Ridendo con bonomia
dalla Catena di Sanlibero 315, di Riccardo Orioles.
Città. C’era una volta in una città della Sicilia un giovanotto che si chiamava per gli amici Enzo ma era per tutti gli altri l’ingegner Enzo M. Difatti s’era laureato da poco tempo e ne era orgogliosissimo. “Ingegnere!”. Un giorno il nostro ingegnere incontra un vecchio compagno del liceo, che però invece di darsi alle professioni aveva deciso di far carriera in politica (doveva essere una classe di liceali particolarmente brillanti). E anche lui con successo: ma per gli amici, naturalmente, continuava a chiamarsi Nino. “Caro Enzo!”. “Caro Nino!”.
Che fai, che non fai, complimenti, ti ricordi… E poi un sospirone: “Ah! la politica! Non ti puoi fidare di nessuno!”. “Eh…”. “D’altra parte, qualcuno che cerchi di cambiare questa povera città ci deve pur essere (altro sospiro). Sai di che cosa mi sto occupando in questo momento? Delle varianti edilizie!”. “Ah! Importante! L’urbanistica è il cuore di una città civile, il verde, il piano regolatore… Io non progetterei mai uno di questi alveari che fanno oggigiorno! L’ingegnere ha una missione civile! Civile, e anche sociale!”. “Giusto! Esattamente quel che dico sempre anch’io! Ma come si fa? Planimetrie, cubature, appalti… Mi portano tutte ‘ste robe qui, ma che ci capisco io? Come faccio a trovare qualcuno che… Ehi! Ma lo sai che m’è venuta un’idea? Che ne diresti di farmi il consulente per l’edilizia?”.
“Io? Ma io di politica non mi sono occupato mai! E poi a dire il vero non vorrei…”
“No, no… Questa non è politica! E’ solo per aiutare un amico… E poi il valore civile dell’ingegneria… E anche quello sociale… L’hai detto tu, no?”.
Basta, il nostro politico tanto disse e tanto fece (d’altronde è il mestiere dei politici convincere la gente) che quella sera Enzo se ne andò a casa con un gran fascio di mappe, progetti, planimetrie, varianti… tutta l’edilizia del comune, insomma. “Mica questa è politica. E poi, per uno qualunque, no: ma di politici onesti come Nino ce n’è pochi. Se non gli diamo una mano noi ingegneri…”. Per completezza di cronaca, e anche per non aver l’aria di essere troppo parziali col nostro eroe, ammetteremo che in fondo in fondo l’ingegner Enzo era anche un po’ solleticato dal fatto che un personaggio così importante avesse tanta fiducia nelle sue qualità professionali. Comunque non pensò a chieder denari per il disturbo: sarebbe stato un lavoraccio, si capisce, ma tutto per l’amicizia e per la funzione sociale.
Dopo una settimana: “Nino! Ti disturbo? Sono Enzo!”. “Ah! Bene! Dimmi, dimmi caro!”. “Senti Nino io non me ne intendo molto dell’aspetto politico, ma così a occhio mi sembrerebbe che queste cubature… Scusa, ma vige ancora la legge applicativa del ’50?”. “Ah? Certo che vige, ma che c’entra?”. “No, perché mi sembra che forse… non ne avete tenuto del tutto conto… Scusa se te lo dico, ma…”. “Beh, poi ti spiego… Ma tu intanto tranquillo, va’ avanti!”.
“Sì ma poi ci sarebbe anche il Regolamento edilizio del ’36… Vedi, l’appalto C in effetti sarebbe su verde pubblico, mentre il Regolamento…”. “Scusa Enzo! Scusa! Mi chiamano! Una riunione! Ci vediamo presto! Ma tu continua, eh? Bravo! Continua così”. E riattaccò.
La volta dopo, l’ingegner Enzo andò direttamente alla sede del Partito e, dopo un po’ d’anticamera, riuscì a parlare a quattro’occhi con Nino. “Nino, io questo te lo devo dire. Stai attento! Non puoi mettere la firma sotto una cosa così. Il Regolamento del ’36! L’applicativa del ’50! E poi anche il codice… Nino, sta’ attento! Sai che ti dico? Qua c’è qualcuno che sta cercando di metterti in mezzo, di farti firmare qualche cazzata. Qualche nemico politico, non so…”.
Nino fece un sorriso finissimo, che il suo amico non aveva visto mai. “Certo… può darsi… Ci penserò…”. In quella entrò un usciere: “Eccellenza… mi aveva detto di ricordarle quell’impegno…”. “Sì, certo… Scusami, Enzo, devo andare. Sono già in ritardo… Ma ci penserò”.
Enzo era un bravo ragazzo ma, come tutti coloro che erano cresciuti in quella città, non era affatto ingenuo. Si mise ad analizzare molto approfonditamente le carte, e alla fine capì. Stavolta fu alquanto difficile ottenere un appuntamento con Nino (o meglio con l’onorevole D., per parlare fuori dall’amicizia) e stavolta ci andò con giacca, cravatta, cartellina di appunti, e codice penale. Gridò. L’altro, invece, rimase calmissimo. “Ma dai, Enzo. Credevo che fosse chiaro. Mica voglio che lo fai gratis. Che credi, che mi dimentico degli amici? E poi, di te mi fido”.
Enzo diventò rosso, poi diventò bianco, poi fece per dire qualcosa, poi non disse niente, poi si voltò e uscì.
“Caro Nino. Non avrei mai creduto che ecc. ecc. Proprio tu che ecc. ecc. Come è potuto accadere che ecc. ecc.”. Insomma, alla fine della lettera l’ingegnere Enzo dava all’antico compagno di scuola, corrotto ahimè dalle debolezze umane e certo anche dalle cattive compagnie, un doloroso e fermo ultimatum: “…E se entro questo termine non avrai provveduto a regolarizzare la situazione, io renderò pubblico tutto questo. Andrò dai giudici. Perdonami, ma è mio dovere”.
In una mattina piovigginosa il giovane Enzo (che era invecchiato moltissimo in quei pochi mesi) salì le scale del palazzo di giustizia. Venne ricevuto da un anziano giudice la cui integerrimità e severità gli si leggeva in volto a prima vista. Il giudice non disse niente. Scorse attentamente le carte, le impilò, le lisciò con la mano, le mise in un cassetto, e continuò a non dire niente. Infine: “Bene,. molto lieto di averLa conosciuta. Ora, se permette…”. L’ingegnere fece un sorriso imbarazzato, s’inchinò lievemente e uscì.
E passarono i mesi. Alla fine, Enzo ebbe un’idea geniale. “Ma io faccio un giornale. Un numero solo, quanto può costare? Stampo tutto quanto e voglio vedere se continuano a far finta di niente!” (nella città in cui viveva Enzo, bisogna precisare a questo punto, i giornali non usano pubblicare cose del genere. Perciò possiamo tranquillamente saltare l’incontro fra Enzo e il giornalista, fra Enzo e il redattore capo del giornale locale, ecc. Anzi, ecc. ecc. e poi ancora ecc.).
Il tipografo, suo figlio (aiutante) e un Enzo eccitatissimo e commosso adesso sono in uno scantinato, davanti a una “piattina” (le macchine con cui una volta si stampavano i manifesti e i giornaletti minori) che sta faticosamente sputando “LA VOCE DELLA VERITA’ – Come vengono violate le leggi urbanistiche nella nostra città”). “Aspetti, ingegnere! E’ ancora fresco, l’inchiostro”. Ma lui allunga la mano per afferrare il primo foglio, avidamente. In quella, suonano alla porta. “Papà – fa il ragazzo – ma sono i carabinieri!”.
E difatti sono proprio due carabinieri. Che entrano, scendono i pochi gradini, si piantano davanti all’ingegnere: “E’ lei l’ingegner Enzo M.?”. “Sì, sono io, ma… perché?”. “Ci segua!”. Uno dei due afferra il braccio dell’ingegnere, l’altro fa un fascio delle copie stampate, fregandosene dell’inchiostro fresco. “Ci sono altre copie?”. “N-no – fa il tipografo – Ma io non c’entro, io non sapevo…”. “Bene. Queste sono sotto sequestro per ordine dell’autorità giudiziaria!”.
Calunnia, turbativa della quiete pubblica, oltraggio alle istituzioni, notizie false e tendenziose… Il povero Enzo in galera ci resta per circa un mese, sotto il peso di circa metà del Codice Penale italiano. Infine, viene scarcerato con disprezzo. Una volta fuori, si accorge che nessuno lo conosce più, nessuno anzi l’ha mai conosciuto. Gli appalti intanto procedono regolarmente, nell’indifferenza più assoluta di giornali, magistratura e cittadini. Salvo gli sventurati che, di solito all’alba, vengono caricati più o meno spontaneamente su dei camion (“Esproprio per Pubblica Utilità”) e travasati nei nuovi quartieri-ghetto in periferia, poiché sulle case in cui hanno vissuto fino a ieri ora bisognerà costruire i palazzi dei nuovi appalti.
Alla fine il povero Enzo, che ancora si sente ingegnere e ancora cittadino di un paese civile, decide di passare all’azione diretta (“come fanno in Svezia, come fanno in Inghilterra!”): si carica di due grandi cartelli, uno davanti e l’altro di dietro, e comincia a percorrere la via principale della città: “Cittadini difendete i vostri interessi! No agli appalti illegali! Giustizia!”.
Con suo grande stupore, non arrivano i carabinieri. E neppure i vigili, e neanche le altre “autorità” più o meno ufficiali che in quella città non mancano di avere una loro funzione. Non arriva nessuno. La gente, semplicemente, lo guarda con ironia, soddisfatta di sè, con un sorrisino saputo. “Guarda, guarda quello là col cartello!” fa una mamma al bambino.
* * *
Ecco. Quando arrivai io in quella città, per prima cosa non mi parlarono affatto di appalti, di politici e di cubature. Mi indicarono invece ridendo con bonomia (poiché è una città felice, e felici sono i suoi cittadini) quel buffo omino coi cartelli, una delle curiosità cittadine. Allora non compresi bene che cosa ci fosse da ridere, me la cavai con un sorriso.
Ma adesso che tocca a a me andare in giro su e giù coi cartelli (fra le ironie benevole dei miei amici che non sono matti) capisco benissimo la comicità e l’ironia della situazione. Ma pensa tu, pretendere di vivere in un posto con giornalisti, giornali, magistrati, giustizia, opposizione… un posto in cui ai cittadini importa qualcosa degli affari loro e della loro città, addirittura. Si può essere più esilaranti di così? Giustamente, in quella città, la gente ride.
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