Anteprima/ a Cesare
foto di Roger Salloch / bycicle
Quello che segue è un capitolo del romanzo a cui sto lavorando. A suivre (-continua)
Francesco Forlani
Capitolo Sesto
Quanti amici ho? Ecco una buona domanda. Ma quanti ne aveva Cesare Pavese? Massimo Mila e Augusto Monti sono le persone a cui Pavese ha scritto più lettere. Il primo è il maestro e dunque non fa testo. Il secondo, che viene chiamato affettuosamente dall’amico , la confraternita, è stato uno dei più grandi musicologi che l’Italia abbia mai prodotto.
È a lui che tocca scrivere l’articolo necrologio sul Radiocorriere in data 3-9 settembre. Me l’ha fatto pervenire insieme ad altri preziosissimi documenti la direttrice dell’archivio di stato di Torino, Isabella Massabò Ricci. Mi ero ripromesso di leggere il tutto in albergo e non in uno qualunque, ma proprio tra quelle mura che si sono chiuse per sempre su Pavese. Quando stasera chiederò la camera che mi spetta. Intanto ordino da bere e mi giro e rigiro tra le dita il biglietto da visita della direttrice. C’è come una dedica e mi commuove.
Per lo studioso di C. Pavese. Cerco di capire la Y scritta a penna accanto al nome e penso a lei. Una donna con un entusiasmo da lasciare senza parole chiunque vi si trovi accanto. Ha la luce negli occhi tale che quando diventa memoria di articoli o documenti è attraverso quegli specchi che si apre un mondo senza tempo, per quanto custodito da carte e fascicoli, ma soprattutto dai numeri di archivio, arte combinatoria che accompagna ogni ricerca. Detta da lei la parola studioso ha un’altra accezione e mi lusinga che abbia preferito questa a quella di romanziere. Comunque sia mi sono sempre innamorato di donne che avessero o un grande entusiasmo o un fortissimo sense of humor. Le prime perché esistono a prescindere dall’amore che le lega a te, e le seconde perché sanno riderne, di quell’amore.
Proprio non ce la faccio a trattenermi e cosi’ inizio la lettura di quelle pagine. Comincio con l’articolo e lo leggo tutto d’un fiato. In nessun punto Mila parla dell’amico Pavese ma dello scrittore, come se non volesse sottrarre al lettore alcunché. Ne racconta ogni momento con la precisione di un chirurgo e da questo si vede che sono passati solo pochi giorni da quel tragico evento.
Sul finale scrive:
“Proprio in questa fase di trapasso, in questa momentanea pausa della sua accanita operosità intellettuale, lo colse il demone della solitudine, quella solitudine amorosamente vagheggiata come il minore dei mali, che poi d’improvviso ti mostra la sua vera faccia e t’opprime come una condanna. La solitudine affocata della bella estate, della feria d’agosto quando perfino il lavoro, che stanca, ma che salva t’abbandona.”
Intanto suona il telefono. Vibra. Il numero che appare sul display mi dice numero inconnu e comunque non ho voglia di rispondere. Deve essere sicuramente lei che deve aver ricevuto la lettera che le ho spedito da Parigi. Lei che mi accusava di averle rubato anni preziosi e che non sapeva ridere affatto né di se stessa né tanto meno del mondo. Si sarà allarmata? Ha forse paura che possa fare una follia? Ci sono donne che riescono a rendere perfino il tuo dolore insopportabile, impazienti come sono di apporvi il proprio timbro di causa prima. E allora si dovrebbe smettere di soffrire giusto per negargli questo piacere supplementare.
Ordino ancora da bere non prima di aver spento il cellulare.
Apro la busta ed é come un pugno in pieno volto, l’attacco.
“ Martedi’ 29 agosto 1950.
Oggi sepoltura di Pavese. Partiti alle 4 dagli uffici Einaudi. Gran corteo a piedi per via Arsenale, con sosta sotto alla prima sede della Casa editrice, fino a Piazza San Carlo. Poi in auto al cimitero”
È incredibile come la via crucis di Pavese si snodi attraverso i luoghi del lavoro, del progetto dell’Editore Einaudi. Come probabilmente accadeva per un ingegnere della Fiat o della Olivetti.
Scrive ancora Massimo Mila, in una calligrafia precisa e raramente percorsa da cancellature, sul quaderno che Pavese gli aveva regalato, e che si presenta come un libro, con copertina cartonata ed è un libro.
” È una bella giornata di sole come quando, vent’anni fa avevamo accompagnato Pavese e seppellire sua madre, e lui se ne stava là, sullo sfondo delle colline, tutto d’un pezzo e a muso duro.
Quando tutte le corone sono ammucchiate sul tumulo, Einaudi, Giolitti e Bobbio insistono ancora perché dica qualche cosa. Se ricordo bene, ho detto: “ molti vorrebbero che qui si dicesse qualcosa per ricordare l’amico che abbiamo perduto. Ma se Pavese ci vedesse in questo momento, disapproverebbe che qui si parli, e forse ghignerebbe un poco di noi. Lui era di opinione che i sentimenti veri non fa bisogno di dirli, e che quando si cerca di manifestarli con parole si sgualciscono sempre un poco. Tanto peggio per chi non sa riconoscerli nella sostanza e nei fatti. Perciò facciamo come voleva lui e ricordiamolo in silenzio”
Ho avuto un pò d’incertezza sulla forma da usare:”Se Pavese ci vedesse”o “se Pavese ci vede in questo momento” ma ho poi scelto quella che corrisponde alla mia opinione(del resto non chiarissima) anche a costo di urtare qualche suscettibilità. Ma probabilmente nessuno badava alle sfumature di pensiero implicite nella scelta tra un congiuntivo e un indicativo. Ho poi pensato che la frase ” tanto peggio per chi…” poteva magari suonare polemica come un rimprovero. Ma neanche sarà stata sentita cosi’, tutti l’avranno ascritta sul conto di Constance Dowling o di chiunque sia la misteriosa protagonista dell’ultima cotta di Cesare, sulla quale corre tutta una ridda di dicerie. Ora pare che siano state trovate le brutte copie di due lettere a una certa P o Pierina.
C’è un omaggio bellissimo di Mila alle donne “semplici” che amavano Pavese forse più di quanto lui non le amasse e sicuramente meglio di quanto e come lo amassero le sofisticate rampolle della borghesia torinese. Poi continua.
“Gira anche voce che Pavese si fosse convertito e prova ne era una lettera mandata alla sorella con 5000 lire per ” un parroco poverissimo d’un paese vicino a Serralunga, e ne fa un sintomo di ravvedimento religioso! Non sa che Pavese era straordinariamente caritatevole (e non solo con le belle ragazze infelici come la Carpegna ) ma con chiunque, e quelle 5000 £ le ha mandate a quel parroco di sua conoscenza, non perché era un prete, ma perché era povero.
Oggi poi, ritornando dal cimitero, il signor Sini mi racconterà che la lettera alla sorella suonava press’ a poco cosi’: ” Dai queste 5000 £ a don …, e digli da parte mia che continui a raccontare le sua balle a quei poveri diavoli che ci credono”.
Mi fermo qui. Nel pomeriggio devo tornare in archivio. La direttrice mi ha promesso di accompagnarmi agli hangar dove furono custoditi – più esattamente, congelati- i manoscritti di Pavese dopo l’alluvione che travolse il Piemonte e Santo Stefano Belbo, trascinando nel fango tutta l’opera raccolta nel museo fondazione.
Comunque Mila mi sembra confermare quanto credo di aver capito. Le sorelle Dowling non c’entrano nulla con la morte di Pavese. Semmai con la vita.
I commenti a questo post sono chiusi
molto bello, spero di sapere a tempo debito il titolo con cui uscirà questo lavoro.
Buon lavoro effeffe (sia nel senso del giudizio che dell’augurio).
A.P.
Caro effeffe, questo capitolo è molto bello e, oltretutto, stimola ad immaginare la struttura complessiva del romanzo di cui è parte. En attendant, merci.
Non riesco, comunque, quando vedo solo due o tre sparuti commenti a pezzi come il tuo, o a quello di Rizzante – tanto per fare dei nomi e indicare testi di sicuro valore -, non riesco proprio, dicevo, a non sentirmi cadere le palle. Sarà perché invecchio? Mah!
Complimenti ad entrambi, comunque.