Sala Bernini della Residenza della Ripetta, h.18

25 MAGGIO 2006

Il Presidente della Camera
Onorevole Fausto Bertinotti
e
Concita De Gregorio

Presentano: Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese… (Einaudi) di Aldo Nove

Sarà presente l’autore

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38 Commenti

  1. Mamma mia. E qui e lì e su e giù insomma lo dobbiamo comprare per forza. Non state esagerando?

  2. è appena entrata in libreria una ragazza che ora sbircia la vetrina dall’interno. ha sulle spalle un sacco di cuoio da cui spunta uno spelato bellissimo mazzo di rose piccole. un foulard oro al collo. le do i Libri di viaggio, di Lawrence, che la incuriosivano. leggo nazione indiana, devo lasciarvi, vado a impacchettare il Plutarco Einaudi del 1958, strepitoso. il mio è un OT, ovviamente. scusate

  3. Sentite: io non sono convinta al cento per cento dall’ultimo libro di Aldo Nove. Dico, anzi, che ne sono convinta a metà: ma qui si dovrebbe aprire un lunghissimo discorso su letteratura-realtà, letteratura-reality etc.etc. Facciamolo, se volete. Ma, pur essendo in casa d’altri, mi permetto di dire che certi commenti sono del tutto paragonabili alle scritte sui bagni pubblici (mi riferisco a lavinia, giorgio e carla). E che diamine.

  4. quando il presidente della camera era casini ricordo perfettamente che venne invitato izzo per “casino totale”. purtroppo l’autore era già deceduto.

    p.s. ascoltate la lippa, smandruffoni, questo non è mica un casino.

  5. Ho chiesto a Andrea Raos di segnalare la presentazione del mio libro su Nazione Indiana. Mi sembrava e sembra un avvenimento che può essere ritenuto interessante, non fosse altro che per la presenza di una carica istituzionale disposta a confrontarsi in pubblico sul tema del precariato. Che questa semplice informazione, o se vogliamo pubblicità, possa creare polemiche e insulti mi crea un senso di tristezza e di vuoto. Come dice la Lipperini, se si ha voglia di aprire un discorso, lo si può fare. Oppure no. Ma quello dei post resta sempre un luogo altro, che si autoimbratta all’istante di anonima merda. Da parte mia, da questo momento, non leggerò più nessun commento, nè qui ne altrove, chè non è mai dato farlo senza essere travolti della sostanza di cui sopra, generandone ogni volta di nuova.

  6. Buon pomeriggio a tutti, scusate se intervengo con un certo ritardo ma è stata una giornata un po’ intensa. Con cordialità (ma d’ufficio) spedisco un paio di persone che ne hanno un gran bisogno a prendere una boccata d’aria fresca, e segnalo altresì a Lavinia (autrice del primo commento) che nessuno le ha chiesto di comprare alcunché. In ultimo, caldamente invito Enrico Masini a leggere ciò che gli pare, ci mancherebbe (ma serviva dirlo?).

  7. Ecco allora aprite un bel discorso sulla letteratura-precariato che partecipo volentieri anch’io. E’ mai possibile che la letteratura degli ultimi tempi sappia solo parlare di precari e di precariato? Ma non è che il precariato stia nella testa di chi scrive?
    O che sia un tema “battuto” solo e semplicemente perché vede e provoca quella sorta di maleodorante identificazione che portare a lungo termine ad una generezione di katatonici?
    Su dai un po’ di brio:)
    Postabjani lo si diventa…

  8. se non siete disposti ad accogliere qualche critica…mi dispiace ma avete sbagliato mestiere. Fare i critici non vuol dire solo dare…anche un po’ subire.

  9. non ci posso credere.
    mi avete fatto scappare aldo nove.
    ha scritto che non leggerà più nulla,
    nè qui, nè altrove.
    si seppellirà plasticamente altrove.
    è sgusciato, sparito.
    ammutolito immenso.
    inappartenente.
    scivolato come un tre di fiori quando scivola.
    non ha lasciato nemmeno la sua mail.
    sono anni che lo inseguo.
    arrivo tardi anche qui.
    cattivi. ecco.
    paola

  10. Se non è più un tabù licenziare

    di Gianluca Ferraris
    Panorama Economy
    22/5/2006

    Italia , impiegati in ufficio
    Gli economisti di LaVoce.info hanno appena lanciato l’ipotesi di un nuovo contratto che preveda più libertà in uscita, tutelata da indennizzi. Le imprese non chiedono di meglio, mentre politici e sindacalisti si dividono. Ma intanto la discussione è aperta.

    Il tabù più intoccabile del sindacalismo italiano: licenziare non si può. Dal 1970, con lo Statuto dei lavoratori, si è trasformato in un campo minato, quasi vietato perfino alla discussione. Lo aveva imparato a sue spese anche il governo più forte degli ultimi decenni: nel 2001, Silvio Berlusconi aveva assecondato le pressioni della Confindustria e aveva cercato di modificare le norme sull’intoccabilità del posto di lavoro. La protesta di piazza lo aveva costretto a una drastica ritirata.
    Oggi, a cinque anni di distanza, e per quei paradossi tipici della storia, è con un governo di centrosinistra che si torna a parlare di «flessibilità in uscita»: al dibattito, accelerato dalla crisi economica, oggi partecipano con aperture inedite anche i tecnici e i sindacalisti. Gli economisti del gruppo di LaVoce.info, vicini al centrosinistra, all’inizio di maggio hanno lanciato una serie di proposte per una «flessibilizzazione più limitata della tutela contro il licenziamento per motivi economico-organizzativi».
    Tito Boeri, per esempio, sostiene un progetto di riforma che per i primi tre anni di lavoro lasci una certa libertà di licenziamento, protetto solo da indennità. Tanto che Franco Giordano, nuovo segretario di Rifondazione, ha quasi gridato allo scandalo: «Non prendiamo in considerazione una riforma del mercato del lavoro che prescinda dalla non licenziabilità».

    SCAMBIO TRA TUTELE E STABILITÀ Ma la discussione insiste. E allo studioso Pietro Ichino, l’ex sindacalista Cgil che oggi propone formule nuove di assunzione per i giovani, con «garanzie crescenti, ma nel tempo», risponde il nuovo segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: «Il sindacato» dice «deve fare uno scambio: meno stabilità, più tutele». E perfino l’opinione pubblica, intercettata dal sondaggio di Economy (vedere i dati a pagina 15), comincia a dare segnali di disponibilità. Del resto, era stato un altro governo di centrosinistra, con il «pacchetto Treu» del 1997, a introdurre il lavoro «interinale», la prima liberalizzazione dei contratti di lavoro. E la successiva legge Biagi, varata nel 2003 dal centrodestra, resta il tentativo più concreto di introdurre diverse opzioni di flessibilità in entrata.
    Certo, anni dopo la loro approvazione quei provvedimenti continuano a far discutere. A rinfocolare lo scontro ci hanno pensato negli ultimi due mesi la Cgil di Guglielmo Epifani, che della legge 30 vorrebbe «una revisione molto profonda», e la Confindustria, cui la norma va bene così com’è. Ma sul tema della flessibilità, già oggetto di discussioni furibonde in campagna elettorale, il confronto è aperto anche nella nuova maggioranza. Anzi, la riforma del lavoro sarà uno dei primi nodi che l’esecutivo dovrà affrontare, tra l’estrema arroccata in difesa dei diritti sindacali e i moderati più inclini alle riforme. La patata bollente toccherà al neoministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, ma il programma dell’Unione consente qualche ipotesi: una semplificazione della legge 30 che elimini i contratti più penalizzanti per i lavoratori, per affiancare alle restanti tipologie una rete di ammortizzatori sociali più salda. Nel programma c’è anche una riduzione del costo del lavoro, che dovrebbe rendere l’assunzione a tempo indeterminato un po’ meno sconveniente per le imprese. Di licenziamenti, lì dentro, non si parla, ovviamente: la formula, riveduta e corretta, è quella della flexecurity nordica. Funzionerà da noi? Carlo Devillanova, docente di economia politica alla Sda-Bocconi, ne è convinto: «L’Italia» dice a Economy «ha un turnaround lavorativo compatibile con il modello danese, fatto di elevata mobilità e di forti ammortizzatori sociali. Certo, perché un’opzione del genere decolli occorre una rete protettiva molto più efficace dell’attuale».
    Sulla necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali concorda la Uil: «Bisogna intervenire sui periodi di inattività» spiega il segretario confederale Carlo Fabio Canapa «per ridurli il più possibile e per riqualificarli». Un «no», invece, viene dal sindacato più moderato al modello danese: «L’Italia» dice Canapa «ha una sua storia e una sua specificità». Ma sono le statistiche a evidenziare l’ambivalenza del nostro sistema: se la flessibilità in entrata comincia a funzionare (il 49% delle assunzioni effettuate nel 2004 prevede forme contrattuali atipiche, e poi metà di queste posizioni si sono trasformate in posti fissi), quella in uscita è ancora ingessata. Tanto che la classifica dell’Ocse sulla rigidità ci mette al penultimo posto con Grecia e Turchia: solo le aziende portoghesi hanno più difficoltà a licenziare un dipendente.

    MA LA STABILITÀ NON È TUTTO – IL NUOVO SEGRETARIO CISL
    «In nome di un aumento delle tutele, credo che il sindacato dovrebbe essere pronto anche a rinunciare a qualche tabù sull’inamovibilità».

    l nuovo segretario della Cisl Raffaele Bonanni ha deciso di andare controcorrente. Mentre tutti dibattono di flessibilità e stabilità del rapporto di lavoro, lui vuole parlare di tutele economiche. «Nella Russia dell’era sovietica» dice a Economy «i lavori erano tutti a tempo indeterminato. Ma non mi pare si sia risolto per quella via il problema delle condizioni dei lavoratori».
    Come dire che è ora di smetterla di occuparsi solo di stabilità del posto di lavoro e che ci sono anche altri temi a cui prestare attenzione. Quello dei soldi, anzitutto, che spesso resta fuori dalle discussioni teoriche, ma in molti casi fa la differenza. «Perché fra un lavoratore flessibile, o precario che dir si voglia, il quale guadagna bene e ha una buona tutela previdenziale, e uno con un salario da fame che non ha neanche il sussidio a proteggerlo se resta disoccupato c’è una bella differenza».
    La Cisl del dopo-Pezzotta sta rivolgendo la sua attenzione sempre più al di fuori della cerchia del lavoro dipendente e garantito. «Un’area che oltretutto è sempre più minoritaria. Basti pensare che solo un terzo dei lavoratori italiani usufruisce del massimo della contribuzione, necessario per accedere agli ammortizzatori sociali. Non è certo una disuguaglianza da poco».
    Ben vengano dunque le misure possibili per favorire i contratti a tempo indeterminato («Non per niente chiediamo a Prodi di usare l’abbattimento del cuneo fiscale come un incentivo, condizionandolo all’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato da parte delle imprese»), ma senza rinunciare a battersi per quelli che restano e resteranno precari.
    In che modo? Soprattutto cercando di ottenere più salario e più contributi. «Poiché la flessibilità è un valore per le imprese» osserva il segretario della Cisl «mi domando come mai la gran parte dei lavoratori flessibili guadagni meno di quelli stabili. Non dovrebbe essere il contrario?».
    In nome di un aumento delle tutele, insomma, il sindacato dovrebbe essere pronto anche a rinunciare a qualche tabù in fatto di stabilità. Una filosofia che potrebbe mettere la sua confederazione in attrito con la Cgil, che della illicenziabilità dei lavoratori ha sempre fatto una bandiera? «Spero proprio di no» conclude «ma soprattutto spero che la Cgil sia d’accordo con noi che su questo tema la politica deve fare un passo indietro. Il governo e il Parlamento devono essere i notai di un’intesa fra sindacati e Confindustria, ma senza cedere alla tentazione di scavalcarli».
    Stefano Caviglia

  11. @loredana lipperini
    @aldo nove
    @cara polvere
    @r.r.

    “Bertinotti è un riformista?”

    La reazione di Lipperini e di Nove è comprensibile, per questo dicevo che “le scritte da bagni pubblici” andrebbero criptate. Che non vuol dire censurare, ma proteggere, perché se autori come Nove ogni tanto passano dalla Nazione, e li leggono, se la prendono e non tornano più.

    Voglio dire che io in bagno ci vado, e leggo tutto, ma proprio tutto, anche i messaggi erotici con numero di telefono (cara_polvere for president).
    Il bagno della Nazione dovrebbe essere come quelli da cinquantacentesimi della Stazione Termini. Dentro fai quello che vuoi. Ma prima devi abbonarti.

    Nove s’incazza, giustamente (che sia lui o chi ne fa le veci). Uno si fa un mazzo tanto per scrivere a San Precario, e noi lo maltrattiamo in questo modo?

    Memmeno fosse un marrano senza palle, che si è sporcato le mani scendendo nel tritacarne ferraresco, e aprendo un confronto serio con le Istituzioni (parola tabù per la tribù). Che ci sto a fare qui?, si chiede Nove. E non torna più.

    Ma vorrei osservare che non va bene nemmeno apparire e scomparire tipo deus-ex-machina, solo se e quando si parla di lui, senza seguire il dibattito sotterraneo della Nazione (le>Radici>). Se lo chiedeva anche r.r.: dove sono gli autori? Se vuoi giocare devi partecipare!***

    Il pezzo di Forlani su “Roberta” ha avuto un centinaio di post. Si è sviluppato un interessante dialogo sulle forme del nuovo romanzo politico, realistico e visionario. Una riflessione sui meccanismi della circolazione e della ricezione, che è continuata negli ultimi giorni a margine dell’articolo di Haas. Che ne dici, Aldo, sai di cosa stiamo parlando?

    *** Cara Loredana, il “discorso su letteratura-realtà, letteratura-reality” si è già aperto a margine dell’intervento di Haas (“Dicono di noi”). Siamo curiosi di sapere che ne pensi.

  12. Roberto, bravo roberto, il tuo discorso non fa una piega, è vero e condivisibile, ma è anche vero che se tu apparissi qui su nazione indiana col tuo nome “di battaglia” qualche problema lo avresti anche tu. In questo bagno pubblico stanno tutti col pennarello pronto ad imbrattare, non attendono altro. Per il resto quello che dici è sacrosanto, caro Roberto.

    Mal a.k.a. -elli

  13. @andrea.nobili

    il precariato non sta nella testa di chi scrive, è un cancro di questi tempi e solo chi non lo subisce direttamente può riderci sopra.
    Ben vengano iniziative come quella di Nove, se possono servire a “sensibilizzare” qualcuno o qualcosa. Male che vada saranno messaggi nella bottiglia per il futuro. I nostri pronipoti potranno sperimentare per interposta persona gli splendidi risultati di certo capitalismo illuminato.
    katatonico è chi non vuole o non è in grado di vedere il replicarsi infinito e abominevole dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
    Sul fatto poi che il precariato sia un argomento che vende o non vende e che Nove o altri scrittori lo affrontino per guadagnarci non è cosa che spetta a noi giudicare. Se Nove è un artista serio (e io credo che lo sia) agirà sopratutto perché ha una coscienza civile.
    Il resto è pettegolezzo e rosicame

    Massimo Villivà

  14. “hass risponde (vedi ‘dicono di noi’). nove no (ma so per certo che qualche anno fa, unico tra scrittori inglesi americani finnici e anche italioti rispondeva all’invito di una rivista italiana chiedendo una diaria per un suo pezzino manco fosse michael chabon. tant’è, nove, tant’è: questo forse scarpa non lo sa, o lo ignora). per dire”.

    “con neuropa di gigliozzi io la realtà dell’ingiustizia nella quale tutti siamo immersi non la vedo. non la vedo. oppure bisogna arrivarci con gli strumenti raffinati degli iniziati (la psichedelia di parchitello, provincia di bari). con saviano sì. diretta. tra i denti. come carlo levi, ai tempi dell’orologio. o di sciascia, l’affaire moro. letteratura, letteratura. barbagallo sul corriere del mezzogiorno, oggi: talento narrativo. E storico. d’inchiesta. detto da uno storico”.

    “di roberta di nove, alla fine, io non so che farmene. e pure coi personaggi fabbricati dal pennino di desiati. per dire”.

    “chi cazzo ci andrà domani a ripetta a sentire nove-bertinotti? pochi, pochissimi affiliati: uffici stampa, intellettualini fancazzisti, qualche vecchio inconsapevole e genuino democratico che s’indegna (“da palermo ad aosta”), fans deficienti, oppure, più imprevedibilmente, ‘elettori’ critici di nove e di PRC (non ferrandiani, per carità)”.

    “sarebbe bello, domani sera, fare un’intervista a nove: come ti senti, ora? hai parlato,parlato, presentato i tuoi fantasmi, le tue denunce, avallato dal presidente della camera (IL PRESIDENTE DELLA CAMERA). soddisfatto? ‘fino all’orgasmo’. diceva una poesia di caproni: ‘ora vai a letto. lieto’.”

    “con gomorra di saviano so, alla fine, riemergendo, chè è anche mio compito, nel mio piccolo mestiere (precario) del cazzo, nei miei dialoghi pure col tabaccaio di copertino in provincia di lecce, o di milano, diffondere e intelligere (‘avere intelligenza della realtà’, diceva sciascia)”.

    “gomorra di saviano ha tutte le carte non solo per scombinare produttivamente gli scaffali feltrinelli, i CANONI, le TRADIZIONI – meravigliosi i post a gomorra: a napoli sta tra criminalità, a milano tra saggistica, a bari tra le novità… – ma anche, se già l’autore non lo sta facendo, fottersene di bertinotti presidente della camera (PRESIDENTE DELLA CAMERA) e di ripetta, e sperimentare nuove forme di comunicazione, sfruttando, e sabotando, gli strumenti dell’industria culturale: l’astuzia delle colombe.

    che saviano, se non lo sta già facendo, entri fisicamente nelle scuole e nelle università non solo campane, e nelle fabbriche, e nelle piazze, pure nelle tv locali, e via via.., e parli parli dei contenuti e faccia entrare tutti noi, quelli che vogliono avere intelligenza della realtà, anche nel suo laboratorio, nella sua officina di lavoro, a ‘condividerne’ il metodo: rassegna stampa, decrittazione degli archivi, demistificazione dei verbali, della realtà. altro che travaglio gomez. e nove con bertinotti. o i tour degli scrittori. che devono campare. con roberta. con la generosità delle loro (finte: nel senso di fiction, sussunta subito subito dall’industria dello spettacolo che gongola, fino a giungere alle ISTITUZIONI): denunce. spuntate, poi, alla fine, da ripetta. col presidente della camera (IL PRESIDENTE DELLA CAMERA). e concita, concita”.

    ora, è vero, anche questi sono messaggi da cesso o da angiporto.

    tant’è.

    il punto è questo, dear loredana, caro aldo nove, caro tiziano scarpa, caro andrea inglese…: anzitutto, con violenza, la battaglia delle idee, del pensiero, diciamo così.

    anche fosse una violenza ‘criptata’, come vuole roberto.

    ma PRENDERE POSIZIONE. previa, per carità, analisi paziente dei TESTI. ma dopo, PRENDERE POSIZIONE. perbacco.

    nove e l’annuncio della sua bella presentazione istituzioanle – domani saranno in 23 (perchè no anche l’annuncio del tour di desiati, allora, coi sindaci di PRC del Bel paese a parlare pure loro di precarietà, tanto ci abbiamo ora IL PRESIDENTE DELLA CAMERA, per dire): e poi, accanto, saviano.

    no. no. perbacco. uno è una cosa, se vista nel campo degli intellettuali e del potere (bordieu, cazzo). uno è un’altra cosa.

    “r.r. ha litigato stasera colla fidanzata”.

    questo, si scriverà. nel cesso. saluti, fabio.

  15. @bacheca (@nazione), indifferenziata…:

    da http://www.corriere.it

    Leggere un quotidiano, leggere la realtà: come vorresti l’informazione, come vorresti i giornali
    30 maggio 2006, ore 10, Aula Magna dell’Università Bocconi, via Gobbi 5, Milano
    Conduce
    Fabio Fazio

    Interverranno all’incontro:

    Anna Maria Artoni
    Presidente Confindustria Emilia Romagna

    Andrea Ceccherini
    Presidente Osservatorio Permanente Giovani-Editori

    Vittorio Colao
    Amministratore delegato Rcs MediaGroup

    Guido Corbetta
    Prorettore Area Graduate, Università Bocconi

    Piergaetano Marchetti
    Presidente Rcs MediaGroup

    Paolo Mieli
    Direttore Corriere della Sera

    Marco Pratellesi
    Responsabile Corriere.it

    Camila Raznovich
    Vj e volto storico di Mtv

    Severino Salvemini
    Direttore del corso di laurea triennale in Economia per le arti, la cultura e la comunicazione, Università Bocconi

    Beppe Severgnini
    Giornalista e scrittore

    Mario Tozzi
    Conduttore del programma Tv “Gaia – il pianeta che vive”

    Nicolas Vaporidis
    Attore protagonista del film “Notte prima degli esami”

    Sandro Veronesi
    Scrittore

    L’ingresso è libero e gratuito fino a esaurimento posti

    ..ma… ma…. Nove dov’è?

    per dire. questo è proprio da cesso dell’anagnina. (altro che ripetta).

  16. Che bell’incontro, che grandiosa iniziativa!! Se ne sentiva davvero la mancanza, era ora finalmente, perché è proprio così, il futuro del paese, della democrazia, della cultura, della società civile tutta è scritto sulle labbra e nelle parole di questi saggi. Sarà fantastico sapere come vorrebbero l’informazione Raznovich, Vaporidis e Ceccherini; e poi come vorrebbero i giornali Artoni, Mieli, Severgnini!!! Fremo già, solo pensiero di poetr essere lì. E Fabio Fazio! Speriamo che non si limiti a condurre e ci delizi con quelle sue riflessioni così cariche di futuro, di pensiero, di intelligenza… Auguriamoci ci siano tantissimi giovani, vogliosi di fare domande a questi grandi e che qualcuno pensi a registrare l’evento. A ricavarne una summa ad uso dei cessi pubblici ci pensiamo noi.

  17. … oppure, correggendo il tiro (riformisticamente, ma non tanto):

    (anche) saviano (e altri come lui), con bertinotti a ripetta. magari con borsellino a castel dell’ovo.
    (anche) saviano (e altri come lui), in tv da ferrara alla 7.
    (anche) saviano (e altri come lui), da fazio e rcs a parlare d’informazione e di stampa.
    e dentro le ‘istituzioni’ (a turbarle col ‘destino di verità’ delle sue inchieste), dentro le librerie (a confonderle e ‘spiazzarle’).
    saviano e nove, a confronto.

  18. @Massimo Vavillà:
    senti massimo vavillà, io sono il più precario che ci possa essere. Giro con nel portafoglio venti centesimi perché vivo di collaborazioni, recentemente sono socio di una piccola casa editrice che mi ha ceduto quote a titolo del mio solo lavoro: è sempre stato il mio sogno. Da un anno tutti quanti non vediamo una lira. Tutti i soldi che prendiamo li buttiamo nell’attività. Servirà a qualcosa? Economicamente no, ma di fatto precari non ci sentiamo affatto..
    Per ora non posso farmi una famiglia, anche se da quattro anni ho una fidanzata che prima o poi si vorrebbe anche sposare, non posso chiedere un mutuo perché sono iscritto – bontà delle SS post-basilea – nelle banche dati dei cattivi pagatori di mezzo mondo… Ne avrei di cose da lamentare… ne avrei eccome. Combatto una battaglia quotidiana contro le finanziarie più disparate e le banche di mezzo mondo. Il tutto perché ho avuto la sfortuna di fare il libero professionista per qualche anno, illuso di potermi pagare gli studi. Cercavo lavoro in una case editrice e non l’ho mai trovato. Ho lavorato in un bar, al call center, ho fatto siti internet.
    Ne avrei da dirti sul capitalismo… Però mi stanno sul cazzo i piagnoni e i piagnistei, sono ambizioso e non mi rassegno. Sono un precario? Chissene frega! Lo status di precario ti da il diritto automatico di vomitare la tua pena addosso agli altri? Non credo. In più lucrarci sopra all’affaire precariato scrivendo romanzetti mi sembra piuttosto maleodorante come operazione. Nove è un precario? E’ bello prendere un precario intervistralo, schiaffarlo su di una carta avorio da 80 gr e darlo in pasto alle rotative per vendere migliaia di copie. Perché Nove non ha diviso per esempio i diritti d’autore coi precari cha ha intervistato se tanto gli stavano a cuore? Tanto lui credo campi lo stesso. La verità è che tutti parlano di precariato ma nessuno fa nulla di concreto laddove servirebbe. Solo di parole è fatta la solidarietà. Ma per i precari ci vuole ben altro che la notorietà: ci vuole sussidio. Così come ci vorrebbe per i giovani imprenditori. Ergo: perché gli scrittori che scrivono di precariato non dedicano una parte dei loro diritti d’autore ad un fondo sociale per giovani che senza contratto a lungo termine? Una sorta di pensione di precarietà? Perché non lo fanno calciatori, artisti e intellettuali? Se non lo fa lo stato… qualcuno bisogna che ci pensi no ad aiutare i più deboli… Quello sarebbe parlare di precariato facendo qualcosa di concreto. Sarebbe non sfruttare l’onda generata da un tema potenzialemente best-seller ad alta immedesimazione.

    L’altra cosa che non capisco è perché si parla solo di “certi” precari:quelli da call-center o da volantinaggio o gli indomiti ausiliari del commercio neo-mandatari (perché i veterani se la passano ancora piuttosto bene).
    E’ un momento storico questo qui dove tutti quanti si è precari non solo perché non si trova lavoro o si gira con venti centesimi in tasca… Precario non è solo un par-time da duecento euro al mese, ma anche un artigiano che pure se non guadagna deve pagare INPS INAIL e IRAP. Precario è un agente di commercio che vive col terrore dei numeri… “Fatturati! Fatturati! Altrimenti se fuori“ non è essere precari? Precario è il “maestro (della calzatura) di Vigevano” che i cinesi hanno ridotto in polvere. Precario è l’avicoltore che ha dovuto chiudere perché qualche stronzo giornalista si è inventato che mangiare il pollo era sicura fonte di morte. Di questi precari non se ne parla mai però. Precari tutti giovani e belli, tutti neolaureati-sfigati-frustrati. I padroni invece son tutti quanti ricchi:) Bella storiella.
    Precario comunque io non mi ci sento perché non ho una lira in tasca…
    Si é precari perché nel mondo che ti ruota attorno non ci sono più punti fermi, è tutto commisto, tutto puzza di inghippo, di complotto, di tranello. C’é gente che ti trama alle spalle per lucrare mentre tu sei li che gratti nel portafoglio qualche monetina rimasta. Gente che crea tensione sociale per penetrare i mercati (pensate al boom delle finanziarie Agos-Credial-Ducato Mony-Finemiro-Finconsumo) a diventare schiavi dei telfonisti da recuperp-crediti cin vuole un attimo. Non hai ancora incassato il tuo bravo stipendio da duecentocinquanta-euro-precari che già pensi a come lo dovrai spenderlo. Io una mia piccola isola antiprecariato l’ho trovata: non vivo più in città, ho buttato via il telefonino e non spendo più una lira in stronzate. Però faccio tutti i giorni quello che ho sempre sognato: lavoro con le parole. Prosit.

    Bisogna boicottare anche gli sprechi di tanto in tanto. Spendere 15 euro per un libro su “guarda come siete sfigati” mi
    pare il primo spreco da boicottare.

    Poi tanto adesso con Bertinotti alla camera si risolve tutto dai:)

  19. @andrea.nobili

    Mi chiamo VILLIVA’ non Vavillà: se lavori con le parole un cognome, anche se non comune, dovresti essere in grado di leggerlo senza problemi.
    Comunque ti ringrazio di aver risposto puntualmente: in genere qui si fa fatica a essere considerati se non cita Bordieu (con la minuscola che fa figo post moderno) o deleuzeguattarì.

    Di solito chi si rompe le palle a parlare di precariato è perché precario non è: imprenditore, oppure assunto da qualche parte o ben ammanicato con qualche cricchetta sociolavorativa.
    Insomma tra i sommersi e i salvati figura tra i salvati…
    Mi fa piacere invece che tu abbia raccontato la tua esperienza senza troppi peli sulla lingua. Hai sostanzialmente ragione a dire che il precariato non deve diventare una condizione mentale: non è sinonimo di fallimento e motivo per piangersi addosso.
    Non sono in grado di dire se Nove lucra sul precariato: è una cosa che riguarda la sua coscienza personale.
    Quello che sento è che ormai il mondo si divide in sommersi e salvati. Il pianeta è mi sembra, a volte, un gigantesco Auschwitz post moderno in cui “il lavoro rende liberi”.
    Sembra un’esagerazione, ma se ci pensi bene non lo è più di tanto. Il potere e l’orrore ormai sono talmente ben camuffati da “ragione” che ci siamo abituati alla loro presenza. Certo, in questa Auschwitz planetaria non ci sono i crematori, ma sistemi di eliminazione molto più lenti e apparentemente più gentili… e, come gli ebrei ad Auschwitz, la resistenza che i “sommersi” possono fare è pressochè nulla. I “salvati” lucrano su qualsiasi cosa, è nella natura delle cose. Forse molti “sommersi” al loro posto farebbero lo stesso. Fai benissimo a non comperare il libro di Nove, rientra nelle tue possibilità di scelta e finchè le abbiamo, dobbiamo esercitarle tutte e tenercele strette, le nostre possibilità di scelta.
    Sono anche d’accordo con te che non è essere senza soldi che ci rende precari. La precarietà è il prodotto di scarto del sistema-mercato, è una categoria ontologica che investe tutti, dai calciatori agli impiegati del catasto. E comunque come diceva il Buddha, la transitorietà (precarietà) è l’essenza dell’universo.
    Inaccettabile è invece lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, inaccettabile è il pianeta-Auschwitz.
    La mia esperienza è simile alla tua: da anni mi dedico anima e corpo alle mie due grandi passioni: la scrittura e la musica. Ho lavorato per un decennio nell’editoria e, dopo una fortissima crisi nel 2002, le collaborazioni sono diventate talmente risicate, e con pagamenti a babbo morto da costringermi (dato che sono circa 20 anni che non abito con i miei genitori) a fare altri lavori a dir poco allucinanti: inserimento dati, consegne con furgoni scalcinati (tra l’altro ho avuto il privilegio di avere un datore di lavoro, in quel caso, extracomunitario… ma è una storia lunga…) antitaccheggio nei supermercati, sorveglianza alla fiera con orari indicibili, paghe orarie da denuncia e che invece risultavano assolutamente sindacali. Nell’ultimo lavoro che ho fatto la retribuzione lorda oraria era di euro 5,22. Lorda, ripeto. Non ti dico il livello umano delle persone che operano in questi ambiti: non do’ colpe, né serbo rancori, ma quando parlo di sistema Auschwitz, ne parlo a ragione veduta.
    Dall’altra parte c’è il mondo dei “salvati” al quale mi posso affacciare ogni tanto. Da quattro anni a questa parte musicalmente ho fatto collaborazioni interessanti, ho suonato per Milva, accompagno spesso la poetessa Alda Merini in varie occasioni di incontro poesia-musica. Ho suonato allo Strehler, al Piccolo, ai Filodrammatici al Dal Verme e in altri teatri milanesi e non, di un certo livello. La precarietà è ancora più forte in quel settore e i guadagni sono molto altalenanti… insomma ci vuole un sistema nervoso robusto.
    E comunque è vero, come dici, che bisogna costruirsi una piccola isola anti precariato e non spendere i pochissimi soldi in stronzate. Se ritieni il libro di Nove una stronzata non comprarlo. Anche Nove sarà un “salvato” che tira avanti come può… :) dubito che possa dare percentuali ai precari intervistati. E comunque il problema non si risolverebbe. Il vero problema è come cambiare questo sistema, come scardinare il pianeta-Auschwitz.
    Io non lo so come fare. Molta gente non lo vede neanche Auschwitz intorno a sè. Non vede niente, però lotta per “salvarsi” a scapito di quelli che restano “sommersi” A volte mi prende una rabbia tale che mi darei alla lotta armata (non scherzo, niente faccine), ma invece vorrei cercare di essere costruttivo. Fare un boicottaggio costruttivo. Fare arte che possa rompere, anche solo un po’, i coglioni, scardinare i muri…
    Non so se Bertinotti farà qualcosa… me lo auguro, ma ci spero poco.
    Vabbè andrea.nobili, come vedi alla fine ti ho dato ragione su un sacco di cose :)
    Massimo Villivà

  20. Massimo: ti chiedo innanzitutto scusa per l’errore.
    Evidentemente ho cominciato a scrivere quel post che non avevo ancora gli occhi ben aperti.
    Che dire?
    Condivido tutto appieno. Mi piacerebbe che sul tema però intervenissero anche altri e non solo io e te.
    Solo una cosa preciso: non odio Aldo Nove, l’ultimo libro mi è passato tra le mani perché oltre alla piccola casa editrice abbiamo abbozzato un altrettanto piccola libreria on-line. Nove è meritatamente e sciruamente uno degli scrittori più apprezzati del momento: quella che io giudico una caduta di stile non inficia affatto un lavoro sottile e continuo per svecchiare questa cultura e per sensibilizzare. L’opera di un artista al dì là di tutto va rispettata. Si combatte, ci si scontra, ci si odia, ci parla dietro: è naturale. Però credo che soprattutto chi si definisce scrittore, ed ha quindi a che fare a titolo pieno o di striscio con l’anima… debba avere una sorta di coerenza. Molti che scrivono di precariato mi sembra lo facciano solo perché fa trendly e tira. Ecco tutti i miei dubbi sul libro di Nove.
    Poi per carità… io non sono nessuno.
    Mi piacerebbe avere la tua e-mail

    Un abbraccio precario

    Andrea

  21. @andrea nobili
    @massimo villivà

    “ma se guattari non lo possiamo citare neanche qui,
    mamma mi’
    mamma mi’ ”

    Rubare le parole d’ordine della destra: le tasse
    Zero tasse per tutti i precari, gli statali, i liberi professionisti, che fatturano fino a ventimila euro all’anno. Cancellazione immediata dell’Iva e della ritenuta d’acconto. Esenzione totale per i redditi sotto i quarantamila euro, se il soggetto ha una famiglia, dei figli, oppure se uno dei coniugi è disoccupato.

    Militarizzare la Guardia di Finanza
    “Lotta armata” contro abusi, evasioni, sprechi. Rivincita dello Stato sull’Anti-stato, o meglio repressione dura, senza paura, di mafie e camorre. Se non vivete a Bari, a Napoli o a Platì, non potete capirlo.
    Il nuovo meridionalismo parte da qui.

    Ritirata strategica e contrattacco
    Uno stato che arretra si sta rinforzando. Uno stato che privatizza è uno stato che cede terreno, privilegi, per modernizzarsi, accumulare capitali, riconquistare una posizione privilegiata nella competizione globale.

    Meno stato = uno stato che funziona
    Eccellenza, non supplenza (del mercato, delle lobbie, delle corporazioni, etc…). Nuovi capitali, nuovi lavori, altro che “sussidi” e “pensioni di precarietà”. Invece: le mani in tasca a chi si è preso una vacanza dalla vita a cinquant’anni. I baby-pensionati sono vampiri peggio di Visco.

    Centomila Borse di ricerca subito
    Gli utili fiscali reinvestiti per finanziare la ricerca, la formazione e il mondo del lavoro. Quadruplicare le tasse universitarie per finanziare centomila nuove borse – subito – per i più meritevoli (in base al voto e al reddito). Spezzare le reni ai fuori-corso che non lavorano e vivono sulle spalle di mamma e papà.

    (continua…)

  22. @roberto

    Oops! Non avevo visto bene la parte riguardante le privatizzazioni… su questo aspetto qualche dubbio ce l’ho… alla lunga non hanno mai portato a niente di buono. A me la parola “competitività” e il termine “competizione globale” fa venire voglia di prendere un jet e farlo schiantare contro qualche grattacielo… ormai è un riflesso condizionato… E comunque per realizzare tutte queste belle cose bisognerebbe prima fare una nutrita serie di elettroshocks alla classe politca e imprenditoriale di destra e sinistra. Allora forse… chissà

  23. E se la vita fosse… ‘precaria’ ?!? Il lavoro non assolve. Ma mi rendo conto di parlare da un pertugio declassato, per alcuni troppo battuto, sentito
    ( mai abbastanza, io dico, mai veramente ). Forse è meglio che vada. Non prima d’aver detto questo, ecco: la letteratura non è giornalismo. Oppure: l’esordio sia pure il precariato nel lavoro ( va anche bene … ). Ma il precariato s’innalzi, si celi o si trasformi, scorra nella sua stessa stonante euforia, sfugga, riconfiguri il mondo. Se parliamo di letteratura. Sennò leggiamo Nove, nel nono giorno di ogni mese, ritualizziamolo, godiamo del nono emittente della strabordante uniforme stasi creativa di questi anni.
    C.

  24. @r.r.
    @mal
    @cato
    @arte-misia
    @andrea nobili
    @massimo villivà

    “elmi ed armi nuove”

    I post sono l’infrastruttura critica
    Il flusso che dà sostanza alla Nazione. Mi sembra che stiamo sperimentando un genere di commenti molto prensile, direi trasversale, che salta da un argomento all’altro (Haas, Nove, Saviano, etc..), senza perdere di vista la bussola.

    Se c’è continuità c’è una comunità
    Il dialogo collettivo non resta confinato ai margini dei pezzi, ma è in grado di evolversi, migrare, e in futuro forse potrebbe determinare le scelte della redazione (>i rami dell’albero>), secondo le ‘battaglie culturali’ della Base.

    Le radici criptate della chat
    In diretta, ventiquattrore su ventiquattro. Chi ha la password accede alla piattaforma indiana, entra nel flusso, e partecipa alla stesura quotidiana on line. Se Nove volesse contribuire al lavoro critico dei bassifondi lo dovrebbe puntellare, non solo moralmente: http://www.SOSTIENI>la>NAZIONE.it

    Perché dovrebbe farlo?
    Il punto è che diavolo significa diventare sostenitori della Nazione. Non si tratta di monetizzare il posto in vetrina di Nove, non siamo così arroganti e micragnosi. Ma se ha deciso di non tornare più, vuol dire che per lui la Nazione non è una lettura irrinunciabile.

    Diventare essenziali
    Dobbiamo offrire idee, spunti di discussione, riscontri: agli intellettuali, ai politici, ai giornalisti, agli esperti e ai manager culturali. In che modo? “Rassegna stampa, decrittazione degli archivi, demistificazione dei verbali, della realtà”, ma anche un bel po’ di consulenza politica. Caccia grossa ai peones e ai leones del neonato parlamento, per offrire servizi di marketing politico-culturale.

    Scrivere report quotidiani
    Chi c’è nella mailing list? Il Presidente della Camera, i mentori del Partito Democratico e Rosso-Verde. I temi? La guerra culturale globale. L’obiettivo? Dettare l’agenda del dibattito politico-parlamentare. I benefici? Creare una redazione stabile della Nazione, nella nazione, che garantisca all’Albero di crescere storto e forte.

  25. @arte_misia

    “adorabili canzonature poetiche”

    Ma sugli esami di ammissione all’università ci andrei cauto, visto quello che abbiamo visto ieri sera a Report: lauree facili per i ministeriali, un’altra delle categorie su cui dovrebbe abbattersi la mannaia del legislatore (e per favore non ditemi che è un luogo comune).

    Ora, che si facciano pure le loro scuole private, religiose, parificate, le loro università pontificie o convenzionate. Ma l’università pubblica dovrebbe funzionare diversamente. Anche in questo caso, vale la solita parola d’ordine: arretrare per rinforzarsi, dunque migliorarsi.

    Non capisco perché se vuoi entrare a Medicina devi fare l’esame di ammissione ma se ti iscrivi a lettere o a giurisprudenza no, passano tutti. Risultato che ogni poliziotta pensa di prendersi la laurea in sociologia o pedagogia in quattro e quattr’otto, visto che il ministero degli interni le garantisce una ‘esperienza’ pratica che nessun esame teorico può offrire.

    Invece l’accesso dovrebbe essere ristretto. Chi vuole la laurea facile se la prenda pure a pagamento, ma lo Stato ha una dignità da difendere: creare specialisti, professionisti che siano in grado di governare la società. Quindi test d’ingresso, selezione spietata dei raccomandati, dei demotivati, degli avvocati a forza.

    Quando andavo all’università c’era uno dei prof di storia che credeva che era meglio avere un laureato a voti bassi in quattro anni che un centodieci e lode fuori corso. A tutti gli esaminati, quindi, era concesso un diciotto politico. Ma in questo caso, se gli sventurati accettavano, che faceva il prof? Gettava dalla finestra il libretto dello studente. Lo chiamava “diciotto in giardino”.

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