A Gamba Tesa/ Biagio Cepollaro
foto di Philippe Schlienger
Blog Pensieri
di
Biagio Cepollaro
Il gesto non-collaborazionista
Ciò che fa di un gesto un gesto ‘non-collaborazionista’ non è il suo conformarsi ad un’ideologia ‘antagonista’, tutte le ideologie, proprio perché ideologie sono costruzioni menzognere che mimano uno spazio pubblico quando la verità amara dell’Occidente contemporaneo è proprio l’assenza dello spazio pubblico. Conta la motivazione del gesto, il suo stile, il milieu che lo ha generato: tratti sottili che assomigliano più ad una performance artistica che ad un proclama di principi. Il rifiuto del non-collaborazionista è così profondo, così radicato, antropologico, necessario, che è già diventato curiosità per il mondo così com’è, è già diventato disponibilità a trattare il resto come il prossimo: mondo tutto curvato sui giorni, consapevolezza della propria età, delle proprie ‘speranze di vita’.
La società reazionaria di massa
L’amico sconsolato che mi dice: siamo passati da una società democratica di massa, soggetta al fascismo implicito nel conformismo, alla società reazionaria di massa. E lo dice come risposta all’aneddoto che gli avevo appena raccontato relativo al mendicante in metropolitana. Costui era un barbone cittadino dall’accento locale, indigeno, che ripeteva :’anch’io avrei voluto come voi una casa, voi avete una casa, potete lavarvi, anche a me piacerebbe lavarmi…’Il disagio che provocava costui era l’aggressività di chi parla in nome della coscienza altrui, era l’utilizzo della manipolazione, l’assunzione della prospettiva di chi doveva fare l’elemosina. Non di chi doveva riceverla. L’amico osserva che il tossico fa parte del vecchio paesaggio democratico che rivendica implicitamente l’efficacia del welfare, mentre questo tipo di mendicante è già liberista, si pensa a partire da quella massa reazionaria che presuppone solo la fortuna o la competenza, o entrambe le cose, dei singoli individui nella giungla.
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Le teste scoppiano
Si è così abituati a mentire a se stessi, non tanto per infingardaggine quanto piuttosto per fretta, per indaffarata superficialità, che occorrerebbero ore e ore di meditazione silenziosa per rendere il proprio spazio mentale respirabile. Le teste scoppiano di frammenti di discorsi e di propositi, le emozioni sono reazioni a stimoli più che relazioni umane, l’abuso che si fa di sé –lo spreco- è pari solo allo spreco degli altri: non occorre arrivare ad additare lo sfruttamento capitalistico per produrre questa desertificazione del mondo, bastano in parte già i nostri cosiddetti rapporti personali, il nostro modo di rispondere al telefono, di scrivere una lettera, di comportarci sul posto di lavoro, anzi, basterebbe il modo con cui trattiamo noi stessi e il nostro spazio mentale.
Le fissazioni micro-identitarie
Bisogna davvero inventare molto se non tutto daccapo: la scomparsa dello spazio pubblico sotto un cumulo di menzogne che non cercano neanche più la sublimazione culturale, impone quasi di inventare delle relazioni di tipo tribale, con tanto di gerghi e segnali condivisi, con tanto di fissazioni micro-identitarie. Sono proprio queste ultime, le fissazione micro-identitarie, che fanno retrocedere la possibile re-invenzione di uno spazio pubblico. Quando più si approfondisce, infatti, l’ambito individuale di azione e si dà nome a questo ambito, tanto più non si è impediti dalle ristrette categorie di una tribù a cui si vorrebbe appartenere. Ecco: in questa situazione l’inappartenenza diventa il presupposto paradossale per riconoscersi, senza eluder le difficoltà a botta di luoghi comuni. Ciò che ci unisce , insomma, lo si scoprirà col tempo. E’ il contrario del fantasma identitario che continua a fare vittime in chi vuole essere antagonista finendo con l’essere speculare.
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Chi non collabora si pone “fuori” dalla società dello spettacolo; ma chi è “fuori”, oggi, non può non essere anche “contro”. Non si deve partecipare, ma si deve agire in contraddizione. Altrimenti è la non-collaborazione dell’eremita: non muta nulla. Appaga soltanto il proprio ego isolato.
Ideologia è una parola dai mille significati, e non tutti negativi (per Gramsci, ad esempio, era sinonimo di “visione del mondo”). Ferruccio Rossi-Landi, in un suo volume dal titolo “Ideologie” (Isedi Ed.), ne ha individuati 11, compresi nella forbice tra “falsa coscienza” e “progettazione sociale”. Prendersela con “tutte le ideologie” non ha senso.
Siamo così convinti che la “desertificazione” sia compiuta? Se così fosse, che senso avrebbe reagire? Lasciamo entrare in noi la sabbia e abbandoniamoci al vento. Ma ognuno di noi è, potenzialmente, un seme capace di fiorire nel territorio più impervio. Può però sbocciare solo se comprende la necessità di strappare l’acqua ai portatori. Questo gesto è “antagonismo”? Sì, molto probabilmente lo è. Ma è l’unico gesto (comportamento, non letteratura) che salva.
Ma quali sono i “fantasmi identitari” che mietono vittime? A quale “antagonismo” ci si riferisce? Chi si rivolta appartiene alla rivolta, e nient’altro che ad essa. Il proprio “io” deraglia nel “collettivo”, per poi ritornare, trasformato, di nuovo in sé. Come bene disse Heiner Muller: la rivolta è il primo passo per una nuova identità. Non è che, dietro il rifiuto di ogni identità, si cela il rifiuto del prendere partito? Allora siamo di nuovo alla non-collaborazione dell’eremita. Anche questa è ideologia …
Volodja
Uhm.
avverto la necessità di stabilire degli statuti logici che non so’ focalizzare.
Non essere collaborazionista non significa essere contro.
Non essere collaborazionista non significa essere primitivo.
Essere primitivo non significa avere ideologia della primitività.
Come manifestare dissenso, senza che il dissenso infilandosi nella contraddizione dialettica, sia funzionale al sistema che si vuole dissolvere?
Trovare una zona di neutralità avulsa da processi alimentanti gli stessi statuti, sarebbe già un obiettivo importante.
Il problema è che l’orizzonte di senso dentro cui ci muoviamo è quello che dovremmo destabilizzare con esercizio libero e critico.
un circolo vizioso.
ma non riesco a spiegare bene quello che intendo dire.
ci penso un po’.
mag, ho provato varie volte di aprire il tuo blog ma viene sempre uno schermo nero.
perchè non hai l’AIDS, e vai a 56 k:-)
e siccome è lento ad aprirsi per le foto, devi aspettare un attimo.
mag, lo spero bene di non avere l’aids! ma quante foto ci hai? li apro tutti i siti, cos’hai, una galleria?
prova ad andarci direttamente http://www.bloggers.it/platinoro
domani riduco le foto dai….è che me gusta esagerare con i pixell..
diciamo che sono imbranata vah.
Posso buttare una deleuzata? se capisco bene la salvezza è la “deterriorializzazione” di noi stessi e dei nostri gesti, del nostro parlare, del risponere al telefono. Poiché, al contrario, siamo al centro di una “riterritorializzazione” selvaggia e forse irreversibile (le tribù di appartenenza) si ottiene la desertificazione del mondo.
Bè, se è così sono d’accordo.
Nomadismo?
circa l’ultimo appunto di cepollaro sulle fissazioni micro-identitarie verrebbe da chiedere, al solo scopo di non fraintendersi:
– cosa significa, in soldoni, “scomparsa dello spazio pubblico”?
– chiarito questo, quando sarebbe “scomparso”?
– ad opera di chi?
– e, sopratutto, cosa si intende per “spazio pubblico”, in questo caso?
ma so che non avrò risposte: la forma apodittica non prevede confronto, perché essenzialmente si nutre dell’ambiguità di senso di ciò che afferma.
è esattamente il caso di questi pensierini cepollareschi.