Revisionismi francesi
di Magali Amougou e Andrea Inglese
In Francia è in atto una guerra mediatica che data dall’inizio del genocidio ruandese dei Tutsi e degli Hutu moderati (1994). Si tratta certo di una guerra “a bassa intensità”, ma non per questo meno duratura e tenace. Si sarebbe potuto pensare che il picco d’intensità maggiore questa guerra lo avesse raggiunto nel corso del 2004, anno del decennale del genocidio. E in effetti la Francia ha conosciuto una quantità di pubblicazioni e di articoli giornalistici, che hanno nuovamente e con veemenza rilanciato il dibattito. Ma esso pare lungi dall’essersi placato. Ne sono testimonianza due libri usciti nel 2005. Il primo Négrophobie (Les Arènes, Paris), a firma degli autori Boubacar Boris Diop, Odile Tobner e François-Xavier Verschave, è uscito nell’autunno. Il secondo, Noires fureurs, blancs menteurs. Rwanda 1990-1994 (Milles et une Nuits, Paris) di Pierre Péan, è in circolazione da dicembre.
Questi due libri permettono innanzitutto di delineare sommariamente i due avversi fronti. Il primo si inscrive in un filone apertamente militante, di denuncia delle forme di neocolonialismo francese tutt’ora attive sul territorio Africano, e dell’Africa nera e francofona in modo particolare. Del neocolonialismo, la vicenda del genocidio ruandese rappresenta la più evidente e scandalosa conferma. Una delle principali poste in gioco della guerra mediatica è infatti la definizione dell’attitudine della Francia nei confronti del governo ruandese responsabile del genocidio dei Tutsi nel 1994. Un lungo capitolo di Négrophobie riguarda il processo di disinformazione orchestrato dai grandi quotidiani nazionali, Le Monde in testa, per tacere o minimizzare la complicità di settori dello Stato repubblicano con i responsabili dello sterminio.
Il libro del giornalista Pierre Péan si presenta invece come un massiccio lavoro d’inchiesta (544 pagine), che ha l’ambizione di riscrivere la storia del genocidio ruandese, sottraendola alle varie manipolazioni di cui sarebbe stata oggetto. Nella sua prospettiva, però, fra i maggiori manipolatori vi sono proprio gli autori di Négrophobie e tutta la variegata famiglia che si riconosce nelle loro tesi. (Non solo i militanti dei diritti umani, ma anche giornalisti di provata serietà come la belga Colette Braeckman e il collaboratore del Figaro Patrick de Saint-Exupéry.) In sostanza Pierre Péan deve far entrare una complessa e ormai stratificata realtà documentaria in uno schema rigido e semplice: quello della posizione ufficiale del governo francese all’epoca degli avvenimenti. Tale posizione è di per sé ambigua. Essa deve in qualche modo riconoscere, da una parte, che la Francia ha appoggiato il “legittimo” governo Hutu al potere al momento del genocidio. A giustificazione di ciò, agita la tesi “negazionista” del duplice genocidio: ossia il governo Hutu è stato costretto a difendersi dall’attacco esterno del Fronte patriottico ruandese dei guerriglieri Tutsi (FPR, oggi al potere in Ruanda sotto la guida di Paul Kagame), animati dall’intento di provocare lo sterminio degli Hutu. D’altra parte, però, poiché rimane impossibile negare che ottocentomila persone, in prevalenza Tutsi, sono state sterminate nell’arco di pochi mesi in Ruanda, la Francia deve legittimare come “umanitaria” l’operazione Turquoise (giugno-agosto 1994), l’unica lanciata da una potenza occidentale per fermare i massacri. Sennonché diverse e autonome fonti hanno mostrato come tale operazione abbia permesso un ritiro in buon ordine degli autori del genocidio verso lo Zaïre, che andranno poi ad infiltrare i sovrappopolati e disastrati campi profughi della popolazione Hutu in fuga. Ciò detto, Péan ha ragione nel ricordare i massacri di civili imputabili ai guerriglieri del FPR e il carattere dittatoriale dell’attuale regime di Kagame in Ruanda. Ma nessuno dei seri studi apparsi sulla questione ha mai avvalorato la tesi del duplice genocidio.
Come in ogni conflitto, e ancor più in quello mediatico, diversi sono gli interessi e gli obiettivi degli attori coinvolti. Se ricostruiamo brevemente il paesaggio dell’informazione francese di questi ultimi mesi, ci rendiamo conto che la partita relativa alla verità sul genocidio ruandese s’intreccia con un’altra e più ampia partita, che coinvolge studiosi e giornalisti, ma anzitutto il mondo politico. Qualcuno potrebbe pensare che non ci può essere una partita più cruciale, di quella che mira a stabilire la complicità o l’estraneità del governo francese nell’ultimo genocidio del XX secolo. Oggi questo è senz’altro vero, come l’uscita del libro revisionista di Péan mostra. Ma per lungo tempo il genocidio ruandese fu trattato alla stregua di un sanguinoso conflitto interetnico, uno fra i tanti che sconvolgono l’Africa. E delle responsabilità politiche, finanziarie e militari della Francia a sostegno degli autori dello sterminio si parlò poco o per nulla.
Nel dibattito francese, la partita più ampia entro la quale si inserisce quella per la verità sul genocidio in Ruanda, riguarda la riscrittura della vicenda coloniale nel suo insieme. In quest’ottica, il revisionismo o il negazionismo nei confronti del genocidio ruandese dei Tutsi è un passo necessario, per affermare un revisionismo di più ampia portata, che discolpi le antiche potenze coloniali da ogni responsabilità nei confronti delle condizioni critiche in cui versa attualmente il continente africano. Ma l’obiettivo finale non si limita ad un semplice lavaggio retrospettivo della coscienza. Esso è di carattere strettamente politico-economico e mira al futuro. Se la Francia risulta innocente nella vicenda ruandese, e anzi ne esce a testa alta, come l’unica nazione occidentale che si è concretamente spesa per arrestare i massacri, allora si può finalmente cancellare lo spettro del neocolonialismo. Se dunque non sussistono più forme di controllo e sfruttamento tra ex-colonizzatori ed ex-colonizzati, i disastri dell’Africa sono esclusivamente da imputare agli Africani. Questi ultimi, lasciati a loro stessi dopo l’ondata delle lotte di liberazione nazionale, si sono dimostrati incapaci di condurre in modo pacifico e coerente i loro paesi verso lo sviluppo. L’Africa, dunque, ha bisogno nuovamente di una tutela occidentale. E tra i primi candidati a svolgere questo ruolo tutelare vi è ovviamente la Francia.
La legge votata dal Parlamento il 25 febbraio 2005 costituisce un chiaro elemento in questo disegno. Il suo articolo 4, ricordiamolo, afferma che: “I programmi scolastici riconoscono in particolare il ruolo positivo della presenza francese d’oltremare, specialmente nell’Africa del Nord, e accordano alla storia e ai sacrifici dei combattenti dell’esercito francese provenienti da questi territori il posto eminente al quale essi hanno diritto”. Con il pretesto di celebrare i sacrifici dei nordafricani nell’esercito francese, s’impone agli insegnanti della scuola pubblica di sottolineare gli aspetti positivi della colonizzazione.
Tale lettura della guerra d’informazione e delle sue motivazioni politiche corrisponde alla tesi degli autori di Négrophobie. Essi lavorano infatti in due direzioni: analizzano, da un lato, la copertura mediatica da parte della stampa francese del genocidio in Ruanda e delle successive inchieste ad esso connesse; dall’altro, includono in questa analisi anche discorsi di più ampia portata sull’Africa nera, miranti a diffondere sulla stampa nazionale vecchi stereotipi razzisti. Principale bersaglio dei tre autori è un libro apparso nel 2003, Négrologie. Pourquoi l’Afrique meurt (Calmann-Lévy, Paris). L’autore è Stephen Smith, influente giornalista d’origine statunitense. Per dieci anni collaboratore di Libération sull’attualità africana, è passato di recente a Le Monde come redattore capo. Nell’introduzione, Smith annuncia il suo programma. Egli vuole parlare dell’Africa nera senza ipocrisie per dimostrare una cosa sola: “dai tempi dell’indipendenza l’Africa lavora alla sua ricolonizzazione”. Essa non fa che autodistruggersi ad ogni livello: politico, economico, ecologico, ecc. Per pagine e pagine Smith accumula in modo farragginoso dati su dati, dalle statistiche macroeconomiche agli aneddotti più insignificanti, per rafforzare l’affresco di questa apocalissi. Non una parola, in compenso, viene spesa sulle forme attuali di neocolonialismo, che per Smith non esistono o sono irrilevanti.
A conferma che l’analisi di Boris Diop, Tobner e Verschave coglie nel segno, basterebbe una rassegna stampa sui due temi del genocidio ruandese e della colonizzazione nel corso del solo mese di dicembre. Sui quotidiani Libération, Le Monde, Le Figaro e sui settimanali Marianne e Le Nouvel observateur si sono susseguiti articoli ed editoriali che riprendevano l’uno o l’altro tema con una frequenza del tutto inedita rispetto ai mesi precedenti. Ciò significa anche, però, che le tesi revisioniste sia sul genocidio che sulla colonizzazione, pur rimanendo all’ordine del giorno, sono comunque fortemente contrastate.
(Articolo apparso su il manifesto del 4-01-2006 con il titolo “Ombre nere sulla Francia”)
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In un pezzo successivo, fornirò una bibliografia selettiva su alcuni dei principali aspetti del genocidio ruandese. Per ora fornisco l’indirizzo di tre siti indipendenti, dove si trovano abbondanti informazioni.
perso.wanadoo.fr/rwanda94/ sito francese interamente dedicato al genocidio
www.hrw.org/french/reports/rw94/rwandamai94.htm sito di Human Rights Watch
La Commission d’Enquête Citoyenne (Commissione d’inchiesta cittadina; i suoi risultati contestano i vaghi risultati ottenuti da una commissione d’inchiesta parlamentare sul ruolo del governo francese durante il genocidio)
pour la vérité sur l’implication française dans le génocide
www.enquete-citoyenne-rwanda.org/
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(Foto: Un gruppo di ruandesi accusati delle uccisioni dei tutsi del 1994)
Inglese (o Magali), potreste segnalare nei commenti un sito con una cronologia degli eventi? Aiuterebbe la lettura, credo.
Su Wikipedia, a cui tutti possono contribuire migliorando l’articolo, c’è:
http://it.wikipedia.org/wiki/Genocidio_ruandese
In Inglese:
http://en.wikipedia.org/wiki/Rwandan_genocide
e in francesce invece:
http://fr.wikipedia.org/wiki/G%C3%A9nocide_au_Rwanda
sarebbe interessante confrontare la voce nelle tre lingue.
Jared Diamond nel suo libro Collasso (einaudi, IBS) dedica molte pagine al Ruanda sottolineando il ruolo della sovrappopolazione e dell’esaurimento del’ecosistema nello scatenare il massacro, incluso ai danni di Hutu. L’ho a casa, sono curioso di vedere quali fonti ha usato.
ho inserito, per ora, tre link a siti indipendenti, che forniscono abbondanti informazioni sul genocidio e sugli attori che ne sono coinvolti;
in un pezzo successivo forniro’ una bibliografia selettiva su alcuni dei principali aspetti che riguardano questa vicenda d’orrore;
nel pezzo scritto con Magali, l’attenzione è centrata sul trattamento dei media francesi della vicenda; e ancora abbiamo detto molto poco; di recente dei magistrati hanno aperto un’inchiesta sul diretto coinvolgimento di alcuni soldati francesi nei massacri del 1994; la vicenda quindi si è fatta negli ultimi mesi sempre più scottante.
Vorrei semplicemente segnalare un altro sito (http://www.interdits.net/2000dec/rwanda15.htm) e un progetto, “Ecrire par devoir de mémoire” a cui ha partecipato anche B. B. Diop, di cui avete parlato. Si tratta di un progetto “letterario” (le virgolette sono d’obbligo), promosso da “Fest’Africa” e dal suo principale animatore Nocky Djedanoum, in cui sono stati coinvolti alcuni scrittori, che si sono recati in Ruanda per diversi mesi. Dalla loro esperienza sono nate opere molto diverse fra loro, romanzi e racconti, accomunati tutti dal “devoir de mémoire” del genocidio.
Grazie a voi tutti
Annamaria