Gli amici della Canottieri Lazio – una fiction dai primi anni ’90
Ripubblico questo pezzo al limite del sentimentale uscito due anni fa sulla rivista “accattone”
di Christian Raimo
Giochiamo a calcetto il giovedì. A parte ieri che era partita di torneo, in genere è dalle undici a mezzanotte, sul campo coll’erbetta vera, che manco a Manchester ce l’hanno così. Siamo sempre i soliti più o meno, con alcuni ci conosciamo dall’università. Le squadre anche, sono pressappoco le stesse, e ormai si sono standardizzati anche i ruoli, i nomignoli, e il gergo dello spogliatoio. Io sto in porta, e gli altri che stanno con me sono Attilio, Cesare dietro, Renato e Giovanni davanti.
Ho fatto il conto che in vent’anni che giochiamo tutte le settimane, ci saremmo fatti quasi cinquecento partite. Comunque è Giovanni che tiene le statistiche, le medie gol, e mi mostra ogni volta un grafico aggiornato al computer.
E’ l’unico carcolo per cui nun devi trova’ un magheggio, gli ha fatto qualche settimana fa Renato. Giovanni è un avvocato fiscalista: il migliore a Roma probabilmente, potrebbe far passare il sultano del Brunei per un bengalese che ti vende l’aglio. A dare retta alla sua strepitosa capacita’ di mitopoiesi di palle, pure Bill Gates, quando è venuto in visita in Italia, voleva conoscerlo che aveva sentito parlare di lui dal suo entourage come: “the brain”, il cervello.
La nostra squadra si chiama Sogno, così semplicemente. Il nome è venuto fuori sia per via della moglie di Cesare, che c’erano le donne pure loro quando abbiamo deciso il nome, e Cesare per fare il coglione se ne usciva con: Decima Mas o Nucleo Nero, stronzate così, e lei giustamente si incazzò perché si era presa l’incarico di andare da un suo amico sarto a farsele confezionare (perché mi dovete far fare sempre figure del cazzo, ma qualcosa di umano non lo sapete scegliere?). E quando Attilio ha tirato fuori Sogno, è stato bene a tutti. Ovviamente, a capire che è un riferimento al suo idolo, Edgardo Sogno, chi eravamo? Forse io e lui, più Cesare certo.
Col fatto che ormai abbiamo preso tutti a lavorare pesante e pesante sul serio, loro avvocati con le consulenze, i fallimenti grossi, i clienti all’estero, io co’ st’affare de Tangentopoli che ogni giorno ne succede una, immaginavo avremmo perso l’abitudine della partita settimanale. Invece è stato il contrario, si è diventati intransigenti. Chi dà forfait per ragioni leggere, passa per uno stronzo. Così è stato per due mesi con Renato. Che doveva seguire il processo di non so che appalto per lo smaltimento dei rifiuti e diceva che doveva studiare le carte la notte. Ovviamente si e’ rivelata una scusa del cazzo, che la verità era che intrescava con una che non ci voleva far conoscere. Tale Ornella, sarda d’origine, pare pure amante di Craxi da giovane.
Ma il puntiglio di Cesare, che e’ il capitano, ha ormai una formula a se stante: E’ ‘n’ ora a settimana, soltanto ‘n’ ora a settimana. Che poi logicamente non è soltanto un’ora, perché finita la partita e le docce, ti fai la cena, quattro chiacchiere, con Attilio che c’ha una logorrea che pare sta a fa’ l’arringa per salvare il culo a un serial-killer. Non è che fa l’avvocato, è un avvocato. Pure quando scopa, devi immaginare che si mette a convincere la moglie a fargli una pompa.
Guarda che lo sappiamo che sei un figlio di puttana, gli ho fatto una volta, c’ho le foto tue che ti abbracci a Provenzano!
E lui m’ha detto: Scommettiamo che te la rimedio ‘na foto.
‘Na foto di Provenzano?
Cinquanta milioni che te a’ rimedio.
Cinquanta milioni so’ un botto, famo dieci.
Seh, la pago io venti!
Alla fine questa famosa millantata foto recente di Provenzano non l’ho mai vista, ma in compenso tempo dopo c’ha portato una foto assurda che non so come si è riuscito a procurare, amici suoi del cazzo che c’ha in Vaticano, oppure un fotomontaggio fatto molto bene: insomma, una foto del Papa in mutande. Non faceva mica ridere, un’impressione anzi.
Io lavoro come giornalista, adesso sono tornato alle note politiche del Tempo. Qualche anno fa quando non si sapeva manco chi cazzo eravamo, sembrava che io fossi io quello che aveva svoltato: il pupillo di Gianni Letta. Gli editoriali di prima pagina a ventott’anni. Poi mi hanno chiesto se andavo a fare il direttore di un giornale doveva essere il giornale della nuova classe imprenditoriale di Roma e Milano messe assieme, ma alla fine si è scoperto che quelli che ci dovevano mettere i soldi erano Ligresti e Caltagirone, due che non si sono mai potuti vedere, ed è andato tutto a puttane. Quindi, è saltata fuori l’opportunità di fare il vice all’Indipendente, il giornale della seconda repubblica. Che se è arrivato al secondo mese di vita è già stato tanto. Morale: sono ritornato al Tempo che adesso però, sono bastati quattr’anni, se glielo chiedi all’edicola pare che stai chiedendo il giornale dei poveracci e delle massaie.
Quello che ha svoltato, in definitiva, sicuro non sono io. Del resto, perché l’orario delle partite è slittato da un orario umano fino alle undici? Perché adesso Cesare s’e’ messo a fare politica, anche se non ancora esplicitamente, ma pare che prima o poi ‘sto partito uscirà allo scoperto. E se prima conosceva già uno sfacelo di persone, mo’ pare che sono stati tutti in classe sua alle elementari. C’è gente mai vista e conosciuta, personaggi improbabili, ragazzette di vent’anni tipo caraibico brasiliano – che in confronto i nani e le ballerine era gente di gusto – che vengono a fare il pubblico della nostra partita settimanale. Si siedono là sugli spalti con queste facce assonnate, che paiono veramente che hanno perso una scommessa. Cesare fa proprio il boss, manco le guarda, e poi quando è finita la partita, se gli girano bene, si avvicina. Le prime volte pensavo che fossero amici di quegli altri, della squadra avversaria, ma quando ho visto la stessa gente che tornava, gli ho chiesto a lui e m’ha spiegato che non sa più dove riceve la gente che gli chiede favori e favorini e allora dice di passare alle undici da noi il giovedì, pensando di dissuaderli, ma quelli figurati, ti darebbero il culo, figurati se non possono mettersi a fare i tifosi.
Il bello è che tutta questa gente non ha capito che il vero mago onni-risolutore qua in mezzo a tutti è Attilio. Che è a lui che gli devi portare i doni votivi. Lui gli dai cento milioni, e tempo tre mesi ti torna con un miliardo e mezzo. Non si sa come fa: investe all’estero, gioca al casinò, vende enciclopedie, spaccia, comunque è una macchina. Quando ho provato a capire come riesce a fare Re Mida, m’ha detto: Io non faccio ‘n cazzo, è la lira che se svaluta. E io c’ho tutte ‘e valute tranne le lire!
E’ una persona straordinaria Attilio, assolutamente al di sopra della media, che si sa godere la vita come nessuno che io conosco. Uno che capita che magari, qualche notte dopo il calcetto, ti dice: Se famo un giro a Lugano? Se famo ‘na puntata a Montecarlo? Ti convince, sveglia l’autista, che un po’ smadonna un po’ s’arrapa dell’idea di farsi 700 kilometri a 200 all’ora e carica in macchina me e Giovanni, e andiamo a giocare al casinò fino a mattina. Lui perde come un addannato, ma non gliene frega un cazzo, perché la maggior parte dei soldi glieli copre il casinò. Appena arriva lui, il gioco si triplica, il tavolo suo sembra che c’ha il miele, è logico che lo sponsorizzano in pratica. E’ uno showman del gioco, blatera sempre ad alta voce, si mette a declamare le sue teorie sui numeri che sono vere e proprie concezioni del mondo. Collega tutto, la borsa, la kasbah o come cazzo si chiama, la teoria ebraica dei numeri. Mi ricordo una volta che girava come un pazzo tra dieci tavoli e urlava: Er due! Er due! E’ la congiunzione indiana.
Ma la cosa sua piu’ affascinante è che dovunque va per strada, in una hall dell’albergo, all’autogrill, si imbatte in qualcuno che conosce, e non sembra neanche che sia un caso, sembra che ci sta gente che lo segue per tutta Italia. Cesare in confronto è un pivello, perché la gente che lo conosce sono tutti questuanti, sudditi del suo potere; mentre Attilio sembra veramente un Al Capone: si ferma a chiedere indicazioni per strada e chiama la gente per nome.
Ieri era la prima partita, quella di inaugurazione del torneo, qua ai Canottieri Lazio. C’era una folla grossa di vip e vippini, che magari non sa manco le regole base del calcetto, ma si fomentano tutti come ragazzini. A essere onesti ieri io ho giocato veramente una partita della straminchia. Ho preso certi gol da buffone che neanche Zoff coll’Olanda nel ’78, quando disse in un’intervista che non ci vedeva da lontano, e allora gli olandesi presero a tirare in porta solo da venti metri minimo. Negli ultimi giovedì spesso è capitato che siamo finiti sotto di tre o quattro reti, e dopo la partita, per il gelo di queste sconfitte venute fuori dal niente, neanche siamo andati a prenderci una cosa per commentare al solito. E Attilio m’ha detto che se devo venire a giocare così tanto vale che non vengo.
Ma ieri era torneo, e abbiamo perso sette a due. E a parte due quasi-autogol, ho sbagliato praticamente ogni passaggio, sembravo facessi apposta, per ripicca, per gusto del bastian contrario, non si sa: tiri a cucchiaietta, mi sono messo a fare dribbling davanti alla porta, palloni persi che neanche Andrade, rinvii direttamente in fallo laterale. Non ho idea sul serio di perché stavo così fuori di testa, neanche a dire che avevo preso qualcosa perché avevo pippato ma giusto du’ striscette e la mattina poi. L’unica giustificazione che riesco a darmi è l’emozione. Perché ero davvero emozionato: la prima partita di torneo, tutti gli spalti strapieni, pure la mia ex-moglie che sembrava stesse in serata favorevole, non lo so. Ed era del tutto legittimo che Cesare desse di matto negli spogliatoi. Che mi insultasse anche, che prendesse a pugni le cose. L’unica cosa che non mi è andata giù è quando ha detto che se non vali un cazzo manco come giocatore che cazzo te teniamo a fa’.
O’ bello, gli ho detto, guarda che io t’ho parato il culo tante di quelle volte che se non c’ero io ‘a sto punto stavi a fa’ il trans a Boccea.
Sei proprio l’ultimo degli stronzi, m’ha fatto.
Te manco c’arrivi a’ esse ‘no stronzo, gli ho risposto. Se fanno selezione all’ingresso te scartano come stronzo.
M’ha guardato, e: Si vede che ti piace prenderlo al culo che t’inculi da solo!, m’ha detto, Lo sai che sei fuori, lo sai, ma no dalla squadra. Sei fuori dar circolo. Sei fuori da tutto. Da Roma sei fuori. Se vuoi fatte ‘na vita tranquilla, mejo che cominci a pensa de’ compratte ‘na casetta a Mentana.
Ora, ho fatto passare ventiquattr’ore, ma devo fare ancora sbollire la rabbia. Perché sennò la sola reazione che mi viene è andare lì è sparargli, anzi spaccargli la faccia col calcio del fucile. Quella faccia da cazzo sua, da bulletto di quartiere con le rughe. Invece la decisione più saggia è aspettare un po’, far rientrare la cosa, è cominciare a fare memoria. Ricordarsi tutte le cosette giorno per giorno.
Quei pacchi che sembrava Natale con mezzo milione di franchi dentro.
Quella volta che alla fine della partita sventolò la bustona a Renato: A Rena’ te stai a scorda questa!
E le sentenze decise a poker? Se m’entra un punto, sta sicuro che è assolto, altrimenti gli invento qualcosa e condannato.
E tutti i soldi che s’è fottuto dalla figlia di quel poraccio che ha ucciso la moglie. Che non me la ricordo quella storia?
E la gita in America coi soldi de Papà Bettino, io c’avevo una mezza scarlattina e non ci sono potuto andare, ma coi soldi che gli faccio uscire mi faccio tre anni a Disneyland. Sicuro.
Stai a strigne er culo, eh? Stronzo.
Proprio ieri avevo iniziato a leggermi questo racconto su Clarence, poi per un imprevisto avevo dovuto interrompere. Una coincidenza piacevole ritrovarlo qui e poterlo finire questa mattina.
…i passaggi secondo me più riusciti: la scelta del nome della squadra (“Il nome è venuto fuori sia per via della moglie di Cesare, che c’erano le donne pure loro quando abbiamo deciso il nome…” e la foto del papa. Mi aspettavo un finale più forte. Ma cosa c’è di meno sorprendente di un racconto sorprendente che poi sorprende?
Me lo stampo e me lo gusto stasera a letto…
Map i:)
curioso. l’avevo letto nel libro qualche mese fa, poi ne ho dimenticato l’esistenza. lo rileggo oggi, volentieri. ho adorato la foto del papa, ma mi viene da chiedere: perchè al limite del sentimentale?
Sentito letto da Raimo, vi assicuro, quel finale assume un senso alquanto inquietante…
Ci credo. Ma il senso inquietante, se questo volevano assumere le parole, non dovrebbe essere nelle parole stesse? Cioè la minaccia finale, soprattutto rapportata alle regole italiche, sembra una carezza. Forse questo inquieta: in effetti.
patetico, semplicemnete patetico.
Difficile per un intellettuale e/o per uno che non abbia davvero vissuto tempi e modi “sulla propria pelle” immaginare efficacemente questa gens italica romanesca dei tempi dei socialisti craxiani (meglio dire del CAF?) e infatti Raimo finisce per scrivere un racconto (bello peraltro) di fantascienza, ma di quella fantascienza in cui a partire da un certo punto, metti che ne so, il 1990, c’è qualcosa, qualche particolare che è andato o si è definito diversamente e allora tutta la realtà che ne è derivata la immagini cambiata magari, ma solo apparentemente, di poco, come questa Roma di Raimo fatta tutta di previti-la ganga-cicchitto, di ornitorinchi politici col becco fascista e le zampe palmate craxiane, ma che cacano uova democristiane e fanno quattrini a palate non si sa come, precursori berlusconiani, in un rimescolìo incessante di intrallazzi e favori, tanti vittoriogassman del sorpasso attualizzati e re-ambientati agli anni novanta, intesi come sintesi storiche di ciò che è eterno e incancellabile marchio italico.
E mi andrebbe pure bene se le cose non fossero andate ben diversamente e molto prima, metti negli ottanta degli albori, quando tutti erano sinceramente democratisci che coi fascisti non ci volevano avere niente a che fare ma già si spartivano gli incarichi e le mazzette all’ombra di boschi e sotto boschi intermente scrupolosamente perfettamente totalmente inevitabilmente lottizzati in un sistema che non lasciava sfuggire manco uno spillo, talmente blindato che poi alla fine è imploso perché economicamente insostenibile e non più funzionale al sistema che l’aveva creato e infatti ci sarebbe voluto un Subentrante di altra natura e sostanza come berlusconi, piuttosto di questi nani e ballerine in fondo non tanto reali, se poi a definirli tali era proprio quel formica-prolungamento-de-craxi assolutamente sistemico, ma del vecchio sistema.
Tutto era più sottile, le volgarità c’era, assieme alla clientela, ma la incontravi più di rado e solo in certi posti.
Questo era prima che tutto fosse sdoganato non si sa quando dove come e da chi (pre-driveinn, post-driveinn, dice qualcuno, e qualcun altro dice: e alfredino, dove lo mettete?) anche se il sospetto che il Grande Sdoganatore sia stato in effetti Craxusconi che altro non fece che dare la stura di nuovo all’essere-alberto-sordi di tutti noi, finalmente senza doversi vergognare.
Che confusione che faccio, meglio il racconto di Raimo.
Intanto baricco su repubblica è tutta una moina e scrive dei barbari con gli occhiali neri e il gippone, come se fossero quelli, i barbari, invece dei baricchi.
Craxusconi “altro non fece che dare la stura di nuovo all’essere-alberto-sordi di tutti noi, finalmente senza doversi vergognare.”
Io adoro Tashtego!
anch’io adoro tashtego, solo vorrei sapere se è moresco. Ditemelo per favore.
Non credo sia moresco, ma nemmeno biondesco.
No. Non lo è.
letto da Raimo, tutto il racconto scende che è ‘na meraviglia.
b!
Nunzio Festa