Le macchine liriche. Sei poeti francesi della contemporaneità (1)
A cura di Andrea Inglese e Andrea Raos
[Leggere anche la seconda e la terza parte del dossier.]
Su tale scelta di testi tradotti si è espresso negativamente Alfonso Berardinelli (articolo 1 e 2). Noi gli abbiamo risposto difendendo le nostre ragioni (lettera 1 e 2).
Sei poeti soltanto non possono costituire di certo un paesaggio, ma neppure un semplice scorcio di poesia francese contemporanea. Ciò nonostante l’idea del paesaggio va salvaguardata, ma con un’opportuna correzione. È un “paradigma di paesaggio” quello qui proposto. In esso è possibile rinvenire dei tratti salienti comuni a un paesaggio ben più vasto e variegato.
Non viene dunque fornita una lista dei più rappresentativi o dei migliori. La poesia di ognuno di questi poeti è da considerare come una linea di forza che, per segmenti temporali diversamente ampi, ha agito e continua ad agire su di un certo “campo” della poesia contemporanea francese. Si è quindi deciso di misurare la rilevanza di un poeta, non come è in uso prudentemente da noi, conteggiando gli anni di anzianità (e quindi di influenza sul campo). Un paesaggio è infatti determinato nella sua particolarità tanto dalle azioni più antiche e di profondità che dagli eventi più recenti e di superficie. (È questa una cosa che i critici di professione digeriscono male, per via del loro riflessi notoriamente ritardati.) Per questo motivo l’azione ampia e di lunga durata di un Viton (classe 1933), attivo dagli anni Sessanta, è accostata a quella di Suchère (classe 1967), esordiente negli anni Novanta. Nel paesaggio attuale della poesia francese i testi di Suchère sono altrettanto determinanti di quelli di Viton, in quanto, scavalcando le schematiche frontiere generazionali, la scrittura del poeta più giovane ridefinisce a sua volta lo statuto della scrittura del poeta più anziano.
Questo “paesaggio paradigmatico” va quindi letto in una duplice ottica: quella focalizzata sulle successive e determinanti svolte che da una generazione all’altra configurano ulteriormente la scrittura poetica, e quella delle imprevedibili reinterpretazioni di queste eredità che ogni volta è fatta dai “nuovi arrivati”. Non solo quindi è inadeguato il discorso per “blocchi” generazionali omogenei, ma anche quello per “scuole” o “correnti” eccessivamente lineari. Viton ha contato per tutti, e per i più giovani in modo particolare a partire da un libro del 1981, Terminal. Ma Portugal e soprattutto Hocquard sono stati un punto di riferimento per la generazione di Tarkos, Dubois e Suchère. Eppure il percorso di ognuno di questi autori più giovani rimane personalissimo, malgrado siano da tutti condivisi alcuni assunti generali sul fare poetico.
È tempo ora di definire meglio l’attuale paesaggio delle poesia francese di cui questi sei autori fungono da paradigma. Un comodo punto di riferimento, in termini editoriali, è l’antologia curata nel 2000 da Jean-Michel Espitallier Pièces détachées. Une anthologie de la poésie française aujourd’hui. In essa sono presenti trentatré autori, di età molto diverse tra loro, ma che nel corso degli anni Novanta hanno contribuito alla formazione del paesaggio che ci interessa. In tutti gli autori antologizzati da Espitallier è presente, per usare un termine approssimativo, una forte esigenza di “sperimentazione”. Ma tale termine dice ancora poco, soprattutto per i parallelismi fuorvianti che esso può suggerire con il panorama nostrano. Inoltre, buona parte del paesaggio esplorato dall’antologia di Espitallier ha come suo laboratorio la rivista Java, nata nell’1989 e orientata soprattutto all’utilizzo di nuovi e diversi media come condizione necessaria per rinnovare lo statuto del discorso poetico contemporaneo.
Gli autori che abbiamo scelto appartengono invece a un versante diverso, che gioca ancora tutte le potenzialità del genere all’interno della pagina scritta, del libro tipografico. Partiamo da Jean-Jacques Viton. Egli partecipa all’esperienza di Action poétique, la più longeva delle riviste militanti francesi, nata negli anni Cinquanta e tutt’ora diretta da Henri Deluy. Lo sperimentalismo di Viton si caratterizza immediatamente per un duplice rifiuto: il surrealismo, da un lato, e il lirismo, dall’altro. Questo significa scegliere l’eredità di Francis Ponge piuttosto che quella di René Char. Altro riferimento per Viton, che è anche fecondo traduttore, sono i poeti statunitensi dell’oggettività, primo tra tutti William Carlos Williams. Il risultato è una poesia denotativa, diretta alle cose, spoglia degli ingredienti tradizionali della “poeticità” sia sul versante metrico che stilistico e lessicale. Queste scelte non sono state mai smentite da Viton, che negli anni le ha semmai approfondite e articolate con perenne inquietudine. Il risultato è una poesia capace di descrivere nel modo più ampio possibile la relazione costantemente mobile, precaria, accidentata tra io e mondo, attraverso un linguaggio comune considerato nel suo spettro più ampio: da quello orale del parlato a quello tecnico-specialistico e scientifico. La particolarità di Viton è poi la simultaneità dell’andamento descrittivo e di quello riflessivo, che preserva il suo discorso sia dal rischio della pura mimesi del dato reale sia da quello del tono gnomico.
Nonostante abbia guardato con interesse all’esperienza della neoavanguardia italiana e abbia ospitato poesie di Sanguineti e Balestrini sulla rivista Banana Split, condiretta con Liliane Giraudon negli anni Ottanta, lo “sperimentalismo” di Viton è più riconducibile, all’interno del panorama italiano, a quello di un poeta come Giancarlo Majorino. Ricordiamo infatti che il corrispettivo francese della neoavanguardia, per quanto sia impossibile stabilire un vero e proprio parallelismo, è da ricercare piuttosto sul versante della rivista Tel Quel e di poeti come Denis Roche.
Anche per Emmanuel Hocquard il dibattito sull’avanguardia non è più pertinente per la poesia contemporanea. Il problema non riguarda il superamento o meno del genere, ma l’esigenza di una sua radicale ridefinizione. Scrive Hocquard, nell’introduzione di un’antologia francese da lui curata (Tout le monde se ressemble. Une anthologie de poésie contemporaine, P.O.L., 1995), “Mentre una volta il poeta versava il suo pensiero nel calco della forma-poesia perfettamente identificabile come tale (…) oggi inventa la sua forma di pensiero. (…) Queste linee sono ancora dei versi? Anche se ciò assomiglia ancora, per certi aspetti, a della poesia, potrebbe darsi che non lo sia più. Allora come dire questa cosa? Io penso che ci sia oggi un malinteso intorno alla parola poesia. Non continuiamo noi ad usarlo per dire qualcosa d’altro, in una situazione differente?”. Queste righe dovrebbero orientare la lettura dei testi di tutti gli autori qui raccolti. La novità davvero importante introdotta da questi poeti riguarda la possibilità di superare la distinzione tra verso e prosa, in una direzione che non ha nulla a che fare né con la “prosa lirica” né con il poème en prose.
Per noi poeti italiani un tale discorso è ancora difficilmente concepibile, impigliati come siamo nella distinzione tra poesia “narrativa” e poesia “lirica”. Il presupposto indiscutibile è comunque il verso, inteso come il tratto distintivo del genere. Ciò non è più vero per questi poeti francesi. Anche per Portugal come per Tarkos, Dubois o Suchère, il problema non è la dissoluzione dell’istituzione metrica, come accadeva in certa prospettiva avanguardistica, ma l’aggiramento di opposizioni tra romanzo e poesia, tra lirico e formale, tra leggibile e illeggibile. Il grosso lavoro di questi autori è non diretto allo spostamento del baricentro dello sguardo poetico dall’io lirico al mondo degli oggetti, o dall’espressione psichica profonda al lavoro spassionato e ironico sulle forme tradizionali. Essi sembrano soprattutto interessati ai meccanismi di enunciazione linguistica, neutralizzando tanto l’ingombro dell’io biografico-psicologico quanto quello del contesto storico-sociale. Da qui l’attenzione sui procedimenti di elaborazione del testo, piuttosto che sui materiali originari o sulle forme della sua organizzazione (i materiali possono infatti essere i più disparati, così come le forme). In Italia, il poeta che più e meglio ha lavorato in questo senso è senz’altro Andrea Zanzotto. Ma in lui contano delle opzioni di fondo, quali il paradigma psicanalitico e l’ossessione per una forma d’innocenza linguistica perduta, che non troviamo in nessuno di questi poeti.
Inoltre vale per Hocquard e gli altri l’assunto di letteralità, ossia l’idea in certo qual modo “tautologica” della poesia, che è di schietta ascendenza wittgensteiniana. La parola poetica, per quanto si presenti in guise poco familiari e difficili, non custodisce significati reconditi né allude a realtà profonde e ineffabili. Nemmeno, però, si esaurisce in puro gioco di significanti. Essa permette di guardare la nostra lingua comune e d’uso come se fosse una lingua “straniera”. Ciò significa rinunciare ad una duplice e opposta tentazione di fuga dalla lingua d’uso: quella avanguardistica, che sovverte grammatica e sintassi ai fini della liberazione, e quella orfica, che aspira ad un linguaggio essenziale, posto al di sotto o al di sopra della lingua comune. La soluzione, d’altra parte, non sta neppure nella ricerca di uno “scarto minimo”, come è avvenuto in Italia per alcuni poeti durante gli anni Novanta.
Questi poeti francesi hanno costruito delle particolari macchine liriche attraverso le quali ripercorrere in modi inediti e sorprendenti il flusso stratificato di enunciati dentro cui siamo immersi quotidianamente e di cui si costituisce quella cosa a metà strada tra lo stereotipo rassicurante e la singolarità abnorme che prende il nome di “esperienza”. Non si tratta, quindi, di scegliere tra grammatica e sovvertimento, tra singolarità assoluta e stereotipo, ma di costruire dei procedimenti per togliere familiarità, e quindi equivalenza e trasparenza a quell’unica lingua che, pur ogni giorno utilizzata, custodisce in sé qualcosa di enigmatico e sorprendente come le nostre stesse vite.
Ecco allora i versi di Hocquard, limpidi e inafferrabili, che gettano ombra sull’espressione apparentemente più modesta e semplice. Il lavoro di Anne Portugal, che investe l’iconografia tradizionale di “Susanna e i vecchioni”, scomponendone la codificazione linguistica, il suo carattere in qualche modo compiuto e pacifico. Con Tarkos, invece, siamo di fronte a una sorta di “grammatica dell’idiozia”, che assume come punto di partenza enunciati assolutamente elementari e banali, per portarli attraverso ripetizioni e variazioni a una forma di percezione allucinata della realtà. Caroline Dubois ci presenta una sorta di anomalo manuale di pedagogia, che narra di un paradossale apprendimento della “fisicità” da parte di un soggetto senza storia e radicamento confrontato con un maestro infinitamente autorevole. Suchère, infine, gioca a scomporre e ricomporre per ispezioni millimetriche e atomi grammaticali sia le superfici pittoriche sia i piccoli fatti della vita quotidiana. L’esito di tale microscopia linguistica è uno smarrimento di fronte alla porta di casa: ancora una volta l’abnorme è suscitato a partire dalle immagini, dai gesti, dalle parole più ovvie.
(Ringraziamo, per ultimo, i traduttori: Florinda Fusco, Massimo Sannelli e Michele Zaffarano, che hanno lavorato da poeti su altri poeti.)
* * *
Jean-Jacques VITON. Nato nel 1933. Ha fondato le riviste Banana split (1980-1990) e If. Tra i suoi libri : Terminal, Hachette Littérature – POL, 1981, Décollage, POL, 1986, Accumulation vite, POL, 1994, Les poètes (vestiaire), Fourbis, 1996, comme ça, POL, 2003, Shanghai, Ecbolade, 2004. Ha tradotto Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, Michael Palmer, Bob Perelman. Un’ampia serie di testi tradotti da Andrea Raos è apparsa sulla rivista Trame (n° 8/9, 2004).
da Comme ça (Paris, POL, 2003)
traduzioni di Andrea Raos
*
avere la testa altrove
getta uno sguardo di sbieco
la bambina mi ha teso la mano
piena di pezzetti di noci
non tutto ciò che i bambini propongono
è attraente
frammenti giallo sporco
ho finito con l’accettare
era delizioso
*
stamattina
il che tuttora non indica nulla
pioveva
adesso
il che non precisa ancora nulla
c’è del fuoco in una stufa a legna
nemmeno oggi
farò ciò che volevo fare
le immagini del non-fatto non passano
penso a questo
senza dubbio risibile
chissà se lo è quando ci penso
o più tardi quando dico che ci pensavo
bisogna dire un’emozione risibile
oppure il risibile dell’emozione?
tutte queste cose compongono un insieme
eteroclito multicolore polifonico
di fronte a questo ammasso le stagioni si coricano
senza conoscere le loro motivazioni
*
la vecchiaia è quando il corpo diventa un ostacolo
falsa bobina di ragno in cui si ingarbugliano i partenti
la figura del rastrello e quella del turbine
movimento della lingua e catena di bestemmie
si consiglia di annientare i demoni sonori
dalle zone larghe o dalle zone strette
conosciute e viste e sconosciute e mai viste
gallerie cortili musei pozzi di risonanza
stanze inventate in sussurrii
in giardino si incrociano convitati scambisti
in lontananza i figuranti indispensabili
impostori attenti alle tovaglie bianche
uno giornata sospesa nel vento
in lei tutto sprofonda sul posto
*
ciò che turba nella tempesta
sono le pose prima delle riprese
fulmini grandine venti crepitii
un turbinio di segni confusi
su una lontananza di paesaggi convulsivi
nella crema acida dei lampi
è possibile in questo stato eccentrico ricordare
le ultime tre parole che si sono pronunciate?
trovare precisamente in che stagione siamo
il giorno della settimana e la data
quale dipartimento quale provincia
e già che ci siamo quale paese?
per riuscire a sciogliersi dalla tempesta
ripetere qualche parola che non c’entra
polyphonix ritroso geometria azteco
troveranno ricettori segreti
si infiltreranno come rigagnoli da irrigazione
sotto la pelle di ciò che è sereno
*
bisogna contare sulle associazioni
i bravi gli abili i vincitori
nelle catene associative
quelli che corrono più veloci nella mente
arrivano dalle gambe dal ventre dalle mani
quelli che arrivano al momento giusto
e tac segnano il punto
dopodiché naturalmente
bisogna trasformarlo
è per questo che ho messo su una cassetta Coltrane
piuttosto alta sulla veranda spalancata quando
ho visto la coppia dirigersi verso la capanna
ho pensato che se era per fare l’amore da clandestini
tanto valeva farlo su una buona musica
* * *
(continua)
da “Nuovi argomenti” , n° 32, ottobre-dicembre 2005
Articolo fino a ora formidabile, e ritengo quasi impossibile leggere cose simili nel panorama italiano. Dovrebbero fare un monumento a Inglese e Raos (che sarebbero i primi a dire “non lo vogliamo”, ma fa lo stesso, glielo scolpiremo nottetempo).
Non ho orecchio particolare per la poesia. Per la critica assai di più. Allora direi questo: voi due non avete bisogno di nessun incoraggiamento, di nessuna apologia. Basta che andiate avanti così, e farete ancora meglio di così. Quindi il riferimento a Ponge e Williams (avercene!) è vostro… dall’articolo di B. mi pareva fosse suo. B. penso che ha ragione per il testo a fronte, tanto più che il francese è una lingua latina. Le prime due poesie sono folgoranti: la prima fa slittare le due impressioni antitetiche quel tanto che basta per creare stupore; la seconda mi ha ricordato l’inizio della Fenomenologia dello Spirito di Hegel, sul qui e ora.
E Susanna? La voglio! (scherzo, me la leggerò in libreria).
daccordissimo con Yara. cari A. e A., dovete continuare così. questo è quanto.
aspetta, andrea b., c’è un unico monumento a noi gradito: un monumento provvisorio, improvvisato, un movimento-monumento orgonico, alla living theater, ronronante, di svariate persone, che si addensa e si scioglie nell’arco di un paio d’ore, dopo sinuosi e concentrici moti serpentini
(ognuno poi lo puo fare da sé, ossia con altri: a casa o in metro’ o in ufficio: è un monumento anonimo, anomalo, al godimento ignoto)
E ce ne fossero tanti altri di “paradigmi di paesaggio” in questo senso! E’ una boccata d’aria fresca soprattutto dopo aver attraversato il deserto di tante inutili antologie. Buon lavoro a voi, continuate… grazie.
Inutile sparare sulla crocerossa, please. Qualcuno aveva già fatto notare “qualcosa” nei post agli articoli dei giorni scorsi, mi sembra…
Meglio godersi, e condividere, la lettura di questi testi (condivisione: l’unico monumento sostenibile, aperto a visite libere e non guidate): sapendo che Viton è un grande, ma gli altri (almeno due) sono ancora meglio.
Ma forse mi sto ingannando e, come voi, non capisco niente di letteratura: questa, infatti, non è poesia. Sarà perché non leggo/leggiamo il foglio?
@ Yara
E meno male che non hai orecchio per la poesia! “La prima fa slittare le due impressioni antitetiche quel tanto che basta per creare stupore”: una sintesi critica stupenda, folgorante. Complimenti.
Sarà ronronante e temporaneo, ma unisce i cervelli di svariate persone: mica poco l’unicervello…
ottimo.
Ho approfittato del vostro saggio per rileggermi tutto: articolo di b. vostra lettera, risposta di b.
Non voglio riscrivere un commento lunghissimo altrimenti poi biondillo mi sgrida (e splinder fino adomani non funziona) e quindi cercherò di essere brevissima.
Prima di tutto vi faccio i miei complimenti perchè la vostra introduzione è un ottimo lavoro, serio e anche avvincente, l’ho letto con vero piacere e ho imparato cose che non sapevo.
Sulle poesie per ora c’è solo Viton (il “vecchio” Viton) che non mi sembra meritare le critiche di B. Gli altri li devo ancora giudicare.
Poi devo dire che è stata notevole anche la polemica (lasciamo da parte i commenti). Infatti fra voi e berardinelli è successa una cosa che succede raramente (anche perchè raramente i kritici sono così generosi da dialogare veramente). Hanno dialogato due generazioni, e lo hanno fatto ad armi pari (senza paternalismo) con tutto il bagaglio di pregi (che sono tanti) e difetti delle due generazioni.
Per me che sono curiosissima dei legami, dei fili che intercorrono (o che si sono spezzati) fra queste due generazioni è stata una cosa di grande interesse: due generazioni di senza padre hanno dialogato fra loro.
Senza padre, perchè una li ha fatti fuori e rifiutati, l’altra perchè non li ha mai avuti.
Io che sono molto interessata alla letteratura solo se ha legami con la politica (e credo che li abbia sempre) ho trovato il tutto di grande fascino …
Beh, ora smetto perchè altrimenti faccio succedere altri scompigli;-)
Ad ogni modo BRAVI GLI ANDREA! (che avevo già apprezzato in svariati post) un po’ bruschi ma bravi ;-).
E berardinelli? quel suo odio per la francia, per la sua poesia (in generale non solo quelle del dossier) e la sua indulgenza per l’america … è solo casuale? Penso di si, che sia un caso, naturalmente, ma … anvedi che pensieracci mi fa nascere il contenitore??!!??
geo
Che bello vedere una gran bella intelligenza che ritorna nel pieno possesso di tutta la sua matassa umana e neuronale. Huàu! :-) y. a. i/o. m. m.
Fra i poeti e traduttori citati nell’introduzione, di alcuni si possono già leggere altri testi, postati negli anni, su NI. Provate a cercarli con l’archivio, sono:
Henri Deluy
Liliane Giraudon
Florinda Fusco
Massimo Sannelli
Michele Zaffarano
Scusate, non voglio far polemica (è la frase che leggo più spesso in questi giorni, ma in questo caso la faccio mia :-)): Andrea, non capisco bene questa frase: “Inoltre vale per Hocquard e gli altri l’assunto di letteralità, ossia l’idea in certo qual modo “tautologica” della poesia, che è di schietta ascendenza wittgensteiniana.” A quale Wittgenstein pensi?
Giacché non sempre si hanno a disposizione gli autori dei saggi, ne approfitto! :-)
Ciao, SN
p.s. forse dovrei specificare: a quale Wittgenstein pensi, riguardo all’idea tautologica di poesia?
Ahho! è tornata! Dopo aver insultato gli Andrei e difeso papà Berardinelli,
la zappatrice è tornata! Adesso fa tutta la compunta.
Max: preferisci che ripigli la zappa??
Maro’, Simona, lascialo perdere, per favore…
Andrea: scherzavo! :-)
Botte!! Botte!!!
;-)
Riflessione del 14 febbraio.
Appunti per la (ri)fondazione della critica letteraria: un itinerario possibile.
Secondo me, molte delle incomprensioni e dei guasti congeniti della critica letteraria (e non solo quella) italiana, nascono dal fatto che parecchi esemplari di questa socievole e pacifica fauna hanno ormai costruito muri e muri impastati di cemento e parole per isolare e sterilizzare ogni possibile pulsione sessuale, attitudine che, invece, se opportunamente sviluppata, potrebbe rivelarsi un potente strumento analitico ed ermeneutico (cioè: scopare di più fa bene all’analisi testuale). Basterebbe questo piccolo, ma non insignificante particolare, a determinare, oltre alla qualità dei testi, a questo punto facilmente rilevabile (a pelle, con chiare implicazioni di ordine tattile e olfattivo, direi), la necessità di una rifondazione della disciplina nel suo insieme: una sorta di via erotica alla critica del terzo millennio. Un esempio? Prendiamo il “vecchio” Viton (che, detto per inciso, sicuramente “pratica” ancora, al contrario di parecchi di quelli che lo leggono): uno che scrive di aver messo su una cassetta di Coltrane perché, “se era per fare l’amore da clandestini/tanto valeva farlo su una buona musica”, è un grande sicuramente, senza possibilità di smentita. E’ questa la strada, signori: pensateci! :-)
@ Raos
In effetti la zappatrice insultava soprattutto il suo sodale Inglese, sul sito di Georgia. Apprezzabile lealtà delle figlie-vestali di Berardinelli. Ma è bene che dopo ogni polemica si passi ai tarallucci e al vino. Salute!
a fm: su Viton confermo che ci azzecchi in pieno. Sui critici, chissà… :-)
Max, chiunque tu sia, quando avremo bisogno di essere difesi da te sarai il primo a saperlo, non temere. Intanto salute a te, e va’ in pace,
http://digilander.libero.it/ccalbatross/poesia/magrelli/ora.htm
1) Non ho letto “Nuovi Argomenti” e queste poesie forse sono troppo poche, ma fin qui il giudizio di Berardinelli mi sembra come minimo fuorviante.
2) Ero autorizzata a pensare che mi sarei trovata davanti testi illeggibili (“nessun lettore potrebbe leggerli”), del tutto inutili/inconsistenti (“si tratta di pura e vuota écriture”), addirittura – e qui siamo tra il surreale e il comico – *pericolosi* per le nuove generazioni di poeti (“Perché, infine, “Nuovi Argomenti” accetta di mettere in circolazione testi poetici che se verranno presi per buoni da qualche giovane aspirante poeta sarà un disastro?”).
3) Dunque leggo i testi dibattuti solo su NI.
Leggo testi / poesie che hanno tutta l’aria di essere poesie (appunto). Diciamo testi / poesie ascrivibili ad un generico (per me, che ne so poco) ambito “di ricerca”.
Certo – e qui ho presenti i rilievi di Berardinelli – queste poesie non hanno “versi regolari”; certo contengono “precisioni e nebulosità”; qua e là presentano “lacune di senso”; senz’altro anche “descrizioni smozzicate”…
Ma se ci mettessimo – per programma e per ufficio – ad emendare queste *manchevolezze* su tutti i testi che allo stato attuale dell’arte chiamiamo “poesie”, cosa resterebbe della poesia contemporanea?
No, non cosa resterebbe soltanto della poesia francese. Cosa resterebbe della poesia italiana, di quella inglese, o dell’americana, o della spagnola…?
Qui l’ossequio ad oltranza del senso comune e del buon senso (la “logica”) rischia davvero di giocare brutti scherzi… O – se si preferisce – risulta banale la mossa di scagliare, contro quelli che si reputano i luoghi comuni della poesia contemporanea, altri luoghi comuni, semplicemente di segno opposto ai primi.
4) Naturalmente Berardinelli ha tutto il diritto di affermare che queste poesie non gli piacciono o che non valgono, ma allora ci deve dire (è lui il critico, il mediatore; noi siamo i lettori) cosa è la “buona” poesia (o cosa sono i buoni “risultati” in poesia, come lui preferisce argomentare).
Insomma, un critico non può semplicemente apporre un timbro con la dicitura “da non leggere”.
Sennò diventa legittimo parlare di chiusura a priori, di preconcetti, di conservatorismo.
5) Quanto alle poesie di Viton: sembra interessante (e persuasiva, e per nulla “fredda”) la simultaneità di descrizione/micronarrazione + riflessione. Certo ci possono essere affinità con Majorino (che però conosco poco), ma per il tema – solo per il tema (e so di dire una bestialità; evito ad ogni modo di estenderla ad altro aspetti) – a me sono venute in mente alcune cose di Fortini, quelle che trattano la condizione di vecchio in “Composita solvantur”.
fm:
“molte delle incomprensioni e dei guasti congeniti della critica letteraria (e non solo quella) italiana, nascono dal fatto (…) sterilizzare ogni possibile pulsione sessuale, attitudine che, invece, se opportunamente sviluppata, potrebbe rivelarsi un potente strumento analitico ed ermeneutico (cioè: scopare di più fa bene all’analisi testuale)”
fm ti batezzo fondatore della “Critica Orgonica”: innazitutto la lettura critica procede da due o più lettori, che si incontrano intorno ad un testo, si liberano di preconcetti e vestiti, e lo affrontano simbioticamente… In ogni dipartimento di letteratura: sessioni di movimento orgonico ininterrotte. Sicuri e radiosi sviluppi! Mollare le tastiere, diteggiare carni, ecc.
Emma implacabile: “risulta banale la mossa di scagliare, contro quelli che si reputano i luoghi comuni della poesia contemporanea, altri luoghi comuni, semplicemente di segno opposto ai primi.” Ormai è tardi per appropiarcene… Peccato.
Max: la polemica è interessante, perché riguarda le idee, le cognizioni, “materia comune”; la maldicenza è ininteressante, perché riguarda solo chi la pratica, e va semplicemente ignorata
Grazie, Andrea, a volte si scherza e si ironizza solo per non piangere. E il pianto non sta ad indicare la condizione priva di futuro di chi grida all’isolamento, all’incomprensione verso il suo lavoro e i frutti della sua scrittura, quanto piuttosto l’ottusità cieca di chi rimane saldamente ancorato ai suoi appigli, alle figure addomesticate della sua dimora che conosce palmo a palmo, alla certezza di trovare sempre un cassetto capiente e disponibile per il materiale che gli capita sotto mano. Fuori di ogni metafora: che senso ha oggi, in un’età demente che ha mercificato ed elevato a sistema anche il vuoto, dove non c’è respiro, non c’è una sola eco che abbia ancora sentore di umano che non sia votata al nulla o, nella migliore delle ipotesi, a farsi simulacro compiacente e muto delle logiche di potere, che senso ha, dico, approcciare il testo poetico con gli strumenti e le tecniche che già mostravano i loro limiti nel tentativo di decodificare le produzioni dell’epoca in cui sono nati? Ecco il peccato capitale: considerare la poesia come un universo di ipostasi sublimate e affidate ai cieli dell’ideale (più o meno storicizzato e camuffato), non come un corpo vivente che grida la sua refrattarietà alla costrizione, alla reificazione, all’asservimento. Già negli anni Quaranta del secolo scorso, in piena guerra di liberazione, in Francia (ma tu guarda, proprio la terra che non ha partorito niente che valga la pena di esser letto negli ultimi decenni!) René Char affidava alla poesia il compito sovversivo di dinamitare il reale e la sua logica (e ogni logica che non si apre a prospettive altre è già uno strumento di libertà consegnato al carnefice, diceva), costringendo la parola ad aprire spiragli di senso altri, a rivendicare la pienezza della sua libertà, cioè del suo essere: e questa rivendicazione è già stile, forma, lingua che parlando si parla, una creatura di senso che richiede l’ascolto, la metamorfosi (anche critica) per svelare bagliori, non altro, degli universi che reca tra le sue sillabe come un destino. Non altro che un dono, quindi, che si offre nella nudità della sua esistenza, nella gratuità dei sensi che dischiude, senza altra prospettiva di ricompensa che l’accettazione della sua alterità nell’orizzonte di senso di una comunità a venire. Hanno oggi strumenti per “leggere” la poesia fuori dai suoi tracciati d’elezione di scuole, etichette, apparati predisposti e tramandati dalla tradizione? No. Se li possedessero davvero (e tranne pochissime eccezioni non fanno nessuno sforzo per cercare, non dico di crearli, ma solo di immaginarli) non lascerebbero all’oblio Rosselli e Villa, tanto per fare dei nomi, ma li affronterebbero, gli darebbero spazio e voce. Per fare questo, dovrebbero franare le loro certezze, rimettersi in cammino, andare verso, aprirsi sentieri tra le macerie… Ma è molto più facile diventare omologhi alla maceria (umana e culturale): dopo un primo tratto di sofferenza, ci si abitua, e si gode, perché la maceria ci appare coi colori festanti di un’eterna festa. Non possono capire la poesia oggi (tranne quella dei poeti che incensano, perché tanto non fanno male, non li costringono a pensare, a mettersi in discussione): non possono, per il semplice motivo che quella poesia non parla a loro, non è scritta per loro: e, a loro insaputa, per quanti sforzi facciano per relegarla ai margini e esorcizzarla, essa esiste, avanza, crea radure da abitare, luoghi di condivisione (in rete o altrove), dialogo, apertura, senso.
@fm
sorbole fm stasera sei in vena :-)
Bel pezzo hai scritto.
bel pezzo veramente.
bel pezzo sul serio.
incredibilmente un bel pezzo
E’ il primo documento della nuova critica orgonica?
La polemica con berardinelli vedo che da i suoi frutti.
geo
@ andrea inglese
“la polemica è interessante, perché riguarda le idee, le cognizioni, “materia comune”; la maldicenza è ininteressante, perché riguarda solo chi la pratica, e va semplicemente ignorata”
Lo sai che in poche parole hai espresso la filosofia che dovrebbe regnare in rete?
Infatti! E va detto che Inglese in questo è un maestro: basti pensare alla fulminea lezione-lampo che ha fatto a “cristina”. ne conservo ancora un ricordo commosso.
Io non ho letto praticamente niente di Berardinelli, ma partendo dal principio difficilmente inoppugnabile che natura non facit saltus, non è che Berardinelli è un semplice trombone e alcuni se ne accorgono solo adesso (e pochi altri non ancora)?
Come ho già detto, discorsi come quelli dei suoi articoli li ho sentiti con le mie orecchie da mio nonno, che era del fascio, e fiero.
giardy da quello che ho capito hai della vecchia e-ruggine con andrea, perchè non vi chiarite una volta per tutte e diventate amici?
geo
No, yara, Berardinelli non è un trombone. Ma è uno di quelli (e ce ne sono tanti – un altro illustre è Sanguineti) che sono convinti che la poesia è morta, che il dossier è chiuso e non vale la pena di riaprirlo. (E questo vale non solo per la Francia…)
Emma, sei come un bicchiere di acqua fresca dopo una scarpinata sotto il sole. Semplice e chiara.
Giusto Andrea. Pensare “apres moi le deluge” è un vizio di molti in questo momento. Anche il luperini ci è cascato ultimamente, anche se per strade diverse da sang. e berard. Una volta si facevano analisi, ora autopsie.
Temp, mi metti in imbarazzo :-)
Già Andrea, anche Sanguineti…
In campo letterario e culturale la chiusura e un certo conservatorismo non sono appannaggio esclusivo della destra o dei critichi di sinistra che scrivono su giornali di destra.
In effetti tutta la questione con Berardinelli in qualche misura ricorda il “partito del lamento” e la storia dei “padristi”, rinvenibile nella vecchia NI (qui l’intervento di Tiziano Scarpa https://www.nazioneindiana.com/2004/02/26/la-generazione-dei-padristi/)
Gli articoli alla base della polemica di due anni fa su NI erano stati pubblicati sull’Unità, ed erano articoli di critici e uomini di cultura con una lunga militanza a sinistra. Persone di valore e anche di grande valore, sia chiaro (e nessuno nega il valore in assoluto e il valore “storico” di Berardinelli), ma negli ultimi anni troppo spesso accomunate da atteggiamenti di un certo tipo nei confronti del “nuovo” e della contemporaneità in campo culturale.
I toni della vecchia polemica su NI vanno senz’altro smorzati, depurati da riferimenti troppo specifici ai singoli, a NI e alla cultura “nazionale”, ma guardiamo alla sostanza…
Mal, siamo d’accordo.
Una delle realtà più belle della “riserva indiana” è la volonta di sapere e di confrontarsi che anima moltissimi di coloro che intervengono e che, spesso, offrono notevoli contributi alla discussione o segnalano testi e iniziative che portano acqua al mulino della conoscenza (e della crescita) comune. Nel merito del discussione culturale, letteraria e politica che ha animato gli ultimi giorni sui temi contenuti nella lettera di Inglese e Raos a Berardinelli (nello specifico: la poesia e il suo “attuale” stato di esistenza), mi permetto di segnalarvi almeno due letture altamente significative a mio modo di vedere: la prima è la nota “Senza titolo” di Massimo Sannelli (uno dei pochi poeti veramente notevoli dell’odierna poesia italiana: il giudizio è chiaramente mio), postata qui su NI da Andrea Raos (ma tu guarda che combinazione: un altro di quelli: vedi parentesi precedente); la seconda è un saggio in due parti di Giampiero Marano, uno dei pochi critici che “vanno verso”, come dicevo in un precedente intervento, dal titolo “Il regime della visibilità e la poesia-problema”, che trovate sul sito “www.dissidenze.com”, uno spazio che vi consiglio vivamente di tenere d’occhio. E ancora, sapendo comunque di far torto a qualcuno che non nomino, ma non mancherà l’occasione di farlo, i notevoli contributi critici che Marco Giovenale va da tempo seminando in rete. Buona lettura, ne vale veramente la pena.
Andrea non sono convinta che berardinelli sia fra quelli “che sono convinti che la poesia è morta”. Non lo penso e l’ho detto ora nel mio blg. ma non era questo che volevo dire, semmai volevo segnalarti che credo berardinelli abbia deciso di rispondervi indirettamente, parlando di poesia in generale e lo fa oggi parlando di un trentenne.
Io ho postato l’articolo nel mio blog, prima di tutto perchè mi permetteva di parlare di Temporelli e poi perchè almeno per un mese lo dovrò tenere d’occhio se voglio capire se avevo ragione io (lanzichenecchi) o lui (che un giornale o l’altro non cambia nulla)
sbaglio o qui si fanno ci si fanno i pompini a vicenda? invitatemi!
Uhm. Dunque un modo per annientare i lanzichenecchi consisterebbe nel recensire Andrea Temporelli, trentenne esordiente nella Bianca Einaudi nonché condirettore della rivista “Atelier” con il nome di Marco Merlin?
Uhm. Ci devo pensare :-)
Anch’io di poesia capisco poco, o meglio mi affido all’istinto. Per quel che puo’ valere il mio giudizio d’istinto, queste poesie di Viton rasentano lo straordinario. E poi qui:
“è per questo che ho messo su una cassetta Coltrane
piuttosto alta sulla veranda spalancata quando
ho visto la coppia dirigersi verso la capanna
ho pensato che se era per fare l’amore da clandestini
tanto valeva farlo su una buona musica”
trovo la sostenibile pienezza discorsiva della poesia travestita da
limpida fotografia, come in uno scatto in b/n di Cartier Bresson.
@ emma o chi per lei ;-) (un po’ strana per essere la vera emma che avrà tanti difetti, ma è molto profonda e riflessiva e per niente polemica)
No, non c’entrano nulla i lanzichenecchi, i due andrea non hanno mai parlato di lanzichenecchi, ma solo di poetica (con un pizzico di politica).
Io segnalavo che parlare di un poeta italiano attuale era, in un certo senso, continuare il discorso con i due andrea, una maniera di rispondere Cosa poi voglia dire scegliendo Temporelli, che tipo di poesia voglia far circolare, tocca ai due andrea, che sono esperti, interpretarlo, se ne hanno voglia.
Io tengo d’occhio berardinelli non per capire se preferisce un tipo di poesia o un altro, ma se il critico (ma non solo) è lo stesso che leggevo prima che andasse al foglio, prima della mia ipotizzata passata dei lanzichenecchi. Tutto qui.
geo
Il vero nome è merlin non temporelli, la rivista la dirige con il vero nome dal 96 ;-)
Ehm… volevo segnalare ad @emma-o-chi-per-lei che non è la prima volta che B. recensisce libri di poesia appena usciti. Capisco che può apparire follia specificarlo, ma mi pareva di capire che @emma-o-chi-per-lei non lo sapesse. Mi scuso con tutti quelli che già lo sapevano. Prima di fare dell’ironia, allora, potremmo casomai valutare “l’insieme” del suo lavoro di critico militante, che non si limita certo alla recensione di oggi stesso. Sarebbe più onesto, non ti pare?
E poi, così per curiosità, hai letto il libro di Temporelli/Merlin? Dal tono del tuo commento si direbbe di sì, e si direbbe che non lo ritieni degno di scacciare i lanzichenecchi. È così? Oppure, sarà un problema solo mio, ma non ti ho capita.
Adesso però basta parlare di Berardinelli!
Se va avanti così questo thread comincerà ad assomigliare a un circolo di comari. O alla Novella 2000 della poesia italiana.
Non dicevo a te Giardiniera, ho scritto in contemporanea e parlato in generale, te lo dico subito perché non vorrei aprire altri cahier.
anche perché Berardinelli ha tacitato tutti oggi in
http://www.ubicue.splinder.com
;-)
perchè smettere di parlare di berardinelli in un post su berardinelli?
spostati in altro post e vedrai che l’effetto novella 200 non lo rischierai più ;-)
Il circolo comari invece …
Che ti prende temp? Troppe pulizie nella libreria di casa?
Meno male che non volevi far *polemica* :-))
g.
Perché il post non è su berardinelli, ma sui sei poeti francesi che Inglese e Raos, a grande richiesta, hanno cominciato a postare su NI.
@Georgia, può darsi che oggi io sia di cattivo umore o che qualche lanzichenecco mi frulli per il cervello, ma per ora sono emma® :-)
Non sono esperta di poesia, tuttavia ho un abbonamento ad “Atelier” e so chi è Temporelli-Merlin.
Non polemizzo, non ce l’ho con Temporelli-Merlin (che posso anche apprezzare), ma mi sembra francamente che la recensione del libro di Temporelli non abbia alcun significato rivoluzionario.
Mi infastidisce peraltro che Berardinelli ignori o finga di ignorare i criteri di accesso “anagrafico” all’antologia “Parola plurale” (poeti nati dopo il 1945, con esordio dal 1973 in poi), criteri che rendono impossibile l’inclusione dell’amico (di Berardinelli) Giorgio Manacorda.
Berardinelli è liberissimo di andar giù duro su “Parola plurale”, ma deve farlo – per correttezza verso chi legge – sulla base di dati verificati (poi posso convenire tranquillamente sul valore di Alba Donati e – ancora di più – sul valore di Anna Maria Carpi).
@Giardiniera, non valuto “l’insieme” del lavoro di Berardinelli come critico militante (sarebbe fuori luogo, e oltretutto di Berardinelli posseggo solo l’antologia “Cento poeti” [contiene anche alcuni pezzi di “Panorama” di cui si è servito Giorgio Di Costanzo per ricordare Amelia Rosselli] e – di Berardinelli / Cordelli – “Il pubblico della poesia trent’anni dopo”).
Mi limito, legittimamente, e in qualche modo sollecitata da Georgia, a dire ciò che penso di un articolo di Alfonso Berardinelli pubblicato il 15 febbraio 2006 su un quotidiano che si chiama “Il foglio”.
Tutto ciò (@Temp) non mi pare fuori tema rispetto alla discussione in atto.
@ Emma
Sì, in effetti tu sei sempre in tema, e anche nel commento in cui lo citi lo citi a ragion veduta, il che non si può dire di tutti e allora, visto che su Berardinelli c’è un thread arrivato se non ricordo male a più di 200 commenti, e non tutti si eccitano a sentir fare il suo nome, a meno di non sentirlo all’interno di un discorso sensato, invito (più correttamente da parte mia) tutti quelli che vogliono continuare a parlare di lui sia per amore sia invece per eccitazione e frenesia mondana, a pensare cristianamente anche a chi non si agita tanto e in compenso si annoia parecchio e a offrire al pubblico pensieri attraenti e ben pensati.
Chiedo molto, lo so, ma questo smottamento continuo verso lo stagno è un po’ una pizza.
secondo me vi siete fatti prendere troppo dal tormentone, sopratutto dalle lusinghe del protagonismo che questo comporta( sempre ingannevoli).
Calcolate che chiunque, con qualsiasi argomento, puo’ scatenare un casus belli in qualunque momento.
guardate il tormentone dei polli………non vorrete passare alla storia per una pandemia minore?
sono daccordo con te Temp, spero tu stia bene, e sia prontamente critica come sempre.
Magda
Ciao Mag, si quello dei polli basta e avanza.
ok, agli ordini della marescialla, Virtù Cardinale, la discussione è finita.
Chi è che parla di stagno?
geo
P.S
grazie emma del tuo intervento (alla vecchia emma) e delle tue informazioni, sempre preziose, ho potuto così anche rispondere ad un quesito di giorgio ;-)
veramente ora si parla di cigni globetrotter e non di polli;-)
http://www.sestaluna.com/maurobiani/images/aviaria_cigno1.gif
“trovo la sostenibile pienezza discorsiva della poesia travestita da limpida fotografia, come in uno scatto in b/n di Cartier Bresson.”
Bellissima questa osservazione.
ma non avete notato il titolo dell’ultimo articolo di Berard? *Muorto che pparla* . eh sì, nelle patrie lettere è in corso proprio un 48!
@Georgia
Dimenticavo: ho parlato di lanzichenecchi perché *tu* hai parlato di lanzichenecchi, e perché *tu* hai supposto che il nuovo articolo di Berardinelli significasse che i lanzichenecchi… ecc. ecc.
Poi una domandina la rivolgo a te.
Tu dici: “Marco Merlin (alias Andrea Temporelli) oltre a mandare avanti, con il nome Marco Merlin, il blog di Atelier, ha aperto un suo blog , a nome Andrea Temporelli, con il titolo del libro, Il cielo di Marte, dove, naturalmente, parla del libro dando simpatiche notizie autobiografiche che non sappiamo se siano di Merlin o di Temporelli”
Ti chiedo: “Le *simpatiche* notizie autobiografiche hanno qualcosa a che fare con il valore di un libro?”
@Mag
“secondo me vi siete fatti prendere dal tormentone, sopratutto dalle lusinghe del protagonismo che questo comporta (sempre ingannevoli).…” *chi*?
Io non sono intervenuta nel thread dei 200 e passa commenti.
Sono intervenuta solo qui, con un numero non abnorme di commenti, e mi pare, francamente, restando in tema.
@yara
Se il tono diventa questo, passo alla difesa d’ufficio di Berardinelli.
E anche qui sono d’accordo con Emma, vale la pena criticarlo se lo si rispetta.
Scusa Emma, non volevo metterti in imbarazzo, ma è la verità.
Un conto è la gentile presa per i fondelli o la polemica verso chi è qui e ha modo di replicare (purché non stroppi, visto che anche il tartufo dopo un po’ viene a noia), un conto è questo pettegolume, l’attacco acritico o anche la difesa acritica, lo schieramento delle pedine, privo di verve e di senso dell’umorismo, ripetitivo e bolso.
Dixit
Rimanendo alla poesia, Berardinelli ha replicato ieri in modo chiaro, prima prendendosela con i criteri non “esclusivi” di Parola Plurale, poi portando ad esempio la “dicibilità” sereniana e l’ “impeto” luziano attraverso il libro di Temporelli. Tre istanze molto conservatrici. L’esclusività mina la base di *incontro delle diversità* sulla quale molta gente in gamba imposta un approccio ai testi, oggi in underground; la dicibilità, nel senso inteso dal Nostro, avrebbe carattere morale così come l’ “impeto”, al quale andrebbe aggiunta un’ispirazione di fondo religiosa. Tornando per un attimo alla chiacchiera biografica, non mi stupisce che i sinistri abbiano fatto fuori il Nostro, che propone valori e istanze generalmente di centro-destra o, quantomeno, fortemente moderati.
Ora mi dispiace rispondere a emma perchè vengo meno agli ordini tassativi della V.F.d.C (Virtù Fuori dai Cardini) però ha fatto una domanda intelligente e bisogna che risponda
EMMA
Ti chiedo: “Le *simpatiche* notizie autobiografiche hanno qualcosa a che fare con il valore di un libro?”
GEO
Certo che NO, emma
Ma per un autore fantasma, che non esiste, come il libro einaudi fa passare temporelli, è simpatico che salti fuori qualche notizia (vera o finta che sia), perchè se la notizia la fornisce (o la costruisce) l’autore allora conta eccome, sorbole se conta!!!!!!! Non contano i pettegolezzi rancorosi o politici per giudicare una produzione poetica, ma le auto-biografie (in prima o in terza persona che siano) sono fra le cose più belle che si trovino in letteratura … come vuoi che non contino?
Temporelli dall’articolo di berardinelli sembrava uscire dal vuoto, senza età, senza sfondo ecc. Lì, nel blog, ci parla di se stesso, o ci mente su stesso, e lo fa con grazia e non con la solita pesantezza commerciale di molti blog aperti solo per auto-sponsorizzarsi. Per me è cosa sommamente simpatica, ma non necessariamente lo deve essere per altri un po’ fondamentalisti che una volta posti certi parametri … non se ne deve mai uscire pena lo stress :-).
Sulle cose che hai detto sui miei mtici lanzichenecchi ho capito poco quindi non rispondo (però non spiegarmelo tanto conta meno della biografia di un poeta;-)
Chi saranno mai i sinistri?
La sinistra politica è sempre stata molto conservatrice in poesia e in generale in materia di arti.
Qui si apre un cahier de doleance che va ben oltre la poesia, e riguarda gli assetti di potere trasversali a tutta la nostra familistica e chiusa società.
Io posso dire solo che se non sono d’accordo con il conservatorismo, questo non è un criterio sufficiente a non dare ascolto a una posizione conservatrice.
Di conservatori di cui si è avuto molto da imparare ce n’è un sacco e una sporta.
Ma finché non si entra nel merito, (perché Temporelli sì e Magrelli no, per esempio e tanto per restare in rima?) restano tutte posizioni che assomigliano tanto al “gusto”, concetto elastico e sul quale mi sembra risibile costruire un sistema di valori.
Da tutti, e dunque anche dall’innominabile, vorrei più spesso nelle sedi più popolari (giornali) un maggior spirito didattico e magari anche una certa ridondanza, per farci capir bene le posizioni. Il che avviene solo nei libri, che vengono letti da pochi. Per esempio, qui, tra i commentatori, chi conosce davvero bene la critica che sostiene o mette magari alla berlina?
Qua si parla troppo per sentito dire, signora mia, e non basta essere andati a cena con un poeta o un critico, o averlo visto a mantova, per dire cose sensate.
naturalmente prendevo spunto dal commento dio Giusco:–)
di Giusco
eh signora mia, che la vole … ‘un ci son più i sinistri di una volta!
… ma del resto anche i qualunquisti di oggi lasciano molto a desiderare!
Riguardo invece alle cene con critici e poeti, lo vedremo e capiremo solo dopo che yara sarà andata a cena con biondillo e forlani, vedremo se riuscirà a dire cose più sensate, fino ad allora tutto è solo fuffa da comari ;-)
Cara @temperanza: ho letto tutti i libri di Berardinelli (antologie comprese), parecchi suoi articoli di giornale, saggi e sue prefazioni e ho visionato alcune sue curatele. Per il resto non l’ho neanche mai visto.
Vieni pure a farmi l’esame in privato, se è questo che t’interessa, visto che qui l’unica che ha “difeso” le posizioni di Berardinelli sono io.
Detto questo: come ti permetti di supporre che qui si faccia “attacco acritico o difesa acritica”? A chi ti rivolgi? Se intendi spostare l’argomento della discussione da Berardinelli agli “argomenti” del post, allora smetti di fare interventi spocchiosi e provocatori, bacchettando tizio a caio e tacciando gli altri di insulsi “OT”. Segnalare gli OT non è compito tuo. Distribuire giudizi sull’intelligenza degli interventi degli altri, nemmeno.
SN
Credo però che per esprimersi sul saggio degli Andrea (e quindi esprimersi “in topic”), che riguarda vari poeti, bisognerebbe averli letti tutti. Invito quindi a postarceli presto, se è possibile (io ho letto Nuovi Argomenti in biblioteca, ma parecchi non l’hanno letto).
No, Giardiniera, non ce l’avevo affatto con te, lo so che lo hai letto. Non ho nessun esame né pubblico né privato da farti.
Ce l’avevo con un tono generale, uno stile, come quasi sempre.
So che ti sono invisa e mi dispiace, tu non sei invisa a me, e lo dimostra la disparità di tono e di scelte lessicali.
Io – a parte questa volta, e sarà l’ultima – non mi rivolgo mai a te proprio perché lo ho già sperimentato e non mi piace.
Quanto a segnale gli OT, ti ricordo che sono libera qui di fare come mi piace pur di farlo urbanamente, e mi pare di essere sempre stata urbana, o almeno di esserlo stata nella misura in cui lo sono gli altri. Poi tutti sono liberi di non approvare o di non rispondermi o anche di rispondermi criticamente.
Vorrei precisare però, e a questo tengo, che anche quando sono pungente, se lo sono, non è mai “contro” una persona, ma al massimo contro un’abitudine, un tic, un modo che vedo diffuso e che attizza il mio spirito di osservazione.
Spero di essere stata chiara, non tanto per te, perché chi non vuol capire non capisce mai, ma per gli altri commentatori con cui non ho mai avuto problemi, né loro con me.
“pettegolume” “novella 2000” “difesa acritica” “una pizza” “qui si parla per sentito dire” qui si parla per essere stati una volta a cena con tizio, i vostri interventi sono privi di verve e di sense of humor, “ripetitivo e bolso”. Cito dai tuoi interventi, che commentano vari interventi altrui (e non mi interessa se giudichi me o altri innocenti). E tutto in un solo thread.
Questa è la tua urbanità? No, per me questa è solo spocchia. Chissà cosa succede quando non sei urbana. Qui tu sei un nick, non un nome e cognome. L’identità mia o tua quindi non conta.
@Georgia
“Temporelli dall’articolo di berardinelli sembrava uscire dal vuoto, senza età, senza sfondo ecc. Lì, nel blog, ci parla di se stesso, o ci mente su stesso, e lo fa con grazia… Per me è cosa sommamente simpatica…”
Sembra che ce l’abbia per partito preso con Berardinelli, ma giuro che non è così. Cerco di capire, però…
Insomma, stento a credere che Berardinelli non sappia chi è Merlin-Temporelli.
I critici si limitano alla quarta di copertina per avere notizie sugli autori che recensiscono?
Non so, l’ufficio stampa dell’Einaudi non fa presentazioni?…
Sì, si può pensare che Berardinelli non usi Google o non sappia cosa è un motore di ricerca.
Ma “Atelier” è una rivista cartacea, ha una sua diffusione, non è certo ignota agli addetti ai lavori, ha una fisionomia e occupa uno spazio ben riconoscibili, qualcuno potrebbe anche pensare che nell’ambito della “giovane” poesia italiana ha un discreto peso, un non trascurabile potere…
“Le riviste esistono e forse qualcuno le legge…”
Così cominciava l’articolo di Berardinelli che ha dato il via a tutta la “storia” su NI.
Si deve pensare che Berardinelli non conosce e non legge le più note riviste letterarie di poesia?
Che si limita a “Nuovi argomenti”, “Il Verri”, “Lo straniero” e “Micromega”?…
@emma
prima di tutto quello di Berardinelli non era un saggio, ma un semplice articolo su un quotidiano, ne scrive uno alla settimana e non credo che si metta ogni volta a fare ricerche approfondite e quindi non possiamo giudicarlo come se fosse un saggio.
Poi l’articolo dedicava a Temporelli solo l’ultima parte dello scritto.
L’uffico stampa dell’Einaudi dovrebbe fare presentazioni (anche se la collana bianca credo sia una collana quasi clandestina), ma se nella quarta di copertina non viene neppure messa la data di nascita è chiaro che è una strategia editoriale precisa e quindi la presentazione si sarà basata sulla stessa scelta, o no? Da notare che non dicono neppure che ci fosse stata una edizione precedente 1999 (edizioni atelier).
Direi che berardinelli non usi google. Fra quelli della sua età, più uno è marcato intellettualmente e più ha reticenze ad usare internet (e forse hanno ragione), direi che se la cavano molto meglio quelli della generazione precedente a B. o le donne in generale, non so come mai, probabilmente gli intellettuali maschi di quella generazione sono poco elastici, sarebbe un fenomeno da esaminare.
Berardinelli ha una cultura che gli permette di fare tranquillamente a meno di google, e forse facendone a meno riesce a rimanere originale cosa oggi impossibile.
Sul fatto se berardinelli legga o meno una grande quantità di riviste non lo so (so che in giro ce ne sono veramente tante e spesso introvabili se non sei abbonato o se non te le inviano direttamente, leggerle tutte vorrebbe dire rinunciare a vivere e a scrivere, quindi è chiaro che i critici giocano ai dadi e vanno a caso).
Atelier è diretta da Merlin ma non basta sfogliarla o leggerne un numero (probabilmente non basta neppure leggerla tutta) per sapere che Merlin è Temporelli, che poi non mi risulta essere così famoso. Non so come mai Berardinelli lo abbia recensito ora, perchè non è che sia proprio uscito in questi giorni. Per questo avevo pensato lo avesse usato per continuare indirettamente il dialogo con i due Andrea, ma è solo una mia ipotesi campata in aria.
Può essere che glielo abbiano appositamente inviato dall’einaudi solo ora. Il motivo? boh, sono tanti forse vogliono fare una campagna per la lista del premio viareggio, forse … chissà, le vie dell’editoria sono infinite :-).
Questo non toglie che le poesie di Temporelli siano decenti e che l’articolo di B. sia interessante.
geo
Marco Merlin ha pubblicato molte poesie (anche libri) ma credo cheIll Cielo di Marte (Atelier 1999, Einaudi 2005) sia il primo libro di Temporelli.
@Georgia
“L’uffico stampa dell’Einaudi dovrebbe fare presentazioni (anche se la collana bianca credo sia una collana quasi clandestina…”
Ho poco tempo.
Dico solo che i libri di poesia sono tutti un po’ clandestini.
Ma la Bianca Einaudi è la collana di poesia più nota e a suo modo *gloriosa* di questo paese :-)
Direi che è una delle poche (pochissime) che trovi in tutte le librerie…
ma questo è indiscutibile, anzi proprio perchè è una delle poche rimaste non andrebbe calunniata (criticata certo) come sento fare spesso ;-)
Le collane di poesia sono veramente le poche cose buone rimaste nelle case editrici, perchè dobbiamo dar loro addosso?
Certo che la poesia è spesso clandestina, quindi le presentazioni saranno curate meno di altre pù commerciali, però sono convinta che la mancanza di notizie su tremorelli fosse voluta e non certo casuale, e la cosa è pure divertente.
Se poi berardinelli si sia limitato alle non notizie pervenute e non si sia curato di approfondire perchè non incuriosito, oppure, coscientemente, abbia anche lui appoggiato la linea del “poeta uscito dal nulla”, andrebbe chiesto a lui.
I giornalisti, anche in rete, fingono sempre di fare scoperte cadute dal cielo, invece c’è sempre dietro una piccola organizzazione;-), è talmente generalizzata la cosa che lo fanno anche nelle bischerate più banali.
Sapete come fanno a vivere (fin dall’antichità) le corporazioni? avendo saperi e strategie segrete (a volte le chiamano misteriche) che distribuiscono solo agli appartenenti alla corporazione. Se uno rende pubblici i saperi (oggi chiamarli saperi è veramente troppo), i trucchi, i collegamente, tutto crolla.
La rete è un gigantesco smontatore di simili trucchetti che alle volte sono stupidini e inutili a volte affascinanti e intelligenti.
Inizialmente però hanno funzionato anche in rete ma insomma questo è tutto un altro discorso che a me interessa, ma che con berardinelli e temporelli non c’entra nulla :-)
geo
divertente, l’ho chiamato tremorelli invece di temporelli :-))))
@Georgia
“ma questo è indiscutibile, anzi proprio perchè è una delle poche rimaste non andrebbe calunniata (criticata certo) come sento fare spesso ;-)”
La Bianca Einaudi ha vissuto tempi migliori, non vedo perché non debba essere criticata.
(Georgia, ho come l’impressione che una certa qual scarsa conoscenza della poesia italiana attuale – e Berardinelli c’entra davvero poco – ti porti ad essere molto ma molto più *candida* del solito :-)
Poca conoscenza della poesia attuale certo, mai detto il contrario, tra l’altro NON ho mai affermato di avere Grande Conoscenza in nulla ;-).
Io, candida o meno, aspetto sempre delucidazioni dagli *esperti*.
Però Emma leggi meglio non ho detto che NON vada criticata (anzi l’ho proprio specificato appositamente che vada criticata) ma che NON vada calunniata ;-)
Ma perchè nessuno legge mai i commenti preferendo leggerci quello che vuole piuttosto che quello che c’è scritto?
E’ buffo, ma spesso, troppo spesso, uno risponde piccato come se l’altro avesse detto tutto l’opposto (capita anche a me non lo nego);-).
geo
Sì Georgia, scusa il tono un po’ *fuori* :-)
[…] Terza e ultima parte (Dubois, Suchère) del dossier sulla poesia francese contemporanea apparso su “Nuovi argomenti”, cominciato qui e proseguito qui. […]