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A Gamba Tesa/ In ordine sparso


Foto: chromogenic.net

Perché diciamocelo pure, per molti di noi scrivere su Vanity Fair sarebbe veramente il massimo. Altro che Repubblica ,il Diario, Panorama o l’ Espresso, dove solo le caricature degli opinionisti non invecchiano.
E già, l’Espresso?

1.

Sull’ultimo numero che ho letto con lo speciale 2006, Speciale si cambia, tra numerosi ed anche validi interventi apparivano, da una parte, Melissa P che ci suggeriva come dovremmo scopare e dall’altra Tahar Ben Jelloun a rappresentare il mondo che dovremmo sognare.

Per TBJ vale la pena forse ricordare che in Italia, nonostante sia stato condannato da un tribunale italiano per l’affaire Pironti, (vd link in fondo all’articolo) e soprattutto sia protagonista di vicende quanto mai squallide nel mondo letterario (vd l’altro riferimento) gli si accorda lo stesso peso morale di un Albert Camus d’antan o di un Jean Paul Sartre.
E vi assicuro che quando in una nota libreria a qualche ora dagli incendi delle periferie francesi, ho visto allineate un centinaio di copie del libro di TBJ usa e getta ma meglio il contrario che ; cito a memoria il ruban rosso che avvolgeva il volume, ci farà capire finalmente cosa sia mai successo nelle banlieues francesi, Ça alors!!

E non mi soffermero’ nemmeno più di tanto su Melissa P, scoop, M.Panarello, che a nome di tutti, nell’ Espresso del 4 gennaio 2006, con l’inserto “speciale si cambia” afferma: “mi piacerebbe tanto che si parlasse per il sesso; con il sesso o durante il sesso” .

Mi chiedo allora perché Tashtego che interviene spesso nei commenti di NI non venga assunto da l’Espresso per fare semplicemente una delle sue facce di disgusto- io cosi’ me lo immagino Tashtego e devo dire che mi serve per non lasciarmi andare troppo al lirico, quando scrivo- impedendo ad un settimanale glorioso di fare degli scivoloni del genere.

Per non parlare del titolista dell’Espresso – e chiedo alla Lipperini qualora mi stesse leggendo se esista ancora un mestiere del genere nelle redazioni- che arriva trionfante con il seguente oggetto ” Amore stai zitto e godi. Sottotitolo. E’ la stessa persona? Di eros se ne parla troppo e a vanvera. Meglio praticarlo di più e trasformarlo in un gioco divertente. Più umano, libero e felice. Il manifesto di una giovane scrittrice”.

A questo punto Tashtego – non posso trattenermi dall’immaginarlo- come posseduto da una crisi si avventa sul giornalista collo stesso piglio di quelli del circolo di Vienna gridando: Metafisica! Metafisica!. Potrei continuare l’analisi con la foto del bacio lesbico porno soft o con la Melissa P che mi spiega le ragioni ultime dei mots d’esprit sul sesso e del fatto che, ogni volta che si racconti una barzelletta a sfondo sessuale, ridiamo come degli imbecilli perché forse lo siamo e sicuramente continueremo ad esserlo se ci rifiutiamo di capirlo fino in fondo, il sesso ma sento, come trattenuto da oscure forze, che mi devo fermare qui. Grazie Tashtego.

Digressione : Barzellette sporche

Non potro’ mai dimenticare di un incontro cui partecipavamo con Massimo Rizzante, dell’Atelier du Roman, con Kundera che ci raccontava une blague:

“C’era un ospedale nella periferia di Praga- raccontava- in cui tutto il personale delle urgences era affetto da ossessioni a carattere sessuale. Un giorno vi fu ricoverata una donna bruttissima, mostruosamente e incredibilmente brutta. Le fu chiesto di spogliarsi e lei lo fece. Da quel giorno non si ebbe più notizia di molestie o altro.” Fine della barzelletta. Noi scoppiamo a ridere. Una signora che era accanto a noi esclamo’ risentita: – Mais c’est terrible!

2.
Per tornare alle cose pulite, io l’Espresso non l’ho acquistato. Era in un espositore insieme ad altri rotocalchi – una parola splendida ma non chiedetemi perché – nella Lavomatic sotto casa. Non quella dove andavo prima, dal maestro Mahmoud a Porta Palazzo con cui si poteva parlare di tutto, letteratura e filosofia. Mi è dispiaciuto lasciarlo , ma vicinanza e comodità delle operazioni di lavatura e asciugatura, costituivano un argomento troppo forte.

Lo stile , completamente altro. Video music trasmessa da un televisore in alto, giornali pardon rotocalchi a disposizione dei lavandai, atmosfera soft. E qui credo aver letto per la prima volta Vanity Fair. Me la immagino la redazione di Vanity Fair. Tutta rosa pastello, divani rotondi, personale super caloroso e articoli pagati in contanti, per un importo equivalente a una traduzione di cento pagine e passa di grande letteratura. Belle bellissime donne anche quelle che non lo sono per niente e uomini brillanti, eleganti e disponibili, e perché no, anche un comunista anzi, Tashtego in persona che sbuca dalla caffetteria Nespresso e capsule gratuite e mi fa ” Ehi Furlen, hai visto, ce l’abbiamo fatta”.

E allora leggo di articoli e ricerche sul mondo reale come la storia di quella dei telefoni rosa che grida di piacere e con perizia da rumorista riproduce tutti i suoni del caso. Lui vuole che gli pisci in faccia e allora apre il rubinetto – acqua calda o fredda- e così le catene e il resto. Ecco, ditemi quello che volete però già questa storia, per quanto abusata da cinema e letteratura, di una lei che deve immaginare l’effetto procedendo per altre cause è già qualcosa di romanesque che richiede molta immaginazione e una dose di auto ironia .

Insomma, se esiste un paradiso per gli scriba quello è Vanity fair. Quando poi alla fine del testo mi sono soffermato sulla frase lasciata vagare – giustificata a destra – nel fondo della pagina, ho avuto come un’illuminazione – Tempo di lettura sei minuti.
Minchia questo è giornalismo verità! Nemmeno Robertino Saviano se la poteva immaginare! Biondillo sicuramente no. E mi sono chiesto come si fa a calcolare in modo così perentorio e preciso il tempo di lettura? Attraverso il numero di caratteri con spazi compresi? Per la complessità dei termini; fluidità del discorso? E allora mi sono chiesto due punti
E se applicassimo anche ai romanzi lo stesso sistema? Un capitolo, tempo di lettura un’ora e venti. Altrimenti cinquanta sei secondi per una poesia di Andrea Inglese o Raos. E via dicendo.
Del resto come interpretare la genialata dell’editore che è venuto a farci visita nella bacheca colla sua www.toilettes.it che pensate un po’ pubblica libri che siano letti al cesso.

Mosso dalla stessa ossessione di chi mette la frase in questione sul mio Vanity Fair, quel signore,(si è ancora editori a questo punto?), invece di mettere un tempo due minuti, tre minuti, scrive con un inchiostro veramente simpatico, simpaticissimo, tempo di una cagata, e intanto Tashtego devo trattenerlo dal commettere un omicidio pur condividendone uno per uno tutti gli argomenti. Ora non so come lo abbia calcolato, quel tempo. Cronometrando dei lettori potenziali? Studiando le abitudini geopolitiche dei lettori per cui i meridionali passano al cesso un tempo assai più lungo dei lettori settentrionali come il retaggio di un tempo in cui i cessi erano fuori ed allora un finlandese non poteva restare a meno venti, più di un minuto ecc.

3

Ecco cos’ è marketing applicato alle lettere. Riuscire a indicare a lettura finita non quanto tempo il lettore abbia dedicato all’opera ma quanto tempo il marketing pretende che il lettore dedichi a una tale attività. Il must, il top, come si sente dire, di questo delirio simpaticone sarà quando troveremo romanzi con alla fine indicato oltre al tempo di lettura anche quello di scrittura, con la quadratura del cerchio suggerita dalla presenza di un’unica cifra. Un’ora per scriverlo e un’ora per leggerlo. E magari anche un tempo dell’oblio. Un’ora per dimenticarlo.

Che è esattamente quello che personalmente mi auguro per questo 2006, per i lettori di Nazione Indiana ma anche per quegli infermieri, citati da Kundera, di un’oscuro pronto soccorso alla periferia di Praga. Che dimentichino in fretta la visione del mostro e che possano tornare a pensare ad altro. Il sesso? E perché no, con buona pace di Melissa P (ridateci Wilhelm Reich!!!)
E chissà che magari, per allora, anche l’Espresso sarà cambiato cioè tornato a essere quello che era una trentina d’anni fa.

Ps
La presenza di Tiziano Scarpa con un articolo davvero eccellente ma soprattutto quella di Huma Thurman nel numero del 4 gennaio 2006, con l’inserto “speciale si cambia”, mi fa ben sperare.

Tempo di lettura : quattro minuti, a occhio ma soprattutto a croce +

http://www.lastampa.it/_web/_RUBRICHE/Libri/articolo/articolo040309.asp

http://ilmattino.it/hermes/20031212/NAZIONALE/CULTURA/LOLO.htm

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34 Commenti

  1. Chiamata in causa, effeffe, rispondo: i titoli li fa chi passa l’articolo, chi sta, come si dice, al desk. Chi è collaboratore, come la sottoscritta, non decide mai i titoli dei suoi pezzi, per dire.
    Quanto al “tempo di lettura”, che fa abbastanza rabbrividire anche me, non credo sia tanto un’idea “di marketing”: mi pare la tipica trovata pseudo-creativa alla Homais de noantri.
    ps. Però non scambiarmi per il portavoce del gruppo L’Espresso, io rispondo semplicemente di me stessa :)

  2. Il testo di Scarpa a cui si riferisce Francesco è “Corto Maltese il messia dandy”. Fa piacere riuscire a leggere cose così tra tanto ciarpame del giornalismo culturale (entusiasta ne ho parlato anche a Igort). Non è solo una questione di intelligenza dell’autore, è una roba che sta prima dell’intelligenza, è la convinzione che si possa dire qualcosa di intellettualmente profondo attraverso un articolo di giornale, è l’etica di chi fa un servizio al lettore, anzi: al prossimo.

  3. @ Cara Loredana grazie per la risposta. Solo tu potevi dirmelo quindi nè portavoce nè talpa, piuttosto coleicheciaiutaacapire :-)

    @ Biondi’ ma per caso hai lavorato in Repubblica Ceca?
    effeffe

  4. esilarante.
    (tempo di lettura del commento: tre secondi).
    Tempo di lettura del tempo che ci vuole per leggere il commento tra parentesi: dieci secondi.
    Tempo di lettura per leggere il commento senza parentesi al commento (tra parentesi) del commento: tredici secondi.

  5. Nel calcolo della tempistica bisogna preventivamente tenere conto che alcuni articoli provengono da un “coso” che precede la creazione dell’universo. In quel “coso” non c’era ancora il tempo. E’ ovvio no?, il nulla non richiede tempo di lettura perché il tempo nel nulla non esiste.
    A volte si vedono questi “coso” fiorire sulla carta e in rete. Esiste anche – incredibile, ma è così – il mestiere di pescatore di “coso”, con relativo albo. E folte schiere di aplaudipescatoridi”coso”, aspiranti “coso” pure loro, persi in questo sogno regressivo che li riporta all’origine, invertendo la causalità in cosalità. Direi quindi che prima della tempistica bisognerebbe indicare in calce all’articolo se si tratta di un testo pre big-bang o post big-bang. Solo per il secondo il tempo di lettura è calcolabile.

  6. mag, io ho lo stomaco forte, ma mi riesce difficile definire barzelletta quella sulle vecchie…
    Forse anche il mio senso dell’umorismo sta invecchiando…

  7. l’ha raccontata un maschilista di recente.
    io non rido, anche perchè essere doppio anello debole(vecchi e donne) non è divertente.

  8. Perchè non lanciamo un dibattito sul comico? Di cosa si può ridere e di cosa no? Mi spiace ma visto che si ride spesso delle giovani e belle non vedo perchè non si possa ridere delle vecchie e brutte. Se reagite così mi ripetete la reazione della siora franzosa che esclama ” c’est terrible!
    Suvvia, il bersaglio della blague (in questo caso da tradurre con storiella piuttosto che con barzelletta come ho fatto erroneamente, raccontata da Kundera, erano gli infermieri. la loro ossessione in fondo non aveva nulla di cosi’ epico, o almeno abbastanza da resistere al mostro. Comunque sia non ci vedo nessun male all’essere brutte o vecchie ( brutti o vecchi) semmai all’essere stronze o stronzi) ma qui apriamo un altro capitolo.
    effeffe
    tanto dopo averci censurato sul fumo ci censureranno ( ma voi avete capito chi?)anche sullo humour…

  9. Ma guarda, effeffe, non si tratta di essere politicamente corretti, figurati! Semplicemente, la “blague” citata da Mag non faceva, nè probabilmente intendeva, far ridere. Per il resto, d’accordo con te: che gli dei ci salvino da chi è privo di ironia (e soprattutto di autoironia).

  10. Il problema è che la “blague” in francese è una cosa serissima, che magari effonde qualcosa di comico ma più che altro dice un’amara verità.
    Una blague è quando al museo d’arte moderna di Parigi il tipo che sorvegliava la sala mi ha invitato a toccare un enorme lavoro di xxx [non ricordo] e seguendo il suo folle consiglio scoprivo che: 1. quella che pareva una superficie solida era un effetto ottico creato da neon, lampade di wood e altre strane attrezzature, 2. la splendida opera dietro celava un burrone nel quale stavo per fracassarmi mentre il tipo moriva dal ridere, 3. la realtà è apparenza, specialmente nell’arte contemporanea.
    Solo una “blague” poteva tanto.

  11. dico la frase lapidaria cosi per tirarmela un po’:
    ” si ride sempre di cio’ di cui prima si è pianto”

    @ff:
    ogni volta che ridi il cuore mi si solleva:-)

  12. L-Ciao Carlo, ti presento Luca, mio fratello siamese-
    C-sembra simpatico!-
    L-si pero’ è gay-
    C-beh che problema c’è?-
    L-..abbiamo il culo in comune…-

  13. Ultime notizie.
    Secchione a scuola di mimi si rifiuta di far scena muta.

    Di cosa si può ridere?
    Risposta banale. Di tutto ciò che è preso sul serio, di tutti quelli che si prendono sul serio.
    Esageriamo: di tutto ciò che E’ serio.

    [Se no ridere che mestiere è?
    Perché se ci chiediamo “di cosa si può?” anziché “di cosa si vuole?” (ridere), stiamo aspettando un pass, cerchiamo l’accordo, sottostiamo ad un regolamento. O, peggio, lo auspichiamo.]

    [Invece ridere è ovvio che non è un mestiere e nulla fra l’altro ha di politico come vorrebbe lo stesso a me carissimo Kundera (anche se sto troppo semplificando). Oppure, il Riso ha ridondantemente “di politico” la forza d’urto distruttiva e terapeutica, che è politica, che gli viene dal fatto di non esser politico.]

    Non si può ridere di chi ride.

  14. Qualche tempo fa riflettevo su questa epoca di Conformismo (politico, culturale, sessuale ecc) in cui viviamo, e di come la trasformazione della società di fatto con quella di diritto stia portando ad aberrazioni che sono mille volte peggio di ogni fascismo. Ora sono le sigarette, poi verrà il turno degli alcolici, si sta già colpendo la satira (se racconti una barzelletta che tocchi argomenti o categorie tabù, ti ritrovi citato in tribunale). C’è stata una guerra inerna alla comunità omosessuale francese a proposito tra chi si faceva promotore di una intoccabilità della comunità e chi invece sosteneva che la forza di una comunità è proprio nella sua capacità di autoironia. Per ex, se per i primi ogni prodotto artistico, libro, film opera teatrale, articolo che prendesse in giro o facesse una caricatura dell’omosessuale era passibile di condanna (e le leggi ci sono per farlo) i secondi si chiedevano: Che ne sarà allora di certi capolavori come lo splendido cage aux folles ( il vizietto) con i magnifici Serrault e Tognazzi?

    L’episodio che citavo della storia raccontata da Kundera è secondo me un fatto tipicamente romanesque. Lo è il luogo, pronto soccorso di un ospedale alle porte di Praga. Lo sono i personaggi (uomini e donne) che in fondo si lasciano andare al gusto del sesso con quel tocco di esagerazione che accompagna sempre ogni peccato del genere, tipo la lussuria o quelli di gola. Tout va trés bien, insomma. L’apparizione della donna mostruosamente brutta che si spoglia sulla scena disintegra ogni equilibrio.

    Com’è possibile? perchè? Quando la racconto la storia, acora ieri al telefono con un’amica, la gente ride. Esattamente come me. Ricordo invece la faccia della signora, peraltro molto bella, raffinata, in qulche modo gaudente, che in uno slancio di pietas verso la donna – ecco perchè dice c’est terrible- in realtà si ritrova proiettata sull’altro fronte, tra gli infermieri (le infermiere) gaudenti, fissati, che come davanti a Medusa restano di pietra.

    Ecco, io credo che il romanzo abbia questo compito. Restituire una qualsiasi forma di vita alle statue di pietra che popolano la nostra terra letteraria.
    effeffe
    ps

    Disegno di Andrea Pazienza

  15. in qualità di Punitore – Inibitore – Pareggiatore mi avventerò con gioia e giusto livore – sbavando – sui nuovi Traguardi indicati da FF.
    spero solo che dopo ci sia un osso per me.
    (tempo di lettura: due secondi)

  16. La storiella s’inserisce nelle dinamiche di rottura del prevedibile, ecco perchè è comica.
    Inoltre rompe, attraverso la realtà, cio’ che alimenta l’ossessione:la fantasia ripetitiva e ossessiva; fa leva sui meccanismi del paradosso.
    Questo ci dice che la nudità in se’ stessa non ha nulla di morboso, di perverso, nulla da ricollegare al peccato; se posso, vorrei portare delle testimonianze su come le civiltà nordiche, contrariamente ai mediterranei, vivono la nudità.
    In svizzera per esempio, esistono località termali in cui si pratica il nudismo con una tale naturalezza e una tale apertura a qualsiasi età, ceto, conformazione fisica, che svilisce qualsiasi forma maliziosa e morbosa ad essa legata.
    (da non confondere con l’esibizionismo ovviamente).

  17. Ridere è la nuca
    di un uomo serio
    per disegnarci su uno sberleffo.
    E’ alzare la gonna alle ipocrisie
    fino a farle arrossire.
    Ridere è roba d’atleti:
    ci vogliono più muscoli che per piangere.

  18. Francesco, ricordo male o i francesi per dire di un tipo che è un geniaccio, o un portentaccio d’uomo, dicono che è una gola? (oppure una roba del genere, non mi ricordo più)

  19. Andrea, ho fatto un salto come si dice.
    (((Ci sentiamo lontani da ogni scrittura “cerebrale”, che fa riferimento solo all’universo delle lettere, autoreferente e ambiziosamente elitaria.))) (!) Ho trovato, e copincollato.
    Ma posso dirti, è proprio ciò in cui credo! Ti spiace?
    Scusami. Credo nell’arte espressiva “libera”.
    Vivoscrivo colnella convinzione che “i poeti impegnati” sono (possono essere, soltanto) quelli che non ti rispondono mai al telefono.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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