Sempre caro
di Vincent Raynaud
E’ sempre interessante guardare le recensioni dei lettori su www.ibs.it, aka Internet BookShop. Non tanto perché possa costituire un criterio di scelta: niente sorpresa, i libri che vendono bene hanno prevalentemente buone recensioni, quelli che non vendeno non ne hanno. Piuttosto perché permette di capire cosa leggono gli altri e come, che tipo di rapporto hanno con l’oggetto libro.
In poche righe il lettore – consumatore di libri può dire tanto su se stesso: “L”ho letto in una notte” (e quindi non dormi la notte?), “Me l’ha regalato il mio ex fidanzato” (che gentile), “L’ho preso così, a casaccio” (brutto colpo per gli adetti al lavoro, pubblicitari, librai, critici, che quindi non servono a niente).
E c’è sempre chi fa riferimento al prezzo, una o più persone che ritengono il libro in questione “troppo caro per quello che dà”, “troppo caro per così poche pagine”, “troppo caro per la qualità”. Troppo caro. Sempre. I libri costano troppo. Le macchine no. Oppure i libri costano troppo per essere delle cose non indispensabili. O così poco tecnologiche. Non importa che siano molto meno cari in Italia rispetto alla Francia o gli Stati Uniti (dove ci si lamenta anche, come no): I LIBRI SONO CARISSIMI!
Facciamoci la domanda: come si fa a persuadere la gente che un cosa che costa fra 7-8 e 16-18 euro, che ti occupa per molte ore, che puoi rileggere, imprestare, dare, vendere di seconda mano, che questa cosa costi troppo insomma? E che una macchina che costa venti mila euro oggi (e la metà fra due anni, anche senza usarla) invece no. Magia della comunicazione. Onnipotenza del mercato. Non si sa bene. E’ comunque un’opinione che attraversa i ceti sociali, oltre che i diversi paesi. E se tutti la pensano così, sarà anche vero.
Io non lo so, non li compro. Me li spedisco gratis.
Io invece trovo che almeno una quota dei libri venduti abbia recensioni con deviazione standard ampia – buonissime e cattivissime. Per curiosità di recente mi sono letto quelle sul Profumo di Süskind, e c’erano addirittura degli scandalizzati.
Sul prezzo in Francia, ho visto almeno una edizione economica della Nothomb a 3 euro. Non so se è la norma.
E se provassimo a rovesciare er discorzo?
Se cioè affermassimo che la maggior parte dei titoli in commercio sono orrende stronzate che ci si dovrebbe vergognare a proporre per l’acquisto e che tuttavia hanno copertine che ne decantano le lodi, cioè mentono?
Se cominciassimo a dire che l’oggetto libro in sé non merita nessuna particolare attenzione e privilegio, ma che dipende dal contenuto?
Se avessimo più presente il fatto che un libro si compra quasi sempre a scatola chiusa, cioè è un prodotto di cui non sai la qualità, l’utilità, la bellezza, finché non te lo sei portato a casa, finché non l’hai aperto e letto almeno per una cinquantina di pagine?
Comprereste allo stesso modo una scatoletta di cibo, sulla quale c’è scritto CIBO seguito da una serie di elogi?
Un maglione almeno me lo provo, lo tengo in mano, lo posso valutare, un’automobile ha caratteristiche tecniche certe, ci sali, la provi, eccetera.
Perché bisogna pensare che un libro in quanto libro è di per sé un oggetto di pregio che vale la pena comunque di comprare, quando la maggior parte delle volte a me non sembra che valga manco i pochi euri che ti chiedono?
(pochi? avete presente quanto costa, per esempio, La letteratura vista da lontano di Franco Moretti, che saranno sì e no 60 pagine?)
E’ innegabile che il libro costituisca per molti (e certamente per me) un oggetto attraente e affascinante spesso di per sè. Ma capita spesso che la “luce” della copertina che mi ha attratto in libreria si riveli ben presto una vera e propria lucciola (e qui sono d’accordo con tashtego). E’ anche vero che talvolta libri di cui non sapevo granchè, e che mi hanno poi illuminato, mi sono costati pochi spiccioli, quindi in fin dei conti (anche sei i conti si fanno con l’euro…) vale la pena rischiare. Poi il libro è anche un oggetto personale: per leggere ci sono molti modi gratuiti soprattutto oggi. Ma è l'”acquisto per sempre” che ha un valore che va al di là dei pochi euro del prezzo di copertina. Io sono uno di quelli che ci scrive sopra ai libri e che non apprezza i libri in prestito (a meno che non costituiscano una premessa all’acquisto). Questo significa che il libro ha un valore suo. Oltre il contenuto.
ma dai, Tash: ci sono i libri tascabili, i super tascabili (a 4,90 euro). Puoi entrare in una libreria aprili tutti, leggere interi capitoli (nelle librerie ci sono spesso anche salottini e/o poltroncine). E pensa ai WM & C. che permettono di scaricare i loro libri… Dai… non è così vero né che costano tanto né che li prendi a scatola chiusa. Che poi le 4e di copertina ti vogliano indurre all’acquisto è ovvio. Così come le foto sulle scatole dei surgelati, etc. etc. e’ un prodotto, comunque, il libro.
Affermare che i libri costano, con in tasca il cellulare di ultima generazione che ti fa pure il caffé che costa un capitale, mi da sempre un certo fastidio.
Forse “La letteratura vista da lontano”, costa tanto, perché se la compri, ti danno pure un paio di occhiali da miope (più un dvd di uno dei film del fratello Nanni).
Anche a me quando sento dire che i libri costano mi scattano due reazioni: la prima, cinetica: mi girano in senso antiorario. La seconda: penso subito che chi fa quest’affermazione appartiene al magico mondo piatto degli analfabeti. Peggio per loro.
parlo da lettore, cioè da consumatore.
voi parlate da scrittori.
io compro.
voi producete ciò che altri vendono.
la differenza è lì.
il prezzo non va valutato in termini assoluti.
è il rapporto qualità-prezzo che conta.
il libro è merce.
dimenticarlo è fatale.
nel pezzo di Raynaud, come nei vostri commenti si percepisce un certo qual disprezzo per il consumatore che mi ha dato fastidio.
quindi mi viene da dirvi: lasciate in pace il lettore e le sue recensioni “ingenue” e pensate per voi, cioè a fare buoni libri che valga la pena comprare.
sempre si torna sugli stessi temi.
No, Tash, non è vero. Fino a due anni fa io ero un “lettore e basta”. (così come lo sono tutt’oggi, lettore, prima che scrittore). E leggevo tanto quanto leggo oggi, non di meno. E se non avevo soldi (e non li ho mai avuti!) ho sempre trovato il modo di leggere. Comunque. Con il prestito, con i tascabili, con le biblioteche, etc. etc.
Seguendo il tuo esempio: nessuno mi fa aprire una confezione di marmellata per farmela assaggiare. la compro (come diceva la pubblicità) a scatola chiusa. il libro no. ho mille modi per assicurarmi di non comprare una bojata (non ultimo l’istinto che si sviluppa, nel tempo, leggendo).
La verità è che siamo un paese che legge poco e però si vuole giustificare motivando che i libi costano.
Se tutti i libri costassero, d’incanto, la metà, tu credi che la gente inizierebbe a comprarli? No. Anche perché i libri già costano meno della metà: i supertascabili, insisto, costano 4,90 euro. Un terzo del prezzo di copertina degli hard cover usciti l’anno precedente.
Fra poco vado a mangiare un panino e ci bevo qualcosa insieme. Mi costerà di più, anche molto di più, di un libro.
si legge poco, pochissimo.
è vero.
e allora?
se i libri costassero meno non per questo sarebbero più venduti?
probabilmente è vero anche questo.
e allora?
c’è gente che non vuole spendere soldi per un libro e in tasca c’ha il cellulare da un milione?
e allora?
saranno cazzi suoi o no?
disprezzare chi non legge o legge poco, chi legge male o legge merda, chi fa recensioni ingenue, chi preferisce spendersi i soldi al bingo piuttosto che comprare un libro, pigliarsela con le case editrisci e la restaurazione, lamentarsi eccetera, non serve a nulla.
l’unica cosa che conta, per chi scrive, è scrivere buoni libri.
quello è il problema.
tutto il resto sono chiacchiere.
oggi sono un po’ tranchant.
Continuiamo a non capirci, Tash.
Io non giudico (e soprattutto non disprezzo, lungi da me!) chi non legge. Ma chi con falsa coscienza tira fuori la scusa del costo. Preferisco chi mi dice: “Non leggo e sono cazzi miei”.
Poi, d’accordissimo con te: “l’unica cosa che conta, per chi scrive, è scrivere buoni libri.”
Io sono d’accordo più con Gianni che con Tashtego, ma con credo che chi non legge si voglia giustificare, semplicemente se frega.
Consideriamo piuttosto che la lingua batte dove il dente duole e che ogni tanto a protestare sono i lettori veri, quelli che leggono varie decine di volumi l’anno: ad esempio ho bene in mente dei libri truffa come “Scasso con stupro” di Ellroy, edito da Bompiani, hardcover, venduto a 14.00€ per 138 pagine stampate con caratteri per ipovedenti. Per di più, orrendo.
Naturalmente, potendolo sfogliare e leggiucchiare qua e là, non l’ho preso.
Sono andato a vedermi il sito e devo dire che è un vero piacere leggere i commenti/ recensioni dei lettori. Grazie andrea/ Vincent. Vi colgo una vera passione, un modo di partecipare all’opera, un’ appropriazione del libro che credo ogni scrittore sogni. A me poi che ho avuto la fortuna di fare un viaggio da Torino a Milano insieme a une lettore del Biondillo è capitato di vederlo all’opera, Mi colpiva il modo in cui riponeva il voluminoso oggetto ogni volta che rispondeva al telefono o per prendere appunti, talvolta sorrideva, senza perdere la concentrazione. insomma un vero dialogo.
effeffe
Chiunque scriva, legge, anche. E’ consumatore di letteratura o narrativa (o poesia o giornalismo) oltre che produttore. Questo è poco ma sicuro.
Il discorso di Bajani poi è molto azzeccato, ed evidenzia un particolare paradossale che testimonia soltanto dell’insofferenza ormai epocale verso l’oggetto libro. Il libro, cioè, è un oggetto vecchio. Ma soprattutto morto rispetto alle fruizioni facili e facilitate a cui siamo ormai abituati. Perché soltanto all’oggetto libro viene rimproverato un rapporto “qualità”:prezzo sempre impari. Non ai film, non ai cd musicali, non agli spettacoli teatrali, che molto meno di un libro possono essere provati prima dell’acquisto, o addirittura presi in prestito in biblioteca (ogni volta che entro in libreria c’è gente che sfoglia i libri prima di comprarli o che addirittura li legge per intero e poi li rimette a posto). Ciò che si rimprovera ai libri in realtà è il costo fisico e mentale che comporta la loro fruizione, mai veloce e poco impegnativa, non in linea cioè col consumo frenetico a cui evidentemente queste persone si sono abituate a vedere l’ultimo film dei Vanzina o un concerto rock o a bere almeno un cocktail in qualunque locale à la page (che costa 15 euro, uno solo).
E’ che manca, in Italia, un’educazione alla lettura.
E mancano anche spazi privilegiati o semplicemente deputati per un dialogo critico-lettore (che so, la televisione per dirne una non a caso) che permetta di far capire che il libro non è un oggetto così alieno, per un dialogo critico-lettore che diventi una cosa normale. Chi non legge non compra neanche i giornali, quotidiani o settimanali o mensili, che di norma trattano la produzione letteraria all’interno del più ampio spazio culturale, né, meno che mai, l’editoria critico-letteraria specializzata, quella che, per l’appunto, educa alla lettura. In radio se ne parla poco, a parte Radio3 e poche altre eccezioni. Dubito che chi va a vedere i film di Vanzina ascolti Radio3.
I criteri di acquisto e lettura dei libri sono personali e non sono cazzi di chi li scrive.
Esattamente come le abitudini sessuali di ciascuno di noi, i libri sono roba privata.
A riprova di ciò faccio un po’ di outing.
Non riesco a leggere i libri che mi sono regalati, o prestati.
Solo quelli che compro contano: devo impegnarmi economicamente con un libro per poi chiedere la contro partita.
Compro molti libri perché sono fissato con la carta stampata.
Narrativa e saggi, percentuale piùo meno cinquanta e cinquanta.
In più sono fissato per i manuali, i dizionari, regesti ed enciclopedie tematiche, et cetera.
Compro i libri con due o tre criteri:
Il primo è il criterio detto “a cazzo”: perché il libro mi incuriosisce, perché ho soldi in tasca e mi piasce la copertina, perché conosco l’autore.
Il secondo è il criterio “mi serve”: magari mi sto occupando di un argomento analogo e collaterale, oppure ho pensato una cosa attinente mentre stavo fermo al semaforo quel giorno, eccetera.
Il terzo criterio è “dovrei leggerlo”: classico mai letto, libro incensato da amisci o nel web (ultimo esempio di libro orrendo incensato nel web e da me incautamente comprato è la trilogia della Kristoff), oppure un titolo che va, che è trendarolo e dunque mi fa sentire meglio, comprandolo, mi fa sentire come uno che surfa sull’onda più alta (trappola mortale: i libri che vanno sono quasi sempre cacate).
Il quarto criterio è: “lo compro e basta, sopratutto se non è un giallo”.
Quinto criterio (monografico): “è un libro che tratta un argomento riguardante l’Oceano pacifico nel Seicento, nel Settecento e nell’Ottocento”.
Una volta portato a casa il libro è un’altra cosa, diventa MIO, cioè nessuno me lo può levare, non può diventare un “esaurito” per me: ne ho una copia.
Dunque può restare intonso per anni.
Oppure essere letto subito.
Di solito però non vado mai oltre pagina 50.
Qualche volta mi spingo sino a pagina 100.
Eccezionalmente il libro viene terminato.
Poi ci sono i libri da sfogliare e basta, ma non voglio dilungarmi.
In questo modo butto un sacco di soldi e ho migliaia di libri, quasi del tutto inutili.
Ma lì è parte della mia vita.
Sono i librai che hanno definitivamente ratificato il predominio della valutazione esclusivamente economica del libro, e dunque del suo essere merce. Soggetta cioè a una considerazione puramente commerciale. E concedendo alla merce libro tempi strettissimi di valutazione. Sono quei librai che acquistano migliaia di copie dell’ultimo libro di Bruno Vespa e le posizionano ovunque nelle loro librerie, agendo in maniera inversa, in quanto distributori di cultura, rispetto a quanto fanno l’Esselunga o l’Ipercoop che, deputate a vendere prosciutto e pannolini per bambini ospitano anche libri.
(Ho dimenticato la virgola dopo ‘bambini’. Tashtego, oggi sei tranciante, sì.)
Sono tranciante, va bene.
Proseguo: il problema non è il libro-merce (le case edistrisci non sono onlus, per fortuna, e il lavoro, di chiunque, si paga) e neanche i libri-merda (quasi tutto è merda, dunque anche molti libri, la maggior parte).
Il problema è l’accentramento del mercato librario in poche mani, anzi in una mano sola: Feltrinelli.
È una condizione ormai di monopolio, come quella televisiva per Berlusconi.
E come tale costituisce una deformazione del mercato, una minaccia alla libertà, eccetera.
Altro che restaurazione.
Ormai è Feltrinelli che decide se un libro si deve VENDERE o no, se si deve VEDERE o no, se deve ESISTERE o no.
Pigliarsela coi librai che espongono Bruno Vespa è un po’ miope, se mi permetti, Gemma: la questione, come sempre in Italia, è il pluralismo delle fonti.
Chiccazzo se ne frega di Bruno Vespa: facciamola finita coi falsi bersagli.
I librai normali fanno quello che possono per campare, per tenere botta.
Feltrinelli ha più di cento librerie in tutta Italia, dentro ci stanno librai privi di formazione e professionalità, in pratica commessi di supermercato che nemmeno sanno cosa mai ci sia dentro a quei misteriosi oggetti che vanno vendendo.
Un sacco di piccole case editrici spariscono se Feltrinelli decide che sia così.
Non perché sia buona o cattiva, la Feltrinelli, ma perché ha il monopolio.
La non tollera il monopolio, per dire.
Però nessuno dice niente perché un tempo Feltrinelli era de sinistra.
Rispetto al tuo quarto criterio, ho una speranza, Tash, col mio prossimo romanzo (che giallo non è).
;-)
La democrazia non tollera il monopolio.
tu Gianni, con quale criterio compri i libri?
“compri”, non “leggi”.
Sostanzialmente uno: naso.
Eh sì i libri regalati e prestati (come per tashtego) anche per me contano poco, anche se ci sono delle eccezioni: ovviamente, per esempio, il regalo di un libro che stavo per comprare o quando uno in libreria tira fuori spontaneamennte i soldi mentre sto pagando alla cassa un libro scelto con cura.
PS: magari la trilogia della Kristoff non sarà un capolavoro come si legge in giro, ma per me è stata comunque una buona lettura. Mentre ho trovato del tutto inutile la raccolta di racconti brevi “La vendetta”.
Invece Tashtego, non sono tanto tanto d’accordo (ma non per polemizzare, rifletto). Alla Feltrinelli, o alla Fnac, o in altre grandi librerie (Mel Bookstore e mettiamoci pure le Mondadori di ogni città), trovi quasi tutto. Trovi centinaia di copie del libro di Bruno Vespa o di altri libri che sono fenomeni sociologici più che letterari, ma ci trovi anche libri che le piccole librerie non ordinano nemmeno. E’ una questione, elementare, di dimensioni, di dimensioni del mercato. Più grandi sono, più merci quel mercato può apparecchiare, sperando di venderle. Ma le cosiddette catene, quelle citate su, quante librerie fanno in tutto? Poche. Sono molte di più, in totale, le librerie anonime, piccolissime piccole e medie. Che però si adeguano alla tendenza commerciale, prendendone 30 invece che 3000, di Vespa (o Brown, vedi tu), senza offrire però, diversamente da Fnac eccetera, ospitalità anche ai libri altri, al libro (dal potenziale commerciale) minore. E’ l’esatto contrario di quanto avviene coi cinema. I cinema piccoli sono di solito d’essai. Trovano la loro identità nella proposizione di opere di qualità e di scarsa visibilità. Le piccole librerie no. Chiaramente penso a quanto ho tentato di esporre come a una generalizzazione, necessaria(mente).
Non so. E’ vero quello che dice Gianni, che i libri se vuoi sono accessibili attraverso le edizioni economiche e le biblioteche. Però è anche vero che in libreria costano molto. Con l’euro non ne parliamo.
Quindi?
Alcuni libri in biblioteca non si trovano, sono accessibili solo ai folli che spendono somme balorde in libreria (come me per esempio).
I fumetti in biblioteca non si trovano, sono accessibili solo ai folli che spendono somme balorde in fumetteria (come me per esempio).
Boh, tutto sommato mi pare che una cultura viva possano farsela solo i pochi privilegiati economici e i pochissimi non privilegiati economici ma coi controcazzi della mente e della volontà (forse Gianni è uno di questi).
Uhm, non ritengo di avere i controcazzi della mente e della volontà. Non sono nemmeno davvero privilegiato economicamente. Forse il mio trucco è che privilegio certi consumi su altri. Per esempio mi sono posato da solo uno splendido pavimento in laminato ikea effetto ontano, invece di farmi comporre dall’ultimo artigiano olandese vivente una tarsia di legni pregiatissimi che riproduce i fiori e gli animali dell’eden.
C’ho la twingo e sono contentissimo.
(Diciamo poi che se a volte sfotto Fiorucci, su Ikea mostrerei tutte le mie debolezze. Io Ikea la metà delle cose che progettano vorrei baciare in bocca il desiger.)
Qui c’è il mio pavimento effetto ontano
http://www.ikea.com/webapp/wcs/stores/servlet/ProductDisplay?storeId=10&langId=-4&catalogId=10101&productId=29767
che ha permesso all’Ontano nero di continuare a vivere; eccolo in natura, osservate l’invidiabile portamento
http://digilander.libero.it/alberiitaliani/ontne/ontne40.jpg
(come direbbe Dersu Uzala: l’Ontano è omo)
Ikea sta ai bricoleurs come la socialdemocrazia ai radicali. L’unico limite del gigante svedese è che partito colle buone intenzioni di farti sentire “idoneo” ti lascia alla fine della giornata con mobili i cui cassetti sono montati al contrario e lampadine straordinariamente lontane dalla cappa. Insomma con l’aria da pirla. Ma in fondo la stessa cosa accade coi libri. alcuni ti laciano veramente a metà con quella stessa aria. In questo senso colgo la provocazione di Tashtego e dico che compro i libri secondo due criteri: quando il libraio, di cui mi fido ciecamente, me lo consiglia, e mi fa credito, e quando mi colpisce l’odore. L’odore dei libri che è quasi infallibile.
effeffe
ps
Ci sono poi i libri che mi regalano gli amici autori, e sono un vero dono.
io invece ho trattato il pavimento in cemento nero con degli isolanti senza mettere la maschera di protezione.
gemma le cose stanno cambiando.
la feltrinelli come dici tu a roma è una sola, quella a piazza esedra, mentre quella dell’argentina già è più imputtanita.
le altre sono supermercatizzate, selezionano su standard bassi, non tengono un titolo più di un certo tempo, poi non si trova più.
e fine.
Tashtego, c’è anche quella appena aperta – se non vado errata – a Viale Giulio Cesare. Ma sì, tu hai ragione: ormai o sfondi (e nei tempi previsti da chi possiede i campi) o non esisti più. Siamo merce, sia come scrittori che come lettori. Poetica, estetica, weltanschauung dell’autore, la problematizzazione complessa e complessiva intorno a un libro, al rapporto con eventuali scuole o movimenti, la storicizzazione in tempo reale: a chi interessano a più, a parte gli specialisti e gli adepti (lettori e scrittori-lettori)? Non parliamo poi della poesia! L’unica resistenza possibile è continuare a fare il proprio lavoro di scrittori e lettori (e critici) con serietà.
C’è un’affermazione opinabile comunque nel pezzo di Bajani: che chi ha buone recensioni venda. Spesso, funziona il contrario.
Ikea: io odio Ikea (con la voce di Puffo Quattrocchi). Ecco, quella dell’Ikea è un’invasione, un ricatto economico a cui spesso cediamo in nome del non-spreco. Paradossale. Come un poveraccio che va a mangiare da Mc (che poi, pure Mc, è alla frutta… Ikea no, però. Io ogni volta che vado e vedo gente felice di stare lì, felice di comprare tutte quelle cose così inutili eppure così pratiche e così economiche, pronte a soddisfare immediatamente il bisogno che ti hanno inserito nella testa guardandole, mi sento peggio che in un centro commerciale di sabato pomeriggio, peggio che all’Esselunga, dove tutto il mio percorso di acquisto è già previsto, e la carta di fidelizzazione si chiama Fìdaty, un imperativo mascherato da accogliente consiglio inglesizzante che farebbe rivoltare nella tomba quelli della Scuola di Francoforte. Ribelliamoci. Si può. Io vivo in una casa con altre tre persone, molti dei mobili ci sono stati regalati dalla vecchia coppia di 4 piani più su che cambiava cucina dopo vent’anni, alcuni sono stati riciclati dalle vecchie case familiari di provenienza, per il resto si è provveduto con molta fantasia e senso del riciclo, e c’è qualche pezzo Ikea che copre le necessità che erano rimaste prive di supporto mobiliare, purtroppo. Spesso ci prestiamo libri e cd. La spesa la faccio al Conad, talvolta all’Ipercoop, spesso nei negozi etnici – ma non quelli cool. Insomma, sottrarsi alla massificazione si può. Con la volontà, come dice bene Andrea Barbieri).
giuro che non c’era la minima bricciola di disprezzo per chi compra libri nel mio pezzo. anzi: se disprezziamo quelli… no, è il pensiero che spinge a tali riflessioni sul prezzo eccessivo dei libri che non mi va giù. ce l’ho con il sistema, non con gli individui.
gianni, anch’io ero un “lettore e basta” fino a poco fa. e compro piu’ libri adesso, molto di piu’…
@barbieri andrea
mi era sfuggito il tuo ottimo inno al pavimento ikea effetto ontano.
per te e per gemma c’è questa indicazione: qualche cartella spesa dal sottoscritto sul sublime argomento ikea, in due riprese.
http://www.tashtego.splinder.com/archive/2006-01?from=10
per gemma aggiungo che la feltrinelli di viale giulio cesare è sullo standard da me descritto.
Ma sì, ovviamente, il riciclo. Io ho riciclato un comò tagliandogli le gambe per sostituirle con rotelloni, e – questa è la parte forte – l’ho dipinto con una miscela di gesso, vinavil e bianco di titanio (una specie di caolino pieromanzoniano): ho creato il “comò sgrutulut”, bellissimo e soprattutto uguale al muro.
Poi il mio letto riciclato: ho coperto la struttura di rettangolini di stoffa calcificati con vinavil e imbiancati col titanio, un capolavoro dell’arte dormiaria. (Lo so, un letto assolutamente bianco non è erotico, me l’hanno già fatto notare.)
Però senza Ikea dagli incastri perfetti sarebbe inconcepibile vivere. Ah, sacra impialliciatura di betulla…
@andrea ti invidio il comò:-)
la coperta no bleah ….
@gemma
ci posti la recensione di sorino sulla repubblica?
georgia
Ho letto Berardinelli sul tuo blog e qui, gEorgia.
Qui misteriosamente non si possono postare commenti.
Bene, sono affari dei mastri di porta: che si gestiscano questo posto come vogliono.
Berardinelli non risponde alla domanda su come puoi seguitare ad essere te stesso marciando nei drappelli dei tuoi nemici.
O meglio, risponde: duemila euro, dice.
Ora l’argomentazione “duemila euro” può essere anche molto seria e convincente e non sto facendo dell’ironia.
Piuttosto rifletto: questi duemila euro di Berardinelli vengono, per via indiretta, ma manco troppo (il giornale se non sbaglio è della moglie di Silvio), dalle tasche di Berlusconi.
Non è questione di essere di destra o di sinistra (cheppalle), ma di essere pagati o no da Berlusconi per fare il proprio lavoro intellettuale.
Se hai bisogno di soldi li prendi da dove arrivano e te ne stai zitto in attesa di tempi migliori.
Ma non reagisci chiedendo “chi è qui che può dire di avere un lavoro di sinistra?” perché è una domanda non pertinente.
Piuttosto mi chiedo: quanti saranno in Italia gli intellettuali direttamente o indirettamente al soldo di Berlusconi?
Posso tornare (salve, sono un nuovo venuto) sul tema del prezzo dei libri? Premetto che di mestiere io mi occupo di faccende industriali e sono quasi costretto a tenere conto della realtà produttiva degli oggetti e dei servizi, sempre. Però quando poi mi trovo davanti al bancone del supermercato o allo scaffale della libreria (e l’assimilazione tra le due cose, per triste che ad alcuni possa sembrare, a me viene spontanea) valuto “di pancia”. E’ questo tipo di valutazione che fa dire – a molti, e anche a me – che i libri costano troppo. E cade a fagiuolo il paragone con il cocktail da 15€. Perché anche lì, secondo me, nella mente scatta il pensiero “è troppo”. E in quel momento non ti viene in mente il costo orario del cameriere e l’affitto del locale e le spese di gestione più di quanto, davanti a un libro, non pensi all’aumento del prezzo della carta. Non pensi: senti. Senti che una correlazione comprensibile manca. E non è mai la qualità del contenuto quella che ti fa fare questa valutazione. Anzi, un’opera celebre e che hai apprezzato, magari da studente in edizione economica, te la ricompri in edizione rilegata, ben contento di spenderci dei soldi. Ma le due questioni non vanno sovrapposte, perché si sta valutando cose diverse. Quando, cioè, compri l’edizione rilegata dell’opera in questione sospendi il giudizio sul costo dell’oggetto, perché miri a un obiettivo diverso. Tant’è che se trovassi quella stessa edizione di pregio a un prezzo minore non è che lo riterresti un affronto all’autore.
E’ stato detto che, se si vuole, di libri a basso costo se ne trovano. Ecco, questo è verissimo ed è, mi pare, una delle peggiori aggravanti alla sensazione di straniamento davanti al prezzo di certi libri. E’ ovvio che esista una differenza di prezzo tra una Fiat Panda e una Audi A8, ma perché esistono delle evidenti differenze tra le due macchine. Poi, si può discutere se i loro prezzi siano industrialmente congrui, ma questo è un altro problema. Quello che genera una sensazione di straniamento con i libri è che non è assolutamente riconducibile all’ambito delle personale esperienza quotidiana quale sia il motivo della disparità di certi prezzi. Se non in casi limite, dove è evidente, per esempio, la differente qualità della carta utilizzata, o la rilegatura, in linea di massima non è facilissimo capire perché mai due libri stampati su carta simile, dalla foliazione paragonabile, di autore coevo, possano presentare variazioni di prezzo superiori al cento percento.
E allora succede che mi trovo in mano un libro di 200 pagine, “normalissimo”, al prezzo di 17 euro e dico “ma perché”?
Poi, come con il cocktail, non ho scelta: se lo voglio me lo compro. Ma – almeno qui a Milano – la maggior parte delle persone se lo compra durante l’happy hour e nei posti dove, insieme, gli danno un’abbondante quantità di cibarie. E i libri se li compra una volta ogni tanto.
Un’altra cosa che mi è venuta in mente leggendo i vostri commenti è che tendiamo a ignorare completamente il problema della ripetizione. Qualunque tipo di associazione tra un libro e un prodotto come un telefonino non ha senso per una semplice ragione: l’aquisto di un telefonino non è – normalmente – ripetitivo. Cioè, di telefonini ne compro uno all’anno (se sono un maniaco… io ne cambio uno ogni 4 anni, circa). Il paradosso, dunque, è che il prezzo relativamente alto sembra esprimere proprio l’intima (e forse inconscia) convinzione dell’industria libraria, che il libro sia un oggetto di cui si vendono pochi pezzi, e quindi su quelli occorre caricare. Al contrario, la sensazione viscerale che i libri costino troppo, secondo me esprime anche un (infondato, spesso, ma ugualmente interessante) punto di vista “sociale” che dice che una cosa come un libro dovrebbe costare poco ed essere alla portata di tutti, anche se in realtà poi ci si accontenta di questo e di libri se ne leggono effettivamente pochi. Il libro, come il pane, dovrebbe stare nel “paniere dei prezzi amministrati”, che tutti quanti abbiamo anchora da qualche parte dentro di noi, anche se non esiste più (credo). Il libro insomma fa parte di quelle cose che “non devono” costare tanto.
Ammazza che sproloquio… come disse qualcuno, non avevo il tempo di essere più breve.
Semtex, solo una cosa: se tutti gli italiani comprassero un solo libro tutte le volte che cambiano il cellulare avremmo un mercato editoriale estremamente florido, te lo assicuro. Più della metà dei nostri connazionali non legge neppure un libro l’anno, non so se mi spiego…
Gianni, non so, a me sembra più una battuta che altro. I due elementi (libro e cellulare) continuano ad essere intrinsecamente non paragonabili, come oggetti di consumo. Lo diventerebbero se, ad esempio, il cellulare fosse un oggetto che, una volta comprato, venisse usato una volta e (sostanzialmente) mai più. A parte la nostra passione per i cellulari (che però non è affatto tutta italiana e ha anche qualche aspetto interessante) resta il problema della non confrontabilità delle offerte relative allo stesso “oggetto libro” e alla non immediata percettibilità – anche per il consumatore avvertito – della relazione tra oggetto stesso e il suo prezzo.
La faccenda dei pochi lettori, per me, non attiene al prezzo dell’oggetto. Almeno, io non lo credo. Il problema – per me – è che un numero limitato di persone hanno voglia di fare uno sforzo. Il che è vero in tutti i contesti. Nelle aziende del terziario, per esempio, si sa perfettamente che il lavoro vero lo fa una percentuale bassissima (non bassa, bassissima) dei lavoratori. Tutti gli altri per lo più cazzeggiano. Questo è vero ovunque, con l’unica eccezione di ambienti iperspecializzati, selezionati e comunque sempre riferibili a numeri assai contenuti.
Ho sentito molte volte ripetere che in Italia moltissime persone non leggono, ma non mi sembra un dato sufficiente. (Anzi, mi sai dire dove si possono trovare i dati su quanti leggono e soprattutto riscontrarli sui dati esteri?). Non mi sembra suffiente perché mi sembra NORMALE che sia così. Leggere comporta uno sforzo e, in coerenza con quanto dicevo sopra, è normale che la maggior parte delle persone non voglia farne, di sforzi. Poi, se da noi questa percentuale è più alta che altrove occorrerà andare a verificare altre cose (che tipo di libri si leggono, qual è lo stato dell’istruzione in quel paese ecc).
Dire “Ah, se si comprassero libri come si cambiano i telefonini” a me sembra – perdonami – un riflesso moralistico. Una cosa è migliore dell’altra “intrinsecamente”… Ma a me non sembra che la faccenda sia così semplice. Perché è un discorso che ci porta a dire che leggere è automaticamente un indizio di qualcosa di positivo. O che avere un telefonino sia indizio di qualcosa di negativo. Se si osserva la cosa dalla sufficiente prospettiva, direi proprio che non è vero. E te lo dice uno che di libri ne compra… non so… un centinaio l’anno? E che ha in tasca un telefono da 350€.
Al massimo si potrà sostenere che comprare libri è un buon indizio della voglia di capire qualcosa di più su… un qualche argomento (e non sono sicuro… pensa alla grande diffusione di libri come Il codice da Vinci, che al contrario diffonde falsi e banalità). Ma quello che conta, in questo contesto, per me è la voglia di capire di più. Il che, per tornare all’oggetto, non ha nulla a che vedere con il fatto che non è comprensibile perché lo stesso libro (come prodotto commerciale) possa costare tra i 6 e i 30 euro e non ci fa fare alcun passo avanti nella nostra comprensione del perché questo prezzo viene percepito come troppo alto.
@ Georgia, no no, sono intervenuto sulla struttura del letto non sulla coperta. Tra l’altro è facilmente lavabile. Solo ho ucciso la funzione erotica, riportando il mobile a una dimensione lirica.
Tra l’altro sono – credo – l’unico al mondo ad avere un vero candido bucranio appoggiato su una cassettiera Malm in betulla. Il bucranio fa assomigliare casa mia a un quadro della O’Keefee.
semtex, sì, era una battuta.
D’accordissimo quando dici: “La faccenda dei pochi lettori, per me, non attiene al prezzo dell’oggetto.”
Sugli italiani pessimi lettori se ne parla da un po’ in rete. Dalla Lipperini ci sono cose interessanti (purtroppo non ho il tempo di cercartele). Da Angelini senti cosa dice Tullio De Mauro:
http://www.lucioangelini.splinder.com/post/7031754#comment
Gianni, grazie… vado a vedere