Febbraio a Bisaccia
di Franco Arminio
la bella luce di febbraio.
quest’anno è mancata anche quella.
febbraio è stato avvolto e avvilito
da questa luce vecchia, dicembrina.
prima della fugace primavera
bisogna aggirare il muro di marzo
e le montagne russe dell’aprile.
il paese non è più la belva
di un tempo,
la bocca sdentata, l’umore spento,
sembra che più nulla ormai lo scuota.
io qui sono un fantasma
dentro la testa e dentro la mia casa,
mi sento come una madre
che guarda in una culla vuota.
O Franco, lo sai che io dico sei bravo, ma ti stai intristendo o sbaglio?
Tié, regalino:
GEOGRAFIA
Rincorrere invece a parole a costruzione
di lontananze
e a tempo perso il disfacimento
e l’incertezza delle vite e del dolore che
non sanno che muoversi
cambiare case sensi discorsi
e speranze e progetti soltanto
di movimento di spostamento
Non trovare più
l’allegria di parole del rimpianto
di una cosa
che sta ferma in un posto
dove il pensiero sa volare
ale: non credo di essere il solo ad intristirmi, di questi tempi. grazie per il pensiero.
questa poesia l’ho mandata a f.k in sostituzione di un testo che forse era ancora più dolente e che lui pure ha apprezzato molto. io qui voglio pubblicamente testimoniare che f.k. è una persona limpidissima, che riesce a leggere i testi degli altri senza invidie e pregiudizi. dobbiamo indicarlo con chiarezza quando ci troviamo di fronte a qualcuno che onora con grande onestà la vita e la scrittura.
Questo è l’amore.
Tutto il resto è
paglia di pagliaio
tutto il resto è
cane di canile
è sangue di ospedale
è quel taglio sul filo
che qualcuno
forse tu forse io
ha fatto per sentirsi solo.
Ah beh io (se non fosse necessario uno stile un po’ ragionieresco per dirlo, direi questa cosa assolutamente vera e che lui già sa e cioè che) stimo moltissimo Franz.
Beh la mia “tristezza” è diversa poi Franco dalla tua perché io sono un uomo, diciamo così, dalla geografia storica un po’ troppo complicata, si capiva penso anche questo. E’ più bella a volte da “coltivare” una tristezza che ha un luogo della sua propria anima dove andare a piangersi, che non la “semplice” tristezza senza un dove, o della ricerca di un dove da rimpiangere che magari non c’è.
Basta non voglio romperelep.
Anche a costo di beccarmi un insulto o della facile ironia da parte di qualcuno, tengo a dirti, Franco, che quello che scrivi su F.K è profondamente bello perché profondamente vero. E’ il suo ritratto: uno che onora con la sua onestà la vita e la scrittura.
p.s.
La tua poesia, che tu pubblichi o meno, resta un documento di grande valore.
a proposito di bisaccia.
domani notte su la sette, all’una, c’è il documentario
viaggio in irpinia d’oriente nel quale sono intesamente implicato
Fazzoletti
Ma quando si esaurirà
la secchezza del torrente,
e i fazzoletti d’alabastro
che la gente non si accorge
di sventolare inutilmente
si rigenereranno
nella seta
della terra fangosa,
e potranno ancora
asciugare
quelle lagrime da niente,
e il dolore acre
finalmente smetterà.
Antonello
posso testimoniare che f, salamelecchi a parte, ha sempre ricevute e considerate robe scritte di bloggari di periferia.
io sono tra costoro.
almeno, lo faceva col suo blog personale.
ma vedo che anche qui, ha mantenuta l’abitudine.
bello triste il pezzo – la poesia? -, che trovo degno di NI.
mi piacerebbe che qui si sviluppasse un ragionamento sul nostro rapporto con i luoghi. che la poesia sia bella in fondo non è la questione principale. possibile che nessuno abbia niente da dire sul fatto che spesso abitiamo in luoghi morti o morenti. possibile che tutto venga letto solo in chiave estetica? questa poesia dice della morte del mio paese, ma a me pare che la culla è vuota un pò ovunque. vi sta bene così? è una cosa normale? non so. stamattina sono di cattivo umore più del solito. io cerco di scrivere cose radicate, cose che stanno in un angolo di terra precisa. e cerco compagni in questo lavoro.
So cosa dici. Ragionare sui luoghi è il mio lavoro.
ed è anche il mio. prova tu a rilanciare il discorso. a me questa letteratura non radicata fa disperare. e poi non si può insistere. se non arriva qualche segnale di dialogo vuol dire che nazione indiana non è un luogo adatto a queste problematiche.
Forse è l’aspetto emotivo tuo Franco che allontana….sei la persona meno marketing oriented che io conosca :-)
Se poni l’accento in modo cosi tragico, difficilmente invogli all’empatia….a nessuno và di sentirsi piu’ depresso di quello che è.
Parli di ambiente disabitato parlando di culla vuota, quasi come fosse il presagio di un apocalisse…non funziona cosi.
mag ma che dici? per fortuna ho avuto decine di lettere di amici che tu considereresti importanti scrittori, che su questa poesia hanno detto parole non banali. non può essere come dici tu, non può essere. e comunque la tua lettera è rivelatrice e ti ringrazio. rivela che esistono persone per cui la letteratura è un gioco per catturare empatia. io voglio essere amato, voglio un’altra cosa e per questo, forse, la mia letteratua è un’altra cosa.
ti ringrazio anche per il fatto che scrivi sul mio non essere allineato al marketing. mi pare una grande complimento. gli scrittori che amato neppure lo erano.
Sì Franco, son d’accordissimo ma io ci provavo in qualche modo, no?, all’inizio. Spostando il discorso sul fatto che è (copincollo):
più bella a volte da “coltivare” una tristezza che ha un luogo della sua propria anima dove andare a piangersi, che non la “semplice” tristezza senza un dove, o della ricerca di un dove da rimpiangere che magari non c’è.
L’esempio che vorrei portarti è, dal punto di vista dell’empatia, anticamera dell’amore, è una descrizione disincantata della periferia, della desolazione, del degrado urbano o come dici meglio tu, dell’abbandono del borgo, descrizione che la valorizza proprio nei suoi aspetti negativi, abberranti, che divengono cosi’ familiari, vicini, usuali e quindi “riabitabili”.
Mi riferisco per esempio a Quarto Oggiaro,(Philippe Daverio) o alle descrizioni fatte anche qui su NI delle periferie del mondo.
Che te devo di Arminio, non è questione di opinioni, ma di modi di sentire, piuttosto diversi e indiscutibili.
la tua poesia è bella, certamente.
mi sembra che il tuo invito al confronto sia davvero bello e pulito. la morte dei luoghi corrisponde alla morte di un pezzo di noi stessi: siamo noi i luoghi e siamo ancora noi che rendiamo questi luoghi ospitali e appetibili, oppure no.
più che evitare di “deprimersi in compagnia”, mi piace questo condividere la consatatzione di una realtà oggettiva.
quando a sera mi chiudo in casa e guardo fuori della finestra la morte di questo pezzo di marghera, mi sento amareggiato e impotente.
è pur anche vero, però, mi dico, sempre di sera, che per rinascere, bisogna prima lasciar morire.
ciao
capisco che né io né il il paese siamo l’omblieco del mondo e che ormai ognuno degli scrittori è più intento a produrre la propria merce che a guardarsi intorno (mi ci metto anche io in questa malattia). ci sono molti produttori di merci scadenti e il mio errore è di aspettarmi da questa la certificazione della qualità della mia. tutto qui, tutto più semplice di come si potrebbe credere.
Produttori di merce scadente: la merce marcia.
A furia di evitare i luoghi comuni e sono arrivato in luogo dove non passa più nessuno.
Credo che bisogna evitare di mescolare poesia e sociologia.
Evitare i cazziatoni e le prediche.
Piacere agli altri non è obbligatorio.
Io stesso se m’incontrassi, mi darei del rompicazzi.
Quando il poeta ha scritto una bella poesia ha già fatto il suo dovere.
Poi i paesi si spopolano. Mi dispiace. Non posso farci niente. Io.
Continuo a pensare che la poesia debba essere “in-civile”.
E prenderci la libertà di scherzare sulle cose serie. Ridere delle tragiche. Sennò si finisce nel letale e fatale mare della lagna. Dove chi cade si bagna prima. S’infogna dopo. W la poesia. No al dibbbbattito. Ciao.
giancarlo scusami ma non ho capito il senso di quello che scrivi e te lo dico con molta simpatia. da uno che vive vicino ai miei luoghi, da uno che respira la stessa aria non vorrei sentirmi “abbandonato”. già avviene troppo nella mia irpinia.
io nemmeno amo i dibattiti, ma se esce una tua poesia è giusto tantare di dialogare con chi prova a farlo.
non penso che poi per i paesi non si possa fare niente, altrimenti non farei il paesologo.
Franco, hai ragione, irpini e lucani, siamo come cugini. Cercavo solo di dire (sdrammatizzando un po’) con onestà che (e io sono uno che sfotto quelli che da Potenza vanno a Bologna o a Verona o a Milano a far vita per lo più grama) in provincia io non ci sto male. Che come poeta mi sento più abbandonato dei paesi e abbandonato a volte a me stesso e anche Da me stesso. E per questo uso tutto l’humour che posso. Rido per non lagnarmi. E che il mio impegno, mi pare si esaurisca nello scrivere cose buone, quando ci riesco. Insomma che non mi piace quando l’Arminio poeta si confonde coll’Arminio paesologo. Sarà perchè io ho poche idee ma confuse. :-)
PS
A che ora c’è st’inchiesta sull’Irpinia su la7 stanotte?
[Quando il poeta ha scritto una bella poesia ha già fatto il suo dovere.]
[Continuo a pensare che la poesia debba essere “in-civile”.]
Ciao Giancarlo, benritrovato,
e scusami poco tempo per scriverti;
per quel che dici: il resto insomma insomma; invece su questi due punti che ho copincollato hai la mia adesione ma solo al 101percento.
Sul dibattito certo dice bene Arminio. Sulla “paesologia”? Mmm.
caro giancarlo è un documentario, all’una di notte.
non so se hai letto viaggio nel cratere, ma la forza di quel libro è tutta nella fusione di poesia e impegno civile (o paesologia se vuoi).
domani me ne vado per paesi, sono due giorni che sto davanti al computer.
ecco io sono sintonizzata sul modo di sentire di tramutoli.
Franco vado a vederti. Ciao Ale. Ciao Mag. Addio Piacendo.
Giancarlo! non farlo, pensa a me , pensa ai bambini!
rimani con noi, siamo la tua famiglia, e questa casa non è un albergo!
se te ne vai ora ti trasformerai in una statua si sale.
Franco, mi hai fatto fare le 2 e 30! ma ne valeva proprio la pena. Molto bello e poetico. Senza un filo di retorica. Ma struggente. Adesso capisco meglio quello che dici. Ho visto nei titoli di coda che ha collaborato pure un poeta-scrittore mio concittadino. Rocco Brindisi. Mi son piaciuti i tuoi testi. Molto efficaci nella loro stringatezza.
@Mag
a proposito di statua di sale, subito visualizzo la statua portata in processione a fatica (trattenendo qualche bestemmia) su per la ripida salita.
Altro dilemma mio. Ma il “sale”, per come viene usato, e cioè dall’alto in basso, non dovrebbe megliochiamarsi: “scende”?
non so.
la questione dei luoghi è importante, anzi centrale.
però di un luogo bisogna scrivere come di un luogo, evitando immagini tutto sommato non pertinenti, non specifiche, ma generiche e dunque gratuite, come qulla della culla vuota.
può anche darsi che rifletta fedelmente un’emozione dello scrivente, tuttavia lo scrivente non può irritarsi più di tanto, se non viene colto, qui, il tema della poesia, cioè il paese di Bisaccia, il luogo Bisaccia.
il vizio di riportare “dentro” ciò che invece deve restare “fuori” e che deve essere osservato scritto parlato come altro da sé, come appunto sono i luoghi, non lascia mai la poesia italiana, nella sua ansia di patetizzare poetando, o meglio, di poetare patetizzando.
tuttavia il verso sul paese che “non è più la belva di un tempo” lo trovo molto bello e profondo: il tema secondo me era quello, a volerci lavorare.
Non so. A me questa pare una delle cose migliori di Arminio. Come tutte le cose “buone”= “vere”, parla da sè, non ha bisogno di spiegazioni. Comunque, secondo me Bisaccia è il mondo; anzi la vita di chi la guarda scorrere senza poterci fare nulla; cioè lo stesso Arminio. Arminio è Bisaccia, Bisaccia è Arminio.
Coerentemente, egli si sente come una “madre che guarda in una culla vuota”: immagine fortissima, dolorosissima.
A volte, e purtroppo, per noi tutti, vissuta.
caro tash
vengo da un giro nei paesi, è il mio lavoro quello di descrivere i luoghi e quindi non mi riferivo alla poesia. penso che tu non conosca il mio lavoro e capisco che non si può sapere tutto. sulla poesia poi è una faccenda di gusti.
dice bene franz, io parlo di bisaccia perché a bisaccia il mondo mostra in modo più sensibilie il suo disfarsi, il suo non farcela più. il mio lavoro che potrebbe essere letto come tutto impregnato di narcisismo è in realtà un lavoro politico.c’è chi lo capisce e chi no e io non posso farci niente.
“c’è chi lo capisce e chi no”.
ok, arminio.
diciamo che questo tuo “lavoro politico” da questa poesia non si vede tanto.
mentre si vede bene che un commento non del tutto positivo ti va subito storto e ti fa andare in aceto.
me ne dispiace.
ma non mi riferivo a te. parlavo in generale. denunciare la morte di un paese mi pare un fatto politico. preferisci le chiacchiere dei politicanti?
che poi sono dispiacuto è vero: un blog non è una corrida e io non sono un dilettante allo sbaraglio. il mio lavoro viene da lontano
@arminio
nessuno mette in dubbio le lontanze del tuo lavoro, ma pubblicare, cioè dare in lettura a tutti ciò che si è scritto, anche se solo sul web, significa implicitamente chiedere un giudizio, estetico per di più, cioè del tipo più delicato.
io non ho emesso giudizi, ho solo espresso qualche dubbio sulla tua poesia: credevo si potesse fare.
ma evidentemente no, visto che paragoni questo luogo ad una corrida per il solo fatto che qualcuno abbia espresso dubbi sul tuo scrivere.
purtroppo è proprio una reazione di questo tipo che assomiglia a quella di un dilettante.
mi spiace che il tuo paese muoia.
non mi piace che tu scriva che questa morte ti fa sentire come una madre che guarda una culla vuota: credevo di poterlo dire.
fine e auguri.
ok fine, ma tu sei un narcisista e io di narcisimo me ne intendo. ancora una volta l’immagine della corrida non era riferita a te. credimi, te lo dico senza alcuna intenzione di ferirti.
E invece un blog è proprio una corrida! E quello che spesso vi cercano coloro che vi scrivono e vi mettono in mostra i propri parti, è appunto il casino dell’arena, cioè quella cosa di cui innanzitutto dovrebbe fare a meno uno “scrittore” per riuscire ad ascoltare meglio le proprie parole, per capire, cioè, se sono stonate o meno.