Replica a Berardinelli
di Andrea Inglese e Andrea Raos
Ringraziamo Alfonso Berardinelli per aver risposto sul “Foglio” alla nostra lettera aperta. Lo ringraziamo, senza alcuna ironia, perché ha dimostrato così di credere ancora nel valore del dibattito culturale. Ha dimostrato che il confronto ha senso anche quando si annuncia aspro e scomodo. Anche quando nasce da un blog letterario e non sulle pagine di un qualche quotidiano o periodico di grande tiratura. Anche quando è proposto da persone che non possono far valere gli stessi suoi titoli, ma solo la bontà o meno dei loro argomenti. Le risposte che ci dà non ci hanno comunque convinto, ma ci indicano un percorso da compiere. Ci sollecitano insomma ad approfondire le nostre ragioni, questo ruolo di “passeurs”, di “spalloni della poesia” che per pura passione ci siamo trovati ad assumere. Cercheremo di mostrare anche sulle pagine di Nazione Indiana il valore e l’interesse di una certa corrente della produzione poetica francese.
L’impressione di Berardinelli è che questi autori scrivano testi inutili e che ripercorrano un vicolo cieco già battuto (lui pensa senz’altro al filone Tel quel e ai “teorici” dell’écriture). Certo gli autori che noi abbiamo proposto hanno una storia, delle eredità culturali in parte condivise; ma non sono degli epigoni. E si muovono in direzioni comunque diverse rispetto a quanto in Italia si fa. Nella sua controreplica, Berardinelli ribadisce per la seconda volta che queste poesie non lo convincono perché afflitte da una “indeterminatezza della forma”. In questa asciuttezza il suo giudizio diventa però insindacabile e anche non falsificabile: Berardinelli rifiuta di entrare nel merito, di spiegarci come e perché. Noi invece osserviamo due cose:
1. Sul piano generale, il discorso di Berardinelli potrebbe essere interpretato (se ci si attiene solo a quanto da lui detto nel suo primo articolo), come una pura e semplice difesa delle forme tradizionali contro tutta la modernità, a partire almeno da Duchamp. Perché no. Ma a quel punto due frasi non ci bastano, e leggeremmo col più vivo interesse un’argomentazione più approfondita. Se invece, come ci sembra più probabile, Berardinelli rifiuta ciò che – in modo del tutto aprioristico ed automatico – egli incasella nella tradizione della neoavanguardia come comunemente intesa in Italia (e da lui in più occasioni criticata), rispondiamo che questo non è vero, e che proprio questa distanza ci sembra uno dei maggiori punti di forza dei poeti in questione. E sarebbe allora del più grande interesse discutere dei limiti, della portata dell’innovazione letteraria. Nel suo secondo articolo, Berardinelli dice che l’”avanguardia” ha già dato tutto il poco che doveva dare. Non siamo d’accordo. Perché questo è vero di una certa parte della neoavanguardia italiana, in cui la sperimentazione è andata di pari passo con una prepotente opera di canonizzazione della stessa (la famosa “avanguardia museale” di Sanguineti), che è stata anche occupazione dell’accademia; ma non lo è di altre operazioni, condotte in parallelo o in seguito, che non hanno mai messo in sordina il proprio potenziale critico e che – piaccia o no a Berardinelli ed alla stessa avanguardia “ufficiale” – esistono, e continuano in forme sempre inattese (per l’Italia, vogliamo citare almeno Giancarlo Majorino, che Berardinelli stesso ha avuto occasione di lodare, e Giuliano Mesa – ben lontani dall’essere gli unici esempi possibili).
2. Più in particolare, vogliamo ribadire almeno due esempi di sperimentazione sulla forma (non semplice rifiuto della stessa) contenuti nel nostro dossier francese. Christophe Tarkos, che (vale forse la pena precisarlo) lavorava sull’avanguardia non dalle fredde aule di una qualsivoglia accademia, ma da una posizione di grave disagio psichico (una posizione, insomma, fortemente “esistenziale”), Tarkos, dunque, sottopone il linguaggio ordinato e razionalizzante agli stessi scossoni che attraversano la sua mente, costituendo una peculiare forma di dettato ossessivo attraverso iterazioni e parallelismi. La sua frase cresce a poco a poco e torna su di sé di continuo, dilatandosi, senza trovare mai vero compimento. La sua percezione sempre in bilico, sempre sul punto di sprofondare ed annullarsi, è al tempo stesso tentativo di “dare forma” ed ammissione del proprio scacco. Può piacere o no (ammesso che “piacere” sia il termine adatto in questo caso – lo era forse per Van Gogh? o per Amelia Rosselli, la sua pronuncia dissestata e percossa?), tutto si può dire – ma non certo che si tratti della stanca ripetizione di un ribellismo di facciata.
Eric Suchère – che potrebbe forse sembrare il più “informale” di tutti – compie in realtà un lavoro di un’estrema raffinatezza sulla scomposizione della forma. Questo aspetto è forse poco apparente nella pur ottima traduzione di Massimo Sannelli; lo legga, se ne avrà l’occasione, in originale, e vedrà dispiegarsi tutto il suo lavoro di microincisione sull’alessandrino. Il problema (qui si tocca un altro punto centrale) è che Suchère il suo lavoro lo compie a partire da suggestioni che riguardano non solo o non tanto l’eterno microcosmo della poesia, ma andando a cercare nuovi stimoli nelle arti figurative e nella musica contemporanea. Che non significa dire di ispirarsi all’avanguardia di tre generazioni fa (Stockhausen o lo stesso Duchamp trasformati – loro malgrado – in soprammobili da salotto buono) ma ai nostri contemporanei negli altri campi della creazione. Non è vero che non accade mai nulla, e che tutto si ripete; le innovazioni, gli squarci, gli slanci in avanti esistono, vengono dalle direzioni più impensate – basta volerli e saperli riconoscere. Da questo punto di vista lo scetticismo di Berardinelli, salutare cura di lucidità di fronte alle finte esaltazioni ed alla mortifera asfitticità degli anni Ottanta, ci sembra ormai fuori fuoco di fronte a ciò che, nel campo della nuova letteratura, realmente accade.
Il giudizio di Berardinelli ci ha sorpreso solo a metà, a dire il vero. Noi crediamo che la sua lezione migliore stia in due “qualità”: il gusto e un certo scetticismo. Mentre nel mondo degli specialisti universitari, il gusto è una prerogativa sempre più rara e a volte considerata del tutto superflua, Berardinelli ha continuato a difendere la necessità del gusto. Mentre nel frastagliato e variopinto mondo della poesia, il kitsch si diffondeva a macchia d’olio dietro formule altisonanti o liberatorie, Berardinelli ha saputo conservare una giusta, disincantata, distanza di fronte alla scrittura in versi. Lo scetticismo gli ha permesso inoltre di esercitare quella critica delle idee, che è momento culminante del saggismo che egli da tempo difende. E le sue lucide riflessioni su costumi, stili e dottrine della sinistra già all’altezza degli anni Ottanta sono stati per noi – erano per noi anni di formazione – un varco angusto e istruttivo.
Ma il gusto come lo scetticismo sono qualità anche “conservatrici”, soprattutto se non sono costantemente messe alla prova, fino al tradimento. Nel suo modo di parlare dei poeti francesi, di formulare il suo giudizio, a noi Berardinelli ha dato l’impressione di un atteggiamento pregiudiziale, di una rinuncia a mettere nuovamente in gioco le proprie categorie, di una mancanza di curiosità. Ma anche di autoritarismo, rifiutando di affiancare una qualche concreta dimostrazione al suo verdetto. E questa impressione è stata rafforzata dal passo in cui Berardinelli si chiede come sia possibile che testi simili siano stati messi in circolazione da una rivista come “Nuovi Argomenti”.
Berardinelli, abbiamo bisogno di critici che abbiano gusto e che siano severi. Non di padri castranti che si rivolgano ai responsabili della rivista per cui abbiamo lavorato invocando censure.
Ci rammarichiamo di una cosa, di un nostro errore. Per noi è triste che Berardinelli scriva sul “Foglio”, indipendentemente da cosa vi scriva. Ma forse nella nostra lettera a Berardinelli non avremmo dovuto esprimere il giudizio negativo sul “Foglio” e questa nostra amarezza. Ciò ha scatenato nei commenti alla nostra lettera un processo di condanna o assoluzione, relativo a questa collaborazione. E Berardinelli ha dedicato una buona parte della sua risposta al nostro scritto per “giustificare” i motivi della sua scelta, rispondendo ad un attacco personale che gli era stato rivolto in un commento da una lettrice. Altre erano le nostre perplessità, meno legate alla persona, e più alla sua funzione e al contesto in cui essa si esercita. Una riflessione utile (che la nostra frase di partenza sottintendeva) dovrebbe interrogarsi piuttosto su questi punti:
1) perché qualcuno come Berardinelli (che ha scritto quello che ha scritto, che ha la storia che ha) è finito a scrivere per un quotidiano diretto da Giuliano Ferrara? La variegata stampa di sinistra ha qualche responsabilità in questo?
2) Può un critico separare senza alcuna conseguenza l’universo dei temi cosiddetti “culturali” da quello dei temi cosiddetti “politici”, sostenendo che i due possono vivere in completa e tranquilla indipendenza?
3) Il fatto di collaborare per un quotidiano di cui non si condivide la linea politica non condiziona in nessuno modo ciò che uno, come critico, può scrivere?
Ci rendiamo conto che anche per molti dei nostri coetanei queste domande suonano bizzarre, quasi inintelligibili. È che l’orecchio nel frattempo si è fatto sempre più apolitico. Non il suo, Berardinelli, che si è formato anche su Fortini. E infatti anche se l’attacco era grossolano e aprioristico, lei ne ha comunque riconosciuto la pertinenza, fornendo una giustificazione pubblica.
In quella famiglia culturale della sinistra a cui poco ormai la lega, avrebbe potuto giocare il ruolo utile, costruttivo, dell’ospite ingrato, subendone però le conseguenze, i contraccolpi e le repliche, le smentite e gli equivoci. Presso la famiglia che ora la accoglie e le offre lavoro, rischia invece di essere solo graditissimo commensale. Quanto a noi, condividiamo con lei la colpa, la colpa insita nel venire ogni giorno a patti con una società di cui detestiamo molti aspetti, aspetti di cui non ci rassegniamo ad accettare l’ineluttabilità. Ma l’isolamento (così lo chiameremmo, piuttosto che solitudine), quello ci auguriamo che non ci riguardi: dentro la famiglia della sinistra, noi continueremo a muoverci assieme ad altri, di generazioni e provenienze diverse, tessendo relazioni e amicizie, rinnovando occasioni d’incontro e d’insoddisfazione, condividendo progetti e lotte, scambiando quel tanto di esperienza e di immaginazione utopica che ancora ci rimane.
A questa lettera, aggiungiamo come postilla una citazione di Pier Vincenzo Mengaldo, rivolta più che altro ai nostri compagni di strada e lettori di sinistra. La morale è questa: i compromessi si sono sempre fatti, ma nella piena e scomoda consapevolezza di farli. Oggi li facciamo, ma dimenticandone, con uno scuotimento di spalle, il peso inevitabile (e necessario).
“Una posizione coerente da parte ‘degli antichi romani’, per usare la spiritosa etichetta di Cases, vorrebbe che non si scrivesse sulla ‘terza pagina’ di un giornale di cui non si condivide affatto la linea politica della prima. Naturalmente così non è stato e non è: quasi tutti, a cominciare dal sottoscritto che non è precisamente un antico romano, abbiamo derogato a quel principio, e non sempre per vile compromesso ma spesso con buoni argomenti ed esiti apprezzabili (ricordo in particolare la collaborazione ‘rivoluzionaria’, ma per questo a un certo punto bloccata, di Fortini al ‘Corriere’); o anche per la semplice coscienza che i padroni del vapore ti lasciano dire ogni cosa sulle pagine culturali, tanto non contano niente: certo purché non si passi, come Fortini con l’invasione statunitense di Grenada, il limite. E questo vale anche in partenza. Sarà difficile ad esempio che nel giornale x, parlando con la dovuta ammirazione dell’ultimo romanzo di Oz o di Yehoshua, io possa attaccare a fondo – e non sarebbe una divagazione – la politica dell’attuale governo israeliano; o forse mi censurerei io per primo, nel timore di essere infamato, per il riflesso pavloviano oggi vigente, come antisemita, macchiando così la mia finora candida fedina.
Non è il caso di insistere con gli aneddoti. Ma è chiaro che le cose sono due e non una. La prima già accennata, è che l’intiepidimento della critica, militante o no, in Italia è connesso con il preoccupante calo del suo tasso di politicità; ma il secondo è che la mala politicità dei giornali (non tutti, per amor del cielo) impedisce che si eserciti su di loro una critica che sia, come deve, anche critica politica.”
(Pier Vincenzo Mengaldo, La critica militante in Italia, oggi, in “L’ospite ingrato”, n°1 / 2004)
La vera colpa non è “venire ogni giorno a patti con una società di cui detestiamo molti aspetti”. La vera colpa è venire ogni giorno a patti con una “famiglia”. Il senso dell’appartenenza nasce dal bisogno dell’appartenenza e il bisogno dell’appartenenza nasce dal fatto che l’uomo non appartiene totalmente a se stesso ed abbia, perciò, la necessità di appartenere a qualcosa. La mancata appartenenza a noi stessi ci porta alla dispersione nelle parti, non essendo al di sopra di esse. La colpa è appartenere ad una “famiglia” di cui si condividono la grande parte dei principi e non riuscire a collocare la rimanente minima parte. L’ignoranza è aspettare che i soggetti che appartengono ad una parte vivano rispettando la propria appartenenza. Seppure esistano livelli d’incoerenza, tale tipo di coerenza non è attuabile. Non vi siete stancati di parlare di destra centro e sinistra?! Non avete capito che gli “intellettuali” sono i primi a nascondersi dietro le parole, paramenti mirabili, per una semplice assenza di coraggio. Il coraggio di attuare le parole con i propri atti è un esercizio che avviene in libertà. Come si può essere allo stesso tempo liberi e appartenenti?
… io ho personalmente trovato la replica di Berardinelli di incontestabile superiorità rispetto alla lettera aperta di Raos e Inglese. Soprattutto dal punto di vista morale.. – sui contenuti non mi pronuncio, anche se mi trovo d’accordo sull’attenzione predicata da Berardinelli a non confondere messa in discussione con mero accademismo – ci si sente un’esperienza ricca, anche e soprattutto di sconfitte e disillusioni, illuminata da uno scetticismo, un po’ dolorante, che lo rende umano, vero, concreto.
Che poi non ci possa permettere di appiattire Berardinelli sulla collaborazione al ‘Foglio’ è regola di buona educazione; che dovremmo aver imparato da almeno 40 anni ;( a furia di ripeterci la sciocchezza che il medium è il messaggio non diamo più peso alle parole e a chi le dice. Crediamo davvero che il contenuto di un saggista come Berardinelli sia dissolto dal fatto che è stampato di là invece che di qua?
Come se un prodotto carteceo si scegliesse da solo, da prima e senza ripensamenti il proprio lettore: lo sanno tutti che non è così. Quel che è scritto, se l’autore ha piena libertà di scriverlo, è scritto.
Il resto è lente distorta dell’ideologia.
Prima di tutto premetto che ho già fatto le mie scuse a Berardinelli sul mio blog georgiamada e che sono leggibili qui.
Cercherò di rispondere a questo post interessante di inglese e raos, approfittandone anche per rispondere un po’ meglio a Berardinelli e chiedo scusa agli indiani per la probabile lunghezza.
inglese/raos
La morale è questa: i compromessi si sono sempre fatti, ma nella piena e scomoda consapevolezza di farli. Oggi li facciamo, ma dimenticandone, con uno scuotimento di spalle, il peso inevitabile (e necessario)
Mi sembra la vostra una affermazione un po’ eccessiva (non a caso è preceduta da un sospetto:“la morale è questa” (brrrrrrr).
Non ci giurerei che i compromessi di ieri fossero così consapevoli.
Ognuno, da sempre, anche i migliori, si è raccontato le propria favoletta per aumentare l’endorfina culturale al dolore di certe scelte.
E, a giudicare proprio dall’articolo di risposta di Berardinelli, nella sua appassionata consapevolezza di “colpevolezza” e solitudine, mi sembra che una consapevolezza (forse in eccesso) non manchi neppure oggi a chi intellettuale lo è veramente (anche a suo rischio e pericolo).
Ad ogni modo l’intellettuale io credo sia sempre, per forza di cose, colpevole, solo e a volte profeta (si veda il significato dato alla parola da Giovanni Semerano, il sovversivo della filologia, di intelelttuale risalendo all’antico accadico e cioè colui che sa “vedere dopo aver cercato di scorgere”).
Mi sembra di ricordare che Fortini, in pieno sud africa ancora razzista e sotto boicottaggio internazionale, accettasse l’invito di andare a parlare all’università della capitale (credo fosse a capitale) e che a chi lo criticava (da sinistra) avesse risposto che un paese non andava mai isolato culturalmente.
Il suo era indubbiamente un compromesso culturale, giusto o sbagliato, non so, la mia ammirazione per Fortini mi fa pensare che fosse giusto, ma chissà.
Ma si può vivere senza compromessi culturali?
No, credo sia come vivere senza endorfine, spellati al vivo senza difese al dolore, e che quindi sia impossibile o almeno non salutare.
A me non interessa quanto Berardinelli guadagni o dove lavori, ognuno di noi lavora dove può e dove trova, e io non mi permetterei mai di giudicarlo per questo.
I miei giudizi culturali di solito non abbisognano della denuncia dei redditi, né del codice fiscale e neppure della posizione politica.
Mi dispiace se ho dato una impressione sbagliata.
Quello che a me interessava capire è se uno può (indipendentemente dalle necessita personali o meno) scrivere ovunque, rimanendo, intellettualmente, la stessa persona. Secondo me, no, ma Berardinelli ha promesso di indicarmi i suoi scritti migliori sul Foglio (ciò post-lanzichenecchi) e quindi spero di essere positivamente sorpresa.
inglese/raos
E Berardinelli ha dedicato una buona parte della sua risposta al nostro scritto per “giustificare” i motivi della sua scelta, rispondendo ad un attacco personale che gli era stato rivolto in un commento da una lettrice. Altre erano le nostre perplessità, meno legate alla persona, e più alla sua funzione e al contesto in cui essa si esercita. Una riflessione utile (che la nostra frase di partenza sottintendeva) dovrebbe interrogarsi piuttosto su questi punti
Qui purtroppo si manifesta il difetto più grosso di NI: la spokkia sbrigativa (spero l’espressione non faccia lo stesso effetto di lanzichenecchi cerebrali ;-) che non sempre viene fuori, ma quando viene è come una palla di cannone liscia e pesa come il piombo: Va beh, l’unica cosa è fare come il barone di Munchausen: tentare di evitarla cavalcandola ;-)
Il mio non era un attacco personale (e credo Berardinelli lo abbia capito bene altrimenti non ne sarebbe stato ferito e non avrebbe risposto come ha risposto e con quello splendido e significativo finale)
La mia era una frase, forse troppo colorita, per indicare che un intellettuale poeta, critico, giornalista consulente editoriale, indubbiamente persona notevole e di grande valore, come Berardinelli non poteva non essere cambiato andando a scrivere in un giornale che a me riesce difficile considerare come espressione politica di uno che pensa diverso da me. La politica (destra o sinistra che sia) è una cosa, la pura propaganda un’altra.
La mia fantasia immaginifica mi ha fatto vedere la sfera intellettuale dello scrittore passato al Foglio come un campo di battaglia dopo il passaggio dei lanzichenecchi :-).
Il mio coniare la metafora dei lanzichenecchi cerebrali non voleva essere un attacco alla persona Alfonso, e alle sue disavventure prvate, ma allo scrittore/poeta/critico che avevo apprezzato in passato.
In questi anni i lanzichenecchi sono passati attraverso i cervelli di molti di noi, anche qui in NI se ne avverte il passaggio. Ha ragione Berardinelli a dire che se forse eroicamente (ma gli eroi è bene che non esistano) avesse continuato a fare la su rivista solitaria, povera e autogestita e per happy few, avrebbe forse dato forza a qualche cervello di alzare il ponte levatoio all’arrivo dei lanzichenecchi invece di rimanere sbigottiti a guardarne le malefatte.
Però lui non ha continuato, e io sono rimasta così faziosa da pensare che sia impossibile alzare il ponte levatoio se si è nel castello del mandante dei lanzichenecchi.
Berardinelli ribatte stupito alla mia osservazione che scrivere in un giornale di cui non si condividono le idee politiche, forse, non ci lascia uguali a prima, io vorrei credergli, e forse già gli credo, ma la cosa sicura è che cambia (eccome se cambia) il rapporto con il lettore, la fiducia spontanea con cui si viene letti. Non nego che leggere un proprio autore in campo avversario possa anche essere una cosa positiva, visto che metterebbe in moto, nel lettore avvertito, un meccanismo autocritico molto utile a produrre nuovi e VERI anticorpi.
Non lo so è un problema che forse i nostri nonni risolsero durante e subito dopo il fascismo, ma che a noi si ripresenta nuovamente oggi allo stato del non contemplato e non studiato.
Quello che invece non condivido affatto è l’affermazione familistica e roboante di Inglese e raos (scusatemi se sembro aggressiva, ma tanto ormai mi conoscete)
inglese/raos
Ma l’isolamento (così lo chiameremmo, piuttosto che solitudine), quello ci auguriamo che non ci riguardi: dentro la famiglia della sinistra, noi continueremo a muoverci assieme ad altri, di generazioni e provenienze diverse, tessendo relazioni e amicizie, rinnovando occasioni d’incontro e d’insoddisfazione, condividendo progetti e lotte, scambiando quel tanto di esperienza e di immaginazione utopica che ancora ci rimane
Questa è la poetica dello stagno! Chiamatela pure famiglia ma sempre stagno è. L’intellettuale non può, NON DEVE, vivere nello stagno, ma conoscere l’oceano e questo spesso lo deve fare da solo.
Preferisco sempre un colpevole solo (e isolato) in campo avverso che un innocente in compagnia sulla ninfea in uno “stagno” pseudo-mio ;-).
La famiglia di sinistra, tra l’altro, mi riesce difficile individuarla con precisione, oggi è un gioco strano il nostro, di noi *utopisti* cronici: cerchi di capire cosa sia giusto e non sempre lo trovi dove lo cerchi.
Io da sinistra penso che una delle poche cose chiare sia che si debba stare sempre dalla parte del più debole e dell’oppresso, ma una Famiglia che rispetti questo principio (se non a parole) io proprio non la vedo, alle volte mi sono trovata d’accordo con persone di estrema destra su una cosa che magari a sinistra proprio non la vedevano neppure. Gente che passa per essere di sinistra qui viene linkata, e a me, chissà perché, non sembra proprio che il suo spirito si avvicini a quel principio dello stare dalla parte del più debole. Ma la vita è sempre un compromesso ;-).
Un’ultima cosa: Molti che si riterrebbero di sinistra, oggi scrivono sul giornale e forse anche su Libero e Domenicale , beh quando li leggo, la loro fragile *sinistra* li abbandona e sfuma bruciata in un secondo come le cartine degli aranci se gli dai fuoco per farle volare.
Berardinelli è una cosa diversa, Berardinelli è molto intelligente, credo sia uno dei migliori critici al momento. Come fa, mi domando, a galleggiare all’interno del Foglio e rimanere lo stesso. Come fa a non venire contagiato dagli articoli (alcuni demenziali) che gli si schierano, tipograficamente, al fianco e lo circondano?
Quando ho fatto l’attacco, che qui definite sbrigativamente personale, ho anche detto che è possibile rimanere immuni solo a pochi genii irriducibili ;-).
Ora nonostante la stima non definerei berardinelli un genio irriducibile, però forse esistono anche tute anti-incubo.
Forse Berardinelli le indossa quando scrive e quando poi si spalma sulle pagine del Foglio?
La sua autoconsapevolezza molto umana di colpevolezza e solitudine (che inglese interpreta borghesemente come isolamento) è forse una sua efficace tuta antincubo.
Boh …
Io devo confessare che da quando Berardinelli scrive sul foglio, l’ho letto pochissimo e quindi il mio, lo ammetto, non era un giudizio ma un pre-giudizio addolorato.
Ad ogni modo ho già presentato le mie scuse a Berardinelli, per il lanzichenecchi cerebrali (espressione che mi piace ogni giorno di più, forse perché i lanzichenecchi attentano al mio di cervello ogni giorno da quando Berlusconi ci governa ), nel mio blog, se qualcuno gliele passa mi fa un piacere.
Un anonimo ha poi postato nei commenti delle bellissime sue pesie dell’85 che posterò in home.
georgia
Georgia, ma non facevi prima a fare un post da te e poi linkarcelo?
di fretta (per ora): grazie georgia dell’intervento (anche se lungo)
ah ah ah ah ….
hai ragione gianni, ma ho cominciato a scrivere qui e …. mi ha preso la mano, non ho realizzato che fosse così lungo :-(
beh poi … sai … un contenitore NON vale l’altro.
Forse se lo scrivevo da me veniva tutt’altra cosa;-) e poi un post non è un commento e viceversa e non dipende certo dalla lunghezza.
Insomma non ci ho proprio pensato, anche perchè … raramente penso;-)
geo
*Scrivere sul Foglio mi permette di far capire chiaramente che con la “famiglia” culturale della nostra attuale sinistra (che voterò, ahimè) ho ben poco in comune. I loro idoli, i loro miti e i loro boss intellettuali io li detesto. Scrivo sul Foglio perché Giuliano Ferrara me lo ha chiesto e perché mi permette di sentirmi come senza dubbio sono: colpevole e solo.*
Berardinelli con la chiusa del suo articolo ci consegna un’equazione chiara in sé, ma poco colta nel dibattito che ho letto ora d’un fiato con effetti…
Il Foglio cioé gli permette di sentirsi/mostrarsi
a) solo = con ben poco in comune con la sinistra
b) colpevole = collaborante con un foglio di destra
Ora, prima di collaborare si sentiva già solo; collaborando si sente solo e colpevole. Così è avvenuto un cambiamento, ossia si è formato in lui un senso di colpa.
Prima di chiedersi se questo senso di colpa ha ragione o meno di esistere, vale la pena di analizzare quali effetti può avere in sé la sua esistenza: interessandolo come persona prima che come scrittore, temo che essi siano tendenzialmente devastanti (in ciò almeno un lanzichenecco è passato già).
Guardando la cosa da fuori, e dalla posizione più alta, quella del novissimo principe, la situazione è addirittura mirabile: Ferrara lo paga e poi nemmeno lo controlla – a controllarlo infatti è il suo proprio senso di colpa.
Mi fermo perché sento odor di Danimarca. Ma un bravo teorico da questo piccolo caso potrebbe cavar fuori una nuova teoria dell’intelletttuale organico.
Berardinelli scrive per Ferrara? Non leggo Il Foglio.
Berardinelli rende disponibile gratuitamente in rete quello che scrive per Ferrara? Lo leggo.
Il resto son cazzi suoi (per quel che riguarda il lavoro che svolge). Non si può delegittimare un discorso che, nel momento in cui ne fruisco in rete, è già ‘un altro’ discorso.
ehm, tra ‘delegittimare’ e ‘un discorso’ ci andrebbe ‘così’…
vi segnalo che ho postato tre delle belle poesie di Berardinelli che un anonimo sta copiando nei commenti del mio blog
georgia
mi piace giorgia che anche se adesso ha fatto dietrofront prima condannava berardinelli che per motivi alimentari (è anche costretto a dire il perché scrive in un giornale, siamo arrivati a questo punto in Italia?) e di libertà scrive sul “Foglio” (peraltro se fosse vero quello che Berardinelli dice di Fofi, mi complimento anche per il becerume del Goffredo…) mentre gli gusta mucho Fortini che fa il compromesso culturale con i razzisti di Pretoria quando 3/4 d’Europa (intellettuale) operava un compatto embargo… ebbrava Georgia out of my mind.
georgia:
“Quello che a me interessava capire è se uno può (indipendentemente dalle necessita personali o meno) scrivere ovunque, rimanendo, intellettualmente, la stessa persona.”
Questa mi sembra le questione: che è una vera domanda, ma che non puo’ essere liquidata a priori come non pertinente. E cosi formulata essa puo’ essere applicata ad una quantità assai vasta di casi. Il caso di Berardinelli è risultato forse “esemplare” per il suo percorso, che rende particolarmente stridente la sua presenza li.
cara georgia, ti ringrazio per aver con filosofia scansato la “spokkia sbrigativa”; se davvero c’è, non è a quella che teniamo di più; ma agli argomenti che avanziamo e sui quali hai voluto intervenire anche tu
anodino di nome e di fatto
fortini veramente andò a parlare con persone che rischiavano la vita in sud africa allora, non certo con i razzisti, ma scherziamo?
Le universita studenti e professori erano tutti contro il regime.
Mica penserai che lo abbia chiamato il governo vero? Credo che tu sappia che le università sono autonome in quasi tutto il mondo.
Cultura a parte era a favore dell’imbargo, e che diamine
Invece a me tu non piaci per nulla e credo anche di riconoscerti, non ci vuole neppure molto.
troppe parole, veramente troppe, a coprire concetti, forse verità, molto più semplici.
un compromesso sarebbe che pensi sia giusta una cosa e ne fai un’altra in direzione opposta perché ti conviene farla.
fine.
ciò significa che quello che pensi non lo pensi abbastanza e fino in fondo, significa che una parte di te è già “dall’altra parte” prima ancora che ti sia data l’opportunità di farlo, prima ancora che tu ne sia cosciente.
allora, se posso, direi che non è tanto la forza attrattiva o la convenienza di ciò che è contrario alle nostre convinzioni a portarci al compromesso, quanto la debolezza, magari nascosta delle nostre convinzioni di partenza.
tutta l’azione della destra televisiva berlusconiana puntava (e punta) ad indebolire le convinzioni (ma la Storia ci ha messo del suo, eccome), perché le si potesse abbandonare con facilità al momento opportuno e secondo convenienza.
nessuno si senta immune da questo processo di scioglimento interiore strisciante.
ne ho conosciuti troppi di quelli che si sono sciolti, magari per troppa intelligenza.
un po’ di stupidità tetragona non guasta.
giusto tashtego, anch’io sto dalla parte di Spessotto!
Berardinelli avrà le sue ragioni, chissà cosa e quanto ha patito dalla sinistra per “detestarla” come dichiara. Allora fai la tua scelta, passa di là e vai. Ma questo “gusto”-“piacere” di giustificarsi che sa di esibizionismo masochista! questo retorico “colpevole e solo”, che evoca immagini di vittime sacrificali, di martiri lapidaturi quando invece i sassolini in mano ce li ha lui! Su, un po’ di ritegno!
però, yara, io non giudico nessuno.
non me la sento, non mi va, non c’ho i titoli per farlo.
amen’s.
Ma signori…Avete mai letto i saggi di Berardinelli? Quelli contro la repubblica di Scalfari, contro Eco, e soprattutto quelli contro la retorica italiana, il gusto di parlare senza mai chiedersi se si affronta o meno un problema reale. Sono saggi innovativi, personali, seri e chiari, parlano della mutazione culturale che è avvenuta negli anni’80-90. Mutazione culturale che oggi ci sembra irreversibile. Bene, lui e Bellocchio, ne hanno aprlato con sapienza e preoccupazione. Sono questi saggi che hanno reso Berardinelli antipatico a molto giornali di sinistra. E Berardineli continua a scrivere queste cose da anni, le ha scritto anche sull’Avvenire, sul sole 24, per un periodo su Panorama e adesso sul Foglio. Non è cambiato affatto, forse è solo più amareggiato. Forse può essere consiedrato per il suo curriculum un maestro. Come dice Busi, i maestri non vanno ma contestati, solo superati, e sempre ringraziati, soprattutto quando sono in difficoltà e gli anni pesano.
Berardinelli è uno spirito libero, ecco perché non puo’ più essere incasellato. Curioso, e preoccupante, che un giornale come Il Foglio gli dia totale indipendenza.
Colpa dei giornali di sinistra, che non sono certo la Bibbia della Verità.
Fossi in voi comincerei a chiedermi dove s’è sbagliato. Fossi il direttore di un “foglio” di sinistra, farei di tutto per riprendermi uno come Berardinelli. Ma evidentemente dà fastidio.
molto bello e giusto quel che dice l’anonimo (peccato! non sapere chi sei)
Io non ho letto praticamente nulla di Berardinelli, quindi non mi sognerei mai di giudicare lo scrittore e l’uomo (l’anonimo qui sopra mi ha dato delle indicazioni: c’è 1 libro in particolare di Berardinelli che consiglierebbe?); e neanche giudico la scelta sua di cui qui si discute. Dico solo che il modo in cui Berardinelli la motiva, è retorico nel senso peggiore: poiché dice di giustificarsi = dichiarare la sua buonafede/innocenza, e invece lo fa dichiarando la sua colpevolezza/x. Se invece avesse dichiarato la sua convinzione di essere nel giusto e non nel torto, il discorso filerebbe, non sarebbe retorico e meriterebbe più rispetto.
L’altra settimana ho visto Berlinguer ti voglio bene, di Benigni: un paesano, pizzicato spesso dagli amici per la sua obesità, irrompe nella casa del popolo con un foglio della mutua in mano e urla fiero: “Nu ‘so grasso, so gonfio!” ( gli avevano appena diagnosticato il cancro). Berardinelli: “Nu’ so solo, so colpevole!” (cominciava a collaborare col Foglio).
Certo a tutti – caro berardinelli – farebbe comodo un bel contratto di 2000 euro al mese per scrivere un paio di pezzi… Ma se tutti facessero come te dove andremmo a finire, te lo sei domandato? Capisci che collaborando regolarmente con il Foglio ti esponi all’obiezione che diventi un “intellettuale prezzolato”. Qualche sacrificio (economico) nella vita bisogna pur farlo per le proprie idee, sennò diventiamo mercanti!
Ma qualcuno si sente in grado di entrare nel merito del vero dissenso fra noi e Berardinelli (cioè i sei poeti francesi e la loro valenza rispetto alla poesia italiana contemporanea)? Qualcuno che si fosse magari degnato di leggere il nostro dossier su “Nuovi Argomenti”? Nonché i libri di Berardinelli stesso?
Andrea, scusa tanto ma in NI non sono disponibili i testi che avete pubblicato su NA. in rete si legge l’articolo di Berardinelli, la vostra lettera aperta, la sua risposta e il vostro rilancio, più tutti i commenti del caso.
indovinello: di chi è la responsabilità se qui nessuno (quel ‘qualcuno’ a cui accenni) si è ‘degnato di leggere’ il vostro dossier?
Devo dire che quanto sta accadendo su NI in questi giorni, mi sembra importante. Caro Anonimo, sono d’accordo con te, però dovremmo poter parlare con più serenità della pezzenteria – mi ci metto anch’io e più o meno serenamente- che accompagna i mestieri (le professioni?) dell’arte, indipendentemente dalla fama- che va e che viene- e dalle marchette che uno fa – non automaticamente scrivendo per un tal giornale o per tal altro, ma nel dover scrivere di cosa e soprattutto come. Quali sono le strategie, ma soprattutto qual è il prezzo che si deve pagare. E poi, bisogna per forza pagare un prezzo?
effeffe
à suivre
ps
caro Kristian, gli Andrei – pardon per l’espressione- stanno per pubblicare su NI tutto il dossier
Kristian, i testi li pubblicheremo anche su NI, prima o poi. Ma non è l’unico modo per leggerli (in risposta al tuo indovinello, questa è una velata allusione all’esistenza delle biblioteche e delle librerie).
È che mi dispiace vedere messa tra parentesi la questione “strettamente” poetica, che ritengo di grande importanza (e che secondo me permetterebbe, tra le altre cose, di affrontare anche la questione politica da un altro angolo, al tempo stesso meno ideologico e meno concentrato sulle scelte personali di Berardinelli).
l’amico andrea r. mi ha levato le parole di bocca;
in realtà, sappiamo che l’argomento di cui stiamo dibattendo interessa poche persone (la poesia, il rapporto tra la nostra poesia e quella straniera, francese in particolare), e questo non è colpa di chi non si interessa di poesia, ma neppure nostra
pero’ risulta, negli interventi (in alcuni), una situazione di questo tipo: la questione ideologica viene del tutto separata da quella specifica (la poesia e la funzione della critica) e assume inevitabilmente toni aprioristici o riduttivi; ora questo è proprio un esempio della “debolezza” culturale della sinistra, oggi; il dover isolare l’ideologico allo stato “puro” (bianco o nero), per poterne parlare; dove l’ideologico si manifesta in maniere anche meno evidenti, ma non meno importanti, nella poetica di un autore, nello stile di un critico, nelle scelte di un recensore.
Quello che dice Ascari, ce lo chiediamo anche noi nella domanda numero 1. Quali responsabilità della stampa di sinistra? E’ una cosa su cui varrebbe riflettere, avanzando esempi, ecc.
Quello che dice anonimo, lo abbiamo già scritto in questa nostra risposta. Perché Berardinelli fa parte del nostro patrimonio. Quanto invece alla conclusione che tira anonimo: “i maestri non vanno mai contestati”, sorrido. Circa 250 anni fa in Europa qualcuno ha proposto di sostituire il principio di autorità con quello del libero e autonomo ragionamento. A me sembra tutt’ora una buona idea.
i maestri esistono SOLO per essere contestati.
Altrimenti chi si contesta, gli alunni?
Contestare gli alunni è da stronzi, contestare i maestri invece aiuta anche i maestri ad esserlo veramente.
geo
beh andrei, se la questione strettamente poetica (che poi interessa poche persone) è stata in qualche modo emarginata a beneficio di un dibattito ideologico fazioso e riduttivo, è anche perché QUI (e non altrove, perché è qui che si sta discutendo) sono finora venuti a mancare gli strumenti adatti a farsi un’idea complessiva che possa emanciparsi dal dato ideologico (in cui tutti siamo ferrati, a differenza del dir poetico).
….ma scusate..nessuno si preoccupa del fatto che i Cavoilfiori stanno a 6.50€/kg…e le zucchine sono andate ..in 8 giorni..a 9.50…..!!..che si vendano a 6 Euro i Mango..provenienti dal sudAfrica..che tra l’altro non sanno di nulla !!…..fuori sta’ scoppiando la rivoluzione, goirno dopo giorno ..e Voi intellettuali..con balcone..o meno..state qui a disquisire..del nulla…!?
Miei cari andrei, anche sul discorso poetico mi pare non ci sia troppo da discutere. Berardinelli non entra nel merito, rifiuta e basta la produzione poetica francese che voi avete selezionato per n.a., etichettandola come qualcosa di inutile, non poesia, o addirittura ripetizione di qualcosa di gà visto e che poco valeva anche quando era una novità (insomma fregnacce, con tutto il rispetto). Avete letto la sua scelta di poeti del secondo novecento per la storia della letteratura italiana (credo garzanti ma potrei sbagliarmi)? C’è pagliarani soltanto del gruppo 63 e della poesia di ricerca praticamente non c’è traccia. Di che discutiamo? Per me quella è poesia, buona poesia, ma è un discorso sterile se sia poesia o no. Berardinelli va preso così, per me è stato, ad esempio, un grande piacere leggere autoritratto italiano, ma quando si mette a elucubrare tesi sulla poesia di ricerca non ho mai condiviso una virgola di quello che scrive. Un altro così è manacorda, che si è addirittura sforzato di inserirti (inglese) ,sempre se non mi sbaglio chè difetto de memoria, in un’antologia, esprimendo però tutti i suoi pregiudizi nella nota introduttiva alle tue poesie. giusto?
@ Inglese
@ Raos
Non è mica vero che la poesia contemporanea interessa pochi. Se interessa pochi è perché c’è qualcosa che blocca l’attenzione (credo che nella meccanica si chiami “arpionismo”), cioè la nostra ignoranza, ma è sufficiente che voi ne parliate con passione per fare sparire questo analfabetismo. Il vostro sapere sulla poesia attuale, su quello che si sta “tentando” (che Berardinelli stupidamente vorrebbe chiudere in cantina) è bellissimo e dovete avere fiducia che possa attraversare tutti quanti. Insomma spero che voi parliate molto molto molto più di poesia in futuro.
Mi piacerebbe saper anche più cose sul laboratorio di un poeta, come compone, quanto conta la musica, quali sono i suoi punti di riferimento… fateci entrare dentro, come i fotografi ci hanno fatto entrare nello studio di Bacon.
p.s. bellissima l’immagine degli “spalloni della poesia”.
:-) scusate sono io sopra. Ma comunque vi avrebbe apprezzato anche Breton.
si, Mal, in definitiva hai ragione sull’atteggiamento di Berardinelli sulla poesia di ricerca (italiana) e di conseguenza su quella francese; ma se almeno avesse chiarito i suoi presupposti più generali, la gente avrebbe potuto prendere le misure rispetto al suo verdetto;
quanto al giudizio positivo di Berardinelli e Manacorda sulla mia poesia… Berardinelli si limito’ a segnalarmi tra i giovani poeti promettenti, Manacorda avanzo’ pure una tesi: che sono un lirico “represso”, in senso psicanalitico. E io aggiungerei: reprimo si il lirismo, ma in piena consapevolezza.
A Bréton-Barbieri: è un invito che cogliamo al volo e volentieri.
In effetti Berardinelli non entra più di tanto nel merito del discorso poetico. In quello che dice si riscontrano una sorta di ossequio al senso comune e al buon senso (ma senso comune e buon senso come categorie critiche potrebbero essere insufficienti) e una specie di chiusura a priori (che è poi quella che si ritrova – ha ragione Mal – nell’Annuario di Manacorda) verso chi non omaggia adeguatamente la tradizione lirica novecentesca.
L’impressione è comunque che il mondo critico della poesia italiana resti piccolo, ancorato a posizioni e polemiche troppo vecchie (pro o contro la neoavanguardia, il Gruppo ‘63 e i relativi o presunti nipoti / pronipoti; pro o contro la tradizione lirica; e poi gli epigoni che più epigoni di così non si può della vecchia “linea lombarda”; e poi gli epigoni o presunti tali della “scuola romana”…).
Una “geografia” abbastanza deprimente, soprattutto troppo connotata da piccoli e un po’ ridicoli potentati.
Berardinelli si sottrae per davvero a tutto questo?
Ben venga allora l’apertura ad altre esperienze e ad altre tradizioni / contemporaneità. Le “altre” esperienze possono “piacere” o meno. La loro conoscenza e frequentazione è in ogni caso un’opportunità, a volte una boccata d’aria.
Andrea Barbieri?
Andrè Bretòn?
Andrè Barbòn?
“Sleep – poesie in inglese” di Amelia Rosselli, pubblicato il 14 febbraio 1992 da Garzanti, in 2500 esemplari, è ancora reperibile in libreria nella sua unica, prima edizione!!!
Sonno-Sleep
Autore Rosselli Amelia; Porta A.
Prezzo
€ 11,00
Dati 88 p., rilegato (cur. Lorenzini N.)
Anno 2003
Editore San Marco dei Giustiniani
Collana Quaderni di poesia
Titolo Le poesie [compresa la raccolta Sleep]
Autore Rosselli Amelia
Prezzo
€ 19,50
Dati XVI-681 p., brossura (cur. Tandello E.)
Anno 2004
Editore Garzanti Libri
Collana Gli elefanti. Poesia Cinema Teatro
Sleep – poesie in inglese, di Amelia Rosselli, traduzione di Emmanuela Tandello, Milano, Garzanti, 1992, non è stata ancora ristampata (perchè invenduta, in parte) e non compare nell’Opera omnia degli “Elefanti”. Sonno -Sleep (1953- 1966), traduzione di Antonio Porta, contiene 20 testi. Si attende la pubblicazione completa di “Sleep”, solo in parte presente nell’edizione 1992 di Garzanti.
Parole sante, Emma. Condivido in pieno.
ciao Emma, e ciao a tutti naturalmente.
Lo stesso discorso si potrebbe fare, credo, per la musica contemporanea, Nono …
Ho sempre apprezzato gli spalloni, varcare i confini, sempre.
@Giorgio Di Costanzo e Andrea Barbieri
La Rosselli legge alcune poesie di Sleep (e parla del suo plurilinguismo) qui
http://www.radio.rai.it/radio3/radio3_suite/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=162282&Q_PROG_ID=
Altre letture di Amelia Rosselli (e intervento di E. Tandello) qui
http://www.radio.rai.it/radio3/radio3_suite/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=162283&Q_PROG_ID=
Comunque sì, la Rosselli non è ricordata come si dovrebbe.
Forse perché – oltre che essere una donna, o meglio una donna e una persona *diverse* (e naturalmente anche per essere stata queste due cose insieme) (perché l’essere *soltanto* donna non vale come ragione di esclusione da certi circuiti di visibilità e di *potere*, basta pensare alla Spaziani) – è rimasta fuori dagli schemi, dalle “linee”, dalle “scuole”, dai “gruppi”, dai piccoli potentati poetici italioti.
@fm
Non rientra nelle mie aspirazioni il dire “parole sante” :-)
In ogni caso certe caratteristiche del modo di fare critica di Berardinelli mi sembrano presenti anche in altri critici, magari critici e poeti-critici di sinistra che scrivono su giornali di sinistra o comunque non di destra / di Berlusconi.
Ciao Temp, bentornata :-)
Parole *sante*, Emma. Il *bentornata* a Temperanza, dico. Al quale *mi* associo con grande *piacere*. :-)
vorrei segnalare, per completezza della discussione, il breve ma acido commento di Aldo Grasso sul Corriere di ieri : il critico televisivo portava i lettori del Corriere a conoscenza della polemica che aveva investito Alfonso Berardinelli, colpevole di scrivere sul Foglio. Dopo aver finto di difendere Berardinelli nel suo diritto di scrivere dove gli pareva, si lasciava andare a poche righe di caustica stroncatura, mescolando rapidamente i titoli delle (storiche) riviste su cui Berardinelli aveva scritto, anche in anni lontani, con una critica efferata e riduttiva del suo “tono critico”, senza neppure sfiorare i contenuti. Questo modo di scrivere mi sembra sommamente reazionario, e fa il paio con le facili stroncature giustizialiste suscitate dall’atmosfera forcaiola di questi giorni. E’ facile prendersela con Berardinelli, e soprattutto non costa nulla : di servi e parrocchiette la scena letteraria italiana è piena, penso si dovrebbe avere un pò più di memoria storica prima di inveire contro una persona che ha sempre dimostrato integrità e coraggio, prima lasciando spontaneamente l’università (luogo spesso utillizzato per carriere di potere e stipendi)e poi vivendo della propria sola penna, senza per questo venir meno alla propria autonomia critica.
La Rosselli non è ricordata come si dovrebbe perché l’Iltaia è un paese di merda, anzi della merda e del galateo.
decisamente un colpo sotto la cintola l’articolo sul “Corriere” di Grasso; d’altra parte è un perfetto esempio in come un’occasione di dibatitto di carattere culturale (quindi anche politico) venga trasformato in pura polemica politica (assai poco culturale)
se vi interessa ieri ho copiato e postato quell’articolo del Corriere, direi che è indegno usa la mia critica che, anche se malposta, era legittima, per un attacco del tutto inutile, spocchioso e volgare a Berardinelli.
Berardinelli ha già risposto
georgia
Amelia Rosselli l’ha ricordata con vari post giorgio di costanzo nel suo interessantissimo blog dedicato ad anna maria ortese, vera miniera di informazioni.
E anch’io (dietro indicazioni di giorgio) l’ho ricordata nel mio.
Avreste dovuto farlo tutti. I paesi di merda, con la rete, si possono anche far fiorire se si vuole. A meno che non ci si faccia travolgere dalla e-merda che è ancora più pericolosa ;-)
georgia
Non leggo ma confermo la tesi finale.
E’ cosi, è successo spesso anche a me….cioè s’ispirano alla creatività dei bloggers per incancrenirla nei loro purulenti percorsi neuronali….il piu’ giovane di questi editorialisti ha l’età di Giacobbe e i piu’ giovani vengono allevati con i loro metodi marci.
quindi che si fa?
Non ci siamo dimenticati di Amelia Rosselli – anche grazie alla collaborazione di Emma -, ma perché sulla Rosselli (in quanto poeti) ci si lavora sempre, ed alcuni amici più di altri; ma ci ritorneremo… I poeti esistono anche quando non cadono celebrazioni di morti o nascite.
http://www.nazioneindiana.com/2006/02/06/ricordo-di-amelia-rosselli/#comments
i poeti esistono anche quando …
beh questa è una verità che nessuno potrebbe mai smentire ;-), anche se alle volte mi domando come farebbero i giornali e gli intellettuali italiani se non ci fossero le celebrazioni, alle volte ricordano anche i 15, 5 anni pur di avere per scusa una celebrazione :-))))
geo