4 racconti brevi
di Giacomo Bottà
Jaakko aveva passato l’estate del 1973 a farsi crescere i capelli ed a lavorare come giardiniere presso la tenuta estiva di un ricco finno-svedese.
Mi mostra una foto in bianco e nero.
Sul retro della foto ci sta scritto novembre 1974.
Jaakko aveva i capelli lunghissimi e si stringeva in una giacca minuscola, di quelle colorate che usano ancora oggi i muratori. Era sul bordo di una strada innevata, dietro di lui un blocco di appartamenti e qualche macchina parcheggiata.
Mi dice: “avevo i capelli lunghi cosí e non me ne fregava di niente”
“Come non te ne fregava di niente?”
“Non me ne fregava di niente. Non lavoravo, passavo il tempo a casa di amici. Ascoltavamo Cohen e bevevamo kossu. Avevo diciassette anni.”
*
Ad Anneli la vita era cambiata di colpo. Era bastato entrare nella Kunsthalle di Amburgo per capire che lei avrebbe lasciato il villaggio e si sarebbe trasferita in Germania per diventare pittrice.
Aveva risparmiato tutto l’inverno facendo la cassiera in un supermercato di Tampere, poi appena arrivata l’estate aveva preso il traghetto.
Alla Kunsthalle di Amburgo era rimasta tre ore seduta davanti ad un quadro di Oscar Kokosckha. Poi era risalita sul traghetto, era tornata a Seinajoki ed aveva preparato una piccola valigia con i vestiti per l’autunno.
Cinque anni in un’accademia dell’arte a Bielefeld. Una galleria di Monaco aveva comprato tre quadri.
Adesso Anneli vive nella casa dove è cresciuta, a due ore da Tampere. Piú volte l’anno deve prendere il traghetto per tornare in Germania, per una mostra, per incontrare qualche mercante d’arte.
“Sto bene qui. In Europa è bello andarci da giovani. Ma poi è bello tornare qui. Per l’aria.”
Inspiro forte. C’è profumo di betulle.
*
Il vagone del metro puzza di alcool, come tutti i venerdí. L’ultimo viaggio verso est è alle 23:30. Sono seduto di fronte ad un ragazzo biondo. Apre una bottiglia di salmiakki-kossu e me la mette davanti al naso. Io dico “no, grazie”. Lui sorride.
Di fianco ci sono tre ragazze ed un signore somalo, stretto in una giacca di camoscio.
Le ragazze ridono, parlano ad alta voce e bevono da bottiglie di aranciata da un litro, riempite a metà di kossu. Una estrae dalla borsetta un flacone di lacca e la alza per sistemarsi, di nuovo, i capelli prima di arrivare a Kontula. A Kontula c’è una birreria-ristorante dove fanno entrare i minorenni. Il getto di lacca colpisce il signore somalo negli occhi. Le ragazze ridono e la ragazza con la lacca in mano dice “scusa tipo”. Il signore somalo si asciuga gli occhi con un fazzoletto, devono bruciargli parecchio, ma sembra allo stesso tempo intimidito dal riso delle ragazze.
Il tipo biondo di fronte a me rutta in maniera forzata e poi si alza per scendere. Guardo fuori. Siamo a Hertoniemi.
*
il buttafuori ci tiene la porta aperta e noi entriamo, uno ad uno. lo guardo negli occhi e lui annuisce, posso entrare, ho il permesso di entrare.
la gente è seduta attorno a tavoli minuscoli, qualcuno parla, le ragazze fumano sigarette che vengono dai dutyfree delle navi per l’estonia. ci sediamo anche noi, poi uno ad uno, andiamo a prenderci delle birre, le beviamo in silenzio.
la ragazza col microfono tiene in mano dei foglietti e poi dice che adesso è il turno di siri. siri si alza in piedi e corre a prendere il microfono.
siri ha una bella voce.
aikuinen nainen, donna adulta, è la versione finlandese di maledetta primavera.
immagino che il sogno di siri sia di diventare una cantante professionista, di diventare famosa. intanto sulla schermo si vede una donna adulta, vestita di rosso, che gira su se stessa in una discoteca, le luci stroboscopiche luccicano tutte attorno.
in basso sullo schermo si vedono le parole della canzone e si illuminano quelle che devono essere cantate, ma siri non le guarda, siri ha gli occhi chiusi e magari si immagina di cantare in un tanssikellari, magari quello qui di fianco, quello con i vetri oscurati, con alle spalle un gruppo di musicisti professionisti.
itäkeskus, il centro commerciale più grande della scandinavia è chiuso di notte, soltanto i locali che guardano sulla strada, quelli all’esterno dell’enorme isola di vetrocemento, sono aperti. ci sono un paio di bar ristoranti, tra cui il karaoke bar dove siamo, un posto dove si balla, con i vetri oscurati ed un paio di pizzerie kebab.
domani mattina itäkeskus riaprirà ed i disoccupati che passano le serate in questi bar ristoranti, potranno sedersi da starbucks o da mc donald, bere caffé per un euro e sfogliare il giornale. le multinazionali di mattino vendono il caffé a prezzi più bassi, altrimenti i disoccupati se ne andrebbero altrove. tornerebbero nei mall piú piccoli, quelle piazze quadrate, costruite negli anni settanta, dove ci sono un pub, un supermercato che fa anche da ufficio postale ed un chiosco, dove il caffé è sempre costato un euro.
la barista annuncia che pekka dovrebbe cantare. pekka è seduto al bancone. volta le spalle al resto del bar. in un angolo, di fianco al bancone, c’è un altro schermo che proietta le parole, messo lì apposta per i tipi come pekka. pekka ha un cappello da baseball, da dove spuntano i capelli lunghi sul collo, ha una maglietta nera con la scritta “pattaja walking street” sulla schiena, dei levis e delle logore scarpe da jogging. pekka tiene il microfono in una mano e con l’altra stringe il bicchiere mezzo vuoto, appoggiato al bancone. ha una voce profonda, piena di tristezza. pekka canta soltanto per se stesso. la canzone parla di baci infuocati, tradimenti e lacrime.
fuori, lentamente, il freddo erode il cemento nel centro commerciale.
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Giacomo Bottà è nato a Morbegno nel 1974. Ha conseguito un Dottorato in letterature comparate alla IULM di Milano. Attualmente vive a Helsinki, in Finlandia, dove ricerca presso l’Università cittadina, su immaginari e cultura urbana. Suona la chitarra, ha un blog, ha pubblicato qualcosa su “Tutta la Forza della Poesia” (Labos, 2003) e sul blog di Cepollaro.
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(L’immagine è di Jacques Monory, da claude-guibert.club-blog.fr)
B****! Poesia della prosa.
Lo straniamento che impregna la quarta prosa mi sembra una prova inconfutabile di come un certo “realismo” partecipe, una certa pietosa “Sachlichkeit”, abbia oggi una forza critica per il solo fatto che la realtà è diventata essa stessa improbabile.
Pekka è uno dei più bei personaggi che siano apparsi su NI.
bellissimi
Pietosa Sachlichkeit? Forse. Ma “caffè” si scrive con l’accento grave.
scusate l’OT ma hanno querelato il blog di annasetari perchè aveva fatto una critica umoristica della trasmissione Confronti condotta da gigi moncalvo (ex direttore della padania), a me sembra una cosa di una gravità inaudita e che ci riguardi tutti e l’intera libertà della rete
La notizia sul blog di anna
http://solotesto.splinder.com/
Non male, a parte una “d” eufonica di troppo. L’atmosfera è minimale e la narrazione ha un punto di osservazione “distante” dall’oggetto (pertinente il riferimento allo “straniamento”). Il limite consiste nella non autonomia dei frammenti che compongono un insieme di immagini, ma non arrivano a delineare una storia.
Scusate se vado O.T., ma vorrei porre una questione: per pubblicare un testo su “nazione indiana”, occorre essere cooptati da qualche membro “ufficiale” (virgolette obbligatorie), oppure esiste qualche meccanismo a me sconosciuto?
Se non esiste una redazione, in base a quale criterio un testo viene valutato suscettibile di pubblicazione?
Writer
Culo? ;-)
p.s. io sono con Lello Voce: “d” eufoniche per tutti!!!
io vengo valutato suscettibile.
tout court.
di solito.
(culo?)
rispondo a writer: ogni individuo di NI funge da redazione a lui solo, siamo un montaggio di redazioni, e le redazioni, si sa, funzionano in vari modi: cooptazione, richieste, inviti, incontri, scoperte…