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Gentilissimo Alfonso Berardinelli

di Gianni Biondillo

“Col mondo del potere non ho avuto che vincoli puerili:
temevo le ostriche, e alle guardie lanciavo occhiate di sottecchi;
nemmeno di una briciola d’anima gli sono debitore”
(Osip Mandel’štam)

 

Gentilissimo Alfonso Berardinelli,
è con vero piacere che le scrivo questa lettera (glielo dico da subito, per non farle perdere tempo) colma di dubbi e vuota di certezze assolute.
Non parlerò della polemica in atto fra lei e due dei componenti di Nazione Indiana, Raos e Inglese (dei quali mi fregio di un’amicizia non solo intellettuale ma anche personale). Ci hanno pensato loro ad argomentare con sicura efficacia le loro controrepliche.


Diciamo che questa mia riflessione sta ai margini della questione da cui è scaturito il dibattito. Oddio, non è poi così vero: lei nella sua risposta sul Foglio ha speso circa metà del suo articolo per polemizzare con Georgia (che, ad onor del vero, voglio ricordarle che è sì una blogger, ma non è della redazione di Nazione Indiana. Era qui da noi come commentatrice). Quindi, forse, non è così vero che questa mia stia poi così ai margini della questione, come ho premesso.
Ho trovato di grande interesse, al di là di quello che ha effettivamente scritto nel suo articolo, proprio il fatto che abbia deciso di trovare il tempo di rispondere alla lettera a lei indirizzata da Inglese e Raos. E, per farle capire con un altro esempio, ho trovato altrettanto interessante che proprio qualche settimana addietro un altro quotidiano abbia messo in evidenza sulle sue pagine culturali, la nascita di un nuovo blog letterario.
Tutto ciò è significativo. Solo un paio di anni fa la “critica” neppure si sarebbe sporcata le mani, neppure avrebbe acceso un computer, neppure si sarebbe collegata in rete. E meno che mai avrebbe deciso di accettare il dibattito con quella categoria confusa, urlante, maleducata, disorganica, dei frequentatori dei lit-blog. Due anni fa. Ma due anni, oggi, nella cultura italiana sembrano sempre più decenni. (Se penso all’entusiasmo di Fortini di fronte ai primi computer. Chissà, oggi forse navigherebbe in rete..).
Questa, per me è una buona notizia. E lo dimostra il fatto di come ci sia un travaso nei due sensi, e non più una cesura o una contrapposizione, fra il mondo della cultura “su carta” e quella che si veicola “in rete”. Molti degli autori di Nazione Indiana (e non solo noi, ovviamente) collaborano fattivamente a riviste del settore, quotidiani, periodici. Ad esempio nel numero di Nuovi Argomenti (il 32) che è il seme da cui è partita questa (fruttuosa) discussione hanno scritto, oltre a Raos e Inglese, Helena Janeczek, Roberto Saviano, ma anche Davide Bregola e Leonardo Colombati, entrambi gestori di blog personali. E, più che mai esemplare, Babsi Jones, che “su carta” non aveva mai pubblicato nulla, ma si era fatta conoscere, per qualità di scrittura e per entusiasmo vero, proprio in rete.
Quindi, al di là di una certa plebea propensione all’insulto gratuito che purtroppo regna in un mezzo ancora giovane e spavaldo (soprattutto nei commenti), mi sembra evidente che la rete si stia dimostrando, ogni giorno di più, una ricchezza aggiuntiva del dibattito culturale, in Italia.
Detto ciò.
Una parte del suo articolo mi ha fatto lungamente meditare. Lei che vive dei 2.000 euro che mensilmente riceve dal Foglio chiede (perché, dice, gli intellettuali devono giustificarsi), a chi la attacca, la loro patente di verginità intellettuale. Comprendo la provocazione.
Allora, per capirci: io non ho “un lavoro di sinistra” (ce ne sono? Fare l’architetto lo è?), l’elenco dei miei consumi è di una mediocrità spaventosa, mi vesto in un modo orribile, non posseggo barche, non sono proprietario non solo di ville ma neppure di un miserabile appartamento cittadino, vivo insieme a mia moglie e alle mie due bambine in affitto in due miserabili stanzette (senza balcone!), non posseggo né un’automobile né una motocicletta, non ho neppure la patente, non guadagno abbastanza (purtroppo!) da comprare merci superflue, non insegno in nessunissima università, non lavoro in alcun ente pubblico (inutile o dannoso che sia), sto in mezzo ad operai, muratori, elettricisti, medici dell’ASL, tecnici comunali, artigiani, cantieri, freddo alle mani, nevralgie e sciatalgie. Come se non bastasse non pubblico nemmeno per Mondadori, “il nemico pubblico numero uno”.
Dunque io potrei scagliarle la prima pietra. Ma non lo faccio. Perché, ovviamente, la sua provocazione, come ogni provocazione, è volutamente viziata. Ed è viziata pure l’immagine, per quanto veritiera, di me che le ho appena fornito. Siamo nel mondo, lo so da solo. La purezza ideologica di alcuni censori che pontificano dalle loro cattedre universitarie, o stroncano dalle loro rubriche su periodici nazionali, la loro radicalità che non ammette cedimento alcuno, mi spaventa.
Non entro nell’annosa questione del pubblicare un romanzo per Mondadori. I Wu Ming, ormai 3 anni fa, hanno risposto più che efficacemente a tutta l’inutile, faziosa, e, tra l’altro tipica di una certa sinistra fighetta, autodistruttiva discussione. Rimando a quelle pagine virtuali. Per me il problema non è mai stato se Berlusconi pubblichi Evangelisti o Marx. Ma lo diverrebbe se decidesse, scientemente, di non pubblicarli.
Dunque dovrei discutere il suo scrivere sul Foglio?
Mi chiedo: è, pedissequamente, la stessa cosa?
Nazione Indiana non è (fortunatamente) una realtà rigida, al nostro interno, in questi giorni, stanno girando email spesso contrastanti. Alcuni dicono, chiaramente: una cosa è un libro che, quando viene pubblicato diventa, anche, merce e quindi sottostà ad una strategia di mercato (e perciò persino indifferente dal gruppo editoriale che lo pubblica), altra cosa è scrivere per un quotidiano (di destra, di sinistra) che esprime, inevitabilmente, una prospettiva ideologica ben determinata. Pubblicarci significa in qualche modo accettare questa ideologia. Per dirla in maniera dozzinale: pubblichi per Il Giornale? Pubblichi per Berlusconi! (a latere: nessuno dice mai, mi è stato fatto notare, pubblichi per l’Espresso? Pubblichi per De Benedetti!) Condividi il suo programma ideologico!
Ma la cultura è cosa diversa, mi viene detto da altri. Quello che conta è cosa dici, non dove lo dici. Il Giornale (è sempre questo l’esempio che mi viene prodotto) non è davvero interessato alle sue pagine culturali, questo permette paradossalmente alla redazione una grande libertà di movimento. In effetti, lo dico per esperienza personale, ho sempre trovato le pagine culturali del Giornale (quotidiano, politicamente, da me lontanissimo) molto più libere e variegate, di molte indottrinate pagine di alcuni quotidiani di sinistra che spesso, a leggerle, si ha la sensazione di un circolo chiuso, fatto dai soliti autori che si leggono e si recensiscono a vicenda. Però è anche vero che così si ammette un depotenziamento totale di quelle pagine. Se quello che ci scrivo dentro non ha una vera importanza politica, se, cioè la cultura non ha nessun valore politico (e quindi della polis) che ci scrivo a fare?
Ecco, l’obiezione forte che viene posta è: se decidi di scrivere per un periodico o un quotidiano che è lungi dalla tua posizione politica devi farlo esprimendo un ruolo, come dire, di “guastatore”, di “ospite ingrato”. Di chi, da dentro quella realtà, esprima un dissenso. Mi vengono in mente Pasolini o Fortini che scrissero per il Corriere della Sera quando l’ortodossia di sinistra lo reputava un giornale parafascista. Scrivere sull’Unità, diceva Pasolini, non mi interessa perché tanto so già che “siamo d’accordo”. Quello che gli importava era raggiungere un pubblico diverso, borghese, ed assaltarlo come un corsaro con la forza delle sue posizioni eretiche.
Ma, anche, mi chiedo: quanto è più semplice, comodo quasi, scrivere per un giornale del quale condivido l’impianto ideologico, al caldo quasi, senza credermi in contraddizione alcuna (magari, per dirla con le sue parole, scrivendo dalla mia villa o dalla mia barca, col mio portatile di ultima generazione) in pace con me stesso, acclaratamente accolto nell’alveo della cultura, che, si sa, in Italia o è di sinistra o non è?
Io, lo ha capito, non ho una risposta. L’ho detto da subito: questa lettera è colma di dubbi e vuota di certezze assolute. Forse, mi viene da pensare, la sua vera libertà di espressione e la sua vera capacità di urticare, dentro al Foglio, la comprenderemo solo quando, per assurdo, verrà censurato (e così Fofi col Sole 24ore, o come è accaduto a Busi, in un suo pezzo qui pubblicato, con l’Unità, o buona parte degli scrittori “di sinistra” con il Manifesto). Forse perché l’intellettuale deve, per costituzione, saper esprimere dissenso di fronte a qualunque conformismo culturale.
Quello che so è che, nel tempo, sto cambiando idea. Mi fa piacere, lo ammetto. Non sono un intellettuale granitico (per sfottere dico di essere un intellettuale “di peso”, ma questo ha a che vedere, purtroppo, solo con la mia stazza). Ho cambiato idea, dicevo. Da ragazzo il dove era importante. Non avrei mai letto un quotidiano nel quale non mi sarei riconosciuto (per scoprire, nel tempo, di non riconoscermi, davvero, in nessuno di quelli in circolazione). Poi, negli anni, ho creduto sempre più che quello che davvero contasse fosse il cosa si dice, rispetto al dove lo si dice. Ma anche questo, oggi, non mi è bastante.
Credo che il nostro agire debba essere esemplare (e qui torno alle sue parole). E cerco dagli altri esemplarità. Oggi, quello che cerco non è il dove né il cosa (per la precisione: se prima erano condizioni necessarie di certo oggi non sono più sufficienti). Oggi per me quello che davvero conta è chi lo dice. Anche se non condivido quello che dice, se il suo tragitto umano è stato esemplare è, per me, un interlocutore a cui dare la mia massima attenzione. (Questo è un esempio che faccio spesso: nel carteggio fra Bruno Zevi e Giovanni Michelucci, il critico romano scrisse all’architetto toscano, cito a braccio: “non sono d’accordo con te. Ma preferisco essere in disaccordo con un amico che d’accordo con un nemico.” Dove l’amicizia aveva a che fare con una tensione morale, ovviamente, e non con una logica clientelare o nepotista).
Tutto questo non ha nulla a che vedere col principio di autorità: al mio interlocutore non chiedo un curriculum vitae – non sono interessato ai titoli, alle onorificenze – ma chiedo, caso per caso, una condivisione, spesso sofferta, ad un agire etico.
In questi giorni di furibonde polemiche a riguardo delle vignette irrispettose nei confronti del profeta Maometto, io, ateo convinto e convinto difensore della libertà di stampa, ritrovarmi al fianco di vocianti paladini del diritto di satira – gli stessi che non l’hanno permessa in questi anni a Luttazzi (per fare un esempio) – mi spaventa. Se non riesco a fare il giusto distinguo, se non riesco ad attuare chirurgicamente una selezione mi ritroverò di certo involontariamente (o forse colpevolmente) complice.
Messa in questi termini, lei comprende, molti di quelli che, per cosa dicono o per dove lo dicono, dovrebbero essere miei interlocutori naturali, proprio perché so chi sono, per me, insisto, compagni di viaggio non lo saranno mai davvero.
(Lo ha capito: tutto ciò ha a che vedere, in pratica, con il rapporto che si ha nei confronti delle parole, delle cose, delle persone, del mondo e soprattutto con il rapporto che si ha nei confronti del potere).
Questa conclusione, lo so da solo, non chiude proprio un bel niente. Spero che però apra ad un percorso che io per primo devo saper intraprendere. Mi farebbe piacere credere, perciò, che tutto quello che le ho appena scritto sia solo l’inizio di un dialogo.
Con ossequi,
Gianni Biondillo

 

 

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222 Commenti

  1. E visto che in questi giorni, non so bene perchè, aleggiano qua e là le parole del mai abbastanza amato Bauman, mi viene da ricordare una delle sue teorizzazioni più importanti: guadagnare in sicurezza significa perdere in libertà. E viceversa, però. La domanda è: è più libero il guastatore, che di volta in volta si infiltra in modo corsaro, o è più libero colui che lo critica, fieramente confortato dalle proprie certezze?
    Gran post, comunque.

  2. @Gianni
    Intellettuale Dipeso (da chi?)
    A parte ciò mi è piaciuta molto la tua lettera e posso dire che coglie in più punti nel segno. Tralasci secondo me alcune questioni, sollevate da Berardinelli, che meritano più attenzione, ma magari un cartolina la scrivo anch’io.
    Sto cercando di mettermi in contatto con Chiambretti (il postino) per recapitare la tua bellissima lettera
    effeffe

  3. MA CHE ABBIA RAGIONE BERARDINELLI?

    uuhhhhhhhhhhh …. vedo che va di moda tra gli scrittori italiani squadernarci la loro denuncia dei redditi.
    Abbiamo appena finito di piangere per la mancanza di barche di berardinelli e ora già dobbiamo soffrire per la mancanza di balcone di biondillo?
    Siamo tutti fuori come dei balconi … incomincio a pensare.
    io ho un balconcino dalla parte della cucina, ma non ho la barca, sarò una scrittrice, una guastatrice o una cogliona?
    Guastatrice???? ma avete notato come nel nostro lessico quotidiano si infiltrano sempre di più parole marziali?
    Guastatrice corsara, per carità di dio, non vorrei mai essere dopo aver letto certi ultimi articoli. Scrittrice, siccome non si diventa, non se ne parla nemmeno, cogliona probabilmente si.
    Ma che abbia ragione Berardinelli e che oggi la cosa migliore e più onesta sia proprio sentirsi colpevoli e soli immersi in qualcosa che non ci assomiglia per niente?
    Essere soli senza alcun alibi consolatorio?
    Senza difese intorno.
    essere *dentro* e coscienti che è inutile dire fesserie per apparire guastatori alle vongole.
    Soli e separati come una goccia d’olio nell’acqua invece di essere un disgustoso omogeneo frullato virtuale di qualcosa che nella realtà proprio NON esiste, come la lbertà di espressione sbandierata in questi giorni in difesa di 4 vignette razziste nei confronti di una minoranza già ampiamente provocata.
    soli in un mondo capovolto che non offre più alibi a nessuno.
    Ma che abbia ragione Berardinell?
    geo

  4. Il dove è meno importante del cosa, e il cosa meno importante di chi. Per me questo ragionamento di Biondillo è fondamentale. Poi giustamente aggiunge che il chi non è la persona anagrafica (qui nei blog si capisce subito la faccenda). Allora io al chi sostituirei il come: come uno dice, è lo stile. Purtroppo conosco pochissimo di Berardinelli, ma mi è venuta voglia di leggerlo (anzi, perché non lo invitate a postare su NI? ma davvero, non per scherzo). E non mi meraviglio che sia venuto ai ferri corti con l’establishment di sinistra: alla lunga potrebbe andare a suo onore, e in questo senso anche la collaborazione al Foglio potrà risultare sotto nuova luce. Io giudico infelice invece la risposta che ha dato a NI, ossia la sua giustificazione. Ho già detto che giustificarsi = dichiarare la propria buonafede, non già la propria colpevolezza. Ora, sempre sulla scorta del Devoto-Oli, introdurrei la differenza tra un ospite ingrato e un ospite colpevole:
    ingratitudine = comportamento che rinnega la sostanza morale del beneficio ricevuto
    colpevolezza = condizione di colpa oggettivamente riconosciuta (siccome B. scrive: “il Foglio mi permette di sentirmi quello che sono: solo e colpevole”, qui andrebbe aggiunto “e soggettivamente”).
    La differenza è assai netta: l’ingrato-Fortini pensava di essere nel giusto, il colpevole-Berardinelli pensa di essere nel torto.

    Quando dico stile, intendo ad es. quello di Biondillo, da cui traspare un’etica che a naso, o a cuore, condivido totalmente. (già che ci siamo: in uno dei primi capoversi del post c’è un refuso: ” SoLo un paio di anni fa…”. Magari potete correggerlo)

  5. caro Gianni, io sono con te: l’etica è (prima di) tutto. E l’etica è questione di affinità, di finitudini che combaciano, di esistenze che si chiamano (che si riconoscono in una sorta di contagio, e che dispongono di un nome per quel contagio). Se è così, l’etica è come una grande mappa geografica. Ci si ritrova (chi si ri-vede!). Si procede soli, e accanto. Ma questo pone dei problemi. Ché un “chi” non è altra cosa da un ” dove” e da un “che”. Lo dici tu stesso, non chiedo curriculum, ma un agire etico: si potrebbe dire anche, il curriculum è già lì esposto in un agire che ne dà il senso. Allora il “chi” sta in questa articolazione di un senso. Il senso si articola anche per un “dove”, e nel ” come ” si passa da un “dove”. Passare per ogni-dove va bene: ma occorre disporre del nome giusto per farlo (dicevo prima: disporre di un nome per il contagio).
    Allora, io posso anche dire, scrivo sul Foglio, e questo non mi qualifica in sé come reazionario. Anche perché – lo dici anche tu, ed è vero – la complicità è nelle cose. Ma il punto è come ci si dispone nei confronti di questa complicità.
    Ti faccio un esempio personale, visto che stiamo “in punta di esposizione”. Come sai sto per pubblicare per una grande casa editrice (che in ogni caso non è Mondadori) un libro di “storie dai CPT” – in cui articolo il mio discorso, però, senza compromessi. Se mi avessero detto che chiamarli “lager” non era opportuno, se denunciare tutto quello che denuncio – allora avrei rinunciato. E cercato una piccola casa editrice, magari. Come del resto doveva essere all’inizio.
    Ma su un giornale, io posso scrivere quello che voglio? posso dire tutto, sempre? posso evitare di autocensurarmi, anche inconsciamente? E’ possibile, sì. Ma ritengo che sia più probabile di no.
    Conosco qualcuno che lavora nelle pagine culturali del Giornale. E’ un’ottima persona, un amico. Può scrivere tutto quello che vuole, da un certo punto di vista. Perché è vero, ai Giornalai non gliene frega niente delle pagine culturali. Ma se magari recensendo un romanzo in cui ci sono immigrati pensasse di dire quello che pensa dei CPT (faccio un esempio tra migliai che potrei fare) – sa che questo non lo può fare. Autocensura. E’ normale, lui ha bisogno di questo stipendio. Sa che certi limiti non vanno oltrepassati. Loro hanno bisogno di te. Bisogna vedere chi sei, e fino a che punto loro hanno bisogno. Più sarai una figura rilevante, più in là potrai andare – ma dei limiti li avrai sempre, io credo.
    Dopodiché, è bello quello che dice Berardinelli sull’essere soli. Sullo stare con la propria colpa – con la propria vergogna, direi piuttosto. Ma anche questo rischia di essere un alibi.

  6. A nessuno viene in mente che molto più semplicemente NON bisogna leggere le pagine culturali dei quotidiani (e le loro propaggini in rete)?
    Faccio un esempio. “Sarah” di J.T. LeRoy è un brutto libro. Una persona che avesse attraversato l’esistenza di J.T. scriverebbe un libro drammatico: arriverebbe a luoghi dell’anima che i mortali felici non possono toccare. Invece il libro è una beata fesseria.
    A questo punto cosa ha fatto la stampaglia culturale se non pompare J.T.. Ora dalla stessa stampaglia giunge la notizia che era una blague ben architettata.
    Ben architettata un cazzo! che quel libro fosse brutto lo dovevano dire. Dovevano scrivere, indipendentemente dal packaging suggestionante che stava intorno a J.T., indipendentemente dalla sua realtà o trollaggine, che il libro era incosistente. Invece no, si sono fatti megafono dell’industria: tutti dietro alla blague come le papere di Lorenz.
    La vogliamo finire di leggere le pagine culturali dei quotidiani?
    Quelle pagine stanno lì per farci perdere tempo, per non farci pensare in proprio, per sostituire letture fondamentali con libri insulsi.

  7. Ho aggiornato il link all’annosa questione. Il pezzo su Carmilla di WM1 è quello più completo, direi.
    Marco: non sapevo (me ne dispiaccio) del libro (e mi complimento). Attendo di leggerlo.

  8. Gianni dice:
    “altra cosa è scrivere per un quotidiano (di destra, di sinistra) che esprime, inevitabilmente, una prospettiva ideologica ben determinata. Pubblicarci significa in qualche modo accettare questa ideologia.”

    Messa cosi la cosa è facilmente confutabile. Tanti esempi dimostrano che pubblicare per un giornale NON significa condividerne la linea politica. Ma le risposte che vengono date a Gianni, colgono secondo me la vera questione. In particolare Marco Rovelli. E poi georgia : quello che ha scritto nella nostra cotroreplica: quanto la linea politica (che non condivido) del giornale in cui scrivo puo’ “limitare” quello che scrivo? Il “dove” e il “cosa” dico, determinano anche “chi” sono, in modi e secondo gradi diversi. La prima cosa è esserne pienamente consapevoli. Ma a volte la consapevolezza non ci salva dai rapporti di forza. (Su questo invito Gianni e i lettori, a leggere il brano di Mengaldo che abbiamo inserito come postilla sempre alla nostra contro-replica).

    Ad Andrea B. Che le pagine di cultura NON si leggano (perché illeggibili) è proprio uno dei problemi dell’apoliticità del discorso critico.

  9. “Quello che compio attualmente sul Foglio è il mio primo esperimento di giornalismo letterario e godo di una libertà quasi impensabile in altri giornali.”
    dice Berardinelli.

    E io, su questa frase, a Berardinelli vorrei fare qualche domanda: “Ma lei, mente sapendo di mentire, o lo fa in modo inconsapevole?”
    Premetto due cose: non è un’accusa, questa che le rivolgo sul mentire. Ormai è un modo di vita diffuso (dire una cosa per un’altra, trovare giustificazioni, è un lavoro, ormai. ci sono i giustificazionisti. persone che passano la vita a giustificare quello che gli altri fanno), e come tale non ha più il connotato dell’offesa. Non voglio offenderla. Sto solo dicendo, “Lei dice cose non vere…” (più avanti cercherò di dimostrarlo). Il meglio che possiamo fare è cercare di capire il perché. Peraltro in tutti e due i casi, io la scuserei. Lo farei perchè mi rendo conto che lei dei 2000 euro abbia bisogno. Ma allora, seconda domanda, perchè non dire, “Ragazzi, il Foglio è un giornale come un altro…io cerco di tenermi fuori, cerco di essere onesto, sarò onesto anche con voi. Non avevo altro. Non posso morire di fame aspettando non si capisce bene cosa…i nostri sono tempi bui…etc etc.”.?

    Terza domanda: “Non dico che lei abbia il dovere di chiedersi come definire da un punto di vista ‘romanzesco’, uno come Berlusconi, che le fornisce i soldi per sopravvivere (padrone delle ferriere ohnettiano? balzacchiano birotteau? Grande Fratello orwelliano? Verghiano Padron Ntoni che si è allargato? Golvleviano possidente che soffia la dimora a un’innocente?), il dovere non ce l’ha, perché in un mondo in cui i doveri sono un concetto vago, come le responsabilità (e la nostra non è un’epoca buia, è un’epoca vaga, e quindi come tale anche buia? non lo so. io di carattere non sono buia e quindi vado a ballare lo stesso), perchè lei, povero impiegato che campa con duemila euro dovrebbe farsi questa domanda? Come intellettuale però forse questo dovere, di chiedersi da chi prende i soldi, e in che modo svolge il suo lavoro in conseguenza di ciò (che cosa può dire, che cosa può nn dire, che cosa direbbe se il suo padrone fosse un altro, in che rapporto è col suo apdrone, e con gli amici del suo padrone, etc, etc) , lei ce l’ha. Un intellettuale, non è, come lei dice, uno che deve giustifcarsi (anche lei fa il martire! ma che palle!) un intellettuale (scrittore, regista, critico) è uno che deve rispondere a sé stesso in questo modo, secondo me, “Come lavoro, in conseguenza di come vengo pagato? Chi mi paga? Da dove prende i soldi chi mi paga?” . Le faccio subito l’esempio dei Wu Ming per spiegarmi: loro pubblicano con Einaudi, vengono pagati da Berlusconi, ma nei loro scritti, sui libri e qui, (come Evangelisti, peraltro) mettono continuamente in discussione quello che uno come Berlusconi fa (lui, il suo modo di vivere, la classe sociale cui appartiene, la politica che c’è dietro, la classe politica che Berlusconi difende, i soggetti sociali i cui diritti Berlusoni attacca, quelli che protegge , etc) Come potrebbero fare degli operai, loro secondo me lavorano per qualcuno che è da loro continuamente messo in discussione. Lei no. lei si comporta come un sottofunzionario (non c’è offesa, il funzionario principe è Ferrara!) della persona per la quale lavora. Non la difende apertamente, ma non la attacca mai. E io credo (e questo è grave per lei, non per noi!) che lei si renda perfettamente conto di che tipo di governo Berlusconi porti avanti, di che tipo di politica (anche culturale) persegua. (E’ un peccato per lei perchè avrebbe potuto avere mille euro al mese ma 2000 soddisfazioni in più!) Allora, gliela faccio io adesso la domanda precisa,” A chi somiglia, da un punto di vista ‘letterario’ uno come Berlusconi? (veda i riferimenti su)” . Mi può rispondere? E ancora, “Che pensa della ribellione, Berardinelli? E dei diritti? ” parlo sempre della letteratura, “Scriverebbe un saggio sulla ribellione nei romanzi? E se lo scrivesse come la definirebbe? Chi è secondo lei il (la) miglior(e) ribelle della letteratura? “.

    Poi, ancora: un mio amico che scrive sul Giornale, e ha scritto per il Foglio, mi ha definito ieri, scherzosamente, “donna-causa”. Lo ha detto perché essendo sotto sfratto sono costretta a stare a Campo dei Fiori sol tavolino a raccolgiere le firme, ad andare dall’avvocato, tenere le scartoffie da far vedere al giudice, et etc. E’ buffo, ma anche in questo caso io farò la ‘donna-causa’ (vede Berardinelli, quelli che, come il mio amico, lavorano per il Giornale o per il Foglio non è che non siano intelligenti, però lo sono o troppo, o troppo poco!). Ho in casa delle fatture (tre mi pare!) di pagamento del Foglio. Presentata da Massimo Boffa qualche anno fa io ho collaborato al suo stesso giornale. Benveneuto era il caporedattore cultura. Ho scritto solo 3 articoli. (Ah, ci sono arrivata perchè Boffa, impressionato dal fatto che io conoscessi il nome di tutti i personaggi di tutti i romanzi di Dostoevskij, mi ha presentato, appunto). nel primo ho recensito Dickens, nel secondo Muriel Spark, il terzo non me lo ricordo. Poi ho chiesto di recensire una cosa di Kerouac, mi pare. L’ho scelta per caso. Qualcosa di sinistra, sì. E avrei parlato credo di scartoffie come testimonianze, fogli che documentatno qualche sopraffazione giustificata da chissà che , viaggio come ribellione. Mi è stato risposto da benvenuto così, “Come ti viene in mente? Chi se ne frega di Kerouac?”. Gli altri pezzi mi sono stati pagati 250.000 lire, e sull’unghia, perfetti, con fatture e tutto (ce li ho qui!), ma la mia collaborazione è finita. E’ vero, nell’articolo su Keroauc avrei parlato di ribellione (ripeto) e in quello dopo forse avrei parlato di un padrone alla Balzac. Non lo so. Mi ricordo che come al solito, ero in un periodo difficile della mia vita. Mi sono messa a piangere. Non che adesso non sia in un periodo difficicle, ma ho accetttato la mia essenza di donna-causa. Non dico che mi piaccia. Dico che l’ho accettata. Ah, la domanda: Dove esperimenta, lei? Cosa? Che libertà ha, lei, se non risponde alla prima domanda che un buon intellettuale (anche uno scrittore o un regista, eh?) dovrebbe farsi? Da chi prendo i soldi? Quanto oso mettere in discussione chi mi da i soldi?

  10. Naturalmente il rapporto di cui sopra (per chi lavoro? quanto posso mettere in discussione le persone per le quali lavoro? quanto difendo le loro scelte solo per spirito di gruppo e quieto vivere ?) vale anche per i funzionari di sinistra, eh? Anche per altri intellettuali e per altri giornali. Ma il dire ‘lo fanno anche a sinistra, lo fanno anche peggio!’, come dire, non giustifica una beata mazza.

  11. Noooo!!! il pistolotto dopopranzo della scarparo….
    sei già a letto alla terza riga, e del resto che ha scritto non te ne frega un amato cazzo

  12. ronf, io sono una pistolotta, non faccio pistolotti. tu vai a dormire e torna quando il riposo ti avrà conferito un po’ più di tranquillità. intanto io sarò andata per banchetti. e tu potrai dire le brillantissime cose che ti girano negli intestini.

  13. Cioè, se uno è di destra non può essere un buon critico o un grandissimo poeta? State dicendo questa fesseria, in mezzo ai vostri tormenti criptocattolici e umidicci? No, è impossibile, ho capito male :))

  14. Rispondo io che poi me ne vado. Fai conto Carmelo Bene. Mai stato di sinistra. Ma è sempre stato chiaro e poetico nelle sue ascendenze e derivazioni sia economiche che poetiche. Un buon poeta (critico, scrittore) può anche essere di destra. Di solito ti descrive il disagio, la noia, il senso di colpa, che prova (che ha provato) per il fatto di esserlo. C’è anche qualcuno molto bravo.

  15. Gianni, sottoscrivo e rilancio.
    Il 6 aprile 1980 Foucault rilasciò un’intervista come “philosophe masqué” (l’avrà inventata lui la moda del nickname?) – «pourquai l’anonymat? par nostalgie du temps aù, étant tout à fait inconnu, ce que je disait avait quelques chances d’être entendu» –, nella quale proponeva un gioco: pubblichiamo per un anno libri senza firmarli, e vediamo come se la cava la critica, costreta a basarsi sul solo contenuto. Beh, io vorrei davvero vederli, certi critici accademici, privati del nome dell’autore e della quarta di copertina! Oggi bisognerebbe rilanciare: se postassimo per un mese soltanto articoli senza indicarne la provenienza? Perché se Belardinelli scrive sul “Foglio” articoli “non da Foglio”, e qualcun altro scrive sul “Giornale” articoli “non da Giornale”, c’è chi invece scrive sul Foglio o sul Giornale articola “foglianti” o, peggio, (perdonate l’eccesso di paronimia) “giornalanti” , e c’è chi scrive articoli “domenicali” sul Domenicale, e anche sull’Espresso o sull’Unità si leggono talvolta cose più che altro “domenicali” o, peggio, “giornalanti” (nel senso che a volte ti viene da chiederti: questo/a legge come Belpietro? capisce come Belpietro? fa finta di aver letto come ***?). E certo tutti hanno un passato e un presente (anche le seppie e gli ossibuchi), ma il passato+presente di un Belardinelli non è uguale al passato+presente di ***. Però mi chiedo: Belardinelli dichiara di svolgere il mestiere di intellettuale con 2.000 euro: è un dato quantitativo o qualitativo? Altri invece alla rendita della testata assomma la rendita accademica, e poi scrive quello che scrive: è un dato qualitativo o quantitativo?

  16. Si chiama BeRardinelli, con la R. Girolamo, insomma, sembra che tu nemmeno sappia di chi parli! Oppure stavi facendo una battuta? (lo chiedo perché in tal caso non l’ho capita)

  17. @ biondillo:
    “Non entro nell’annosa questione del pubblicare un romanzo per Mondadori. I Wu Ming, ormai 3 anni fa, hanno risposto più che efficacemente a tutta l’inutile, faziosa, e, tra l’altro tipica di una certa sinistra fighetta, autodistruttiva discussione. Rimando a quelle pagine virtuali.”
    @yara:
    “Il dove è meno importante del cosa, e il cosa meno importante di chi. Per me questo ragionamento di Biondillo è fondamentale”
    E FORSE @ marco rovelli e @ andrea inglese

    Non ho letto ancora tutti i commenti, e non ho ora molto tempo a disposizione, comunque dato che su un punto per me fondamentale sono forse l’unica voce dissenziente, dico subito, frettolosamente, la mia opinione.
    Secondo me uno scrittore di sinistra che, potendo scegliere tra più case editrici, decide di pubblicare per Mondadori, ossia per la casa editrice del capo del governo nonché monopolista di media e quant’altro, contribuisce oggettivamente ad alimentare il regime politico che vige in Italia da anni e che ha affossato in breve tempo molte libertà personali e alcuni pilastri della nostra vita democratica. Che questo scrittore di sinistra possa scrivere quel che vuole, è ininfluente: i libri – salvo rare eccezioni – non cambiano di una virgola l’opinione pubblica (peraltro di certo non potrebbe scrivere per Mondadori un saggio su tutte le imputazioni e i processi che ha avuto Berlusconi, a meno che non scriva un saggio del tutto assolutorio).
    Di fatto questo scrittore aumenterebbe la situazione di monopolio (o quasi)già esistente nell’editoria, e lo farebbe, presumo, unicamente per avere maggiore visibiltà e maggiori vendite – se ci sono altri motivi, qualcuno me li spieghi.
    A me sfugge completamente come questo comportamento, oggi, nella condizione in cui si trova la società italiana, si possa in qualche modo ricondurre a un’etica della responsabilità civile che dovrebbe appartenere a chiunque SIA – e non solo si dichiari – di sinistra (se non addirittura democratico, poiché non vedo come uno possa dichiararsi democratico se non fa nulla per combattere i monopoli neanche nel settore in cui è più coinvolto).
    Che poi nessuno sia vergine, d’accordo. Ma da qui a giustificare o ad assolvere ogni comportamento di compromissione o complicità con gli organi o gli strumenti del regime ne passa.

  18. Georgia 3 giorni fa su NI ha insinuato che B. scrive sul Foglio per i soldi e dichiarato che scriverci ha cambiato la sua intelligenza, che s’è bevuto il cervello. Al che B. ha risposto mostrando la busta-paga e affermando che tutti sono compromessi: nel post Biondillo replica civilmente su questo punto.
    Georgia però commenta “ironica” *vedo che va di moda tra gli scrittori italiani squadernarci la loro denuncia dei redditi*. Ma se l’ha provocato lei il casino, non misurando le sue parole!
    Il commento di Giorgia ha un titolo: MA CHE ABBIA RAGIONE B.?, e il bello è che gliela dà! Quindi B. non se l’era bevuto…
    Georgia mi è anche simpatica, ma rovina tutto perché scrive di getto quello che le passa per il cervello = tutto e il contrario di tutto. A meno di non pensare a un travaglio autocritico che fa cambiare completamente idea in un paio di giorni.
    Faccia come me, che prima scrivo su un documento, e dopo incollo sul blog: così ci si controlla di più.

  19. Veramente divertente. Dico sul serio.
    Ora, se nessun quotidiano di “sinistra” (il virgolettato s’impone) offre uno spazio significativo a un critico come Berardinelli, lo stesso Berardinelli dovrebbe stare zitto e mosca, chiudersi nel silenzio dei suoi studi e non provare a fare il critico militante: non è vero?
    Si, perché, a quanto pare, lui fa il critico militante (nel senso che opera una critica letteraria nel suo presente letterario, una critica opinabile, certo, e la lettera aperta di Inglese e Raos lo dimostra). E lo fa, guardate un po’, su un quotidiano come Il Foglio di Ferrara. Posto che il critico fa il suo mestiere in assoluta autonomia di giudizio (ci mancherebbe altro!) l’unico problema “morale” che puo’ porsi (soffoco a stento una risata) è che i soldi che gli vengono dati per le sue prestazioni vengono dalla cassa del signor Berlusconi. D’altra parte, mi sembra di capire, il fatto che il collettivo Wu Ming, anche per molti “moralisti rabbrividiti”, pubblichi i suoi libri con un editore che paga anch’esso dalla cassa del signor Berlusconi è un fatto legittimo, perchè i Wu Ming operano dal di dentro della fortezza nemica, così narra la vulgata, spandendo il loro seme di “verità” (altra risata soffocata) in eroica controtendenza, Davide collettivo contro il Golia pagatore fagocitante- ma non loro, beninteso.
    Ora, mettiamoci davvero d’accordo; perchè non c’è nulla di male se il collettivo Wu Ming scriva per Einaudi, a mio parere; a questo punto, se vogliamo essere davvero onesti, anche chi pubblica per Baldini Castoldi Dalai (come me) dovrebbe essere additato come “servo del padrone indiretto”, perchè la BCD fruisce, nonostante sia un editore tradizionalmente schierato a sinistra, della distribuzione Mondadori: come ben sappiamo, la distribuzione è l’anello forte, sostanziale, della catena alimentare editoriale.
    Dunque se cio’ che conta, come io credo (qualcuno se la sente di contraddirmi su questo punto?) sono i CONTENUTI (dei Wu Ming come di chiunque altro), allo stesso modo Berardinelli puo’ tranquillamente assolvere al suo compito dalle pagine de Il Foglio, senza aver bisogno di giustificarsi, in nessun modo. Il problema della coerenza politica non si pone, secondo me: è ovvio che, tra le righe di una recensione del critico, è possibile capire da che parte stia, o quali sono i dubbi legittimi che l’attraversano.
    Non capisco questo moralismo soffocante, qualcuno me lo spieghi, me ne spieghi le origini, le cause; e mi indichi un possibile contravveleno per combatterne l’asprezza. Io ho paura, una paura fottuta, di coloro che si ergono a paladini di una purezza ideologica, di qualunque colore.
    Salvo flirtare, quando voltiamo la testa dall’altra parte, con l’establishment, il quale, a sinistra come a destra, non campa d’aria.
    Perché l’Espresso di De Benedetti – già che ci siamo – non si costruisce col denaro dei puri, col sudore della fronte di un improbabile, ascetico volontariato. Perché De Benedetti non è migliore di Berlusconi, se non per il fatto (unica eccezione) che non è il presidente del consiglio di questa nazione, che non ha più, da quasi vent’anni, Retequattro; che, insomma, il suo unico merito morale è quello di aver perso la tenzone con l’eterno rivale per il controllo delle televisioni.

  20. Galbiati, la sua opinione, l’ha davvero detta ‘frettolosamente’…
    ma come si fa a piantarla giù dura su Mondadori-Berlusconi?
    Ma ci vuole tanto a capire che a Berlusconi della Mondadori non gli importa altro che dei ricavi? E che questi sono ben lungi dall’essere direttamente derivati dal settore libri? – potrebbe tranquillamente scorporarlo dal resto, se trovasse un compratore, e non scenderebbe di un gradino dal 25esimo posto come uomo più ricco del mondo: basta fare i conti –
    E’ dai tempi di Giorgio (ma pure Arnoldo, in realtà, anche se editore ‘romantico’), è da una vita che fare soltanto i libri significa andare in pareggio quando va bene… capirai Berlusconi come si sveglia preoccupato la mattina di avere in mano gli scrittori di oggi, lui che ha detto che persino i giornali sono finiti! (figurarsi cosa pensa dei libri!)
    La Mondadori sono migliaia di persone, di segretarie, editor, intelligenze, competenze, e soprattutto un catalogo (pensate agli Oscar: ormai sembra un’enciclopedia)… Berlusconi, anche se a quelli come Galbiati che vedono azzurro ovunque non ci credono, passerà. Il catalogo, la casa editrice, i libri RESTANO. Non si scrive mica solo per i contemporanei. Anzi, la cosa migliore è dimenticarseli.

  21. biondino, bambi capisce sempre tutto ;-)
    (cioè niente, dato che se si può essere di destra e poeti e critici sommi, di questa discussione non rimane nemmeno una riga)

  22. Quello che Bambi contesta, lo contesta a un signor nessuno. Nessuno ha affermato che l’intelligenza e il talento stiano solo a sinistra. Uff, che palle, adesso ci ritocca la solita sfilza: Pound, Cèline… Lo sappiamo (e li abbiamo letti, e apprezzati) tutti, basta! Perché far sempre arretrare il dibattito di quarant’anni e mille anni luce? Il dibattito verte su un’altra cosa, non su questo e nemmeno su Einaudi, Mondadori, il Corriere etc.. Non è nemmeno un problema di destra o sinistra. L’interrogativo è: + opportuno per uno scrittore o critico non berlusconiano scrivere su giornali che, all’osso, sono solo ed esclusivamente megafoni per la più smaccata e sguaiata propaganda berlusconiana? Di questi fogli, uno è fondato e finanziato (e forse pure occultamente diretto) da un condannato per mafia, l’altro è diretto da un’ex (?) spia della CIA e il terzo – vedi il caso delle intercettazioni a Fassino – si dice prenda imbeccate e notizie direttamente dai servizi deviati. E’ giusto che uno scrittore o critico che avversa Berlusconi scriva su uno qualunque di questi giornali? Secondo me, no.

  23. Bambi. I casi sono due:
    o io non mi sono spiegato (e non è improbabile) o tu hai letto e hai capito quello che volevi leggere e capire (e non è improbabile neppure questo).

  24. Canzian, non se ne puo’ più di questo moralismo. Davvero. Guardiamoci negli occhi. E spiegatemi allora perchè quel simpaticone di Massimiliano Parente ha facoltà di sparare le sue bordate simpaticissime su un giornale di proprietà nientepopodimenoche di Dell’Utri. Poi Parente è ammiratore e amico di Moresco e della Benedetti. Ma dai! (E fa bene, ognuno è amico di chi vuole, ognuno difende chi gli pare).
    Dunque, secondo la legge della morale “sinistra” (quella che si fa il segno della croce con la mano sinistra), se Parente scrive per Dell’Utri non dovrebbe essere amico di Moresco.
    Se Berardinelli scrive per Il Foglio c’entra qualcosa con i servizi deviati, indirettamente se ne fa portavice… Se la Baldini Castoldi Dalai usufruisce giustamente della distribuzione Mondadori è complice del Cavaliere, e io, che pubblico per loro e faccio distribuire i miei libri nelle librerie da un’impresa del Cavaliere, sono un servo del Cavaliere. Eh già.
    Qui si sta perdendo il senso delle proporzioni perchè, caro Canzian, a questo punto uno come Berardinelli non dovrebbe più fare il critico per far piacere a lei. Io non ci sto. (E non intendo starci).
    Siccome i “compagnucci della stampa” non gli danno lo spazio che merita, dovrebbe tacere.
    Che questi si facciano un bell’esame di coscienza. Hanno perso un’occasione.
    O Berardinelli a qualcuno di questi “compagnucci” non piace?

  25. e.c.: “Se Berardinelli scrive per Il Foglio c’entra qualcosa con i servizi deviati, indirettamente se ne fa portavice”. Ovviamente volevo scrivere portavoce.

  26. @ franz
    se riprendi fiato dal gran ridere vorrei dirti una cosa.
    Nessuno ha espresso una condanna moralistica e nessuno ha chiesto giustificazioni per dove uno scrive, nessuno conta le barche o i balconi degli altri.
    Se io faccio il bancario posso lavorare dove trovo e nessuno mi giudica, lo stesso se faccio l’impiegato alle poste ecc. ecc.
    Se scrivo romanzi io posso pubblicare dove voglio, perchè si desume che io prima scriva il libro e poi lo pubblichi. Quelli molto puri, che di purezza vivono, magari sarebbe meglio facessero gadagnare i piccoli editori come ha fatto camilleri con la sellerio, che non ha mai accettato di passare ad altra casa editrice (ma questo è altro discorso e fatto solo per polemica).
    Se scrivo poesie o racconti li posso pubblicare in qualsiasi giornale e resto lo stesso, a meno che non scriva tali racconti e poesie dietro incarico apposito del giornale.
    Se faccio politica come magdi allam (che infatti avevo citato) io devo scrivere, come minimo, da un giornale di cui condivido la linea politica.
    E siccome allam scriveva delle cose dalla repubblica e altre dal corriere e volevo concedergli un briciolo di cnvinzione, ho detto che i soldi fossero MOLTO importanti per il tasso di cambiamento di convinzione.
    La critica letteraria è invece una cosa a se e a me ancora non chiara.
    La critica, la recensione, la scelta, la riflessione e il sogno su testi altrui è anch’essa letteratura, ma nessuno oggi crederebbe più che possa vivere del tutto chiusa in una torre d’avorio.
    E io chiedevo, mi chiedevo, si può rimanere gli stessi, scrivere le stesse cose, da un giornale o da un altro?.
    Quanto ci cambia il contenitore?
    Quanto è importante il contesto in cui apparirà il nostro scritto che scriviamo APPOSITAMENTE per tale giornale?
    Io penso che non si possa essere gli stessi. Berardinelli pensa di si.
    Io non escludo, a questo punto, che si possa anche essere migliori vista la lotta che ogni volta, forse dobbiamo combattere.
    Lo dico perchè la risposta di berardinelli è stata molto sentita e generosa … e vera. Se ci avesse risposto dalla repubblica forse non sarebbe stata altrettanto spellata al vivo e vera.
    Ora
    Siccome io, come moltissimi, stimavo, leggevo e mi fidavo di berardinelli:
    Siccome io, come molti faziosi (un po’ di faziosità deve rimanere) non comprerei mai il foglio, dovrò armarmi di buona volontà e leggermi il berardinelli di oggi se voglio dare una risposta alla mia domanda.
    Ma nessun moralismo nel mio discorso.Figuriamoci ci sono persone di sinistra che scrivono su giornali di sinistra che a berardinelli forse non sarebbero mai degni di legare neppure le scarpe e certo quelli potrebbero passare al foglio, al domenicale, al giornale senza che nessuno si strappi i capelli e neppure se ne accorga;-)
    geo

  27. C’è un piccolo particolare: Massimiliano Parente non è un nemico di Berlusconi, quindi non c’è niente che strida. E nella sua vita privata può essere amico di chi vuole, anche di persone che la pensano in maniera diametralmente opposta alla sua, come capita a tutti noi. Baldini Castoldi Dalai, la distribuzione Mondadori, tutto questo non c’entra niente, almeno secondo me. Io considero strano che chi non è berlusconiano scriva su uno di quei tre giornali. Quei tre, non altri. Parlo di quei tre giornali, non del mondo. Quei tre giornali, per come sono pensati e realizzati. Scriverci, se mi permette, non è proprio come scrivere sul Corriere o qualunque altro giornale. Non è nemmeno come scrivere su “Panorama”, se è per questo, perché “Panorama”, per quanto blindato e piegato a esigenze di propaganda, ha comunque un altro taglio, di rotocalco “generalista”, e scriverci sopra non significa automaticamente fare una scelta di campo, come andare ospite a Italia 1 non significa automaticamente fare una scelta di campo. Mentre, a mio parere, scrivere sul Giornale, sul Foglio o sul Domenicale, per l’immagine e il taglio che hanno quei giornali, per la titolazione, per certe campagne d’allarme, per gli pseudo-scandali sollevati tutti i giorni, è già di per sé una scelta di campo, e non capisco perché debbano farla persone che hanno tutt’altre opinioni. Moralismo? Forse, ma a me non pare. Considerazioni di stile, le chiamerei.

  28. Geo cara, hai scritto questa frase da incorniciare:

    “Io non escludo, a questo punto, che si possa anche essere migliori vista la lotta che ogni volta, forse dobbiamo combattere.
    Lo dico perchè la risposta di berardinelli è stata molto sentita e generosa … e vera. Se ci avesse risposto dalla repubblica forse non sarebbe stata altrettanto spellata al vivo e vera.”

    Dunque?
    P.s: non pensavo a te quando parlavo di moralisti e moralismo. Ho notato con piacere che hai via via cambiato opinione. E’ una cosa che io, contrariamente ad alcuni che si sono espressi su questo thread; giudico bella e importante; hai il coraggio di cambiare parere nello stesso spazio di un thread, invece di incaponirti – per puro spirito di contraddizione – sulle tue piccole certezze, come fanno alcuni.
    Nel passato abbiamo avuto delle divergenze (più che altro io non ti sono proprio simpatico): però volevo dirti questa cosa, farti questo apprezzamento, e tu, con questo tuo ultimo intervento, mi hai dato il “destro” (ah ah!) per farlo.
    Ciao toscanaccia:-)

  29. Lasci perdere lo stile, Canzian, la prego. (Non perchè lei non ne abbia, secondo me ne ha da vendere, glielo dico con convinzione, ma perchè su questo punto si potrebbe aprire un bel dibattito e, magari, volerebbero sedie virtuali).
    No, guardi: se lei mi dice che, (la cito volentieri) : “Non è nemmeno come scrivere su “Panorama”, se è per questo, perché “Panorama”, per quanto blindato e piegato a esigenze di propaganda, ha comunque un altro taglio, di rotocalco “generalista” “, ho paura, ancora una volta, che abbia perso il senso delle proporzioni. Panorama, secondo me, fa molta più opinione di un quotidiano, proprio perché, come dice lei giustamente, è piegato a esigenze di propaganda, perchè fa tendenza, perchè fa “infotainment”, perchè, in una parola, ammorba le coscienze.
    E allora? Cosa fa Berardinelli sul Foglio? Scrive quattro cazzate sulla moda del momento, “rosselleggia” da Miami con in mano un cuba libre o, porco cazzo, fa il critico letterario militante e in assoluta autonomia?
    (Scusi la foga, non ce l’ho con lei, anzi apprezzo quanto scrive e il tono che usa, pur non essendo d’accordo).

  30. Non so con chi, georgia, stessi facendo polemica. Ma se ti riferivi a me (visto che in questo thread ero io a scrivere di certi termini), sappi che se pubblico un libro per dire che i CPT sono lager voglio che sia garantita una risonanza adeguata. Che più gente possibile possa leggere ciò che scrivo. (E proseguendo in quel ragionamento, a uno che pubblica per un piccolo editore, perché non chiedere di fare autoproduzione? e via dicendo).
    E – prima ancora, e soprattutto – che io ‘non vivo di purezza’. L’etica è per definizione impura. Ma dev’essere radicale e conseguente. Non è questione di natura (purezza), ma di scelta (radicalità).
    Insomma, qui il moralismo (che ha a che fare con l’essenza) non c’entra. Sono d’accordo con Canzian, è piuttosto una questione di stile (che ha a che fare con l’etica). Ma, prima ancora, di considerazione materiale delle situazioni (nel mio intervento ho fatto un esempio preciso di cosa intendo. Nulla di astratto, nessun robespierrismo, ma considerazioni molto concrete, materiali appunto)

  31. @marco
    ma no marco rovelli come puoi pensare che polemizzassi con te?
    cristo, ti stimo pure;-)

    @franz
    ma io non ho cambiato opinione, io ero lettrice ed estimatrice di berardinelli, il mio attacco era, e già l’ho detto, un pre-giudizio addolorato.
    La risposta di berardinelli è stata generosa e io ne ho preso atto, e quindi medito, anche se rimango faziosa come sempre;-)
    ad ogni modo apprezzo gli apprezzamenti SEMPRE e soprattutto se vengono da un ex avversario;-)

  32. Geo, non si sa mai, meglio chiarire subito che lasciar passare e accumulare, no? ;-) Sarà che sul web ormai ho sviluppato un’ipersensibilità di tipo paranoide, c’è troppa gente che si scaglia sugli altri per puro gusto bellico – non certo te, va da sé, che anzi cospargi il tuo sentiero di efflorescenze facciali…
    PS Grazie per la stima.

  33. Quella sullo stile era una battuta? Se lo era, non l’ho capita. A parte poche cose mie apparse sul web e sul Mucchio Selvaggio, io sono un carneade. Volevo però dire che anche le mie considerazioni erano di ordine generale, non “fatte su misura” su Berardinelli. Krauspenhar, rimanendo a Panorama: davo per implicita la condivisione di un giudizio sulla rivista, piena zeppa di marchette e marchettari trash. Ma “Panorama” è una rivista che ha una storia molto più lunga e dentro ci si è sempre trovato e letto un po’ di tutto, dalla merda alle cose serie. Ultimamente la prima prevale sulle seconde, ma non in tutte le sezioni. Il Domenicale, invece, è un giornale fondato con grande clamore da un pregiudicato per collusione con Cosa Nostra che è anche un socio d’affari del capo del governo, ed è un foglio schieratissimo, fondato con l’intento esplicito di “combattere la cultura di sinistra”, e per loro è di sinistra qualsiasi cosa, attaccano Darwin, attaccano l’ecologia, gli omosessuali, negano l’effetto-serra, difendono guerre e fomentano lo scontro di civiltà. L’avete data un’occhiata al loro sito? Questo può avvenire anche su Panorama, per carità, però Panorama ha anche una storia precedente, può ancora capitare, occasionalmente, di trovarci firme di qualche spessore (e spessore “bipartisan”), senza chiedersi: “Ma perché ha scritto qui sopra?” o “Perché ha rilasciato l’intervista?”. Sembra tutto sommato normale. Intendevo questo, parlando di “generalismo”. Invece, sui tre giornali di cui sopra, non a caso molta gente si chiede perché gente insospettabile finisca per scriverci sopra. L’effetto è stridente, e risulta stridente a tanti. Invece che accusare tutti di “moralismo”, chiediamoci perché a così tanti suona “sbagliata” o almeno poco accorta una collaborazione con Giornale, Foglio o Domenicale.

  34. Ma Canzian, io me lo chiedo: e ho già risposto, però: moralismo. Del quale non abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno, invece, di una sinistra meno meschina, che si tiene stretta i suoi intellettuali migliori. Per il resto non ho nulla da obiettare alla sua analisi delle differenze (Panorama/ Il Domenicale).
    Infine, mi spiace per il malinteso : le assicuro che quella sullo stile non era affatto una battuta.

  35. Fa ridere l’idea che si possa fare fa il citico militante in piena autonomia, senza però dover fare i conti con i contesti materiali.

    Ma se se un critico non parla dei contesti materiali in cui i personaggi dei romanzi si muovono (come si procurano da vivere, da mangiare, cosa sognano, come sognano, che libertà hanno, chi domina le loro vita, come si ribellano alle loro vita, chi opprime o non opprime la loro vita) che critica fa?

    Secondo me, Canzian, fai bene a pensarla come la pensi. Chi critica il moralisnmo, vuole solo dire, che siamo tutti uguali, tutti con le mani nella merda, tutti meschini. No. non tutti. Qualcuno. I bambini dicono, ‘chi lo dice lo sarà’. Persino Berardinelli non lo è, meschino, quando dice, sono solo, sono colpevole. Se, no, chiedeiamoci un po’, perchè lo direbbe? Perchè si autodefinisce colpevole, eh? Perchè Berardinelli fra quelli che lavorano al foglio, è di quelli troppo intelligenti, non troppo poco intelligenti.

  36. Una volta nella storia, nei romanzi ecc. la colpa rimaneva normalmente nascosta nell’individuo , ben dentro il suo foro interiore, finché per un motivo o per l’altro emergeva come ammissione, punizione ecc.
    Con l’articolo di Berardinelli invece siamo di fronte a qualcosa di diverso, che non vorrei divenisse l’ultima frontiera del costume degli italiani:

    la professione di colpa (invece della banale confessione).

  37. D’accordo con yara: sarebbe un nuovo mestiere, oltre che un nuovo costume. assieme a quello del giustificazionista di cui parlavo sopra. che ha raddoppiato e migliorato in qualità, un po’ quello del portaborse.

  38. Scarparo, piantala di cianciare, fatti una dormita, ogni tanto. Ma ti rileggi? Cosa centrano i “contesti materiali” dei personaggi dei romanzi che il critico critica con i contesti materiali del critico? Ma di che cazzo cianci, perdio?
    Infine: non ti permetto ti dire che chi “parla di moralismo pensa che siamo tutti meschini ecc. ecc.” E’ una tua convizione da ubriaca del web; fatti disintossicare, è meglio.
    Io penso che è meschino chi si lascia scappare un intellettuale di valore, e poi si lamenta che “Berlusconi è un monopolista”. E’ lui che ha dato una mano al nemico.

  39. Però, se non sbaglio, Fofi mise alla porta Berardinelli dopo che quest’ultimo iniziò a collaborare con Giuliano Ferrara, non prima.

  40. gentile insultatore, vorrei che pulendoti la bava, mi spiegassi come si fa a parlare di contesti materiali se si confonde o non si conosce, o si mente sul proprio di contesto materiale. un contesto materiale non è un’astrazione se non per chi conosca poco, non solo di letteratura, ma anche di cartoni animati (che della letteratura fanno parte, peraltro) comunque ripeto, visto che l’insultatore insulta e basta: berardinelli sul proprio contesto materiale non mente e il probelma se lo è posto. tanto è vero che si dichiara colpevole. parla di questo e asciugati la bava, per favore. grazie.

  41. Ho l’impressione che per molti fare critica (letteraria ono) sia considerato qualcosa di analogo al piantare bandierine o a timbrare cartellini di appartenenza. un critico mette in moto idee, le quali mettono in moto altre cose ancora, sia a livello intellettuale che per gli effetti performativi che hanno la potenza di provocare. Ed è su questa base che andrrebbero giudicati, anche quando il giudizio verte sulla coppia progressivo/reazionario. Il contesto cartaceo o editoriale, francamente, è molto meno importante. Parente non è di destra perché scrive sul giornale di Dell’Utri, né perché (lo leggo qui) sarebbe amico di Berlusconi: è di destra perché la sua idea di letteratura è reazionaria, monoliticamente formalistica, iper-autoriale, del tutto ignara dei processi di produzione culturale, ecc. Berardinelli (WOW! ho imparato a mettere al posto giusto le R e le L!) è di sinistra anche se scrive sul Foglio, perché il suo scetticismo (che non è conservatore, non in lui) lo ricollega a una tradizione scettica che parte quantomeno da Leopardi. Punto.
    Ah: anche il mito del “piccolo è bello”, riferito all’editoria, è reazionario, perché ripropone la distinzione “grande/piccolo” come un dato naturale che coincide con “cattivo/buono”. Io sono stato preso per i fondelli da piccoli editori, trattato molto bene da Mimesis, accettabilmente da Quodlibet, molto bene da Stile Libero/Einaudi. Sicome era lavoro, essere trattato bene o male lo considero una cartina al tornasole della concezione del lavoro che c’è in ciascuna di quelle case editrici.

  42. Girolamo, che si sia d’accordo con te o no, ‘Il Foglio’ lascia libertà a Berardinelli perché lo scetticismo di Berardinelli lo porta a dire, cosa che infatti fa: sono colpevole. Il che non è poco (consapevolezza estrema), l’ho appena detto, ma non è il massimo, considerando (l’ho dettosu anche questo) la troppa intelliegenza di Berardinelli. Diciamo che Berardinelli potrebbe divertirsi molto di più. E’ un po’ sprecato. Come molta sinistra, del resto. Forse qui ha ragione Arbasino: la paura tutta italiana di dover andare al lavoro in autobus fa sì che uno ogni tanto accetti anche qualche compromesso.

  43. Andiamo avanti così, che alla fine Berardinelli lo beatifichiamo, all’italiana (già è inserito nel gran filone scettico-leopardiano: sarebbe bello sentire il Conte, quello del Discorso sopra lo stato presente degli Italioti!)!
    Posso immaginare molte figure contigue all’autoritratto di Berardinelli: l’ingrato, il cinico, il dissimulato, il corsaro ecc. Ma tutte queste figure hanno in comune la convinzione di essere nel giusto, mentre l’autoritratto mostra uno che sente/sa/è convinto di essere nel torto, e non si pente, ma si lamenta/vanta. Come chiamare questa nuova figura? il masochista? il demoniaco?

    Ben altra cosa se Berardinelli avesse fatto un discorso ragionevole tipo: con la sinistra non m’intendo, il Foglio mi offre un posto e io accetto la sfida, di dire le mie cose anche in un fogliaccio; magari la perdo, ma vado a testa alta. Così invece, a testa bassa ma ben in vista….

  44. Ah signora mia, quanto ha ragione sui contesti materiali, e sui cartoni animati, poi!
    I suoi discorsi sono così chiari, direi lampanti!
    Complimenti per la chiarezza, signora mia! Oh signora mia!

    P.s.: pulisciti tu il bavaglino, Scarparo. E vai a giocare coi ragazzini.

    P.p.s: e impara da Girolamo, che ha fatto un discorso sensatissimo.

  45. E forse sei una che adotta il metodo della “scrittura automatica”. Breton però non è più fra noi per farti un bell’applauso.

  46. Continuo a non capire perché Berardinelli (che non è di sinistra, Girolamo, è solo intelligente. la critica di sinistra sul tipo di Bordieu, è quella che considera l’esistenza dei ‘campi di potere’, per es. . lo scetticismo può essere fondativo per essere di sinistra, ma non sufficiente) si dichiari colpevole. e nessuno me lo spiega.

  47. Ma:
    perché non proviamo anche a prendere in considerazione, con semplicità, che il critico letterario o cinematografico o il giornalista sono UN LAVORO? Sì, un lavoro come un altro, anche se meglio pagato e con orari più flessibili di un impiego in una banca? Non ci sono solo critici che scrivono sui giornali di destra, ci sono anche dei giornalisti politici, persone che gravita vicino a Rifondazione e scrivono, anzi, sono in redazione in testate di destra. Lo sanno i capiredattori, i direttori, ma fanno UN LAVORO e lo fanno perché sono pagati. Un No Global non può lavorare in banca, che è un’associazione che lucra e specula e fa strozzinaggio legale? Oggi i giornali, le televisioni, tutto è in mano al capitalismo. E i giornali in mano al capitalismo non è che “se ne fregano” delle pagine culturali. Semplicemente non la temono. Il capitalismo non teme la cultura, perché ha valutato che non rappresenta un pericolo di cambiamento. Questo dovrebbe essere un vero oggetto di riflessione, e non fermarsi di fronte ai segni vacui e mendaci su chi fa UN LAVORO. Berlusconi non pubblica solo Evangelisti e Wu Ming, che sono, forse, gli autori più eversivi d’Italia. Pubblica anche un bella biografia per immagini del personaggio più anticapitalista della storia: il comandante Che Guevara. Non ne ha più paura, perché e diventato cultura, e la cultura non rappresenta un problema da tempo. Anzi, è pure un buon elemento per fare un po’ di affari. Una volta è venuto a Bologna in un centro sociale Sandrone Dazieri a presentare uno dei libri del Gorilla, con Evangelisti. A un certo punto un ragazzo presente, poiché il discorso si stava spostando sul suo ruolo di responsabile del Giallo Mondadori, ha detto, forse per scaricare una sua ansia, che Sandrone era un infiltrato, mi sembra abbia usato anche la parola “guastatore”. Sandrone, che come tutti sanno ha fatto parte dello zoccolo duro del Leoncavallo, ha cincischiato, faceva “ah” e “oh”. Un guastatore nel ventre molle della bestia cattiva. Poi si è ripreso e ha detto che può fare questo lavoro in libertà, che ha mano libera. Perché è questo che fa Sandrone Dazieri nella pancia della bestia: non una missione, ma UN LAVORO, un lavoro che gli piace, e lo fa bene.

  48. Muaje suiperfetmon d’acoravecclamì Barb ierì, ilne fopaasctèulir lejurnòavecle pagculturel, ojurduì selmondlamerd’italì.
    Ocon trer Je nesui padacor avec la prolixitedela Scarparò, elle neme rapelpas l’anvon sion del’ecritureoto matic: ele soporific, pa oniric.
    Je ve salu garsonje iun puentavec Duchamp.
    bons uaré
    a.b.

  49. Qui il dibattito si è allargato a dismisura, l’intervento di Baldrus mette nel calderone tante altre cose… Io ribadisco come la penso: il problema non è lavorare in banca, stare nel sistema, lavorare nel capitalismo. Tutto questo è pacifico, assodato, non pensavo nemmeno ci fosse ancora bisogno di dirlo. I miei commenti riguardavano la natura e la “missione” di tre giornali precisi (e non ho aggiunto “Libero” perché quello sta ancora più in là, nella categoria dei fogli che ti dimentichi di nominare perché l’imbarazzo e lo schifo te ne fanno rimuovere l’esistenza). Continuo a pensare che fare il bancario e scrivere sul “Giornale” non siano affatto la stessa cosa e non andrebbero mai messi sullo stesso piano a titolo di esempio. Nemmeno dirigere il Giallo Mondadori e fare il titolista di “Libero” sono la stessa cosa. Non mi risulta che Dazieri abbia mai donato ai lettori cose schifose come i titoli di “Libero” contro Baldoni e le Simone. Ci sono diversi livelli di compromissione (anche estetica) con la “bestia”, alcuni sono inevitabili, altri sono evitabilissimi, altri ancora sconvenienti, e alcuni – francamente – inaccettabili. Per quella che è la mia sensibilità, se uno non è un pasdaran berlusconiano non ha nessun senso che scriva sul Foglio, su Libero, sul Giornale o sul Domenicale.

  50. perdonate l’ingenuità, ma qualcuno ‘sti benedetti articoli di Berardinelli, liberamente disponibili in rete, li ha letti? tutti? non per altro, a me interessano le date e la pagina in formato .pdf delle sue pubblicazioni, per cui se qualcuno gentilmente volesse indicarmele – qualcuno che, prima di parlare di faziosità e depotenziamento, condizionamenti occulti e destra/sinistra la pagnotta e la minestra, fosse andato a documentarsi direttamente alla fonte – gliene sarei eternamente grato. il primo che mi aiuta gli regalo Sarah di JT Leroy.

    per me la rete è davvero un’altra cosa, il dibattito in rete, ovvero quello che graniticamente si potrebbe indicare come formulazione di una coscienza di classe, quando si incardina sulla disponibilità e sulla fruibilità gratuita delle risorse.

    @angela scarparo: attenta che i ganci di franz kappa sono un diversivo. il suo colpo più temibile è l’uppercut.

  51. Betti, tremo tutta per i pugnetti di K. In quanto a quello che Berardinelli ha scritto: non so dove tu possa trovarli. Però a me è piaciuto molto l’articolo sulla mancanza d’ironia di Eco, quello sul ‘buco’ che costituirebbe uno dei romanzi di Tabucchi. Voglio dire, condivido i suoi giudizi. Sbaglierò. Ma credo che uno così – per me – efficace (diciamo così), invece di lamentarsi (sulla sinistra istituzionale che esclude i bravi e accetta le pecore. sul malcostume della sinistra stalinista. è vero, chi dice il contrario? ma che c’entra? uno non può provare a fare altro?) e accettare di limitarsi (perché alla sua completa libertà non ci credo, anche se può essere che io mi sbagli) avrebbe potuto inventarsi qualcosa d’altro. Però forse sbaglio. Vado alla manifestazione con 17 ore d’anticipo, va :).

  52. angela, aspett’n attim: il foglio ha un sito. c’è un archivio. ti iscrivi gratuitamente, ci metti dieci secondi o poco più, entri e poi cerchi con pazienza.

    lo ribadisco: il fatto che in rete sia gratuitamente disponibile quello che Berardinelli scrive per mestiere su un giornale che si paga nella forma cartacea, rende in rete ogni discorso sulla possibilità per un pensiero progressivo di farsi strada attraverso un canale che in altre condizioni inficierebbe la disponibilità dell’opera (non compro un giornale di merda/pagato dalla CIA/filoberlusconiano etc.), preventivamente nulla.
    il fatto dei condizionamenti mentali è tutto da dimostrare, e la documentazione serve a quello. chi mi aiuta?

  53. ‘nullo’ (il discorso etc.) in vece di ‘nulla’. pensa se scrivevo ‘nilla’. poi mi toccava cantarla.

    ‘fanculo, son mancino e strabico.

  54. E’ sempre utile saperne di più, e leggere ad es. gli articoli di B. sul Foglio. Ma ciò non sposta la questione: più intelligenti infatti sono, più assurda diviene la sua professione di colpa. Sto al testo, e mi chiedo: perché si professa colpevole?

    B. premette: *mi sporcherei perché faccio il recensore per un giornale di cui non condivido la politica? In verità di nessuna formazione politica condivido la politica* La sua risposta cioè è: no. Quindi non è perché scrive lì che si sente sporco/colpevole.

    Poi aggiunge: *Scrivere sul Foglio mi permette di far capire che con l’attuale “famiglia” della sinistra (che voterò, ahimè) ho ben poco in comune. I loro idoli, i loro miti e i loro boss intellettuali io li detesto* Il Devoto-Oli dà detestare = avere in odio per motivi di ordine morale. Dunque B. giudica i boss della sinistra dichiarandoli moralmente colpevoli (con la parola stessa “boss”). Il sentimento sotteso al suo giudizio però non è semplice disprezzo = sentimento di risoluta svalutazione nei confronti di persone ritenute indegne, ma odio. L’odio, non meno dell’amore e assai più del disprezzo, ha la caratteristica di legare: così, con la sinistra B. ha ben poco in comune (tanto da definirsi “solo”), e però la chiama seppur tra virgolette famiglia (cui si dichiara ancora legato dal voto).

    E conclude: *Scrivo sul Foglio perché … mi permette di sentirmi come senza dubbio sono: colpevole* Chiunque abbandona la famiglia per un dissidio, da un lato la accusa apertamente di colpevolezza, dall’altro si sente segretamente in colpa. B. fa un passo in più: professa la sua colpa. Allora mi pare di capire: sembra un masochista/demoniaco, ma è uno che chiede perdono – indirettamente/irresolutamente, perché è confuso/combattuto.
    Uno così, lo perdonerei (anche se non capisco: *penso che gli intellettuali esistano per giustificarsi*).

    PS. Mi ha colpito un commento di DB sotto un altro post di NI, e mi sono orientata su quello (forse perché DB lo conosco, come anche altri, penso)

  55. Gianni Biondillo: il dove e il cosa…

    (a commento di alcune questioni sollevate nella replica di Gianni Biondillo ad Alfonso Berardinelli) Che il contesto sia irrilevante, per chi esprime un’opinione, è quel genere di stupidaggine di chi ritiene che un’idea si possa rinchiudere in una f…

  56. la pandemia di parole in atto, anzi di parolismo, su questioni di vignette ratsiste e “è satira-non è satira”, su questione berardinelli che scrive sul foglio della moglie di berlusconi, più che chiarire mi pare che obnubili.
    le questioni de principio tirano molto.
    ma non quelle principali.
    tra le quali metterei il fatto che gran parte degli intellettuali italiani sono più o meno nella condizioni di berardinelli, cioè lavorano e pubblicano per il Capo, gli fanno fare soldi, quando non lo appoggiano esplicitamente, o, più spesso, implicitamente.
    insomma la cultura di sinistra si odia e lavora per Lui, supplendo largamente ad una cultura di destra che non c’è.

  57. tash, hai un po’ frullato insieme servitù, servaggio e servilismo, però la tua ultima frase è illuminante.

  58. Insomma, purtroppo oggi potrò pistolottare poco, e mi dispiace. La cosa noiosa, di Berardinelli, è il lamento. “Io sono stato costretto a lavorare per Ferrara (che mi ha reclamato) perché alla sinistra sto sui coglioni!”. In questa frase non c’è niente sulla sinistra istituzionale che noi già non sappiamo, una cosa che la sinistra fa anche a livello strettamente politico: o stai con noi, ci appoggi, parli bene di Scalfari e De Benedetti o TI FACCIAMO FUORI”. In questo Berardinelli ha ragione. E quel che ne fa, di questa sua ragione, che lo fa passare dalla parte del torto (!)

    ‘Uno di sinistra’, per come lo vedo io, si apre un ristorante, si prende una casa sul pizzo della montagna (dove spende 50 euro in quindici giorni) e usa Internet tutti giorni, va a vivere a casa dell’amica ricca, (rimane a fare l’onesto professore amato dagli studenti che insulta Ferrara quando va in pellegrinaggio” non si fa più salutare da Ferrara ed è amato per questo! torna a vivere con la mamma) ma non diventa (come dice bene e giustamente Ivan) balbuziente. Non lo fa. Perchè uno di sinistra, per come lo vedo io, VUOLE CONTINUARE A DIVERTIRSI. Non gliene frega a UNO DI SINISTRA di fare IL MARTIRE con le mezze parole, le mezze frasi (ma che due palle!) stando sempre attento a non insultare LUI (piaciuto Tashego, che mi piace quasi sempre). Praticamente Beradinelli è una specie di Arbasino (intelligente, non di sinistra, brillante, caustico e colto!). C’è una sola differenza: per tutta la vita per quel che io ricordi ad Arbasino sono stati rotti i coglioni per il fatto di essere di ‘destra’.

  59. Sono contento che qualcuno riesca ancora a fare certe differenze, che la confusione NON regni sempre sovrana, sono contento che si parli di contesti più che di principi… e tra i vari interventi che ho condiviso, quelli di Canzian mi sono sembrati particolarmente chiari e precisi.

  60. Ringrazio Andrea Inglese. Il mio sforzo di esprimermi in modo chiaro nasce da un turbamento. Rimango perplesso e, appunto, turbato, quando trovo riportati sui lit-blog articoli di autori dai quali non me lo sarei aspettato, con l’avvertenza: “Questo articolo è apparso su Il Giornale in data…” o si riportano pezzi dal Foglio e dal Domenicale come se si trattasse di organi di informazione qualsiasi. Non capisco. Onestamente, non capisco, e per quanto mi sforzi non trovo nessuna giustificazione. Allora perché non scrivere anche su “La Padania”? Gli argomenti di Krauspenhaar, Baldrus e altri mi sembrano estranei al problema che sollevo, che è anche diverso da quello che solleva Georgia. Io non mi preoccupo affatto che Berardinelli “cambi” perché scrive sul Foglio. Mi preoccupa un altro fatto: che scrivere sul Foglio sia da alcuni considerato normale, un modo come un altro di guadagnarsi la pagnotta, come se non fosse il giornale-partito-manipolo di un personaggio esecrando quale è Giuliano Ferrara, il giornale dei teo-con, degli “atei devoti”, dell’appoggio da “crociati” alla “guerra infinita” di Bush. Ripeto, allora perché non scrivere su “La Padania”? Perché non è chic? A me scrivere sul Foglio appare come una scelta di campo, e non mi sembra un abbaglio da parte mia: c’è stato un lungo lavoro del Foglio stesso finalizzato a dare quell’impressione. Tutte le scelte compiute giorno dopo giorno da quel giornale, hanno costruito un contesto in cui Ferrara può fregiarsi di ogni nuova collaborazione “prestigiosa” come di un fiore all’occhiello: “Anche questo ha scelto noi, prendete e portate a casa!”. Ma ci vuole così tanto a non accontentarlo, a sottrargli almeno qualcuna di queste piccole vittorie?

  61. Il presupposto taciuto dell’intervento precedente è che si possa scegliere in tutta tranquillità e comodità per chi lavorare. Ferrara non mi va, vado a lavorare al “Corriere”, al “manifesto” o in qualsiasi altro posto con giuste credenziali. Peccato che non sempre questo è il caso, tra i comuni mortali, anche se “intellettuali”.
    In questo caso non credo ci sia stata tutta questa grande scelta. O sbaglio?

  62. Giardiniera, sei grande nella tua difesa a oltranza dell’operato di Beradinelli, a prescindere: se fosse un tuo parente, credo che metteresti meno impegno nel sostenere le sue ragioni. Senza entrare nel merito di tutte le questioni etiche e politiche che il dibattito ha sollevato (e sulle quali ritengo inutile ritornare, perché si tratterebbe di ribadire tesi, a favore o contro, già ampiamente argomentate) a me preme farti notare, comunque, che nella sua risposta il nostro non è mai entrato nel merito delle questioni sollevate dagli Andrea, questioni eminentemente letterarie dico. A me, però, da lettore e cultore di letteratura francese (e non solo), da lettore attento dei (notevoli) lavori critici prodotti dal Ber. fino a qualche anno fa, continua a fare un po’ senso (per non dire altro) veder liquidata in blocco una certa tradizione letteraria francese (sperimentale o meno che sia) con la “brillante” pezza teorica di supporto che non si tratterebbe di poesia. Da un critico del suo acume, e dei suoi trascorsi, ci si aspetterebbe ben altro. E quando Inglese gli chiede di spiegare cosa sia per lui poesia, quali siano i presupposti critici ed ermeneutici in base ai quali fa certe affermazioni, sentirsi rispondere con una fotocopia della dichiarazione dei redditi o con una riflessione (anche accattivante) sulla solitudine del “compagno” incompreso, fa letteralmente cadere le palle, se permetti.
    Detto senza nessuna ironia, perché non provi tu a dare una risposta, piuttosto che perderti, ad ogni intervento, in un panegirico acritico di vita-morte-miracoli di sant’alfonso? Te lo chiedo solo perché ti ritengo in grado di farlo; in caso contrario, è solo un modo come un altro di ingannare il tempo. Ma credo ce ne siano sicuramente di più piacevoli, ne converrai. In sostanza, chiedi a Berardinelli di rispondere con argomenti critici fondati, e non col piagnisteo, alla stroncatura senza possibilità di appello dei testi antologizzati su NA. Io li ho letti, e ti assicuro che almeno un paio di quegli autori scrivono delle cose strepitose, degne comunque di rispetto, e non di essere depositate nel bidone dei rifiuti solo perché non si incastrano negli schemini critici che il nostro è venuto elaborando negli ultimi anni. Sia colpa o meno della sua “militanza” nell’osceno “partito” ferrariano, e quindi comunque consapevole dell’azione propagandistica che lo stesso svolge a pieno servizio, non credo sia la questione fondamentale. Sul piano critico-letterario, cioè nel suo campo d’azione specifico, la questione è quella che si evince dalle domande di cui sopra. Alle quali, ad ogni modo, non ha risposto, e non risponderà: perché quella tradizione la ignora, o la conosce per sentito dire.

  63. Scusa Alessandro Canzian, è una storia vecchia: qualche mese fa ho letto su N.I. un pezzo pubblicato da un giovane “scrivente” anche sull’organo ufficiale di “Forza Italia” e tutti l’hanno considerata cosa “passabile”. Da dove nasce tutto sto casino? Certo, Berardinelli è uno studioso con una storia, studi, frequentazioni alle spalle e sconcerta taluni la sua collaborazione al “Foglio”… E quei giovinastri che scalpitano per pubblicare le loro operine (si fa per dire) da Einaudi, Mondadori? E quei tizi che scrivono i loro interventini sul “Giornale”?

    Che mondo “letterario”!!! Oggi è il decennale della partenza di una delle mie amiche più care, Amelia Rosselli. Scorro l’elenco degli invitati alle “commemorazioni” e non trovo il nome del poeta Elio Pecora, l’unico rimasto di una generazione… In compenso trovo il nome di tale Insana Jolanda che Amelia non sopportava e stimava affatto, per non parlare degli “altri” presenzialisti ad oltranza. Ma dov’erano costoro il giorno dei funerali di Amelia?

  64. fm: se fosse un mio parente o un mio amico certo non lo difenderei in pubblico in questo modo.
    Per strani casi sono da tre anni impegnata in letture critiche sulla poesia contemporanea. Vi garantisco che è un’esperienza devastante (non per via della poesia, ma proprio per via della critica stessa).
    Berardinelli è uno dei pochi che non mi peggiora l’esofagite, anzi, quando lo leggo mi sento subito meglio: scusate il lacerto di datità scottante e personale. Vi pare poco?
    Lo sto giudicando per quello che hai scritto. Non lo ritengo santo. Essere santo per me non è un valore: sono laica.
    Detto questo ti chiedo, @fm: si può sapere perché il mio sarebbe un “perdermi, ad ogni intervento, in un panegirico acritico di vita-morte-miracoli di sant’alfonso?”
    @fm: Perché mai dovrei mettermi a dare risposte a te sulle domande che mi poni? Non mi interessa: non ho tempo di scrivere qualcosa di serio su questo argomento (ci vorrebbe ben altro che un interventino qui) e non voglio semplificare condensando ciò che penso in quattro righe scritte di fretta.
    Perché i miei interventi sono difese acritiche e gli altri normale coerenza?
    Dovrei forse cambiare idea e smettere di difenderlo? In tal caso dillo chiaro.
    Simona Niccolai

  65. Simona:
    Berardinelli è uno dei pochi che non mi peggiora l’esofagite, anzi, quando lo leggo mi sento subito meglio:

    g:
    Mio dio sarà mica quello che io chiamo un genio irriducibile? ;-)

    Simona:
    Vi pare poco?

    g.
    A me sinceramente pare l’unica cosa che conti veramente.
    Ma … torno alla mia domanda (perchè è quello che a me interessa, che berardinelli sia bravo io lo so benissimo) è prima o dopo i lanzichenecchi? ;-)
    Ieri ho letto l’introduzione di Berardinelli a Lettere luterane, edizione einaudi 2003, dal titolo Pasolini e la classedirigente italiana e mi è sembra veramente ottima e non ho trovato alcun passaggio di lanzichenecchi, ma …. era prima o dopo?
    geo

  66. Nel suo articolo, Berardinelli scrive: “Penso che gli intellettuali esistano per giustificarsi”. Il suo pensiero è cioé

    GLI INTELLETTUALI ESISTONO PER GIUSTIFICARSI

    E’ un enunciato generale, che racchiude una teoria: mi interesserebbe sapere se B. l’ha sviluppata in qualche libro o saggio, così da poterli leggere. Il contesto empirico dell’enunciato è una serie di accuse (mosse da Georgia): B. cioè afferma che potrebbe soprassedere, ma GLI INTELLETTUALI…
    Ecco, penso che l’enunciato sia falso: la cosa infatti vale o non vale per il genere-uomo, non per la specie-intellettuale. Siccome però B. lo ritiene vero, provo a tirarne le conseguenze.
    Qual è la differenza specifica dell’intellettuale? Una volta valeva la differenza lavoro intellettuale/lavoro manuale, ma ora chi lavora più con le mani? Molto alla buona, proporrei la differenza lavoro creativo/lavoro ripetitivo. Siccome “esistere per” indica il fine-destinazione, direi quindi

    GLI INTELLETTUALI ESISTONO PER LAVORARE CREATIVAMENTE

    ossia: per produrre nuove idee, opere, analisi, critiche, teorie ecc., e solo eccezionalmente giustificazioni (altrimenti il ruolo dell’intellettuale diviene quello del capro giustificatorio perenne, senza espiazione).

  67. scusate ma se uno dei più acuti, intelligenti, “storici” intellettuali italiani campa dei duemila (2000) euro di recensioni per un quotidiano, beh allora io starò sempre dalla parte di berardinelli (o di chi per lui nella stessa condizione) sia che scriva per il foglio, la padania o il secolo d’italia.

  68. Beh, visto il clima particolarmente elettrico di NI in questi giorni, la tua risposta non mi meraviglia, anche se, a dire la verità, mi aspettavo di meglio, soprattutto adesso che scopro che sei impegnata da anni in uno studio critico sulla poesia contemporanea. A maggior ragione, da uno studioso, o anche solo da un lettore attento, ci si aspetta risposte nel merito, fermo restando il buon diritto di ognuno di rispondere o meno: forse ci sono modi migliori per dirlo (“perché mai dovrei mettermi a dare risposte a te sulle domande che mi poni”), visto che, a prescindere dai risultati, si partecipa a un dibattito pubblico, dove la dialettica e il contraddittorio (non l’insulto, come spesso, purtroppo, avviene) dovrebbero essere la base comune, a prescindere dalle nostre convinzioni di fondo. Mi sembra di aver detto: che Berardinelli è (stato) un grande critico; che Berardinelli non ha risposto a nessuno dei quesiti di ordine letterario che gli sono stati posti in merito alla sua acritica e supponente stroncatura dell’antologia degli Andrea; che giustificare a tutti i costi la posizione di qualcuno, indipendentemente dalla sostanza dei rilievi mossi, mi sembra un’operazione acritica (con la simpatia e l’antipatia non si fa né critica letteraria, né si difendono le ragioni e i torti di nessuno); che ti ritengo, cara Simona Niccolai, in grado di rispondere esaurientemente alle domande a cui il nume si sottrae (quest’ultimo punto, in particolare, al di là della garbata ironia su sant’alfonso e i suoi devoti e sulla tua difesa ad oltranza, mi sembra fosse un complimento nei tuoi confronti). Poi vedi un po’ tu: ognuno coltiva il suo giardino come meglio crede. Io penso che, incazzature a parte, noi siamo in fin dei conti, come persone intendo, esattamente quello che scriviamo/diciamo, e il modo in cui lo facciamo, e a somiglianza del “luogo fisico” in cui quest’operazione avviene: a questo proposito, l’ultimo intervento di Alessandro Canzian, tra l’altro, chiude, a mio modo di vedere in modo definitivo, la faccenda. Io saluto, comunque: piaccia o no. Ciao e buone letture (anche quelle sulla vera sostanza e le vere ragioni di un intervento).

  69. Già, Aldo Biscardi, mica male fare come fm, far capire che si è dei veri intellettuali e poi poter dire che Berardinelli “ignora la tradizione francese o la conosce per sentito dire” senza doversi nemmeno firmare… cos’è, @fm, un dogma di fede al quale bisogna credere? Vuoi andare a fargli l’esame di “Cultura e Tradizione Francese Veramente Aggiornata”? Ma fagli tu un bel corso di aggiornamento, che diamine!
    Bene, vi saluto. Stiamo scivolando nel comico… :-)

  70. aldo biscardi
    alfonso berardinelli
    hanno le stesse iniziali non ci avevo mai pensato.

    Qui nessuno è in grado di fare l’analisi grammaticale a nessuno ;-) e poi, alla fin fine, mi sembra che qui il berardinelli abbia trovato quasi un fan club, sta a vedere che noi da ora in poi ogni mattina: il foglio (NASCOSTO) dentro il manifesto, e poi cappuccino e brioche ;-)

  71. Cara la mia distratta giardiniera/Simona Niccolai: il mio nome, cognome, indirizzo, numero di codice fiscale, abitudini alimentari e sessuali etc. etc., è stato depositato in un altro post dietro pressante richiesta del dott. Giulio Mozzi, un’altra cara persona che risponde solo a quelli che si firmano. Si dà il caso, comunque, che la tua/vostra polemica sull’anonimato non è che un “alibi” pretestuoso per non rispondere a chi, in modo molto civile, vi contraddice. A questo punto, visto che NI è frequentata da parecchi “tipacci” del genere, perché non ve ne state nei vostri bei blog e chiacchierate tra di voi, già d’accordo su tutto prima ancora che il tema della discussione venga impostato? Sai che bella una discussione con tante finestrelle e casine luccicanti che si accendono ad ogni intervento! Ti può capitare anche di incontrare, tanti aldibiscardi (Franz, dove sei?) e, soprattutto, qualcuno che, avendo dato del rincoglionito a un famoso tale, ora cerca, con interventi che nessuno ha richiesto, di rifarsi il trucco: operazione che non ha nessun senso: visto che chiara e lampante era la sua buona fede, quando ha dato, come io credo, un giudizio non sulla persona, ma su uno scritto di insostenibile retorica. Ciao cara, e attenta a qualche pianta storta.
    p.s.
    Esiste anche la comicità involontaria: quella di chi sta veramente scivolando nel comico e accusa gli altri dell’inciampo.

    @ Giorgio Di Costanzo

    Quello che dici sulla Rosselli, in generale, è, purtroppo, l’amarissima verità: e la dice lunga sullo stato dei blog e delle italiche lettere.
    Ciao.

  72. Insegno in un doposcuola di media inferiore: il complemento di scopo o fine (“gli intellettuali esistono PER giustificarsi”) rientra nell’analisi logica, non nella grammaticale.

    Giorgia dice: *Qui nessuno è in grado di fare l’analisi grammaticale a nessuno*

    Io dico: Qui ognuno può/deve fare l’analisi logica a ognuno.

    Aggiungo che l’analisi logica è l’unica da cui non si può prescindere in un dialogo (mentre l’analisi junghiana, ad es., rimane facoltativa).

    Concludo ipotizzando che se Georgia avesse controllato l’analisi logica delle sue accuse a Berardinelli, sarebbe stato meglio per tutti-e.

  73. Sul Foglio scrive regolarmente Luigi Manconi. E’ una delle firme che mi inducono a leggere quel quotidiano: spesso sono in disaccordo con lui ma resto incantato dalla etrogeneità della sua cultura, dall’ampiezza di interessi, dalla capacità dialettica. Manconi, la cui mascella è oggi sui manifesti elettorali di fianco a frasi come “Via dalla guerra subito” e altre amenità, fa le pulci agli articoli del Foglio, ne contesta le linee guida e fa sarcasmo sul direttore. Immagino che se quel giornale fosse un blog, la colonna dei commenti sarebbe piena di insulti per lui sia da parte dei lettori di destra sia da parte dei non lettori di sinistra. Per fortuna, invece, gli scambi polemici continuano a volare alto, sull’etica, sul civismo, sul pensiero. Quando Belardinelli dice di non essere in sintonia con le idee del suo giornale è quindi impreciso. Almeno con alcune della rubrica di Manconi dovrebbe essere d’accordo. Ma se, per ipotesi, dovesse essere d’accordo con qualche idea aderente alla linea editoriale? Io SPERO che ogni tanto lo sia, così come SPERO che i lettori del Manifesto ogni tanto siano in disaccordo con almeno una delle campagne di quella testata, come lo è stato il vicedirettore.
    Di una cosa sono certo: l’atteggiamento disincantato, sciolto, leggero, di Belardinelli è perfettamente in linea con quello della testata. Che non significa avere esattamente le stesse idee sull’art. 18 o sull’intervento in Iraq. Belardinelli, come tutti noi, non è un esperto di economia, né di geopolitica. Può discuterne, anche con fervore, magari altrove, ma il suo mestiere è un altro. E se trova poco interessante un verso, Ferrara che c’entra? Berlusconi gli ha rovinato il gusto? Lui ama la scrittura, di scrittura vuol parlare (DEVE parlare, chiunque qui abbia a che fare con la scrittura sa che si farebbe di tutto per diffondere i propri scritti, altro che andarsene al mare come suggerisce qualcuno). Naturalmente parlare di scrittura significa anche parlare del mondo, ma credo che la visione del mondo di Belardinelli vada oltre le contrapposizioni politiche spicciole, quelle di schieramento, muro contro muro.

    PS: ma Kerouac “de sinistra” che storia è? Il ribellismo dei beat è sempre stato avversato dai critici marxisti. Alleato inconsapevole del potere è il minimo che gli hanno detto.

  74. fm urca come sei cattivo con la giardiniera oggi , sbagli e sei fuori come un balcone (non quello di biondillo)
    Ti vedo un po’ risentito ultimamente, che succede? sembri uno yogurt scaduto ;-)
    Ad ogni modo tu hai dato nome e cognome ecc. ma qui non se lo ricorda nessuno perchè qui l’identità vera è uguale a un nick.
    Questo sta a dimostrare che la vera identità, anche se si conosce, non conta nulla, il nome vero qui diventa un nick, non ve ne siete mai accorti?
    o caso mai tu alludessi a me, io non mi sto rifacendo il trucco, non ne ho bisogno ;-)

  75. LUIGI MANCONI SCRIVE SUL FOGLIO???????
    Il manconi compagno della berlinguer?
    ecco perchè, da un po’ non lo vedo più sull’unità
    Ma qui non c’è più religione?
    Ora dimmi che ratzinger scrive su liberazione e devo davvero andare a rifarmi il trucco.
    Elio ma … da quando scrive sul foglio?
    MA ALLORA IL FOGLIO E’ DIVENTATO UN COVO DI COMUNISTI!!!! ;-) oppure è forse vero che la barca sta affondando e i topi cambiano salvagente e ballano e l’unico onesto intellettualmente, alla fin fine risulterà berardinelli ;-)
    georgia

  76. Georgia, se anche tu mi insultassi a sangue (ma esiste una pratica del genere?) saresti sempre on/in my mind: non so cosa farci, è più forte di me. :-))
    E, in ogni caso, ti avrei già perdonata: il ratzinger che scrive su liberazione è un must!: vale l’intera carriera di berar e dinelli sul fogliaccio. ;-)

    p.s.

    Ora che ci penso: lo sai che “yogurt scaduto” non me l’aveva mai detto nessuno?
    E stacci un po’ attenta: non vedi che, per seguire quello che scrivo (sì, proprio io: l’intellettuale che dà lezioni di francese al Ber.!??! Al massimo potrei tenergli un corso di formazione professionale!), ti stai perdendo le evoluzioni da circo equestre del maniconi?
    Gesù, che s’adda fa’ pe’ magnà!

    p.s.s.

    Mi sono annotato anche quella del foglio avvolto nel manifesto, niente male davvero. Mi ricorda vagamente una rivista porno infilata in una copia dell’avvenire. :-)

  77. ma se nemmeno si capisce biondillo cose vuole dire, preoccupato com’è di non offendere del tutto uno che nel campo delle scritture un po’ di potere ce l’ha.
    tutto sommato il Paese era, ed è, già bello che pronto a farsi mangiare in un solo boccone da Silvio, se non riesce a distinguere le questioni inerenti il sistema democratico e le sue regole – che trascendono la biforcazione destra-sinistra – dalle questioni inerenti le scelte politiche che derivano dai risultati elettorali e altro.
    se tutti ci mettiamo a lavorare per berlusconi come possiamo sperare di sconfiggerlo?
    possibile che questa piccola contraddizione, qui non salti agli occhi, né del biondillo ipse, né di nessuno?
    possibile che non capiate un cazzo di politica fino a questo punto?

  78. Manconi quando era portavoce dei Verdi si fece notare per una campagna per la riforma della giustizia che partorì nella Bicamerale la famosa “bozza Boato”, dal nome del verde Boato. Bozza contestata da molta parte della magistratura, specialmente da quella impegnata nella lotta alla mafia (ma non solo). La bozza Boato registrava una singolare convergenza con i programmi della P2 sulla giustizia.
    Dunque, cosa hanno in comune Boato, Manconi e Ferrara? L’avversione per l’attuale ordinamento della magistratura, che vorrebbero riformare nel modo suddetto. Non deve stupire, credo sia forse l’unico denominatore comune molti politici (di Destra o di Sinistra) con un passato militante o collaterale a Lotta Continua.

    @ Canzian
    Condivido ciò che ha scritto. Si pone però il problema di come considerare giornalisti o scrittori di Sinistra che scrivano per Giornale o Foglio o Domenicale per l’ostracismo di tutti gli altri organi di Sinistra. In questo caso non si può dire che loro abbiano fatto una scelta, poichè le possibiltà sono lo scrivere per i media berlusconiani o il non scrivere. Scegliere la prima potrebbe avere il significato di una protesta all’intellighenzia di Sinistra. Peraltro, il fatto che intellettuali di sinistra scrivano per organi del regime berlusconiano non solo non intacca il regime, ma lo rafforza poichè in tal modo esso appare IN APPARENZA pluralista. La questione è dunque spinosa.
    Infine, vorrei chiedere la sua opinione su scrittori affermati che non esitano a dichiarare il loro antiberlusconismo e scelgono di scrivere per Mondadori.

  79. ma investire i soldi di famiglia per fondare un giornale, no eh? vivere con poco e andare a ballare? neanche! che dire poi di fare qualche bella lotta poltica per avere diritto a un affitto decente! ma per carità. seri. seri. seri. mi raccomando.

  80. Ho già scritto cosa penso dell’ultima questione che mi propone, Galbiati, nei miei commenti precedenti: non credo che pubblicare per Einaudi o Mondadori o Sperling & Kupfer sia di per sé cosa da condannare e basti ad accusare qualcuno di incoerenza o cerchiobottismo, per ragioni che sono state spiegate più volte e in modo migliore di come potrei farlo io (si veda anche il link “annosa questione” proposto da Gianni Biondillo). Mi limito ad aggiungere un’ovvietà: Giulio Einaudi Editore, qualunque critica si possa fare e senza voler mettere nessuno sul piedestallo, non è moralmente né esteticamente equivalente a Maurizio Belpietro o Vittorio Feltri. Dietro Einaudi c’è una storia che trascende i suoi attuali assetti di proprietà. C’è un catalogo, ci sono scelte, c’è un “profumo” che non è quello di Berlusconi. Non mi soffermo invece sul profumo di Belpietro, o di Ferrara.
    Tiziano Scarpa e Andrea Bajani (per dire due nomi vicini al percorso di Nazione Indiana nelle sue due versioni) pubblica per Einaudi? Non mi dà nessun fastidio. Ma se Tiziano Scarpa scrivesse su “La Padania”, questo mi darebbe parecchio fastidio. Di più: mi farebbe ribrezzo. Se Andrea Bajani scrivesse su “Libero”, mi farebbe ribrezzo.

  81. Alessandro Canzian, magari non capisco niente, ma i tuoi interventi mi sembrano getti di acqua fresca in pieno deserto. Grazie dell’abbeverata.
    Sottoscrivo.

  82. Alessandro Canzian, sono d’accordo con te, ma solo in parte. Ribadisco che il punto qualificante, l’aspetto più preoccupante, è che il Potere non teme la cultura, la letteratura, la poesia. Anzi, pubblica a cuor leggero opere di forte contenuto antistema a ci specula pure.
    Sull’aspetto invece così sofferto e discusso della compromissione di giornalisti e/o critici di sinistra nei cosiddetti giornali fogna, e quindi negli organi attivi del capitalismo, un conto è una collaborazione volontaria, cioè un intellettuale che si muove, propone, cerca uno spazio e si rivolge a un giornale fogna, iniziativa che può essere discutibile, un altro è UN LAVORO. Ora, per me non c’è alcuna differenza, ma proprio nessuna, tra il lavorare per una banca o per un giornale fogna (questo definizione giornale-fogna non è mia di ma di Ellroy); la banca non è solo lo sportello dove andiamo a depositare i soldi; è un elemento attivo del sistema capitalista; le banche hanno partecipazioni azionarie in varie multinazionali, aziende che devastano pezzi di pianeta per disboscare, che delocalizzano il lavoro e sfruttano manodopera minorile; lavorare in banca significa partecipare al sistema; anche i giornali fogna sono parte attiva del sistena capitalista e un giornalista senza lavoro può lavorare lì come l’impiegato di banca. E’ la stessa, medesima cosa. Poi, fuori, si lotta contro il sistema, le banche, le multinazionali, e l’informazione fogna.

  83. Georgia, Manconi per almeno un anno, ma credo di più, ha scritto CONTEMPORANEAMENTE sull’unità e sul foglio. Si può fare, il nostro ordinamento giudiziario non contiene una legge che lo vieta. Come nessuno vieta a me di leggerli entrambi. La rubrica di Manconi sull’unità si chiamava “a buon diritto” e trattava questioni sociologiche e giuridiche. la sua rubrica sul foglio si chiamava “cortesie per gli ospiti” e trattava ben altri argomenti, ovvero si incaricava di confutare e commentare tutte le boiate oscurantiste e teocon che nel foglio della settimana precedente erano contenute, giungendo fino all’invettiva, tanto da arrivare ad essere definito un “porco” da ferrara stesso in un momento di irritazione. Dovete saperle queste cose prima di parlare, altrimenti meglio tacere o si rischia di dire grosse stronzate, come quella dei lanzichenecchi, che ti piacerà tanto come termine, ma è stata una cazzata (poichè berardinelli tu sul foglio non lo leggi e non sai cosa scrive), e qualcuno te l’ha fatto notare, per fortuna. E cerca di evitare di insultare o prendere in giro le persone che fanno discorsi seri e non dicono cazzate, anzichè chiamarli yogurt scaduto, o altre stupidaggini. Spesso sei tu ad avvelenare il clima, te ne rendi conto?

  84. Mal dei Primitives datti una calmata, impara a stare al mondo, se ci riesci. E continua pure a leggere il quotidiano da 8000 (ottomila) copie…

  85. Be, Canzian, sul pubblicare per Mondadori non abbiamo le stesse idee. Se la rivista musicale di cui parla Wu Ming 1 è Il Mucchio – la stessa in cui lei scrive e di cui io sono lettore, benché parecchio critico -, io sto con il Mucchio, pur non condividendone i toni. Certe affermazioni di Wu Ming 1 mi sembrano insostenibili. Di oggettivo ci sono solo due cose:
    – quanti scrittori possono fare le pulci alla carriera imprenditoriale e alle grane giudiziarie di Berlusconi come fa ad es. Marco Travaglio e sperare di essere pubblicati per Mondadori o Einaudi?
    – se anche gli scrittori di sinistra riuscissero a divulgare idee di sinistra grazie alla potente capacità distributiva di Mondadori (ma non certo idee di sinistra sulla persona di Berlusconi), chi ne avrebbe vantaggio a livello economico?
    Grazie a chi crede di combattere il nemico dall’interno (e che, a quanto leggo in Wu Ming 1, poco considera il boicottaggio) si crea un effetto di normalizzazione: il monopolio passa alla fine come qualcosa di normale, e quindi di giusto, in quanto sarebbe un pluralismo di fatto – col cazzo che lo è!
    E non a caso nell’articolo di Wu Ming 1 si sostiene che Berlusconi è sopravvalutato, che non è così potente. Rispetto i motivi posti a giustificare questa affermazione, ma mi verrebbe da dire: be’ diamogli ancora 5 anni, vediamo se quando riuscirà a distruggere ogni parvenza di democrazia in Italia comincerà a fare paura…
    Credo che abbiamo differenti pdv, lei ed io, perché lei condanna chi scrive per Giornale, Libero ecc. perché questi sono quotidiani militanti che mirano a distruggere la cultura di sinistra, io invece critico la scelta di essere pubblicati per questi quotidiani o per le case editrici di Berlusconi perché Berlusconi è un politico monopolista dei media televisivi e di buona parte dell’editoria. A me questo basta.
    (E il discorso sulla grande storia dell’Einaudi non scalfisce il mio ragionamento; comprendo i motivi che spingono a farsi volere pubblicare per Einaudi e non li condanno, credo solo che siano in contraddizione con una testimonianza civile di opposizione a un regime).
    Insomma, io ne faccio una lotta contro il monopolio prima che una lotta politica – che peraltro certamente rende la situazione qualitativamente più grave, denotandola come regime.

  86. Galbiati, faccio notare che Einaudi Stile Libero ha pubblicato solo lo scorso anno il pamphlet contro Berlusconi di Paul Ginsborg, intitolato “Berlusconi”, che certo non risparmia niente all’attuale premier, e l’editore torinese ha pubblicato cose forti contro l’attuale governo e la sua cultura, come il saggio di Luzzatto sul post-antifascismo etc. Credo che pubblicherebbero anche Travaglio, se lui fosse disponibile. Ma a parte questa piccola nota, se io fossi stato un autore Einaudi nel momento in cui il gruppo Mondadori cooptava la casa editrice, anziché fare la scelta comoda ed esteticamente attraente di andarmene sbattendo la porta, probabilmente avrei fatto la scelta più difficile e meno gratificante sul breve periodo: sarei rimasto, perché andandomene avrei facilitato gli eventuali piani di chi voleva “svuotare” completamente quel marchio, sottrarlo alla sua storia, mandare a ramengo un catalogo di grande prestigio e importanza. Ma io non sono un autore, sono solo uno che fa un’ipotesi. Però non ricordo autori che all’epoca abbiano sbattuto la porta, mi sembra che siano rimasti tutti (o quasi). Detto questo, figurarsi se non sono d’accordo sul fatto che non dobbiamo concedere a Berlusconi altri 5 anni. Questo però non è in contraddizione con l’idea che un certo “mito” di Berlusconi, tutto funzionale al suo potere, sia stato costruito soprattutto nel campo avverso. Berlusconi non è onnipotente, non è onnisciente, è invadente ma non è onnipresente. E’ umano, mortale, cadùco e sconfiggibile. Infine, a proposito Mucchio Selvaggio: io sono un collaboratore (saltuario e di terza fila) di quella rivista, e ne conosco svariati redattori. Posso garantire che tutta la bailamme sulla “annosa questione” interessa soltanto a due persone (il direttore e un opinionista), tutti gli altri sono rimasti nauseati dalle polemiche ad personam e dagli attacchi violenti (e volgari, e pieni di illazioni sul piano privato e personale) riservati a Evangelisti, ai Wu Ming e a molti altri. Io credo che questa “annosa questione” abbia stancato, tra l’altro era tutta un’operazione d’immagine, nell’Italia degli ultimi anni non ho visto nessun boicottaggio organizzato di libri Mondadori et similia, e il Mucchio stesso li recensisce senza problemi, numero dopo numero.

  87. Baldrus, non so… Ma ci crediamo davvero a quest’immagine di Berardinelli (o chi per lui) tapino proletario disoccupato con le pezze al culo e respinto da tutti, lasciato senza alcun aiuto, costretto a collaborare con Il Foglio per non morire di inedia? Mi sembra che tra il trovare un lavoro in banca e un associare la propria immagine a un giornale-fogna ancora ce ne corra… E, no, non ho detto che Berardinelli dovrebbe andare a lavorare in banca.

  88. fango? perché? la tua lettera non dice, non decide, non ha ragione e non ha torto, si vede che hai paura di sbagliare e di offendere. l’aver percepito questo non diminuisce l’apprezzamento per le cose che vai scrivendo qui. obbiettare non è infangare.

  89. Berardinelli nel suo articolo ha ragione a dire che uno in democrazia scrive dove può e vuole, che tutti più o meno facciamo un lavoro e una vita compromessi. Ma sbaglia su 2 punti:
    1- prendersela con un commento pseudonimo in rete. E’ come prendersela con una scritta in un cesso pubblico: uno la legge e va via, non ci torna su pubblicamente (un blog senza regole può essere un pensatoio quanto un orinatoio, e attualmente mi sembra un pensorinatoio).
    2- introdurre 2 dati suoi personali “proprio per il gusto di giustificarmi” (addirittura “Mi piace giustificarmi”).
    a) “vivo con i 2000 euro mensili che ricevo” dal Foglio;
    b) “Non ne condivido la politica”, ma “scrivere sul Foglio mi permette di far capire chiaramente che con la ‘famiglia’ culturale della nostra attuale sinistra (che voterò, ahimè) ho ben poco in comune”, e “di sentirmi come senza dubbio sono: colpevole e solo”.
    Su google ho visto che Berardinelli ha 63 anni, ha scritto molti libri e a insegnato all’Università di Venezia dall”83 al ’95. Visto che gli piace giustificarsi, riceve o no qualche diritto d’autore da aggiungere ai 2000 euro? E cosa gli è successo dopo il ’95, a 52 anni? E’ stato sbattuto fuori dall’università, ha abbandonato lui o è andato semplicemente in pensione? Nel qual caso…
    Berardinelli si definisce “solo” perché senza “famiglia”-sinistra: ma perché si definisce “colpevole”? Dal contesto si capisce: perché scrive sul Foglio-destra. Ora, il Foglio gli permette di professare/protestare sia la sua solitudine rispetto alla sinistra, sia la sua colpa di stare insieme alla destra. Ma s’intuisce che qualcosa non quadra, e difatti sul Devoto-Oli:
    giustificarsi = rendere ragione delle proprie azioni dichiarando o dimostrando la propria buonafede
    buonafede = convinzione soggettiva di pensare e operare rettamente
    rettamente = in piena conformità a un principio di giustizia
    Invece Berardinelli ritiene che giustificarsi = rendere ragione delle proprie azioni dichiarando la propria colpevolezza (e dimostrando una scarsa conoscenza dell’italiano, della logica e forse anche della morale).

  90. Il mio commento qui sopra l’avevo inviato l’8 febbraio al blog Georgiamada, sotto un post che riportava l’articolo di Berardinelli. Georgia (uno pseudonimo, o tutt’al più un nome proprio come il mio), dopo 5 minuti mi ha risposto così:

    *mio dio, ma chi sei??? Non condivido neppure una virgola del tuo commento astioso. Mio dio smebri un agente del minculpop. Poi non ho capito dove avrei torto visto che dici tutto e il contrario di tutto ;-). Ad ogni modo quello che scrivo io non è un commento pseudonimo e si capisce ;-). mentre leggere te è proprio come leggere le scritte sul cesso quindi la chiudo qui. Per favore fai altrettanto.*

    Data la mia ignoranza, pensavo che minculpop avesse a che fare con la Russia sovietica, ma stamattina ho cercato su google, e dunque io Yara sarei
    1. un (senza apostrofo) = maschio
    2. agente = operante per conto di terzi (Devoto-Oli), ossia per il
    3. minculpop = fascista

    Vi sembra bello, giusto e vero?

    PS Georgia in effetti potrebbe ribattere che non ha scritto che “sono”, ma “smebro”.

  91. mi vien da dire che la politica è una merda e che il foglio è molto meglio di altri giornali. e che se mondadori mi pubblicasse accetterei. e che dazieri è uno dell’area antagonista. e che se anche sarò insultato l’importante è che si parli di me. e che leggendo la lattera di berardinelii, avendo la disgrazia di essere ignorante anzichenò, l’ho trovata buona e bella anche se non so un cazzo di poesia francese. e che se essere di sinistra vuol dire essere ottusamente contro chiunque non lo sia, o che lo è in trasferta, sono fiero di me stesso per il fatto di non riuscire a votare per, ma al massimo di sapere per chi non votare. sono sempre stato di sinistra fino a quando ho scoperto che aderivo ad una formula astratta e per non sentirmi solo. da allora, non sopporto la parola comunista. così come non sopporto berlusconi e i suoi lecchini, ma ciò non toglie che il foglio è molto meglio di molti altri giornali.
    non vedo il nemico in ogni dove, non riesco a pensare ad altra libertà che non sia sudata e scevra da ogni ideale e fede.
    disprezzo berlusconi e non mi sento in suo potere.
    cristiano prakash dorigo

  92. MINCULPOP era, sotto il fascismo, il MINistero della CULtura POPolare e teneva sotto controllo la vita di tutti gli intellettuali che venivano schedati e di cui si doveva sapere vita morte e miracoli. La vita privata del cittadino apparteneva alla polizia e l’italia era un carcere a cielo aperto.
    Mi sembrava che qui ci fosse qualcuno che stava studiando per quel lavoro.

  93. SILVERBACK: “obbiettare non è infangare” dici.
    Ma più sopra hai scritto che ero preoccupato “di non offendere del tutto uno che nel campo delle scritture un po’ di potere ce l’ha.” (brrrr, che paura… se poi Berardinelli mi stronca? Sai quante copie del mio prossimo romanzo non vendo più? Mamma mia….)
    E, aggiungi, sul finale: “possibile che non capiate un cazzo di politica fino a questo punto?”
    Questo a casa mia è schizzare fango. Ma magari, a casa tua, no…

  94. cristiano, il foglio anche se mi sforzo non riesco a vederlo un buon giornale, e certo non per moralismo (anche se sono, se dio vuole, un po’ faziosa) a me sembra un organo dei nocons e alle volte dice delle cose, per me, agghiaccianti soprattutto sulla guerra e su altri problemi a cui io tengo molto. E lo dice con un puro stile propagandistico e strumentale, cosa che io odio.
    La risposta di berardinelli invece, hai ragione, è molto bella anche a me è piaciuta moltissimo e l’ho già detto molte volte, è un documento umano e vero (oltre che una risposta critica) cosa che per me, in letteratura conta molto.
    Non capisco perchè qui si dica che non ha parlato di poesia, a me ha interessato moltissimo quello che ha detto, non posso entrare nel merito perchè non ho letto il dossier di Nuovi argomenti su cui verte tutta la discussione e non potrò farlo fino a che non lo leggerò.
    Non comprerò Nuovi argomenti e non certo perchè sia edito dalla mondadori ;-), ma perchè non lo compro mai, e non andrò a leggerlo in biblioteca perchè al momento non posso. Aspetterò che ne venga messa in rete qualcosa e dal poco che conosco i due andrea penso che saranno sicuramente cose interessantissime.
    geo

  95. per biondillo, voglio precisare.
    il potere, anche se è piccolo, il prestigio, anche se è poco, ma nel caso di berardinelli non è poco, deformano lo spazio culturale e civile attorno a sé, lo curvano, analogamente alla concezione relativistica della gravità.
    quindi deformano e modificano i nostri comportamenti, anche se di poco, anche se in modo inconscio.
    mi sono permesso di interpretare l’inconcludenza della tua lettera a beradinelli, con la conseguente inutilità dell’averla scritta, come un fenomeno legato alla “forza gravitazinale” del personaggio in questione.
    niete di male, è una cosa umana, succede a tutti.
    se però uno vede se stesso come un cavaliere senza macchia e senza paura, può suonare come uno schizzo di fango sulla propria lucida armatura.
    naturalmente si tratta solo di sensazioni personali, ma di cos’altro si parla qui se non di sensazioni?
    per esempio ho la sensazione, che mi detta il giudizio duro su quanto si capisce di politica qui dentro (non è un peccato, né una colpa, certo), che la questione foglio sì/foglio no non sia rilevante, a fronte di una situazione molto più complessa che riguarda lo stato dell’intera cultura italiana.
    di questa situazione, il “caso berardinelli” è solo un piccolo sintomo, che tuttavia può essere portato ad esempio per trascenderlo e impostare un discorso più generale, che esca dalla banalità destra sinistra e affronti il punto: lo stato della democrazia nel nostro paese e cosa si può fare, da parte di ciascuno di noi, come individui, per evitare che berlusconi, vincendo le prossime elezioni, se ne impadronisca del tutto.
    potrei farti degli esempi, ma non mi va di mettere giù lenzuoli di testo: non sentirti infangato dunque, cioè non più di noi tutti.

  96. Forse Georgia si è offesa perché avevo scritto: “un blog senza regole può essere un pensatoio quanto un orinatoio, e attualmente mi sembra un pensorinatoio”. E’ una considerazione che confermo dopo 2 settimane di frequentazione dei blog: se uno può inviare di tutto, si troverà la pepita come il fango. Questo anche nei blog più seri, come NI. Ad es., qui al quintultimo commento Biondillo scrive: “Ringrazio Silverback per lo schizzetto di fango”: poteva dire egualmente “merda” (“smerdare” penso sia addirittura più leggero di “infangare”).
    Grazie all’ultimo commento di Georgia, capisco meglio l’offesa “agente del minculpop”: secondo lei “stavo studiando per quel lavoro”, ossia “tenere sotto controllo la vita” di Berardinelli, “sapere vita morte e miracoli” dello stesso.
    Spero sia evidente da quel mio commento che di per sé, quanto guadagni Berardinelli non m’interessa affatto. Spero anche sia evidente dall’articolo di Berardinelli un certo tono lagnoso di sofferenza, di autocroce addosso, di excusatio non petita, che lo porta appunto a esibire la busta-paga, perché addirittura gli “piace” giustificarsi, per il “gusto”.
    Il modo stesso in cui esibisce la busta-paga è indicativo: Non dice cioé: “vivo con lo stipendio mensile che rivevo”, né “i 2000 euro mensili che ricevo mi servono per vivere”. No, dice: “vivo con i 2000 euro mensili che ricevo”, che significa: “i 2000 euro mensili sono il mio unico sostentamento”. Metterla su questo piano, e di gusto, vuol dire attirarsi domande su questo piano: poteva evitarlo.
    Georgia dirà: a te che te frega di quanto prende B.? Nulla.
    O dirà: perché non gli credi sulla parola e vai a indagare? Non posso credere alla parola di uno che professa la sua colpevolezza invece di giustificare la sua buonafede.

  97. @silverback
    su biondillo: con un po’ di logica si deduce da quanto hai scritto all’inizio che se uno scrittore non dà giudizi netti e contrari a ciò che dice un critico è dovuto al fatto che ne teme il potere e che in fondo (ma neanche tanto in fondo) lo vuole blandire. il risultato di questo ragionamento è che l’unico modo che ha uno scrittore per provare la sua onestà intellettuale è quello di sparare a zero sui critici (almeno su quelli che contano). Il che è una cazzata.
    su berlsuconi: hai bene evidenziato la contraddizione del discorso di Wu Ming 1 su Berlusconi dicendo: “se tutti ci mettiamo a lavorare per berlusconi come possiamo sperare di sconfiggerlo?” Infatti sarebbe impossibile. Se anche fosse sconfitto a livello politico vincerebbe a livello economico, sociale e culturale, creando una società in cui c’è chi lavora e “produce” per le sue aziende e c’è chi, come me, sarebbe costretto, per comprare un buon libro, a dargli dei soldi. E’ questo che a me fa ribrezzo, caro
    @Canzian
    che ringrazio per l’informazione su Ginsborg. Sospettavo che il limite al pubblicare per Mondadori/Einaudi fosse alto, dove per limite intendo fin dove si può arrivare a criticare Berlusconi. Ma non credo che il limite arrivi fino a Travaglio, o lei immagina possibile anche un libro di Travaglio sul Berlusca esposto in tutte le vetrine Mondadori in tempo di elezioni? Esagero, solo per fare capire che cmq c’è un limite alla critica del monopolista da parte di chi lavora per lui, e questo limite dipende dalla visbilità. Una frangia di contestatori interni (tipo Le iene in tivù) è sempre ben accetta e serve a dar forza all’immagine di editore pluralista e buono e bello e senza potere di controllo ecc. ecc.
    sul Mucchio: d’accordo con lei sui toni eccessivi di Max stefani e Massimo del Papa verso molti (ricordo anche la polemica verso Agnelli e Donà per un cd venduto con una rivista … Tutto?), ma vedo che lei ne contesta anche la buonafede: “era tutta un’operazione d’immagine”, io questo non l’avrei detto, a me sembrano (da ciò che scrivono) persone intellettualmente oneste, ma dato che lei conosce personalmente l’ambiente, mi fa riflettere…
    Concludo. Sul boicottaggio: non è certo colpa mia se non lo si è tentato in tanti.
    Un saluto.

  98. Berardinelli: *Scrivere sul Foglio non è una scelta ideologica, né una scelta di campo. Non sono affatto schierato, ma è il solo giornale che non mi ha mai chiesto ragione di quello che recensisco, né mi ha mai imposto di tagliare una riga*
    da Il corriere della sera 12 febbraio 2006

    Questo è parlare chiaro, giusto o sbagliato che sia. Berardinelli ha ripreso il controllo della sua scrittura: basta piagnistei, basta professioni di colpa, basta mediatici martirii!

  99. @lorenzo galbiati
    i tuoi ragionamenti mi danno le vertigini.
    grazie del “caro”.
    smack.
    (ci vediamo in primavera, come sempre, alle brokeback, senza wu ming, però)

  100. Alessandro Canzian, non so nulla di Berardinelli, non ho il piacere di conoscerlo, però so di qualcuno che con le pezze al culo ci si è trovato e anche in maniera seria. Non posso dire di conoscerlo benissimo ma abbastanza bene: me stesso. Come fotografo a un certo punto mi sono trovato nella cacca fino al collo, e ho dovuto cercare clienti e servizi fotografici che mi ripugnavano. Perché avevo bisogno di UN LAVORO.

  101. Ecco, io per esempio, in cambio di 1 silverbacK venderei 10 berardinelli che se la smenano e se la rimenano a una carovana di beduini, sperando che serva almeno a trovare un po’ di acqua, come un cane-cercatore.

    scusatemi se lo dico così. deve essere l’effetto ipnotico dell’ultra-camp-ultra-trash di ieri sera.

    domani forse lo dirò in un altro modo. ma non cambierò idea. invece berardinelli sul corriere di oggi, dice che se cambia la tecnologia e cambia la politica (magari in Italia fosse cambiata) anche la persona e le sue idee, cambiano. boh. lo trovo ultra-trash. se non è un’ideuzza da Mulino Bianco pure questa!

    Ma che ci fosse anche Berardinelli ieri al corteo?

  102. Ma Georgia, non era quella di sinistra? Solo perché è stata citata da un giornalista che scrive per il Foglio, si mette a difendere un quotidiano di destra. Se Berardinelli le avesse offerto un posto di lavoro saremmo nella norma. La nsotra Georgia cioé, si comporterbbe esattamente come il Berardinelli di cui è diventata una lecchina. Ma lui non le ha offerto un lavoro. L’ha solo citata. Tutti insieme cerchiamo di non pensare cosa avrebbe fatto Georgia se gliel’avesse offerto, il lavoro. In questo senso, il giudizio su Berardinelli non cambia. Quello sulla strepitante che si irrita per le ingiustizie e che ci chiede di andare a firmare sì. D’ora in poi, prima di fare una cosa chiesta da lei, pensiamoci su più di una volta.

  103. Galbiati, ho l’impressione che ci sia un equivoco. Wu Ming 1 / Roberto Bui non afferma in nessun punto che “tutti dovrebbero lavorare per Berlusconi”. Non dice nemmeno che questa condizione è auspicabile, non la consiglia a nessun altro, anzi ne illustra i limiti. Quel che dice è, o almeno così mi sembra: svariati autori Einaudi di sinistra (quindi non un generico “tutti quanti”, ma l’insieme circoscritto degli scrittori che hanno un rapporto consolidato con l’Einaudi e hanno una certa idea del mondo) hanno deciso di continuare a lavorare con quell’editore anche dopo il cambio di proprietà. Spiega i motivi per cui hanno deciso in quel senso, e precisa che loro sono forse i primi ad auspicarsi che Berlusconi si tolga dalle scatole e, con la loro opera, lavorano per un possibile post-Berlusconi, per il giorno in cui l’Einaudi si libererà di Berlusconi. Anziché comprendere quanto sia difficile questa collocazione, queste persone vengono attaccate e accusate di tutto e di ogni cosa.
    Per quel che riguarda il Mucchio Selvaggio: nella buonafede dell’editorialista di cui sopra ho smesso di credere da ormai molto tempo. Solo la malafede può portare a scrivere certe cose e a sostenere le tesi “complottiste” che abbiamo letto anche sulla rivista, ma soprattutto sul blog di quella persona. Io penso che quando si decide di paragonare (senza alcuna ironia) chi la pensa in modo diverso ai “nazisti”, ai “mafiosi” e ai “piduisti”, ci si qualifica per quel che si è, senza ombra di dubbio. Non propongo link o esempi perché andremmo troppo fuori tema, e la cosa non può interessare a chi non legge il Mucchio. Che dal punto di vista del direttore si sia trattato più che altro di un’operazione di immagine, una finta crociata, dovrebbe dimostrarlo un fatto: quando è calato l’interesse dei lettori per quell’approccio inquisitorio, la rivista è tornata a chiedere interviste agli stessi artisti che aveva demonizzato fino al giorno prima, per futili motivi (come il cd allegato a “Tutto”).

  104. 02/02/06 GEORGIA: *fra Berardinelli del Diario … e berardinelli del foglio sembrano passati i lanzichenecchi cerebrali* = B. è cambiato

    07/02/06 BERARDINELLI: *Georgia, non puoi confrontare un quotidiano con una rivista che usciva ogni sei mesi-un anno come “Diario”* = B. non è cambiato

    11/02/06 GRASSI: *Se c’è un appunto, infatti, che si può muovere a Berardinelli non è certo quello di scrivere sul Foglio , ma di essere sempre lo stesso. Lo stesso … di Diario* = B. non è cambiato
    12/02/06 BERARDINELLI: * Non hai appreso, caro Grasso, che negli ultimi tre decenni ci sono stati mutamenti cosiddetti epocali in tutti i campi, dalla politica alla tecnologia? Sarei il solo ad essere rimasto identico?* = B. è cambiato

    12/02/06 GEORGIA: *Berardinelli 10, Grasso 0*

    Per Georgia e Berardinelli, B. è e non è cambiato.
    Non ho mai creduto alla teoria dei lanzichenecchi: ma questo è un sacco!

  105. ahahhahahahaa :) yara, devo ammettere che mi hai fatto spanciare dalle risate. lo dicevo io che la cosa virava al comico. :))

  106. Giorgio II, detto il leghista, ma dove avrei difeso un giornale di destra?
    Potrei farlo se il giornale valesse, ma non ho certo mai difeso il foglio?
    Citata? tu dici che sono stata citata? :-)
    ah ah ah ah ah ….
    Sarebbe incomprensibile il tuo atteggiamento se non fosse che … capisco che il tuo unico vero cruccio è perchè ho messo l’appello per firmare per il referendum della Costituzione.
    Leghista che non sei altro!
    E non ti chiami neppure giorgio ;-)
    Però caso mai qualcuno volesse sapere dove può votare per il referendum costituzionale, a questo indirizzo, continuamente aggiornato, trova tutti i posti dove poter firmare e questo è il sito generale di Salviamo la Costituzione
    http://www.referendumcostituzionale.org/
    georgia

  107. Tema strano quello che scaturisce fra le righe di lettere e controlettere, commenti e controcommenti.
    Leggo e mi trovo in bilico. Da una parte sono d’accordo con Luigi che, su Lipperatura, rimarcava come, troppo spesso le discussioni sono portate sul piano personale e sbandano paurosamente. Sarebbe da evitare, oltre che poco elegante è generalmente preludio all’inutilità.
    Sull’altra trovo “strane”, almeno per il mio modo di pensare, anche se comprensibili, le argomentazioni di Franz che giustificano l’andare a “prestare la propria opera” alla controparte e che in parte emergono anche dal notevole scritto di Gianni Biondillo.
    Per dire: mi occupo di crittografia e non andrei mai a lavorare per una nazione o per una società che opera per una nazione che “non mi piace”.
    E’ una scelta difficile, molto, sia dal punto di vista morale, sia dal punto di vista economico, ma credo siano scelte con le quali tutti i “professionisti dell’intelletto” devono convivere e con le quali fare i conti tutti i giorni. Non è obbligatoria una scelta così netta, ci mancherebbe e ognuno è libero di fare ciò che preferisce, ma a me paiono sempre “aggiustamenti” mal riusciti; e a poco valgono, ai miei occhi, le motivazioni addotte.
    Sarò anche cinico, e probabilmente lo sono, ma alla fine si riducono solo ed esclusivamente a scelte economiche che nulla hanno a che vedere con il lavoro di un “professionista dell’intelletto”.
    E’ come se, visto che in Italia non considerano la crittografia, decidessi di andarla a “vendere” a qualche nazione che la vuole usare contro l’Italia (scegliete voi quale), per il semplice motivo che pagano bene e lasciano spazio alla mia “creatività professionale”.

    A questo punto la domanda che mi pongo è: una simile scelta vale solo per i “professionisti dell’intelletto” che operano in settori *sensibili*? E le altre “professioni dell’intelletto” (compresa la critica e la letteratura), per il semplice motivo che non operano in settori *sensibili* devono essere emendate da tale obbligo morale (ed economico) o no?

    Buona serata. Trespolo.

    PS: *sensibili*, per chi non l’avesse compreso e per evitare malintesi, sottintendeva la possibilità per alcune “professioni intellettuali” di avere a che fare con problematiche militari.

  108. BERARDINELLI a Grasso, Corriere di ieri: *vuoi convincere il lettore che da «Quaderni piacentini» … non sia cambiato niente per Piergiorgio Bellocchio, per Fofi, per me e per innumerevoli altri. Pensa che su «Quaderni piacentini», oltre a Fortini, Cases, Timpanaro, Giudici, Jervis, Mengaldo, Salvati, hanno scritto Gad Lerner, Marcello Flores, Gianni Riotta, Pierluigi Battista. Non hai appreso, caro Grasso, che negli ultimi tre decenni ci sono stati mutamenti cosiddetti epocali?*
    L’*oltre a* distingue il genere ‘collaboratori di QP’ in due specie, o gruppi. Secondo quale criterio? Potrebbe essere l’età (anche se a occhio il più giovane della prima specie non ha molti anni più del più vecchio della seconda), ma la distinzione di età non c’entra niente con la tesi che B. vuole dimostrare, anzi la indebolisce.
    Ci ho pensato su, e ho ritradotto lo scambio tra Grasso e lui così:
    G. Tu e gli altri di QP non avete mai cambiato.
    B. Come no? Guarda che in QP oltre a FCTGJMS c’erano LFRB! = se FCTGJMS hanno cambiato poco o niente, LFRB hanno cambiato eccome!
    Il criterio di distinzione sarebbe insomma non l’età, ma il cambiamento. La sequenza mi darebbe ragione: dal più immutabile/intransigente Fortini al più mutevole/transigente Battista. Se non che ieri si è aggiunto Berardinelli: LFRBB.

  109. Qualcuno potrebbe gentilmente sintetizzarmi in maniera breve ed esaustiva tutto sto turbillon?
    ringrazio anticipatamente e m’inchino …nzomma se fa per di.

  110. Wu Ming 1 / Roberto Bui ha sempre sostenuto che oggi è soltanto colpa dell’autore se un capolavoro rimane in un cassetto (non ricordo la frase precisa ma era una cosa tipo: puoi fare goal anche dal retrobottega di un panettiere). A pensarci è esattamente quello che pensa Berlusconi, quindi perlomeno questa visione del mondo la condividono e magari la cosa può aver reso meno traumatico l’avvento di B.

  111. Ad oggi il sunto è: Inglese & Raos presentano dei poeti francesi, secondo loro interessanti; Berardinelli ribatte che non lo sono. Georgia sindaca la moralità di Berardinelli che scrive sul Foglio; Berardinelli sente il dovere di giustificarsi; Inglese & Raos cercano di tornare al nocciolo letterario della questione e danno un colpo a Georgia. Georgia ribatte. Si inserisce Biondillo che squalifica Georgia come interlocutrice. Si fa vivo dal corriere Grasso, con un colpo basso; Berardinelli risponde a Grasso.

    Ancora non s’è capito perché questi poeti francesi non possano fare poesia come pare a loro, vadano bene a Berardinelli o meno. Il resto è un delirio.

  112. sunto perfetto direi :-)
    Le polemiche letterarie ormai da parecchi anni sono sempre solo un delirio.
    Riguardo all’ultima domanda sui poeti francesi vedrai che berardinelli domani (o dopo) ne parlerà sul foglio a meno che non passi (con eleganza)direttamente ad altre riviste e poeti (ad altre polemiche) visto che alla fine del suo primo articolo c’era scritto 1 continua.
    geo

  113. allora se questi poeti non fossero tali, perchè scomodarsi a stroncarli?
    Raos e Inglese quindi riassumerebbero le qualità degli autori?onestamente pero’…..

  114. Vi lascio questo piccolo aforisma, arrivati al commento nr. 137:

    Il moralismo che ho letto in tanti commenti qui mi ricorda il voto di castità fatto da un impotente: un sacrificio immane…

  115. guarda, io sono convinta che uno studia quello che non sà fare:
    i maleducati pedagogia,
    i disadattati sociali sociologia,
    gli iracondi filosofia(io)
    gli stonati musica (bach era sordo?)
    gli illegali giurusprudenza(Silvio)
    gli ingessati teatro
    i basfemi teologia
    i somari matematica(einstein)
    i guerrafondai la pace(Bush)

  116. @fk
    posso smentirti con l’esempio fatto uomo, anzi donna.
    Siccome la funzione sviluppa l’organo….dopo un po’ non è piu’ un sacrificio, ma atrofia:-)
    è un esercizio che fortifica, ricollega alla forme medioevali di monachesimo, ascesi, spiritualità etc etc, l’unica cosa che stona è l’aspetto goliardico e godereccio del quotidiano.—

  117. Barbieri, io non la conosco ma percepisco del livore, cosa che non mi interessa, come non mi interessano le citazioni a orecchio o i discorsi riportati di blog in blog. Non mi interessa nemmeno parlare dei Wu Ming. E’ vero che ogni volta che vengono nominati loro, prima o poi si finisce sul piano del pettegolezzo e dell’accusa personale, cosa che abbiamo già visto avvenire sul Mucchio (giornale e forum) ed è un film venuto a noia. Tra l’altro, l’opinione che lei riporta mi sembra in contrasto con molte altre cose che ho letto e visto mettere in pratica al gruppo bolognese. Io comunque ero intervenuto per dire la mia opinione su Foglio, Giornale e compagnia. Il “benaltrismo”, purtroppo, porta a dire: “E allora lavorare in banca?”, “E allora la cosa che ha scritto il tale il giorno tal dei tali?”. Non mi interessa. Ribadisco la mia idea che non si dovrebbe collaborare con il Domenicale o il Giornale, e di questo mi sono impegnato a discutere.

  118. Alessandro Canzian non c’è nessun livore in quello che dico (ma perché questa brutta abitudine di scagliarsi subito con argomenti ad personam?). Credo che sia possibile ritrovare la frase che scrisse WuMing1 (la scrisse a proposito della recensione ottenuta da una piccola casa editrice su D di Repubblica mi pare). E poi guardi che è una visione del mondo perfettamente legittima, che spinge, se non alla profondità di ciò che si scrive, all’azione, al darsi da fare. L’azione è proprio il piano su cui i 5 si muovono meglio.
    Ma adesso non vorrei parlarne, è davvero un argomento che non mi interessa, stavo solo aggiungendo qualcosa a quello che aveva detto lei affinché si capisse meglio.

  119. Se ho frainteso il tono, chiedo scusa. Mi pareva che nella seconda parte del suo commento lei accusasse implicitamente di “berlusconismo” una persona assente, sulla base di una frase riportata in modo vago, spostando anche la discussione su un altro terreno, che a me non interessa. Tutto qui.

  120. Ma no, semmai accuso Berlusconi di WuMinghismo. Mi riferisco alla grandissima attenzione per la retorica e l’uso sapiente dei mezzi di informazione (sfruttare i loro bug per raggiungere lo scopo).

  121. Stamane ero con un sottogruppo del mio laboratorio sul sacrificio (sono un ricercatore di storia della filosofia, non di filosofia come dice Yara, classico esempio di persona portata a fare un lavoro e costretta a farne un altro), avevo il pc aperto su questo post e abbiamo cominciato a discutere: alla fine ho proibito a tutti di scrivere commenti, perché altrimenti avrebbero intasato ulteriormente. Qualche giorno fa su NI avevo cercato di chiarirmi in pubblico le idee su cosa sia un blog: anche se non c’è stato dialogo, sono arrivato a una conclusione. La rete è il mondo, il blog una casa (o condominio, o quartiere, o città o appunto nazione). Il mondo-rete è democratico: tutti possono entrarci e costruirsi gratis una casetta (o più). Ogni casa-blog ha il suo sistema di ospitalità: i due sistemi estremi di ospitalità sono la democrazia e la tirannide, entrambi assurdi nel senso che fuoriescono dal concetto di casa-blog (aprirne una per non lasciare entrare nessuno? Allora è un sito! Aprirne una per fare entrare tutti? Allora è la rete!). In mezzo, una pluralità di soluzioni (dove il dilemma nome /nick non c’entra). Ad es. limitare il numero quotidiano di ciascun commentatore, fissare la misura dei commenti ecc. Ma il più semplice e più logico è che il gestore del blog e/o l’autore del post via via selezionino, eliminando ogni commento che stimino fuori tema. Questa soluzione può sembrare drastica, ma se regge il parallelo con la casa, è addirittura banale. Fin qua arrivo.
    Sull’affaire Berardinelli abbiamo discusso un’oretta stamattina: anche a stare solo agli articoli e ai commenti più ragionati, c’è senz’altro materiale degno di attenzione, una volta tolti gli aspetti più personalistici. Mi è venuto in mente il mio “incontro” con Fortini, più strano che altro, e mi sarebbe piaciuto raccontarlo. In un commento no, troppo il tempo e lo spazio che impiegherei. In un post sì, dopo ovviamente che i gestori abbiano valutato che merita. Dico “merita” senza alcuna ironia, anche perché se nel racconto raggiungerò l’obiettività che cerco comunque, molto merito andrà alla mia ignoranza (conosco poco la produzione di Fortini, di cui non mi sono mai innamorato, a differenza ad es. di Pasolini. A prop., non ricordo nulla, ma del carteggio tra i due pubblicato da Einaudi ho una sensazione meravigliosa). Se interessa, segnalatemi qui dove mandare il raccontino.

    Dario Borso

  122. Dario Borso: se uno ha un blog e scrive di qualcosa che succede in un altro blog, nasce una conversazione. I blog in genere hanno meccanismi per rilevare queste conversazioni (i trackback per esempio).

    Se però vuoi, puoi (tutti possono) scrivere a nazioneindiana@gmail.com, la posta viene ricevuta da tutti i membri.

    Aggiungo che anche i commenti (degli articoli o della Bacheca corrente) sono un ottimo spazio, se non ricordo male alcuni commenti interessanti sono poi diventati dei post in passato.

  123. Mi sembra che Canzian dica la cosa più sensata, che poi rientra nelle coordinate di Biondillo: più importante di dove stai è come ci stai. Mutatis mutandis e si parva licet, Pasolini sul Corriere non si limitava alle recensioni, stava lì come un corsaro: e Berardinelli sul Foglio? Non lo so, ma qualcuno di voi potrebbe brevissimamente riassumere cosa vi ha scritto finora.
    Ho provato in più di un commento a esaminare i 2 articoli di B., ma devo essere risultata pedante (anche a me stessa forse). Allora la giro:

    Cosa c’entra “Diaria” con “La foglia”? un fico!

    Il prof. DB è bravo e intelligente, e anche ondivago: ho fatto con lui 2 laboratori (più la tesi). Uno era su Amleto di Shakespeare e il Principe di Machiavelli, ma dopo un po’ siamo finiti su una canzone di Joh Lennon e non ci siamo schiodati più (per cui magari dice sacrificio e poi fa tutt’altro).

  124. Tanto per gradire, per chi non l’ha già letta, questo è un brano di intervista dell’editore Fazi (quello di Melissa P.) al settimanale del Corriere.

    «Metà o tre quarti di quelli che erano nei gruppi della sinistra oggi lavorano in qualche maniera con Berlusconi. Chi veramente non sopporto sono quelli che fanno le prediche contro Berlusconi e, quando si tratta di prendere l’anticipo, preferiscono prenderlo da Berlusconi».
    Tipo?
    «Tipo la Guzzanti che fa un film come il suo e poi pubblica con Einaudi. Non lo sa che Einaudi è Berlusconi? Valentino Zaichen, il mio amico, è legittimo che voglia pubblicare con Mondadori. Lui è berlusconiano. Ma Camilleri?».

  125. yara ma come mai alle volte parli al maschile e a volte al femminile come ora e soprattutto come mai scrivi uguale identico al così bravo e intelligente professor db? merito dei due laboratori, o di jekyll e hyde?
    Certo in rete tutto è incredibilmente trasparente e salta agli occhi quasi con violenza;-)
    g

  126. Volevo aggiungere che secondo me F.K. ha torto quando unifica morale e moralismo, mentre ha ragione a rilevare che diversi commenti sono moralistici. Penso che questo succede quanto più si conosce o si ha a che fare con la persona, perché allora possono intervenire sentimenti ambigui (perciò per me è più importante il come del chi).
    Penso a von Trier, come a volte la sua morale possa dare l’impressione di moralismo (i suoi 2 ultimi film sono proprio esperimenti morali, come i racconti morali degli illuministi). Ricordo anche come la scintilla che mi portò a fare la tesi su di lui fu un’intervista in cui diceva che il problema fondamentale della sua adolescenza fu la libertà estrema che gli avevano lasciato i genitori hippies (una famiglia da blog insomma).

  127. @poco cara-o Georgia, qui ieri hai scritto: *Le polemiche letterarie ormai da parecchi anni sono sempre solo un delirio.* Io non conosco l’argomento, ma siccome ritengo umanamente impossibile la cosa, temo che la tua affermazione generale sia autobiografica: quindi non solo con Berardinelli?
    Adesso ad es. mi dici:
    *alle volte parli al maschile *: quando mai???
    *scrivi uguale identico al così bravo e intelligente professor db*: magari!!!
    Ma soprattutto: come posso dialogare con uno-a che al primo approccio mi ha definita *un agente del minculpop*?
    Ritira coi dovuti modi l’accusa/stupidaggine, io intanto vado al mio doposcuola e casomai ne riparliamo stasera.

  128. dai, geo, lascialo stare! lasciatelo divertire e autocitarsi… è il bello della rete, no? e chissà quanti altri lo fanno. :-)

  129. giardy vuoi dire che io mi posso fare un nick e con quello farmi una barcata di complimenti?
    ma dai … io non credo che siano in molti a farlo, fra i commentatori regolari (sì, alcuni usano, a volte, dei nick ma sono riconoscibilisimi) la scrittura è come il corpo, hai voglia di cambiare vestito, colore di capelli, colore di occhi, farsi crescere i baffi, ma se uno ci presta attenzione ci si accorge subito delle somiglianze.
    Io non sarei capace di farlo. Anzi credo di essere l’unica persona in rete che non abbia mai cercato (perchè non ci riesce) di assere altre persone che georgia, se fingessi di non essere georgia sono sicura che il *georgia* che appare nell’intestazione arrossirebbe violentemente.
    Ad ogni modo io, se voglio, ho un certo fiuto, annuso la scrittura, e sento gli odori in rete come Hans Schnier (lui li sentiva al telefono, ma … erano altri tempi).
    Anche i congiuntivi, gli avverbi e le interiezioni hanno odore …
    Però hai ragione tu se gli va di farlo e di autocitarsi è suo pieno diritto farlo, non lo capisco, ma mi adeguo, e quindi ritiro tutte le mie insinuazioni, che non sono altro che insinuazioni sintattico-grammaticali senza ombra di prove retoriche, anzi iscriviamoci tutti al laboratorio del sacrificio, ma non come capro sacrificale naturalmente (anzi che lo faccia yara l’agnello senza colpa;-)
    geo

  130. Georgia, io mi iscrivo subito, a patto di poter stare nello stesso sottogruppo con te e tashtego (e solo se la Simona Niccolai fa da tutor). :-)
    E Yara? In un altro sottogruppo con Berardinelli, Raos, Inglese e Angela Scarparo: con Gianni Biondillo come tutor. ;-)
    Si dia il via alle danze, allora (e riponete le mazze da baseball nel vocabolario).

  131. fm, “riponete le mazze da baseball nel vocabolario” è splendida.

    Il vostro tutore (ortopedico), G.B.

  132. Mag, potrai mai perdonarmi? Ho dato per scontate cose che, se lo erano per me, potevano giustamente non esserlo per gli altri. Mi spiego: non conoscendo (purtroppo) il prof. DB, per me era chiaro fin dall’inizio che a dirigere il seminario ci fossi tu!!! I’m sorry, my dear. ;-)

    Grazie G.B. ;-)

  133. Mag, non essere modesta: non hai seguito (giustamente, direi) perchè stavi approntando i materiali indispensabili alla riuscita teorico-pratica del seminario. Dài, confessalo. ;-)

  134. Vedi, Biondillo (mi rivolgo a te per più di un motivo, ma il primo è che sei il titolare del post), la questione del “chi” sarebbe essenziale, se molti non la fraintendessero. Così, invece di pensare a quel filo sottile che lega momenti e frammenti i più disparati e che si chiama identità, c’è gente che pensa à la carte. Tra questa gente, che appunto può essere soddisfatta unicamente con l’esibizione&controllo dei documenta, c’è purtroppo LaGiardiniera, che conosco eccome! L’”eccome” significa che ne conosco bastantemente l’identità, mentre nulla mi dicono i suoi nick, nome e cognome. Gli è che un amico carissimo, il ciabattino-poeta Amato di Viareggio (il suo nume era Garboli, concittadino che lui fece in tempo a vedere due volte, la prima quando ne venne premiato, la seconda quando timidamente andò a trovarlo a casa – quando si dice “stile”…), con l’ingenuità per fortuna non rara tra i poeti ma in lui quasi patologica m’invitò l’ottobre scorso a entrare in “Santasubito”, un blog di cui non conoscevo l’esistenza (la parola stessa “blog” mi era ignota). A farla breve, dopo un mese scarso di schermaglie Amato ed io uscimmo “precipitosamente”, e dopo una settimana scarsa ancora “Santasubito” implose, o ascese, insomma morì.
    Perché mi son perso in questo quadretto “poco edificante”? Semplice, perché edificante lo è. Lì infatti si poteva vedere in atto/in piccolo il dramma del sacrificio, solo, per comoediam (alla Pennac, col capro espiatorio a salario). Fuggita la “vittima”, le celebranti non potevano più celebrare: o trovavano una capra al loro interno, o il convento doveva venire in uggia, come venne. Se la religione più diffusa al mondo pone a vessillo suo il sacrificium laudis, un motivo ci sarà pure, no? O si pensa di essere estranei al fenomeno solo perché non si va in chiesa?
    C’è molta, molta voglia di sacrificio in giro (incluso il sacrificio di sé), e conseguentemente anche interesse. Dire cosa stiamo facendo in un piccolo laboratorio, lascia il tempo che trova, e mi solletica una certa corda: ad es., i sottogruppi sono 2, quello delle vittime costituito dagli allievi maschi (i Sacchi), e quello delle carnefici costituito dalle femmine (le Brame), con in mezzo io che a seconda faccio Dio o il Marchese, ma comunque voyou. Contento Tashtego? Dal poco che ti conosco, penso di sì. L’idea, come sempre all’inizio, è di fare tutto dalla A alla Z, ma la vita è per definizione aperta, e se ad es. i ragazzi si appassionano troppo all’affaire Berardinelli, finirà che faremo solo dalla B alla B (siamo al secondo incontro, e il trucco bello è che domani ognuno porterà un A4 adespota con le sue impressioni su Gn – uno può mettere anche solo un . sul foglio bianco, mentre è vietato consegnare 2 fogli -, che costituirà l’iscrizione automatica al lab. La prova finale sarà un altro A4 con le medesime caratteristiche. Voteremo il migliore sia all’inizio che alla fine: dopodiché sveleremo i nomi dei 2 autori, che si accoppieranno sulla cattedra, senza sacrificio di alcuno).
    In questo senso Yara ha dato un’idea distorta del nostro modo di lavorare (che è sempre adespota, quindi a quiz: anche qui ho fatto un piccolo esperimento nient’affatto malizioso, inviando un Leopardi copincollato – non uno…). Yara l’ho avuta 7-8 anni fa, era una delle migliori, ma non un’allieva-modello. Da quanto ho visto, ha imparato bene i fondamentali, che io imparai da Dal Pra (essi poi si riducono a uno, secondo la formulazione del compianto : “Prima la topica, dopo la critica”); e ha imparato benino pure quell’altra cosa, che io imparai e imparo tuttora da Kierkegaard: “porsi in situazione”. Se l’avesse imparata bene, ad es. qui non avrebbe presentato Ubicue.splinder.com a quel modo. Ogni mio allievo che non abbia imparato sufficientemente tutto ciò, è un fallimento (mio): ma capita più raramente di quanto si sia portati a credere (la sufficienza si può intuire perfin dagli occhi con cui ti guarda un ex-allievo incontrato per caso… e si può ancora sbagliare).
    Ma qui ci vorrebbe il caminetto, mentre Yara ha solo il cabinetto, dove precipitosamente

    db

  135. Io non ci capisco più niente, sarà che sono poco pratico del territorio, ma qui c’è gente che si firma con nick altrui e ti spiega pure il perché (ma non fa capire niente), altra interessatissima a “smascherare” i nick, altra ancora che polemizza sull’uso stesso dei nick. Pensavo che queste cose fossero superate da chissà quanto tempo, che il cosa si dice fosse più importante del chi lo dice, che non ci fosse più chi associa il gioco con l’identità all’anonimato minatorio e vigliacco. Pensavo che ormai fosse assodata l’importanza dell’alleggerimento dell’identità. Altrimenti anche in rete pesa di più chi parla “ex cathedra”, i titoli valgono più dell’avere davvero qualcosa da dire. Io mi firmo con nome e cognome, ma non ho nulla in contrario se qualcuno assume un’altra identità-maschera, o anche più identità, a condizione che lo faccia per giocare e produrre diversi punti di vista, e non per insultare nascosto dietro un lampione. Trovo antipatico quando due persone discutono e a un certo momento uno dei due comincia a dire: “Non ti rispondo più perché tu non sei tu, tu non esisti, tu fingi, in realtà sei quell’altro, ho le prove ecc.”. Lo trovo giustificato solo in rari casi, se l’interlocutore offendeva o minacciava, ma molto spesso mi sembra solo un modo di cavarsela quando si è in difficoltà, di togliere l’erba sotto i piedi a chi te l’ha tolta. Scusate lo sproloquio.

  136. @ Marco Rovelli

    Che tu mi creda o no, caro Marco, sono stato a lungo indeciso sul gruppo nel quale inserirti. Poi mi sono detto che, vista la temperie che stiamo vivendo, e visti i rischi che ancora corriamo, c’era bisogno che almeno uno di noi restasse fuori dal seminario a fare il necessario lavoro di (contro)informazione, senza abbassare minimamente la guardia: ho preferito saperti vigile col tuo blog, piuttosto che rinchiuderti per qualche giorno negli angusti locali del sottogruppo. E poi penso che la Fuschini possa farsi benissimo portatrice delle tue istanze: nei lavori di intergruppo (soprattutto nella fase pratica: leggi esercitazioni sul tatami, per saggiare la resistenza al dolore e alla fatica) sarà un vero piacere vederla “dialogare” con Yara e La Giardiniera. :-)
    Diciamo che la tua era un’esclusione strategicamente mirata. ;-)

  137. Dài Yara, rilassati un po’, cara figliola: ora che ti leggo, hai bisogno di un calmante. Sù, riprendi il controllo, o mi costringi a non farti più i complimenti per le tue fulminanti capacità critiche: con grave nocumento per la tua futura carriera artistica: non dimenticare che sono il primo critico erotico-letterario del terzo millennio, e tutte le vostre opere, ormai, sono destinate a passare sotto il mio vaglio esegetico! ;-)

    p.s.

    Sono anche un amico “intimo” di Mestizia Muratti: stai attenta al tuo doposquola! :-)

  138. Comunque su una cosa hai perfettamente ragione: “prima la top(ic)a, e dopo la critica”. Quanto è attuale Dal Pra, quanto ci manca in questi tempi da nani!

  139. @ Canzian: sono così elementari in senso buono le considerazioni che fai su nick ecc., che NI dovrebbe farne un post (non so se sono state dibattute molto in rete, ma constato che in diversi casi è servito a poco).
    Quanto a me, la cosa è semplicissima: da 2 ore sono da Yara, adesso il polipo è pronto, le patate pure. Uso il suo pc, tutto qua.
    @ fm: l’unica cosa per cui sono famoso in dipartimento, è lo sviluppo in senso dialettico-triadico del fondamentale dalpraiano: “prima la topica, dopo la critica, infine la chiavica” (a esprimere senso di inadeguatezza, nonostante gli sforzi compiuti di topica&critica). vale!

    db

  140. Vorrà dire che farò il vigile pharmakon, un tempo (quand’ero giovane e surrealisticamente de.pensierato) feci pure una litografia in iconica postura da Cristo che ride. Non ricordo più se con corona di rose piuttosto che di spine.
    Vi attendo nel soprasuolo, e trattate bene Gabriella, che tiene famiglia (Yo!).

  141. Per dirindina, sono nei vostri pensieri, vedo. Vi ringrazio molto per l’invito a partecipare al gioco del sacrificio… ora, avendo abitato per lungo tempo in rue de la victim, ho indossato abiti buddisti che ritengo più idonei a qualsiasi gioco in maschera e mi trovo costretta a declinare cortesemente l’invito. E’ pur vero che molti sistemi sacrificali chiedono perdono alle vittime stesse prima di immolarle, tuttavia non mi interessa correre tali rischi. Qualora aveste intenzione di compiere “il sacrificio del soma” con la pianta cresciuta sulle pendici dell’ Hiimalaya (il soma appunto) le cui proprietà allucinogeniche conferiscono qualità divine, nemmeno in questo caso giocherei volentieri, nascondendo il sacrificio in questione una violenza estrema. Se poi il gioco proseguisse nella teoria e prassi del capro espiatorio per poter riconciliare la comunità arcaica al prezzo modico(si fa per dire) di una sola vittima, vi informo che il fenomeno è così prezioso che le comunità arrivano a riprodurlo su delle vittime sostitutive, da cui la nascita del sacrificio rituale. Quindi se volete possiamo giocare a mago libero o a un, due, tre, stella, e via dicendo. :-)
    ps
    delirio liberamente tratto da Il sacrificio, René Girard. 2002

  142. Caro dott. Dario Borso, ti chiedo scusa per la svista, ma cercate di mettervi d’accordo (Tu e Yara) quando postate, perché io ormai non ci capisco più una beata mazza (Ale, ho detto mazza, senza l’accento). Non potreste trovare una formula risolutiva, tipo “sono io e non è lei”, oppure “sono lei ma non è io”, oppure ancora “sono io che sto citando lei che mi citava parlando si sé”? Se continuate così, più che un sacrificio diventa un vero e proprio martirio, di quelli che farebbero saltare la top(ic)a anche al più scafato dei filosofi-critici. :-) Pensa che nemmeno La Giardiniera riesce più a seguirvi e, per disperazione (un altro inutile sacrificio?), ha abbandonato il velo!
    E poi, è vero che a pancia piena si “ragiona” meglio, ma i polipi con le patate? Suvvia… La digestione è talmente lunga, che si rischia l’abbiocco, con relativa dispersione alle ortiche di ogni sia pur minima “intenzione esegetica”… ;-)

    @ Marco Rovelli

    Tira fuori il prima possibile la litografia in iconica postura e portala in laica processione (di blog in blog): qui tra morandate, mastellate, rutellate, fassinate, prodate e pannellate, senza la benedizione della tua sindone ridente, mi sa che il nano ce lo ficca in quel posto anche ad aprile: e stavolta, purtroppo, sarà per sempre.

    Quanto alla Fuschini, non ti preoccupare: la tratterò come se l’avessi appena “adottata”. :-)

  143. ha ragione @fm! dite prima se siete yara, borso o entrambi, non ce la faccio più a seguirvi e in più ho dovuto gettare il velo alle ortiche. è stato un sacrificio, ma forse non inutile.
    tutor io??? non scherziamo! posso fare l’alcolista anonima? come parte mi viene abbastanza bene.

  144. @ Gabriella

    Tutore no, ci sono già la Niccolai e Biondillo che assolvono. Zio nemmeno, troppo impegnativo (e troppo americano). Nonno: ecco il ruolo che mi si addice di più. Sai, quando si pensa al nonno, è tutto un profluvio di saggezza e bontà che si spreca: e il mio s-misurato (?) ego ne esce ipertroficamente rimodellato, quasi liftato direi. Proprio quello che ho sempre desiderato di più nella mia vita! Se serve, mi faccio anche trapiantare i capelli e mi tingo quelli che mi sono rimasti. ;-)

    p.s.

    Mi aspetto da un momento all’altro l’arrivo di tash: solo lui, ormai, potrebbe mettere fine a questa deriva…:-)

  145. siete strani.
    sembra si tratti di un seminario.
    sul sacrificio.
    penso al sacrificio di giacobbe, per esempio.
    quello che isacco portò a termine strappando il coltello dalla mano già levata del padre e successivamente sgozzandolo.
    mi ricollego così ai tuc più sopra: far fuori il padre è compito primario.

  146. Deo gratias! Evocato e apparso!!! Ormai ho paura di me stesso e delle mie capacità profetiche e divinatorie. Non mi resta che aspettare l’estate: un roveto in fiamme con cui parlare, in Italia lo si trova sempre.
    A buon rendere, tash. :-)

  147. La mia idea iniziale era di orientare gli allievi, au delà de Derrida, verso lo psycopharmakon, ma non ce n’è: sono giovani, e giustamente esigono roba vera, niente succedanei.
    E’ parimenti evidente che, finché il destinatario della mia i.e. Biondillo non mi risponde, non posso proseguire: purtroppo o per fortuna, sono all’antica.

    db

    polpus optimius octopus surplus

  148. Giustappunto perché all’antica, non posso esimermi da una risposta sincera ad Angela Scarparo (= ciabattino in terra mia). Angela, se tu avessi le redini saresti un’ottima cavallina. Ma anche così sei adorabile, e ben perciò, avendo purtroppo dato una mezza parola a Blonde on Blondill su Fortini [titolo definitivo: Le ultime parole (al telefono)], ti posso offrire in esclusiva gratuita un’intervista [titolo definitivo: Come non fu che mi compromisi col Corriere]. Se vuoi, mi trovi all’indirizzo arcinoto della Statale: dario.borso@unimi.it

    db

  149. @Tashtego: in laboratorio saresti il mio assistente ideale ( assistente: ricercatore=servo:padrone, i.e. chi stava sotto si mette sopra e viceversa, ad libitum)! Molti infatti si sono interessati del contorno (es. tipico: perché cavolo ride Sara?), ma nemmeno il Talmud si chiede: che cavolo avrà detto Isaac ? L’unico, ma immenso aiuto me l’ha fornito Landsdale. NB come non esamino la carta d’identità, così non esamino il sesso: e non essendo prevista in laboratorio una visita medica, alcuni allievi a prima vista maschi si son messi tra le Brame e viceversa (problema teorico: con la chirurgia attuale/futura si alleggerirà – per dirla col Canzian – anche l’identità sessuale?). Oltracciò ben 8 allievi hanno fatto outing trans, e quindi si schiereranno di volta in volta.
    @ fm: sicuramente indotto dai tuoi rilievi critici, stanotte m’ha posseduto un incubo in forma di concetto: tale concetto-condensa era: TOPA CRITICA DI CHIAVICA. Ora, come (e lo sanno tutti i kafkologi) kafka non è cornacchia né l’insetto della Metamorfosi è uno scarafaggio, così la mia topa non era una pantegana. Ma nemmeno una yara i.e. sirena. Il malessere perdura, anzi mi aumenta, e così per metonimia ho appena chiamato un’ambulanza, con l’idea di farmi portare al pronto soccorso del Policlinico, e da lì attraversando semplicemente la strada raggiungere i miei ragazzi al laboratorio: se funzionerà, avrò almeno risolto per il futuro il problema del traffico (se non vado errato, l’ambulanza è gratis ed ha la precedenza su tutti gli altri mezzi di locomozione). La crux è il DI: significa che la topa abita nella fogna o non piuttosto che la topa critica la fogna? Io propenderei per questo secondo corno, e la allineerei percià alla talpa critica della tana del mai troppo compianto Taccola.

    db

    COSI’ PARLO’ ISACCO
    ecco il passo, da La sottile linea scura, Einaudi, p. 283:
    A: figlio mio, concediti alla misericordia di Dio…
    I: *DIO PUO’ BACIARMI IL CULO*

    Tahtsti sarai accorto che la proposizione può risolvere parecchie scocciature legali anche in rete, collegate alla blasfemia. Ad es. potremmo entrare in un dibattito sulle religioni monoteistiche con una semplice citazione, e non rischiare niente.

  150. db, in quanto al ciabattino, a proposito di punti di vista: anche a casa mia il senso è lo stesso. in casa Ferrari no. scarparo in casa Ferrari (la rossa) equivale a campione: schumacher. vedi? Tutta questione di punti di vista e di epoche. in quanto alla cavalla: non ti starò a fare la manfrina sulla libertà, la mica libertà, a me le redini non me le metterà mai nessuno! Sono nata libera e trallalà, morirò libera! figurati. sarei la prima a essere felice se trovassi un bravo guidatore (a proposito di Schimacher e del cavallo)/ guidatrice.

  151. @angela zapatero & gli altri.
    siete troppo difficili per me.
    dunque torno al mio posto.
    naturalmente molti si saranno accorti che nel mio stupido post sul sacrificio di isacco, ho scambiato abramo con giacobbe.
    nel merito segnalo questo sito, fantastico, a chi non lo conosce:
    http://www.caravaggio.rai.it/

  152. Tash, sai non so radical-radicale come te, quindi perdòno. taccio se altri sbagliano. be’ tra ciabattino e zapaterra ci corre poco, effettivamente. due mestieri che riguardano il suolo. un invito a stare coi piedi per terra.

  153. Cara schumacherin/cavallina rampante/ferrarelle, ho detto “se avessi le redini”, non “se ti mettessero le redini”. Sono così contrario a mettere/farmimettere le redini, che a me *DIO PUO’ BACIARMI IL CULO*!
    perciò non temere, e se vuoi fatti viva.

  154. @ db

    Sono contento del fatto che il mio fondamentale contributo epistemologico ed ermeneutico sia passato, e che il sogno rivelatore si sia manifestato in tutte le sue polisemiche strutture onirico-pedagogico-concettuali. Siamo al mondo anche per questo, credo. ;-)

    Mi trovi d’accordo anche sul “secondo corno” della tua ipotesi interpretativa.

    p.s.

    Davvero sicuro che i polipi con le patate siano facilmente digeribili? Io una relazione tra la pietanza e il tuo sogno la troverei. ;-)

    Ave atque vale

    @ tashtego

    Vai pure dove ti porta il cuore, ma sappi che noi non smetteremo mai di gridare, durante i lavori seminariali: “tash è qui, e soffre insieme a noi”!

  155. @tahtsego

    polpus es, et in polpum reverteris!

    (ma in portoghese polvo, ricorda più polvere)

    @scarparo ferrari

    polpo, sition!

  156. figlioli, quanta robaccia
    la trascrizione su rete dela logorrea in cui siao immersi
    a galleggiare
    quanto spreco di invettive, quanta inclinazione tellurica alla polemica
    e alla parola strumentale – senza uno straccio di etica e deontologia
    abbasso
    SDK

  157. Stiticazzi! disposti a ceder niente. Leggete questa:

    LA’PIDE

    Aqui jaz um grande poeta.
    Nada deixou escrito.
    Este silencio, acredito,
    sao suas obras completas.

    Qui ci stanno scrittori, intellettuali ecc. Tra questi Lello Voce, che ha pubblicato un libro di poesia concreta. Be’, su NI ho lanciato un piccolo appello: cerco traduzioni dal portoghese, sono una fanatica di Leminski mai tradotto in italiano: chi mi offre un lavoro? Niente. Proverò al Domenicale. Scusate il disturbo.

  158. Sundance, è proprio per questo che ti ho creato, per dare lezioni di deontologia e di etica. Comincia a fare il tuo lavoro, dunque, guadagnati la pagnotta: mostra a questi tellurici sciagurati come si fa, imparali, imparali..

  159. Siamo al cazzeggio quindi mi adeguo:
    Vorrei dedicare alla platea femminile di NI con la preghiera all’auditorium maschile di non offendersi, una cosa divertente che ho trovato in rete anni fà, ovvero la reinterpretazione della Genesi:

    VERSIONE ORIGINALE DELLA GENESI

    Un giorno, nel giardino dell’Eden, Eva disse a Dio…
    -Signore, ho un problema…-
    -Che problema, Eva?-
    -Signore, so che mi hai creata e che hai provveduto per
    questo giardino bellissimo, e per tutti questi
    meravigliosi animali, e quell’allegro e buffo
    serpente… ma io non mi sento davvero felice!-

    -Come mai, Eva? –
    fu l’immediata replica dall’alto.
    -Signore, mi sento sola. E sono proprio stufa delle
    mele…-
    -Bene Eva, in questo caso ho una soluzione. Creerò un
    uomo per te!-
    -Che cos’è un “uomo”, Signore?-
    -Questo “uomo” sarà una creatura difettosa, con molti
    aspetti negativi.
    Mentirà, ti prenderà in giro e sarà
    vanaglorioso, in pratica ti darà un sacco di problemi.
    Sarà più grande di te e più veloce, e amerà cacciare
    e uccidere. Avrà uno sguardo scioccamente curioso, ma
    visto che ti stai lamentando, lo creerò in modo che
    possa soddisfare le tue, ehm, necessità fisiche. Sarà
    scarso di intelletto e si impegnerà in occupazioni
    infantili come la lotta e prendere a calci una palla.
    Non sarà molto sveglio, e avrà spesso bisogno dei
    tuoi consigli per pensare correttamente…-

    -Sembra una cosa divertente! – commentò Eva ammiccando
    ironicamente. – Dove sta la fregatura?-
    -Beh… lo puoi avere ad una condizione…-
    -Quale?-
    -Come ti ho detto, sarà orgoglioso, arrogante e auto
    compiacente… perciò dovrai fargli credere che e’
    stato creato lui per primo… però ricorda… è il
    nostro segreto… da Donna a donna!-

  160. Carina. Io ne ho qui davanti una di migliore (almeno nel senso che è più breve), tratta da THE ADAMS
    script & strip by B & R, libro-fumetto edito da Il Ragazzo Innocuo:

    A– Ho fame.
    E (suadente) – Mangia una mela.
    A – Non mi piacciono le mele.
    E (insistente) – Non ne hai mai assaggiate…
    A – Comunque non comincio col dessert. (si mangia il serpente)
    ? (fuori-eden) – Coltiverete mele col sudore della fronte*!

    * agg. fac.

    Scusate lo sfogo di prima: è vero, me ne vado, ma come sempre e come tutti (non aggiungo -e perché non sono -ista), dall’esperienza anche più povera si ricava qualcosa. Io ad es.
    1- un libro che mi regala Tramutoli
    2- una cena da DB con Biondillo
    3- propaganda gratuita per http://www.ubicue.splinder.com. (l’altra sera DB mi ha detto che ho fatto bene a mettere l’indirizzo, ma che ho sbagliato il come. Ubicue infatti, essendo rigorosamente anonima, è un castello di carte in cui ognuno mette una carta-commento, e poi si vedrà alla fine cosa verrà fuori. Mi ha detto cioé che Ubicue è per principio costruttivo, a differenza di un blog normale, che per principio è costruttivo/distruttivo. Peccato che non lo possiate conoscere, dà il meglio di sé dal vivo: ai laboratori, nel colmo della discussione, la sua frase per eccellenza era: vi mangio tutti! e in effetti ci sentivamo mangiati, alleggeriti all’osso e un po’ più liberi. Basta, se no mi mangia davvero!).
    Anche voi comunque una cosa almeno avete ricavato:

    PAULO LEMINSKI

    guardate in rete: alle filosofesse dovrebbe piacere almeno il suo unico romanzo, che parla di Cartesio sperduto nell’Amazzonia…
    Adesso basta per davvero. I blog sono pieni di gente che fa un commento, poi ne aggiunge subito un altro e un altro ancora, di gente che sbatte la porta e rientra subito dalla finestra ecc. “Yara, vediamo se fai la fine di questi, o se hai la forza di mantenere la parola che ti sei data: bastablog”.

    ;-)

  161. E’ qua il laboratorio virtuale? Mi par proprio di no, qua è un fuggi fuggi, persino Yara, persino il mio assistente, persino la scolaretta cui avevo arditamente dato il mio indirizzo…
    Meglio così, perché non ero preparato. Sulle frequenze d’onda di fm ho dato la caccia all’incubo, e i tasselli si sono piano piano ricomposti (tranne uno, das Polp an sich). Per arrivarci, ho impilato la topica dalpraiana, la topologia freudiana e la toponomastica milanese (a prop., non mi ero proprio accorto che l’altra sera era S.Valentino: buon onomastico!): un giorno intero alla Sormani a elucubrare, poi un cestino happymeal da McDonald (è quello per i bambini, costa meno e ha il regalo) e via, in via Freud. Complimenti Albertini! metà via è a tubature scoperte, l’altra metà a trans. Mosso ancora da conatus, ho chiesto alla meno peggio: Patricia, brasiliana, 40 euro, dico no, lei chiama un’amica -la peggio- stesso prezzo in 2: e per quanto tempo? tutta notte! quasi quasi vado da un amico e invece di presentarmi con le solite 2 pizze+2 birre… No grazie, sono delle Jene, è per un’inchiesta: come vi trovate qua? Guarda là! indicando le tubature… e son rimasto folgorato: era lei, Patricia, la kafkiana topacritica di fogna!
    Sarà un topos, ma lì al momento m’è venuto il mal caduto.

  162. Poiché Babbo Chiama

    L’altro giorno Robert Redford (che non è Michael Radford) mi ha messo il sale sulla coda: mi ha suggerito di venirmi a vedere questa polemicona scoppiata tra Alfonso Berardinelli (grande critico letterario e persona perbene) e i due redattori di Nuovi Argomenti, Inglese e Raos, autori di una striminzita selezione di poeti francesi del secondo Novecento.
    Intanto lodo uno degli ultimi interventi in ordine di tempo che sottolinea la riduzione del presente blog alla chat – non è il solito giochetto che mentre dà un’aria esotica al discorso mette in luce strumentalmente la sagacia (l’ineffabile know-how tecnico) nel campo della comunicazione nel web di chi scrive, è la sintesi di una tragedia in atto che qui vorrei estesamente argomentare e che come è dimostrato questo blog finora con la messe irrefrenabile e multiforme degl’ingressi (entries) si muove tra due dismisure: un’espressione anoressica e elefantiaca mentre la bulimia del tic compulsivo a entrare e lanciare un proprio piccolo ananas esplosivo) da come è documentata è con tutta evidenza trasversale.
    Avrei voluto, anch’io in preda a schizzo interventista, postare un mio scrittino (più lungo di quello che state leggendo ora) già venerdì – ma tra la stanchezza della fine di giornata e l’indigestione da lettura del blog tutto in una botta sola mi hanno fatto desistere. E’ stato meglio così.
    Ho dato tempo al magico Aldo Grasso, in un terzo di elzeviro sincopato, di evacuare il proprio escreto su uno dei rivoli collaterali all’ampia aggressione dedicata a Berardinelli, e nel frattempo oltre alla replica del grande Alfonso, lucida e fulgida (domenica 12 sempre sul CorSera) ho avuto modo anche di ascoltare Beppe Grillo, utente formidabile di un blog eccellente – stancante solo perché non fa che segnalarti la verità e richiamarti alla responsabilità civile di cittadino attivo.
    Detto questo vorrei segnalare che da questo blog e dalla polemica che lo ha generato emergono t-r-è (come lo direbbe il Mike Bongiorno di Fiorello) linee più profonde su cui mi piacerebbe ragionare un momento mettendole qui in comune con voi.

    1. DELLA POESIA E DEI POETI
    L’articolo “incriminato” a firma di Alfonso Berardinelli sul Foglio fa un punto spietato e solido (per argomenti …! e dati di riferimento) su alcune cose.
    Sullo stato di salute della poesia. Sui poeti e il languire dei loro linguaggi. Sullo spazio della scrittura – che sia poesia o critica della poesia o anche solo onesta azione (re)censoria: qualità del respiro dentro quale contenitore torricelliano, se quotidiano, rivista, ecc. Per tutto l’articolo, non lungo ma denso, Berardinelli, non so fin dove consapevolmente, non fa che segnare la marcata differenza tra PierPaolo Pasolini, densissimo poeta italiano del secondo Novecento, e i sei poeti francesi dello stesso periodo inseriti in quello sciagurato quasi coevo “paradigma di paesaggio” francese ritagliato in Francia da Inglese e Raos. E non fa Berardinelli, anche, che marcare la differenza tra PPP incandescente redattore di Nuovi Argomenti e i due nuovi redattori – che sicuramente da Enzo Siciliano e Dacia Maraini avranno ascoltato racconti di prima mano su come per esempio Alberto Moravia, fondatore con Carocci della rivista, volesse operare selezioni sempre attente e severe dei testi e dei nuovi autori da inserire in rivista e di come PPP invece strenuamente gli dicesse: Nooo! Pubblichiamo, pubblichiamo tutto – saranno poi i lettori a scegliere e a decidere cosa vale e cosa no. Ma Berardinelli marca anche l’evidente diversità di sosatnza tra la densità fulminante di PPP e una certa stanca replicatività dei poeti francesi antologizzati, intenti a riprodurre le spoglie inerti della poesia, a ricalcare forme, a evocare echi – e temiamo che per la proprietà transitiva (ma è sicuramente una nostra maliziosa forzatura del suo pensiero) Berardinelli tenda a vedere in quei poeti replicanti (les réplicants -!-) una inclinazione alla stanca ripetizione del mestiere di redattore che in essi si specchi…. Dobbiamo trarne la conclusione (speriamo anche questa forzata) che Berardinelli voglia farci una spiazzante rivelazione? – e cioè che la lingua poetica si è impoverita, la parola poetica è al suo tramonto se come sembra essa consiste ormai in null’altro che nel proprio simulacro, e che mandi avanti solo il proprio ologramma. Cosa le mancherebbe? Alla poesia mancherebbe, sembra di capire, il poeta, e anche la stessa poesia – essa è un onusto sarcofago: vuoto, e statico?

    2. DELLA FUNZIONE DELLA PAROLA SCRITTA (NELLE SUE APPLICAZIONI)
    La polemica non ha avuto spazio tanto nei giornali, in cui le incursioni sono apparse saltuarie e non consecutive, ma prevalentemente in questo blog.
    Per forza! – questo mezzo è più aperto, istantaneo, flessibile. E’ un’agorà pregevolmente duttile eppure ha un forte limite potenziale che puntualmente si concretizza in certe forme tipiche. Cioè: molti sono intervenuti e lungamente, le due parti in causa e molti altri che sono entrati nella polemica in modo emotivo, umorale, tellurico appunto – un aspetto a cui mi pare alluda anche un intervento di Tiziano Scarpa. Un falso amico (e temibile nemico potenziale, che poi puntualmente mostra la sua maschera spaventosa) di questo mezzo d’intervento è la sua stessa facilità d’uso – Beppe Grillo ha fiducia che attraverso i blog passi lo strumento democratico non scritto più vero che c’è: i reciproci controlli incrociati, quello che lui chiama autolivellamento, per cui gli abusi d’uso (!) di alcuni vengono democraticamente arginati se non oscurati dal severo controllo di altri e per esempio salta fuori qualcuno che accoratamente deplorerà, se questo accade, come qui è accaduto, che il blog è ulteriormente scaduto al livello di una chatline. Però io vorrei solo osservare che l’interventismo qui si è subito manifestato come valanga di commenti violenti, irriguardosi, e elementarità di pensiero. E se una simile polemica diventa arrembaggio convulso e sincopato come il terzo di elzeviro di Aldo Grasso sul CorSera di sabato allora il vero segnale non sarà una sopraggiunta sfiducia nella funzione della parola scritta? Da una parte la necessità di dare forma scritta al pensiero che sembra essere più che mai di questi tempi emanazione diretta e prolungamento in un vero e proprio organo espressivo, che è la parola scritta medesima, della funzione comunicativa (siamo o non siamo nell’èra della comunicazione?), dall’altra la connaturata (sembrerebbe) qualità scadente di quella espressione nelle sue forme ma anche fin nei suoi stessi oggetti fondativi.
    Cioè mi scoccia ammettere che tutto questo starebbe a suffragio e dimostrazione della versione fenomenologica peggiorativa che contesto sempre a una mia cara amica (pessimista benché si picchi sempre d’essere una realista, un’obiettiva analista dei fatti): la tendenza dei più a adeguarsi verso il basso.

    3. E ULTIMO VENNE IL CORVO.
    Del resto se è davvero così: se non c’è spazio per la parola scritta alta, che è sempre poesia qualunque forma prenda, tutto lo spazio chi se lo prende? Anzi, chi se lo è preso? Tutto lo spazio appare infestato fin negli interstizi da una scrittura che nega se stessa, che si abbandona alla semplificazione, a una ambiguità che non è ricchezza semantica ma è incertezza etica o del pensiero e ha per scopo il voler mettere d’accordo tutti e chiunque, si propone unicamente di sedurre cioè in ultima, più autentica, istanza, di ingannare – di gabbare il lettore riempiendogli la pancia di scorie senza (rigorosamente) nutrirgli il cuore, il cervello, l’anima. Proprio come tutta la cattiva alimentazione che ci ingolliamo di corsa, i nutrimenti denutrienti che sono ormai da decenni il nostro cibo consumistico/industriale.
    Difatti dove RIESCE A SCRIVERE più Alfonso Berardinelli? Solo sul Foglio di Giuliano Ferrara. Ed è Berardinelli uno che le riviste e gli spazi culturali (critici e letterari) li ha fondati e forniti a vantaggio di molti.
    Infatti Ultimo Venne Il Corvo. Il corvo Grasso di nome Aldo. E’ ben pasciuto, può sdottorare a proprio piacimento, espone anche la propria icona in cima alla bustina che può liberamente diffondere dalle pagine televisive del CorSera. Pagine organiche, integrate al sistema (della comunicazione), innocue. Potrebbe valersene, da intellettuale, per lanciare bome, per destabilizzarlo, scardinarlo dall’interno, quel sistema. Invece no.
    L’apprezzabile critico televisivo, studioso del fenomeno comunicazione in senso lato, preferisce demolire Alfonso Berardinelli, nel quale potrebbe saper riconoscere con umiltà un fratello maggiore se non un maestro. E come lo fa? Secondo l’ultima frontiera della retorica semiologica ereditata dalla politica dove il suo uso è ampio e invalso. Veste la maschera di chi accoglie le ragioni dell'”imputato”, instillando con sagacia un prudente sentimento di fiducia e predisponendo all’imprudenza dell’apertura – salvo poi, quando la guardia è abbassata e il fianco ben scoperto, sferrare il fendente fatale. In che modo il fair play è stato scalzato dal gusto della demolizione selvaggia, della violazione inclemente dell’avversario?
    non sarà questa la vera innovazione che un industriale prestato alla politica ha introdotto scendendo personalmente in campo?, cioè come nella competizione per il potere in azienda e nella libera concorrenza in libero mercato, il combattimento a furia di sgambetti e colpi bassi?
    Robert Redford, che non è Michael Rathford, mi aveva detto che l’iniziale polemica tra e intorno a Alfonso Berardinelli e Inglese/Raos su questo blog si era poi subito trasformata in una paradossale glorificazione del grande critico – ma continuo da giorni a leggere questo blog che vedo invece in tutto questo unicamente una estesa polemica selvaggia in cui nulla è fatto salvo se non il gusto di colpire (salvo magari farfugliare scuse). Senza mai davvero correggere questa sostanza: l’esaltazione della parola ambigua e strumentale, spesso sciatta, più spesso violenta e irriguardosa, l’unica che davvero dilaghi e conquisti triste cittadinanza – ovviamente a gomitate nei fianchi.

    SDK
    PS: Match Point può essere un utile supporto al senso di questo discorso.

  163. purtroppo amici nella fretta di digitare il testo mi sono scappati un po’ di refusi – peccato, perché alla precisione io tengo molto
    ma la fretta della digitazione è stata dettata anche dal fatto che venerdì sera avevo quasi scritto per intero il mio intervento ma poi ero troppo preda della stanchezza per chiuderlo e ho deciso di cancellarlo (di non postarlo), e due giorni fa l’avevo riscritto ma per non so che arcano disguido tecnico non solo non m’è riuscito postarlo ma l’ho proprio perduto nell’etere (d’altra parte, visto che, come direbbe Enrico Ghezzi, il mezzo è l’aria…)
    giorni fa parlando con un amico abbiamo sviscerato il problema della poesia
    a un certo punto ho capito una cosa orrenda: la poesia ha perso la sua funzione
    la poesia ha sempre avuto il compito di tramandare storie personaggi simboli cicli epopee campioni – interi (affettuosi) patrimoni culturali – attraverso il codice mnemonico/ritmico/fonetico
    poi la scrittura ha stabilizzato il patrimonio e dato la stura alle variazioni in più si è tenuta e ha articolato la funzione della memoria
    ma ora noi deleghiamo la memoria alla macchina
    in questo modo perdiamo il contatto con gli oggetti della memoria e con la necessità della memoria pensando di poterla meccanicamente richiamare in ogni momento
    in questo modo la poesia (qualunque forma essa prenda) non ha più compito – persa la funzione decade l’organo e il suo linguaggio o codice tecnico: è legge di natura, TEMO

    SDK, poèta
    PS: vi lancio un giochino – cos’è il FIRMWARE?

  164. ‘Azzo, che grande la mia creatura!!! Lo sapevo che, se interveniva, vi avrebbe imparato a tutti. Tiè!Tiè!Tièèè!!!

    Ve lo aspettavate il Berardinelli che lamenta la perdita dell’aura? No! Voi continuavate a pensare a Valter Beniamino, senza minimamente sospettare che si trattasse di suo nonno. Buon sangue non mente, mai!

    p.s.

    Comunque, figliolo, la mia posizione, se ti interessa (e dovrebbe, visto che mi hai citato) è questa, chiara e limpida: 1) Berardinelli è stato un grande critico (te lo dice uno che lo leggeva quando ancora non eri nato, visto che sono tuo padre); 2) sulla poesia francese contemporanea, in generale, a prescindere dalla (pregevole) antologia di Inglese/Raos, ha dato dei giudizi non degni del suo passato (di critico: l’unico che mi interessi), nonostante i tuoi tentativi di dire il contrario: la sua nota è lì e parla da sola; il Berardinelli che scrive sul foglio non mi interessa, e non mi interesserebbe anche se in uno qualsiasi dei suoi scritti su quel giornale (?) ci rivelasse la verità sul senso della poesia e dell’essere, ma la sua scelta non mi permetterei mai di discuterla, appartiene alla sua coscienza e al tipo di rapporto che intrattiene coi suoi datori di lavoro: dire che io non la farei mai, non significa intaccare la sua personalità e le sue scelte, che sono anche scelte di campo, soprattutto oggi, lo voglia o no; non potrà mai succedere che io insulti gratuitamente una persona che non conosco e di cui sto discutendo un intervento critico, a mio modo di vedere un po’ campato in aria per quanto attiene ai supporti e alle pezze teoriche utilizzate; quello che dicono aldo grasso e tutti coloro che, in disaccordo con una recensione, hanno finito per insultare una persona, non mi interessa e non mi tocca minimamente. Eticamente e umanamente sto da un’altra parte.

    Ciao, e tieniti in forma, perché sto preparando una bella infornata di film interessanti per questa estate, parecchi sono di produzione francese. Vedrai quanta bella gente verrà al nostro raduno.

  165. Caro Kyd, questioni urgenti non mi hanno permesso nel pomeriggio di commentare come meritano i tuoi due ultimi post. Vorrei farlo ora che posso, se non ti dispiace, perché ritengo sia doveroso mettere da parte per un attimo l’ironia e i suoi derivati più o meno palesi e concentrarsi su alcune tue riflessioni che ritengo significative, in positivo e in negativo. Questo, anche per dimostrarti, che quando uno ha qualcosa da dire, l’ascolto attento riesce a trovarlo.
    I capitoli due e tre del tuo lunghissimo post (“comunicazione ed etica”, in definitiva) sono, a mio modo di vedere, sostanzialmente condivisibili, il disaccordo sta solo nei dettagli, ma l’insieme regge. Ciò che traballa, e traballa anche in relazione a quanto tu stesso scrivi nei due punti succitati, sono alcune considerazioni contenute nel primo punto e, soprattutto, poiché toccano lo specifico del tema in questione, quelle postate nella tua aggiunta (chi sa, forse ti sei accorto che mancava qualcosa di fondamentale, cioè l’oggetto di cui volevi discutere). Vediamo: tieni presente, comunque, che io ho meno certezze di quante ne dimostri o ne hai tu, e ritengo l’espressione del mio pensiero nient’altro che un punto di vista, che va preso solo e unicamente per il carico di senso e per il contributo che, eventualmente, può portare.

    Le contraddizioni (al punto 1).
    Mi risulta difficile seguirti quando, involontariamente spero, cadi in un facile moralismo, che finisce per commentarsi da solo, parlando della comunicazione in rete: “indigestione da lettura del blog”, siti ridotti a chat, “tragedia in atto”, lanciatori di “ananas esplosivo”. Ebbene, al di là della evidente mancanza di “tatto” nei confronti di coloro che utilizzano e vivono questo mezzo in altri termini, tutti accomunati agli altri in un unico calderone, io mi chiedo: ma se questo posto ti/vi provoca tali imbarazzi di stomaco, perché continuate ad interessarvene e ad intervenire? Sarebbe facile rispondere: per fare delle lezioncine, suppongo. Per quanto mi riguarda, invece, io trovo che quello che dici è sì vero, ma interessa una minima parte di questo mondo virtuale, perché personalmente vi leggo anche spunti, commenti, suggerimenti, suggestioni, emozioni, passioni, valori, rabbia: il tentativo, fallibile quanto vuoi, ma in atto, di creare una sorta di comunità dialogante di persone che vogliono confrontarsi, anche duramente se è il caso, per uscirne magari arricchiti, o intrigati in punti di vista che non avevano considerato. Ti faccio un esempio. Ho seguito per più di un mese, senza mai intervenire, due thread che, insieme, contano circa settecento (!) post. Anche lì si cazzeggiava, in genere, e c’era chi di tanto lanciava insulti gratuiti, ma, tranne costoro, che poi sono stati isolati dal loro stesso modus dicendi et operandi, l’insieme, e il clima da chat, non mi ha mai dato fastidio, né mi ha mai urtato il tono usato: ho avuto modo di leggere di poesia e di poeti (tanti non li conoscevo e li ho scoperti grazie a loro), di etica, di politica, di filosofia. E vuoi sapere perché non ho mai avuto mal di stomaco? Perché i luoghi per tenere lezioni e sermoni dalla cattedra sono altri: qui passa il serio e il faceto, la battuta e l’ironia intelligente, il sacro e il profano: e molte volte proprio lo scherzo e l’ironia veicolano messaggi di grande pregnanza e valore (almeno per quelli che li sanno recepire: intervengano o meno nella discussione). Ecco perché, quando mi capita di rispondere personalmente, mi rivolgo solo e unicamente a coloro che, a prescindere dalle forme, sanno dialogare e cercare punti di incontro critici; quelli che insultano li ignoro, tanto si isolano da soli.

    Le contraddizioni nel merito.
    Il critico Alfonso Berardinelli, dalle pagine di un giornale, recensisce l’ultimo numero di una rivista (NA) che riporta, tra le altre cose, un’antologia di poeti francesi contemporanei curata da Andrea Inglese e Andrea Raos: è una stroncatura senza rimedio (un po’ meno rozza e più fine di quella che tu, giustamente, rimarchi operata da Grasso nei confronti del nostro, ma il senso non cambia): stroncatura dei poeti antologizzati e, tra le righe, dei curatori che, se pure non hanno i “titoli” del critico famoso, non gli sono certo da meno in quanto a serietà di studi e a onestà intellettuale e, fosse anche solo per questo, meritano rispetto. I due giovani scrittori rispondono con un filo di ironia (e ti credo!) ma in tono sostanzialmente garbato, chiedendo quale sia l’idea di poesia in base alla quale quel giudizio, esteso pregiudizialmente a buona parte della poesia francese del secolo scorso, troverebbe una sua logica e una sua giustificazione teorica. E la risposta? Latita caro Kyd, checché tu ne pensi e dica, così come latita dalle tue argomentazioni a supporto delle mancate argomentazioni del suddetto critico. Il discorso viene artatamente fatto scivolare sull’opportunità o meno di scrivere su certi giornali, ma di paradigmi poetici nemmeno l’ombra. Rileggi un attimo quello che scrivi anche tu, quando parli di “sciagurato quasi coevo paradigma di paesaggio francese ritagliato da Inglese e Raos” (ti sembra un giudizio criticamente fondato?); di “stanca replicatività dei poeti francesi antologizzati” (ma rispetto a che cosa? a quale modello? a Pasolini? e che c’entra? ), che “riproducono le spoglie inerti della poesia” (ma quale? di quale poesia si sta parlando?). Ed ecco allora qual è l’idea di poesia in base alla quale Berardinelli criticava: la si evince dal tuo post/aggiunta: ed è unicamente ed esclusivamente la “vostra”, e quella degli apparati politico-culturali che reggono le sorti del mercato e del marketting poetico italiano di oggi: “la poesia ha sempre avuto il compito di tramandare storie personaggi simboli cicli epopee campioni – interi (affettuosi) patrimoni culturali – attraverso il codice mnemonico/ritmico/fonetico”; “poi la scrittura ha stabilizzato il patrimonio e dato la stura alle variazioni in più si è tenuta e ha articolato la funzione della memoria”.
    Fantastico: un modello di interpretazione storicamente dato, da trent’anni incapace di leggere il reale e le nuove forme in cui si articola la creatività umana, elevato ad archetipo inviolabile ed immutabile di tutto il “poiein” presente, passato e futuro: non esiste nessun altro modello, nessun paradigma creativo o critico-interpretativo: e nella fuffa, di corsa, tutti questi poetastri che non rientrano nello schema predisposto ab aeterno dai padri, da quelli stessi epigoni della tradizione (avanguardie incluse) che leggono e recensiscono solo e unicamente gli epigoni dei loro stessi epigoni, sempre pronti a sgomitare per entrare nelle stanze buone della cultura che conta: cioè nelle stanze ammiccanti e confortevoli del potere.

    Kyd, sai quale risposta Inglese e Raos si aspettavano da Berardinelli (e il nome, in questo caso, sta ad indicare metonimicamente un’intera categoria, fatte salve poche eccezioni)? Quello che si aspettavano è esattamente quello che non sarebbe mai venuto, ma proprio quella mancata risposta è ciò che li distingue, per fortuna, dalla suddetta categoria: per Inglese e Raos, quello da Berardinelli (e da te) riproposto è “un” modello, storicamente dato, da attraversare e superare nella ricerca di altre dimensioni di senso, filtrando gli echi che emanano dalla pluralità di tutte le forme espressive che muovono verso l’altro, verso ciò che si fa dono, che unisce ed è condiviso; per Berardinelli (e per te) quello è “il” modello, non ce ne sono altri: ciò che non si adegua è puro flatus vocis, impoetica espressione di un mondo morente, già morto.
    E’ questa, ci piaccia o no, la sostanza di tutta la querelle. Con la certezza, per quanto mi riguarda, e spero condivisa da qualcuno, che ad essere morta non è la poesia, ma la critica di cui Berardinelli è oggi un rappresentante dalle pagine del foglio.

    un caro, sincero saluto.

  166. oddìo
    ma perché dobbiamo chiudere?
    vorrei dire solo una cosa – presunto, sedicente(?), autoeletto(?) padre mio
    io sotengo sempre ciò che è nuovo, sono per fare e non per il disfare – però credo si veda in quel che ho scritto (anzi mi scuso per lo sproloquio – vorrei rassicurare su un punto – non l’ho proposto come una lezioncina passatista e nostalgica, il mio -improprio?- dilungamento è stato solo frutto della passione) che in realtà c’è un problema di fondo che è IL PROBLEMA di questi ultimi anni, perlomeno da che -cioè dal ’97- internet, il web e tutto ciò che contiene o può contenere/generare hanno introdotto “oggetti” nuovi e hanno profondamente discusso e cautamente plasmato una PAROLA NUOVA. Il punto è, credo, perlomeno mi pare l’oggetto interessante attorno a cui ragionare (ragionare, non sdottorare – io non ho sdottorato, e non ho messo l’ancora in ciò che è già -da tempo- dato -e superato nei fatti proprio da tutto il nuovo che proviene dal web), che si devono fare i conti con alcune trasformazioni nette irreversibili e profonde: la memoria nelle sue nuove forme, il valore della scrittura, il ruolo della parola scritta, i luoghi di tutto questo, dove è andata a finire l’anima e ora che oggetto è. Per me tutto questo è motivo di crisi (non di fine) – forse è finita una sintomatologia -ecco, questo- e ne è cominciata un’altra che però per noi è misteriosa ancora, e sarà il nostro territorio vergine d’ora in poi, la prateria sconfinata in cui forsennatamente scorrazzare liberi da adesso. Cercavo di dire questo, forse l’ho detto male – e poi vorrei aggiungere: mi coglie il terrore di recente del dilagare dei professorini che come dici tu impongono modelli: su questo, e chi mi conosce lo sa, io non ho mai perdonato nessuno. Il punto è, di nuovo, la comunicazione, dentro lo scrittore, tra la bocca e il naso, tra la mano che scrive e il cuore che sente e pen(s)a: in quella prodigiosa striscia di Gaza si sta già giocando la partita della vita – via la tuta e il berretto, scaldiamoci e mettiamoci a giocare. Senza carinerie leziose però con senso della lealtà, rispetto dell’avversario e sommo amore del compagno – per onestà di gioco.

  167. Kyd, solo un paio di precisazioni, delle quali non ci sarebbe stato bisogno se la tua replica non risultasse un po’ “piccata” in alcuni passaggi.
    1) Il “padre” era usato ironicamente, giocando con le associazioni che nascono dal rapporto redford-sundance festival-sundance kid di un noto film; per quello che ne sappiamo, potresti anche essere tu mio padre, anagraficamente: credi che i tuoi “presunto”/”sedicente”/”autoeletto” siano ironici?
    2) Non sei un mio “avversario”, ma un interlocutore, verso il quale dimostro “rispetto” nel momento in cui dichiaro, molto esplicitamente, che voglio dialogare, e accetto il dialogo, solo con persone che hanno qualcosa da dire.
    3) Un “caro, sincero saluto” non è una “carineria leziosa”, ma un attestato di stima nei confronti di chi ci sta di fronte: almeno, al mio paese, è ancora così; al tuo, non so, ma è un problema che devi risolvere da solo.
    4) Ribadisco che quando parli di comunicazione (i famosi punti 1/2 del tuo post da cui è partita la discussione) mi trovi d’accordo sul piano teorico, visto che poi, in pratica, la forma auspicata non mi sembra di vederla nei fatti (e il tuo ultimo intervento, se permetti, ne è un piccolo esempio: ma forse mi sbaglio).
    5) Se voglio esplicitare, visto che non siamo uno di fronte all’altro, un’intenzione particolare del mio scritto, posso benissimo utilizzare dei simboli (:-), ad esempio) e non lasciare che sia l’altro a doverla intuire dal complesso di parole che, messe lì, una di seguito all’altra, parlano da sole e, magari, vanno in tutt’altra direzione.
    6) Che tu sia un amante del “nuovo” non potrei (e non voglio) metterlo in discussione, ma sta di fatto che le tue affermazioni su Inglese e Raos (berardinelliamente indirizzate ad indicarli come due dilettanti allo sbaraglio, laddove sono due studiosi e scrittori di valore) non mi sembrano in linea con quanto ora affermi: delle due l’una: o sono incapace di leggere, o tu faresti meglio a rileggerti prima di postare: escluderei la prima ipotesi, perché il tuo scritto è lì, ed è inequivocabile, esattamente come inequivocabile è la mancanza di risposte di B. alle domande (di teoria e critica letteraria, non personali) che gli Andrea ponevano.
    7) Non ho assolutamente niente contro la “tua” concezione della poesia e la tua impostazione critica: ritengo, soltanto, che sia “una” visione del problema e non l’unico sguardo possibile.
    8) La “striscia di Gaza” la lascerei ad altri ambiti di discorso: lì, Kyd, e tu lo saprai sicuramente, si muore davvero, girano armi e ordigni che hanno per bersaglio esseri umani: io e te, invece, stiamo solo giocando, e le uniche armi di cui disponiamo (per me le uniche possibili) sono quelle della parola, della dialettica, del confronto critico.
    Su queste basi sono a tua disposizione e a disposizione di tutti coloro, e sono tanti, che qui, su NI almeno, quelle sole “armi” usano.

    Ti saluto e ti auguro una buona serata.

  168. la appena da me gustata “piccatina al limone”
    mi conforta in un paio di cose
    1. il linguaggio diventa letteratura solo quando è metafora
    2. ogni paternalismo è cosa cattiva e ingiusta
    RR, tu precisi cose ovvie – come? sei superiore -se non addirittura super partes- e mi cadi sul … pisello?- siamo sempre nella formidabile metafora
    (no, lo dico sennò te t’affretti a precisare puntualizzare spiegare)
    ammetto d’aver colto un fatto innegabile: questo blog non è nonviolento
    però “striscia di gaza” stava per “terra di nessuno”- era una metafora
    deduco come faceva monsieur dupin (ricordi zio edgar?) che siamo diversi
    e meno male – così inteloquiamo
    però io cercavo soprattutto, o babbo, di metterti sulla pista giusta per scoprire cosa è il FIRMWARE – questione, a te potrà anche non sembrare, nodale e meno lontana dal cuore di questa discussione

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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