Questo è il mio corpo
di Christian Raimo
Lui è cattolico. E’ stato battezzato quando aveva tredici anni, per sua scelta (se si può chiamare scelta qualcosa che fai a tredici anni). Ha fatto la comunione e la cresima a diciassette. E’ diventato catechista nella sua parrocchia, per i bambini che si preparavano alla prima comunione. Da diciotto anni ha cominciato a frequentare diversi ritiri di “discernimento vocazionale”: ha pensato di poter diventare prete. Ma invece di entrare in seminario, si è iscritto ad architettura.
Non riusciva a innamorarsi di nessuna ragazza: questo per un po’ lo ha rafforzato nell’idea di farsi prete. Il suo padre spirituale gli ha consigliato di non avere fretta, di decidere dopo la laurea. Dopo la laurea, si è trasferito a Londra per sei mesi, per imparare la lingua, per prendere un po’ di distacco dalla famiglia, per vedere qualcos’altro. A Londra è stato molto triste, è vissuto in un appartamento con un ragazzo pakistano con cui scambiava non più di cinque parole a settimana. Una sera, a una festa di amici di amici a Soho, un ragazzo di Milano, un ragazzo di vent’anni, ubriaco, gli ha infilato la lingua in bocca. Il giorno dopo in bagno, da solo, ripensandoci, si è masturbato. Dopo essersi masturbato, ha pianto. Ricorda spesso quest’episodio, adesso che ha trent’anni e convive con un altro uomo in un appartamento in affitto, tra la periferia e il centro di Roma. L’altro episodio che ricorda spesso è il suicidio pubblico di un uomo avvenuto qualche anno fa. L’uomo aveva preso un treno dalla Sicilia e si era dato fuoco nella basilica di San Pietro. E’ convinto che nella Bibbia, a parte in San Paolo, non c’è nessun riferimento esplicito che condanni gli omosessuali: anche il brano della distruzione di Sodoma, dice, va reinterpretato. Va a messa tutte le domeniche, ma non fa la comunione da tre anni. Alcune delle sue giornate gli sembrano meravigliose, anche se, a conti fatti, ritiene di non essere felice.
Non restituiremo mai abbastanza alla chiesa cattolica il male che ci ha fatto.
Ieri sul Corsera, a pag. 18 ho letto un articolo sulle rivelazioni anonime (la destra non sappia…) di un cardinale brasiliano a proposito della campagna elettorale dell’opus dei (toccate ferro, porta male!) in favore di un cardinale da eleggere papa. Qualche sprovveduto cita ancora l’intervento dello “spirito santo”… Ah! Ah! Ah!
Se i preti non fossero tutti omosessuali che razza d’esempio darebbero?
Ma vivono la loro omosessualità in maniera morbosa, peccaminosa, nascosta, riprovevole, sopratutto non la vivono con affettività.
magari consocessero l’amore “greco” aristotelico-platonico.
cmq il film di Almodovar “la mala education” è terribilmente e paradossalmente vero.
@di costanzo. il tuo amico stalin è stato uno dei maggiori persecutori degli omosessuali. anche castro. anche il mitico che, adesso che mi ricordo. auguri a pugno chiuso!
Guarda un pò. Ed io che attribuivo il tutto alla morale giudaico-cristiana mutuata da Paolo di Tarso… Perchè ti nascondi dietro una sigla? Dimentica per un istante che sei italiano, tira fuori un pò di coraggio. Sii leale…
Noi ingegneri nella nostra praticità, ce ne fottiamo di condannare questo o quello, di sorvegliare e punire. Badiamo invece al sodo. Uno cosa ho funziona o non funziona. E se una cosa non è fatta per funzionare, manco la vediamo. Gli omosessuali sono dispositivi? Funzionano? Secondo noi ingegneri ciò che provoca modificazione o instabilità in un sistema dato, va considerato comunque una causa, un agente. Gli omosessuali provocano l’instabilità del sistema chiesa? Se sì, sono dispositivi. E lo erano anche nel sistema Stalin. Nel sistema Hitler & Mussolini. Qualcuno pensa che provocherebbero instabilità nell’attuale sistema catto-liberista italiano: ma sbagliano. È la loro inefficienza mentale che li fa sbagliare e li fa scagliare contro fantasmi che non esistono. Oppure è la loro cattolicità, che fa lo stesso effetto.
invece di “ho non funziona”, leggi “o non funziona”.
gli omosessuali socialmente liberi operano modificazioni.
Quelli orientati all’interno del sistema gerarchico, lo alimentano.
non è questione di inclinazioni sessuali ma di tipologie di pensiero che le governano.
Mag
(figlia di omosex)
Il solito luogo comune dei preti tutti gay…
Gentile Signora Sica, i preti, la chiesa, gli dèi mi lasciano indifferente. Non sopporto soltanto la nefanda ipocrisia di: preti, vescovi, cardinali, papi criptochecche che pretendono di fare la morale e impartire lezioni, pur essendone indegni. Grazie.
Caro Sign. Di Costanzo,
prima di tutto colgo l’occasione per farle i miei complimenti riguardo alle notizie su Anna Maria Ortese di cui ho letto in vibrisse qualche mese fa, grazie anche agli spunti portati in rete dal Sign. Di Monaco.
Tornando alla nostra discussione, io non ho mai pensato che i preti, o chi per loro, potessero impartire lezioni o fare morali. O meglio, lo fanno, è vero. Ma mica sono dei Gesù Cristi scesi nuovamente in terra! Sono esseri umani come lei e me, e in quanto tali commettono degli errori, pur predicando la parola di Dio. Che poi i mascalzoni siano dappertutto, questo è inutile che lo sottolineamo.
Adesso, a me infastidisce i modo in cui Raimo ha posto la questione in questo racconto (o episodio realmenete accaduto, questo non lo so). Mi sembra troppo semplicistico dire: pensava di volersi fare prete, invece era solo omosessuale. Mi sembra abbastanza riduttivo, per entrambe le categorie, se vogliamo chiamarle categorie.
Grazie a lei, e buona serata
secondo me i preti sono veramente omosessuali anche perchè altrimenti non lo sarebbero. la differenza rispetto al passato è che una volta si diceva che uno era gay soltanto magari per danneggiarlo come immagine o per invidia, mentre oggi veramente lo sono.
il racconto non è semplicistico. ma pone un problema fondamentale che ho a cuore. come possono vivere due scelte identitarie così forti come l’omosessualità e l’essere cristiani? l’una esclude l’altra e ovviamente in questo modo sembra difficile essere felici.
trovavo molto spesso la vocazione come la scoperta dell’essere omo simili, non scelte ma elaborazioni di una spinta interna.
non conosco preti omosessuali ma ho letto il decreto della chiesa che si irrigidisce in questo senso. conosco omosessuali che vorrebbero un’apertura maggiore da parte della chiesa.
insomma, è un racconto irrisolto.
il racconto non è semplicistico. ma pone un problema fondamentale che ho a cuore. come possono vivere due scelte identitarie così forti come l’omosessualità e l’essere cristiani? l’una esclude l’altra e ovviamente in questo modo sembra difficile essere felici.
trovavo molto spesso la vocazione come la scoperta dell’essere omo simili, non scelte ma elaborazioni di una spinta interna.
non conosco preti omosessuali ma ho letto il decreto della chiesa che si irrigidisce in questo senso. conosco omosessuali che vorrebbero un’apertura maggiore da parte della chiesa.
insomma, è un racconto irrisolto.
l’ultima frase è un finale splendido, truffauttiano.
Salve sign. Raimo.
Guardi, il racconto è bello, non dico di no. Quello che le contesto è l’accostamento tra un’identità sessuale e la vocazione sacerdotale.
Secondo me, l’omosessualità non è una scelta, è un modo di essere, come avere i capelli biondi o rossi. Farsi sacerdote può essere una scelta. Per questo io non accosterei le due cose, ecco.
Riguardo all’apertura maggiore della chiesa, anche qui mi pare che di passi se ne siano fatti abbastanza rispetto a decenni addietro, e forse se la chiesa cattolica resiste da qualche millennio è anche per il fatto di essersi sempre matenuta “pura” rispetto ai cambiamenti epocali. Di errori ne fa e ne continuerà a fare, ma io sono fiduciosa nel fatto che verrà il giorno in cui ammetterà che avere rapporti sessuali pre matrimoniali non è un grande peccato, come pure avere voglia di toccare le labbra di una persona dello stesso sesso non è una perversione.
Buona giornata
@ Laura Sica
Nel ringraziarti per avermi letto su vibrisse, devo segnalare che Giorgio Di Costanzo sta facendo un lavoro utilissimo per gli estimatori di Anna Maria Ortese, pubblicando lettere, interviste, articoli che la riguardano, e sue dirette testimonianze. Quasi tutti i giorni c’è un pezzo nuovo e mi pare di poter prevedere sin d’ora che, dovendo scrivere sulla Ortese, non si potrà prescindere dal consultare il suo lavoro, raccolto qui:
http://insonnoeinveglia.splinder.com/
Grazie di nuovo. Da domani pomeriggio mi assenterò fino al 7 gennaio, quindi non so se sarò in grado di rispondere eventualmente, e me ne scuso in anticipo.
Colgo l’occasione per augurare Buon Anno a tutti, in particolare a Francesco e a Franz che ogni tanto vengono a leggermi su vibrisse.
Bart
Christian Raimo, mi è piaciuto il tuo raccontino. In un testo breve sei riuscito a condensare emozioni forti, perché, oltre che irrisolto, è decisamente uno scritto emozionale. E mi sorge una domanda, diciamo una curiosità, che supera, in intensità, lo stimolo a intervenire su omosessualità e religione ecc. ed è: sei tu quel ragazzo?
quello che è mio è la mia irresolutezza rispetto alla questione dell’omosessualità nella chiesa. non sono omosessuale, e quindi non riesco a identificarmi fino in fondo in chi lo è. conosco un mio amico che ha provato a negare e negarsi fino in fondo la sua omosessualità pur di restare nella chiesa. psicologi, castità, tentativi di fidanzamento malriusciti. poi ha sbottato, ma appunto convivendo con un altro uomo non può accedere ai sacramenti. il suo dolore oppure quello dell’uomo che si suicidò a san pietro anche per la radicalità con cui affrontano sul proprio corpo sulla propria pelle questa contraddizione, mi fa alzare le mani in segno di rispetto.
la vocazione è una scelta, ma è anche appunto una vocazione, una chiamata. così come l’omosessualità è, credo, una resa al proprio corpo. non c’è assolutamente uguaglianza, ma una simile fenomenologia in alcuni casi. compresa la difficoltà rispetto al riconoscimento sociale.
provate oggi a dire a vent’anni ai vostri genitori: voglio entrare in seminario.
avevo scritto questo raccontino poi dopo il testo della chiesa che espressamente vieta a chi ha inclinazioni omosessuali di entrare in seminario.
voleva essere, molto per antifrasi, un miniracconto sul desiderio di essere felici, e di essere amati da Dio, un sentimento comune a buona parte dell’umanità.
Se sei frocio dillo.
A “come possono vivere due scelte identitarie così forti come l’omosessualità e l’essere cristiani? l’una esclude l’altra” risponde, secondo me in maniera pertinente, Laura Sica. “Secondo me, l’omosessualità non è una scelta, è un modo di essere, come avere i capelli biondi o rossi. Farsi sacerdote può essere una scelta. Per questo io non accosterei le due cose, ecco.”
Personalmente trovo che la stigmatizzazione di certi comportamenti (i preti pedofili, per esempio, che, per estensione, sono stati intesi anche come omosessuali) abbia portato a distorsioni nella sostanza della discussione. La sessualità di un eccelsiastico cattolico è (deve esserlo per voto e vocazione) repressa.
Poco importa che si tratti di eterosessualità o omosessualità, giacché non dovrà (dovrebbe), almeno esteriormente, manifestarsi. Sto facendo, ne sono consapevole, una semplificazione grossolana, ma quello che voglio dire, in realtà, è che il fatto (avevo scritto “problema”, e l’ho cancellato perché mi rendo conto che per alcuni non è un problema) non riguarda le relazioni tra il prete e l’omossessualità, quanto tra la Chiesa e l’omosessualità. Poiché il sacedote è portatore di un messaggio, e tale messaggio è il messaggio di Cristo e della Chiesa (con una congiunzione che è piuttosto disgiunzione, considerato che si tratta spesso di messaggi diversi o addirittura in antitesi), il prete omosessuale si trova a dover vivere in uno stato di continua negazione di sè, perché deve sia negare la propria sessualità (per voto), sia reprimere, fustigare, stigmatizzare quella di altri omosessuali.
Il messaggio di cui dovrebbe essere portatore auspica l’annullamento della sua identità, assieme al libero arbitrio che Dio ha concesso agli uomini. E’ un chiaro esempio di paradosso, e, pertanto, senza soluzione.
Leggo ora: “voleva essere, molto per antifrasi, un miniracconto sul desiderio di essere felici, e di essere amati da Dio”.
Ecco, l’unica soluzione è uscire dal circolo vizioso del paradosso. Dio ama gli omosessuali? E se sì, che Dio è? E’ più giusto negare Dio? O negare la Chiesa? O tutti e due? (nessuno dei due?) Si possono negare l’autorità della Chiesa pur desiderando farne parte? Dio è la Chiesa?
Vabbé, smetto.
Buon Anno
Credo che sia una sofferenza atroce se si resta imprigionati nella trappola accettazione della propria omosessualità/censura della Chiesa. Attualmente non ho amici omosessuali, però tanto tempo fa realizzai un servizio per “Frigidaire” sulla Bologna gay: il Cassero, i trans ecc. Ho visto tanta accettazione di sé, della propria diversità, e, se da un lato non era mai assente una vena di malinconia, perché nella nostra cultura l’omosessualità è sempre vista e vissuta quanto meno come una rinuncia (alla scoperta del rapporto con l’altro sesso), dall’altro vi era orgoglio, e allegria, e provocazione. Quindi bisogna uscire da questa trappola, e lasciarsi “scoppiare”, gettarsi alla ventura: se si è credenti si continui a credere, lasciando scoppiare i dettami delle gerarchie ecclesiastiche, che non hanno diritto di negare i sacramenti a un omosessuale, mentre non li negano a un evasore fiscale o uno speculatore o un mafioso. Ma questi sono, in fondo, luoghi comuni: l’importante è liberarsi, lasciare esplodere la propria vitalità.
Un prete *sessuale non è un prete, il prete non è sessualmente caratterizzato se non in termini prettamente anatomici. Che molti uomini omosessuali abbiano scelto la vita sacerdotale è ovvio. Così come è ovvio che molti altri uomini eterosessuali abbiano rinunciato a infilare il cazzo nella fica per pregare tutta la vita.
Ma la mia domanda è: che grado di comunione può avere con gli altri esseri umani un uomo che ha rinunciato a tanto (la sua vita sessuale, cioè il suo rapportarsi fisico alla vita e alla morte)se non è in grado di capire attraverso l’esperienza diretta ciò che tanto turba l’umanità? (E anche nel caso in cui, a maggior ragione, parte della scelta sia dovuta alla sua incapacità di esistere con se stesso in quanto omosessuale).
Rispondimi Raimo.
Trovo la questione estremamente interessante e mi pare che Mauro colga secondo me il nocciolo della questione (già presente, seppur in dosi omeopatiche nell’antifrstico racconto-apologo di Raimo). Omosessualità ed eterosessualità, in chi non puo’ comunque manifestare, non dico praticare, né l’una né l’altra dovrebbero essere equivalenti ed avere entrambi valore zero.
Il divieto esplicito (e anche un po’ burocraticamente goffo, laddove pone un limite temporale di tre anni che sancisca un pieno ravvedimento) da parte della gerarchia della chiesa cattolica cosa significa? che i preti debbono/possono essere eterosessuali?
Se la risposta al paradosso è “no”, allora cosa? “a-sessuali”? Se la risposta è, come penso, “sì”, l’asessualità, ci si domanda, si raggiunge o è innata? E’ frutto di sforzi continui o vissuta in serenità? E qualunque siano le risposte a queste domande perché un omosessuale non può accedere al risultato sublime della vittoria sulla sessualità il cui premio è la serena, o combattuta, o difficile ma comunque santa asessualità? Perché evidentemente la questione non è il sesso, ma l’identità. L’omosessuale è oggettivamente in stato di peccato e non può salvarsi se non negando la propria identità (per almeno 3 anni).
Mi pare che il raccontino di Raimo colga una questione alta, “drammatica”, che mi pare ingenuo liquidare con slogan anticlericali.
Ezio
Ezio, l’osservazione etologica dei movimenti della Chiesa e delle sue parole impone di pensare che i preti debbano essere solo eterosessuali che rinunciano a se stessi.
Naturalmente d’accordo con Mauro, (non per ricambiarti un favore), ma perchè ha toccato un punto importante che è quello dei voti sacerdotali. Ma siamo proprio sicuri che il voto più difficile da mantenere sia proprio la rinuncia alla sessualità? Io credo che anche l’obbedienza sia una brutta gatta da pelare…sempre che si prendano le cose con serietà.
Che poi i sacerdoti mantegano o non mantegano tutte e tre, due o solo una delle promesse che hanno fatto, lasciamo che rimanga un fatto privato e di coscienza. Come si dice: chi è senza peccato..
per essere preti bisogna essere uomini. non so se nella prassi di ammissione al seminario ci sia ancora una visita medica che tra le altre cose certifichi la maschilità del seminarista. ma appunto si deve essere uomini, e insomma questo dice la Chiesa:
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CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA
Istruzione
della Congregazione per l’Educazione Cattolica
circa i criteri di discernimento vocazionale
riguardo alle persone con tendenze omosessuali
in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri
Introduzione
In continuità con l’insegnamento del Concilio Vaticano II e, in particolare, col decreto Optatam totius [1] sulla formazione sacerdotale, la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato diversi documenti per promuovere un’adeguata formazione integrale dei futuri sacerdoti, offrendo orientamenti e norme precise circa suoi diversi aspetti[2]. Nel frattempo anche il Sinodo dei Vescovi del 1990 ha riflettuto sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, con l’intento di portare a compimento la dottrina conciliare su questo argomento e di renderla più esplicita ed incisiva nel mondo contemporaneo. In seguito a questo Sinodo, Giovanni Paolo II pubblicò l’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis [3].
Alla luce di questo ricco insegnamento, la presente Istruzione non intende soffermarsi su tutte le questioni di ordine affettivo o sessuale che richiedono un attento discernimento durante l’intero periodo della formazione. Essa contiene norme circa una questione particolare, resa più urgente dalla situazione attuale, e cioè quella dell’ammissione o meno al Seminario e agli Ordini sacri dei candidati che hanno tendenze omosessuali profondamente radicate.
1. Maturità affettiva e paternità spirituale
Secondo la costante Tradizione della Chiesa, riceve validamente la sacra Ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile[4]. Per mezzo del sacramento dell’Ordine, lo Spirito Santo configura il candidato, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo: il sacerdote, infatti, rappresenta sacramentalmente Cristo, Capo, Pastore e Sposo della Chiesa[5]. A causa di questa configurazione a Cristo, tutta la vita del ministro sacro deve essere animata dal dono di tutta la sua persona alla Chiesa e da un’autentica carità pastorale[6].
Il candidato al ministero ordinato, pertanto, deve raggiungere la maturità affettiva. Tale maturità lo renderà capace di porsi in una corretta relazione con uomini e donne, sviluppando in lui un vero senso della paternità spirituale nei confronti della comunità ecclesiale che gli sarà affidata[7].
2. L’omosessualità e il ministero ordinato
Dal Concilio Vaticano II ad oggi, diversi documenti del Magistero – e specialmente il Catechismo della Chiesa Cattolica – hanno confermato l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Il Catechismo distingue fra gli atti omosessuali e le tendenze omosessuali.
Riguardo agli atti, insegna che, nella Sacra Scrittura, essi vengono presentati come peccati gravi. La Tradizione li ha costantemente considerati come intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale. Essi, di conseguenza, non possono essere approvati in nessun caso.
Per quanto concerne le tendenze omosessuali profondamente radicate, che si riscontrano in un certo numero di uomini e donne, sono anch’esse oggettivamente disordinate e sovente costituiscono, anche per loro, una prova. Tali persone devono essere accolte con rispetto e delicatezza; a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Esse sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare[8].
Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d’intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione[9], non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay[10].
Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall’Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate.
Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l’espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un’adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell’Ordinazione diaconale.
3. Il discernimento dell’idoneità dei candidati da parte della Chiesa
Due sono gli aspetti indissociabili in ogni vocazione sacerdotale: il dono gratuito di Dio e la libertà responsabile dell’uomo. La vocazione è un dono della grazia divina, ricevuto tramite la Chiesa, nella Chiesa e per il servizio della Chiesa. Rispondendo alla chiamata di Dio, l’uomo si offre liberamente a Lui nell’amore[11]. Il solo desiderio di diventare sacerdote non è sufficiente e non esiste un diritto a ricevere la sacra Ordinazione. Compete alla Chiesa – nella sua responsabilità di definire i requisiti necessari per la ricezione dei Sacramenti istituiti da Cristo – discernere l’idoneità di colui che desidera entrare nel Seminario[12], accompagnarlo durante gli anni della formazione e chiamarlo agli Ordini sacri, se sia giudicato in possesso delle qualità richieste[13].
La formazione del futuro sacerdote deve articolare, in una complementarità essenziale, le quattro dimensioni della formazione: umana, spirituale, intellettuale e pastorale[14]. In questo contesto, bisogna rilevare la particolare importanza della formazione umana, fondamento necessario di tutta la formazione[15]. Per ammettere un candidato all’Ordinazione diaconale, la Chiesa deve verificare, tra l’altro, che sia stata raggiunta la maturità affettiva del candidato al sacerdozio[16].
La chiamata agli Ordini è responsabilità personale del Vescovo[17] o del Superiore Maggiore. Tenendo presente il parere di coloro ai quali hanno affidato la responsabilità della formazione, il Vescovo o il Superiore Maggiore, prima di ammettere all’Ordinazione il candidato, devono pervenire ad un giudizio moralmente certo sulle sue qualità. Nel caso di un dubbio serio al riguardo, non devono ammetterlo all’Ordinazione[18].
Il discernimento della vocazione e della maturità del candidato è anche un grave compito del rettore e degli altri formatori del Seminario. Prima di ogni Ordinazione, il rettore deve esprimere un suo giudizio sulle qualità del candidato richieste dalla Chiesa[19].
Nel discernimento dell’idoneità all’Ordinazione, spetta al direttore spirituale un compito importante. Pur essendo vincolato dal segreto, egli rappresenta la Chiesa nel foro interno. Nei colloqui con il candidato, il direttore spirituale deve segnatamente ricordare le esigenze della Chiesa circa la castità sacerdotale e la maturità affettiva specifica del sacerdote, nonché aiutarlo a discernere se abbia le qualità necessarie[20]. Egli ha l’obbligo di valutare tutte le qualità della personalità ed accertarsi che il candidato non presenti disturbi sessuali incompatibili col sacerdozio. Se un candidato pratica l’omosessualità o presenta tendenze omosessuali profondamente radicate, il suo direttore spirituale, così come il suo confessore, hanno il dovere di dissuaderlo, in coscienza, dal procedere verso l’Ordinazione.
Rimane inteso che il candidato stesso è il primo responsabile della propria formazione[21]. Egli deve offrirsi con fiducia al discernimento della Chiesa, del Vescovo che chiama agli Ordini, del rettore del Seminario, del direttore spirituale e degli altri educatori del Seminario ai quali il Vescovo o il Superiore Maggiore hanno affidato il compito di formare i futuri sacerdoti. Sarebbe gravemente disonesto che un candidato occultasse la propria omosessualità per accedere, nonostante tutto, all’Ordinazione. Un atteggiamento così inautentico non corrisponde allo spirito di verità, di lealtà e di disponibilità che deve caratterizzare la personalità di colui che ritiene di essere chiamato a servire Cristo e la sua Chiesa nel ministero sacerdotale.
Conclusione
Questa Congregazione ribadisce la necessità che i Vescovi, i Superiori Maggiori e tutti i responsabili interessati compiano un attento discernimento circa l’idoneità dei candidati agli Ordini sacri, dall’ammissione nel Seminario fino all’Ordinazione. Questo discernimento deve essere fatto alla luce di una concezione del sacerdozio ministeriale in concordanza con l’insegnamento della Chiesa.
I Vescovi, le Conferenze Episcopali e i Superiori Maggiori vigilino perché le norme di questa Istruzione siano osservate fedelmente per il bene dei candidati stessi e per garantire sempre alla Chiesa dei sacerdoti idonei, veri pastori secondo il cuore di Cristo.
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, in data 31 agosto 2005, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, il 4 novembre 2005, Memoria di S. Carlo Borromeo, Patrono dei Seminari.
Vero è che per essere preti occorre essere uomini, e ritengo che l’appartenenza al genere sia banalmente certificata dal possesso di un pene. Pero scusa, Christian, non mi pare che il problema della coerenza tra il proprio credo e il proprio essere sia esclusivo appannaggio degli uomini. Esistono ordini femminili. Nè, mi pare, la cosa possa essere affrontata eseguendo una lettura critica di una procedura d’ammissione al seminario. Quella è, coerente con i dogmi cattolici odierni (magari tra qialche qualche concilio ci ripenserà, ma per ora ci tocca goderceli). Quello che, invece, mi pare più vicino a noi, al livello di una discussione sul significato di certe scelte, è se esse siano reale manifestazione di coerenza, se, cioè, possano davvero rappresentare la reale aspirazione di un/una omosessuale che intende prendere i voti. E la sensazione di vivere costantemente nel peccato anche. Perché, per la chiesa, anche il peccato immaginato (il pensiero impuro) e peccato a sua volta. Cosa può attirare un uomo verso una vita di continua autofustigazione, mi chiedo.
allora, tre anni fa una mia amica è entrata in monastero di clausura, agostiniane, ed è da allora, le poche volte che la vedo, una delle persone più felici che conosco. ovviamente se non ci fosse Dio, sarebbe una cogliona, e come direbbe San Paolo, il suo credere sarebbe vano. buon anno.
Un Gaio (ossia Felice) ano nuovo a tutti!!
ho letto, solo ora, questo bel racconto di Christian Raimo. In effetti la questione non è molto complicata, la chiesa infatti non è – semplice quanto parossistica – favorevole alla sessualità fuori dal vincolo del matrimonio, i preti non sono e non possono sposarsi, i preti omosessuali o eterosessuali che siano una volta divenuti tali, cioè preti, non sono più da concernersi in relazione al sesso, ergo, se uno vuole farsi prete non deve farlo per il bene del genere umano, quanto per il bene di dio. In poche parole, se uno si fa prete, prima viene l’amore per dio, poi l’amore per lo spirito, e nemmeno il suo altrimenti pecca di superbia, e infine l’amore disinteressato per il genere umano. A conti fatti non c’è posto per il sesso, come direbbe Moravia in “Io e lui”, un uomo dai che ci dai, alla fine, sublima.
posto che
la sessualità è dimensione non necessaria e non sufficente alla felicità.
la questione si pone nel contrasto tra l’amore platonico verso il divino, e l’amore crisitano verso l’umanità
tra l’amore universale e l’amore particolare.
perchè lo stesso quesito si pone nel caso di eterosessualità ecclesiasitica fortemente frustrata.
La questione tragica è porre dei veti sulla scelta della propria passionalità.
L’amore di Dio fatto uomo, di Gesu’ Cristo è fortemente carnale, quindi pare sia un arbitrio questa negazione, un ‘interpretazione millenaria aleatoria.
pero’ adesso vado a sparare i botti.
ciao
mi chiedo una cosa: perchè in italia si parla così poco dell’opera di tondelli???
personalmente credo che alcune risposte alle vostre-nostre domande siano contenute nella sua opera: in “camere separate” e non solo…
e raimo, che io considero un “tondelliano” secondo la definizione di enrico palandri, potrebbe interpretare al meglio queste istanze di emancipazione che pier aveva provato quanto meno a raccontare…ciao indiani!!!
Il celibato dei preti cattolici è solo un’abominevole invenzione umana, come tante altre cose in seno alla Chiesa Cattolica.
Il Signore ha insegnato tante cose in opposizione.