutto spesato – in un Grande Albergo di Montecarlo, a tal punto che la crisi della Borsa aveva solo attraversato le nostre coscienze).
Ed ecco che all’improvviso, il mio compagno, indicando la donna e l’insieme della scena, mi sussurra all’orecchio:
Proprio come un disegno di Sempé.
Conosco, in Normandia, una casa la cui vista dà sul mare e su una parete di scogli ricoperta di arbusti. Spesso, guardando quel miscuglio di acqua, di rocce e di vegetazione, nella luce mutevole del sole, penso: Proprio come un quadro di Claude Monet.
Ovviamente, dopo una prima riflessione, tendo a correggermi: Ma no, sono piuttosto i quadri di Claude Monet – La Cabane du douanier à Pourville , per esempio – che assomigliano a quel pezzo di roccia. Poi, qualche secondo dopo: Ma no, al contrario, è Monet che ha scoperto la bellezza speciale di un pezzo di roccia, che ne ha fissata la composizione, che ha dato un senso artistico a questo frammento di realtà– laddove i passanti non vi scorgevano che un grazioso scorcio. Se quella roccia mi appare magica e quasi pittorica, è perché posso guardarla come un quadro di Claude Monet.
Similmente, mi capita abbastanza spesso di osservare delle scene che mi fanno pensare- come questa spiaggia mediterranea- a dei disegni di Sempé. Ora, poiché si tratta di scene apparentemente banali dell’esistenza moderna, dovrei, più semplicemente, dirmi: Ecco una scena banale dell’esistenza moderna. Ma allora, non mi farebbe sorridere perché nessuno sguardo, prima del mio, sarebbe venuto a chiarire gli strani dettagli, le incongruenze che trasformano questo istante – freddamente reale – in una forma comica e poetica. E invece questa forma mi appare spontaneamente nei tratti di un disegno di Sempé. L’arte mette in luce e rivela quello che tutti vedono ma a cui nessuno presta seriamente attenzione: esercizio pericoloso quando lo si applica al nostro quotidiano a cui noi siamo particolarmente ciechi, a forza di esservi calati dentro.
Associamo il diciannovesimo secolo ai romanzi di Balzac o di Flaubert perché hanno estratto certe configurazioni sociali, psicologiche, plastiche, comiche in cui tutta un’epoca era immersa senza percepirle.
La letteratura francese contemporanea sembra meno interessata al teatro dell’esistenza. Si chiude spesso nella ricerca formale e nelle referenze letterarie ( che divertono Sempé, come quando rappresenta uno scrittore, alla scrivania, mentre annota nel diario gli intrighi incomprensibili di Saint Germain de Prés). Anche quando si interessa al quotidiano, questa letteratura sembra farlo con infinita tristezza e noia. Per tradurre la banalità dell’esistenza si sforza di divenire tanto piatta quanto la realtà (il « realismo » d’Annie Ernaux o di Marie Despleschin). Raramente si stupisce davanti all’ironia dell’epoca- cui fanno eccezione alcune pagine delle Choses di Perec o, più recentemente di Michel Houellebecq. La maggior parte degli scrittori –chiusi nella loro meccanica mentale e verbale molto tagliente –sembrano incapaci di prendere la dovuta distanza per mostrare semplicemente cosa possa significare un personaggio, in uno scenario urbano o rurale della fine del ventesimo secolo; come se non avessero più il talento per dipingere l’insieme della scena con quanto essa comporta di ridicolo, di spaventoso,o di commovente.
Cogliere un episodio significativo del tempo ; fissare in uno stesso segmento un fatto di cronaca, un capitolo di storia, una tragedia, una commedia, un cataclisma sociale, una depressione nervosa, un’idea poetica… Ecco a mio parere un’ambizione sempre invidiabile per il romanziere. Allora, se dovessi dare l’esempio di una tale intuizione, nell’arte francese contemporanea, non evocherei spontaneamente un romanzo quanto piuttosto qualche disegno di Sempé, uno di quei rari autori che si ostinano a rappresentare gli sconvolgimenti del mondo, sui quali si profilano i comportamenti umani più o meno immutabili. L’urbanesimo impazzito, quelle strane miscele di antico e nuovo, la follia della comunicazione, i tormenti esistenziali di un quadro di società che scopre le gioie della natura, i paesini sperduti che promuovono animazioni turistiche : su tutto ciò, esistono dieci venti cento disegni di Sempé. Senza contare i fondi, i dettagli, le piccole frasi banali iscritte nella nuvoletta, che arricchiscono ogni histoire drôle d’una acutezza storica e sociale veramente romanzesca. Henri Lefèvre, Guy Debord, Cornelius Castoriadis hanno, certo, parlato – anche loro- delle assurdità del tempo. Ma le loro analisi appassionanti non hanno nulla di divertente ; e il loro proposito non è nemmeno quello di cogliere la poesia fugace che talvolta proviene dall’assurdo.
Ora, su questa realtà enorme ed insignificante delle nostre vite, Sempé attira la nostra attenzione, facendoci ridere e pensare. Perché è proprio dell’arte stupirci e distrarci con tutto ciò che è semplicemente, orribilmente reale, non per ragioni sociologiche ma in virtù di una curiosità particolare- e veramente estetica- per un mondo cosi’ differente dal mondo di un tempo. Viviamo in un abbondanza di scenari e di nuove situazioni. Eppure , il lettore che tra qualche decennio tenterà di capire la seconda metà del ventesimo secolo , non troverà- nel novantanove per cento dei romanzi pubblicati- alcun chiarimento significativo delle trasformazioni delle città o delle follie della comunicazione (Argomento, cosiddetto banale e talmente trito e ritrito che si preferisce Proustizzare sul cadavere di Proust). Proprio mentre in un disegno di Sempé, scoprirà un condensato- mai accademico ma sempre palpitante, divertente, sorprendente- di quanto successo veramente.
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Una tale sensibilità romanzesca comporta degli aspetti visionari. Certi scettici trovano Sempé molto « Anni Sessanta », molto « Saint Tropez », perché si è fatto conoscere in quel periodo con i personaggi e le scene della Francia di allora. Eppure , proprio quei disegni datati rimangono rigorosamente attuali come se il tratto avesse colto- attraverso l’aneddoto- una logica più generale delle scene e dei comportamenti. Secondo i media alla moda, la nostalgia francese, il ritorno delle tradizioni, il gusto del genuino e dell’autentico costituirebbero un fenomeno recente, una sete di patrimonio dopo le trasformazioni degli ultimi decenni.
Significa dimenticare che Sempé l’aveva già raccontato, molto tempo fa, quando Monsieur Lambert decideva per un « vero-falso » bistrot « arredato con autenticità” : Chez Lolo et Lulu (1975). E se non ha aspettato il Maggio 68 per punzecchiare le principali caratteristiche della « società dei consumi » , il suo album Information consommation – pubblicato in quell’anno– riassume tutto quanto si possa dire sul tema, incluso il riciclaggio dello spirito della contestazione. Perché non sono i movimenti della moda quelli che Sempé mette in evidenza nei suoi disegni, ma la meccanica delle cose, lo stile dell’epoca : quella maniera di distruggere tutto pur conservando, quella passione dell’organizzazione, sovversione comoda, il sogno dell’impiegato che si prende per un cavaliere.
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Non ho mai letto Le Petit Nicolas. Non ho scoperto Sempé col suo libro per ragazzi. Ma all’età in cui si legge Le Petit Nicolas, ho cominciato a sfogliare Rien n’est simple e Tout se complique… Qualche anno più tardi dopo aver cercato a lungo il romanzo dei nostri tempi, mi è capitata di nuovo, tra le mani, la copertina di Tout se complique e che rappresenta un’edicola carica di quotidiani e riviste, da cui spicca a titoli cubitali questa formula prestata alla regina Soraya : Se mi si impedisce di parlare dirò tutto . Mi venne allora l’idea di scrivere qualche riga su Sempé. In seguito sapevo che avrei avuto il piacere d’incontrarlo (non disegnava ancora per L’Atelier du roman). Alcuni amici comuni ebbero l’amabilità di invitarci a cena. Fu un disastro : durante la serata dove gli invitati, straordinariamente brillanti, si esprimevano a turno, io non aprii bocca al punto che il mio disegnatore preferito non si accorse del fatto che fossi stato invitato proprio per incontrarlo.
Lo richiamai allora una settimana più tardi- sempre in vista di questo articolo che desideravo dedicargli. Mi diede appuntamento al Café de Flore per mangiare uova strapazzate. Colazione incantevole che mi offri’ l’occasione di fargli, sul suo lavoro, alcune domande precise le cui risposte annotai scrupolosamente su un quadernetto – sfortunatamente perduto poco dopo l’incontro. Poi la conversazione deviò rapidamente su Duke Ellington ; più precisamente sul Diminuendo and crescendo in blue di cui adoravo la versione del 1937, mentre Sempé preferiva quella del festival di Newport, del 1956.
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Presto ci legò una nobile amicizia. In ceri momenti burrascosa. Un giorno avevamo appuntamento per risolvere una noiosissima storia di carte telefoniche ( che Sempé mi aveva prestato e che, a suo dire, non gli avevo restituito). Piuttosto che affrontare la questione di petto, decisi di ritornare a quel famoso articolo – ancora non scritto ma promesso a Lakis Proguidis, per l’Atelier du roman.
Caro Jean-Jacques, chiesi dopo un lungo silenzio- mi è sempre parso, vedi, che il fumetto in Francia sia un’arte viva , e che segnerà il nostro tempo più del romanzo. Tu hai personalmente l’impressione di riallacciarti…
Alla parola « fumetto » Sempé aggrottò la fronte . Avevo imboccato la strada sbagliata. Lui non aveva affatto l’impressione di « riallacciarsi ». Notai – con piacere- che non detestava i disegni di Reiser ; ma capii quasi subito che la sua famiglia era un’altra. Aveva trovato i suoi modelli presso i grandi disegnatori americani- spesso degli immigrati europei, come il rumeno Saul Steinberg- che si erano fatti conoscere nel dopoguerra nella rivista New Yorker (per la quale lo stesso Sempé avrebbe realizzato, qualche anno più tardi numerose copertine). Il disegno umoristico francese girava intorno alla battuta e alla caricatura politica mentre gli illustratori del New Yorker avevano creato uno stile del disegno umoristico più sottile, fondato sull’osservazione minuziosa della vita quotidiana.
A questa spiegazione, mi venne un tuffo al cuore : tutti i pezzi del mosaico si ricomponevano. Avevo io stesso per abitudine, in articoli polemici( chiedo venia, amico lettore, di citare me stesso) d’opporre il romanzo francese contemporaneo, chiuso nella sua visione letteraria del mondo alla scuola americana i cui principali autori – Norman Mailer, John Updike, Truman Capote, Philip Roth, Tom Wolfe – avevano collaborato a delle riviste di giornalismo, in particolare al New Yorker. Come se questa scuola sul campo – giornalismo sottile e tutto sommato molto letterario – avesse loro evitato di cadere nel bizantinismo pseudo avanguardistico o di annegare nella propria cultura. Per tutti questi artisti, disegnatori o romanzieri, non si trattava – come troppo spesso in Europa – di coniugare discorsi politici rivoluzionari e ricerche formali fumose quanto piuttosto di andare a cercare nella vita concreta annotazioni precise il cui contenuto politico e le conseguenze formali si sprigionassero naturalmente.
Stimolato da questa coincidenza decisi di spingere oltre la nostra chiacchierata venendo ad un altro dei miei pallini :
Non hai l’impressione caro Jean Jacques che si potrebbe stabilire un’ identica opposizione tra il cinema della Nouvelle Vague ( questi « cineasti critici » che proiettano sul mondo moderno le loro trovate da cinefili) e la commedia all’italiana? ( che con i suoi poveracci, uno sguardo al sociale, lo humour crudele ha colto con precisione le trasformazioni del mondo : l’impostazione urbanistica delle periferie, la pubblicità, i media, tutti temi che percorrono i film di Monicelli, Risi, Scola, Fellini…).
Sempé mi trattò con gentilezza, ma preferì intrattenersi su Jacques Tati. E mi resi conto che effettivamente, i suoi disegni, ricordano Monsieur Hulot : un tale sfasamento naïf del « francese medio », proiettato col cappello nel mondo moderno, animato da un miscuglio di buona volontà e scetticismo ; un candore di commedia un po’ clownesca, abbastanza distante dalla cupezza del cinema italiano . Anche quando Sempé mostra le follie e le catastrofi del mondo contemporaneo, lui conserva sempre lo stupore della buona volontà.
Un po’ più tardi la conversazione scivolo’ sulla musica delle Vacances de monsieur Hulot. Poi sulle musiche di Paul Misraki (il compositore di Ray Ventura) e più in generale sulla canzone degli anni trenta e quaranta di cui Sempé canticchio’ qualche ritornello dimenticato. Dopodiché, d’eccellente umore, volle cancellare questa storia della carta telefonica e mi invitò a condividere il suo pic-nic ai giardini del Luxembourg, in un’atmosfera di riconciliazione definitiva.
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Che non si riduca l’arte di Sempé a un disegno sociale particolarmente lucido. Innanzitutto, perché ha sempre praticato dei registri molto diversi. Poi, perché i suoi disegni di grande formato offrono sempre- come direbbe un professore- « diversi piani di lettura ».Una tale abbondanza, complessità distinguono la sua opera da una semplice satira d’epoca come ne produce il fumetto.
Dai primi album diversi generi si alternano pagina dopo pagina. Vi si trovano delle semplici gag (il tipo molto eccitato che lancia delle pietre sulla montagna senza sapere che ricadono sulla propria macchina) : disegni d’atmosfera (un omaccione ricco che trasecola davanti ad un vasto paesaggio e che spiega al suo autista, minuscolo: Ci si sente veramente poca cosa !); sequenze di disegni numerati in cui Sempé mostra un gusto acuto della « meccanica umana » (l’industriale sull’orlo di una depressione che si ritira in campagna per coltivare il proprio giardino e che trasforma in seguito quello stesso giardino in una nuova area industriale); per non parlare di veri e propri romanzetti illustrati come Monsieur Lambert e L’Ascension sociale de monsieur Lambert – con un abbondanza di dialoghi quotidiani che tanto Harold Pinter quanto gli iperrealisti sottoscriverebbero.
Temi cosi’ differenti si accavallano in questi album : le strade di Parigi, gli oggetti moderni (la televisione, il telefono…) le caricature rese tanto amorevolmente di musicisti e di orchestre; la psicanalisi, la bicicletta e i ciclisti, le catastrofi naturali (molte inondazioni) lo scrittore mentre cerca un’idea, il turismo, la donna liberata, i mistici ma anche le guerre medioevali (quei soldati del medio Evo che versano un paiolo d’olio bollente, poi raccolgono l’ultima cucchiaiata sul fondo del pentolone e la gettano sugli assalitori prima di riempirlo nuovamente) ; le trasformazioni della rivoluzione industriale (quel meraviglioso passaggio di un treno in una campagna del diciannovesimo secolo, minuziosamente disegnato coi contadini spaventati, i buoi al giogo, le strade alzaie. Senza dimenticare un’ispirazione talvolta sognatrice che mescola il ritratto dell’uomo moderno e la poesia fugace di un istante : come il personaggio appena abbozzato che avanza su una spiaggia mentre il suo cane compie intorno a lui innumerevoli cerchi sulla sabbia.
Succede anche che una sola grande tavola ci racconti diverse storie. Per esempio il gruppo di dirigenti in seminario d’impresa con tre piani sovrapposti : sul fondo, una stazione balneare d’inizio secolo, i palazzi, le nuvole e le barche (un paesaggio) ; in primo piano, due animatrici del seminario che rievocano la tristezza di quel tipo di riunione ( è la parte propriamente narrativa e «caricaturale» del disegno). E per finire, soprattutto, tra i due piani estremi, la rappresentazione minuziosa d’una cinquantina di dirigenti che passeggiano ai bordi del mare coi pantaloni arrotolati sui polpacci. Tutti questi uomini d’affari infantilizzati in giacca e cravatta – arruolati per un week-end di lavoro – immergono i piedi in acqua, si raccontano delle storie, si incantano per un nonnulla. La satira sociale assume l’aspetto di una mini commedia umana, in cui ogni protagonista adotta le sue piccole manie, il modo di tenere le scarpe, di raccogliere una conchiglia. La scena potrebbe ridursi a questa parte : senza aneddoti particolari. Ma l’insieme del disegno riunisce tutti gli elementi in un quadro più vasto.
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A piacermi più particolarmente è la ricchezza delle grandi tavole. Mi chiedevo, prima di conoscere Sempé, come potesse dare ad ogni dettaglio, ad ogni volto un’espressione parlante e spesso comica. Invitato a casa sua , ho scoperto che lavora su dei grandissimi formati, che gli permettono di curare ogni minimo dettaglio, grazie a un lavoro lungo e minuzioso. La trovata comica non costituisce pertanto che un punto di partenza, arricchito da una ricerca dei fondi e di personaggi secondari. I più bei disegni di Sempé sono guidati da tale ambizione plastica, una composizione elaborata, un gusto della natura ( che traspare in certe rappresentazioni d’alberi e paesaggi),una passione per l’arredo delle città ( con quella loro follia, mutazioni perpetue) e per i gruppi di persone tratteggiate, in ammirevoli scene di folla o di manifestazione- come un’ eco moderna delle feste di Brueghel.
Il miracolo, in una tale ricchezza umana, risiede com’è noto nell’unità del tratto, nel fatto che tutti i personaggi si assomigliano, che ciascuno di loro evoca un personaggio di Sempé, che potrebbero tutti portare lo stesso capello, gli stessi occhiali- sia che si tratti di bambini o di adulti, resi diversi solamente da qualche dettaglio nel comportamento, il tratto di un naso, lo sbigottimento di uno sguardo. Così appare un condensato di umanità allo stesso tempo terribilmente monotono nell’insieme e incredibilmente diverso in ciascuna delle sue mimiche. Di fronte a così vaste composizioni , non so più se Sempé sia disegnatore, pittore, romanziere. Lui mescola tutti questi registri allo stesso tempo. O forse, semplificando ancora di più la sua ispirazione, egli raggiunge una bellezza pura, assurda e sublime che mi comunica decisamente più di quanto non facciano molti romanzi.: come quell’uomo che calza un cappello, un personaggio apparentemente banale e sottomesso che cammina solo, in mezzo a una strada sinuosa, impugnando un cartello che dice « No »
L’articolo è stato pubblicato su “l’Atelier du Roman”, ed. Flammarion, mentre i disegni citati sono estratti dall’album Grands Rêves (Denoël 1997).
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Molto bello.
Perché Sempé in Italia è così poco conosciuto?
@ effeffe
mèèèèèèèèèèh!!! ;-)
E’ una domanda che mi sono rivolto spesso e non solo per Sempé. Penso al mondo del disegno in generale (del fumetto?) A pochissimi artisti della matita viene ricomosciuta la qualità del lavoro svolto e penso a Mattotti, Altan, Pericoli, ultimamente Gipi, mentre tanti hanno dovuto lasciare l’Italia, penso a Munoz, Liberatore, per non parlare dell’oblio in cui sono avvolti i grandi pionieri de il male e frigidaire. Perchè tutto questo?
effeffe
che fine ha fatto il pezzo di rizzante?
che fine ha fatto il rizzante?
Una risposta/domanda solo apparentemente OT alla quaestio di effeffe:
E’ morto Enzo Siciliano. C’è già il successore?
“Strada nova!”
Si aggia cagnate strada
è pè nu te vedè cchiù,
pè mme scurdà e na femmina
bella comm’o sole.
Io taggia vulute bene
aggiu pregato tanto,
e tu nunn’e tenut’o coraggio
e me dicere so nammurata!
Tu si state!
pecchè me lassate
senza na’ ragione!!!
Tu si state!
si na femmina ca’me menato
dint’e bracci’è nato!..e sò contento!!!
Sul Ddio sap’è pene da malinconia,
aggiu truvate nat’ammore chin’è passione,
e sta vita mia si rinnova…
meglio na strada nova.
CIAO, ENZO!