MOLOKH II
di Angelo Petrelli
Il gelo che la minima luce traveste di sole
e cancella – o sei anche, a volte – questa mancanza
di prati clamorosi dove perire, ora/lontani, o da sempre
perduti nel gioire di gesti inesatti, felicità nel volto
presto sconvolte per venti più forti, di globi
disposti in oblii, simmetrie o di piogge o di fuochi
4
sono l’ordine di nascite diverse,
– ti dico – o di morti/ o di movimenti nelle fiamme
del destino, forse, per certo alla fine mancanze
pericolose – ovviamente – orribili, ma non è il classico zolfo la puzza, né il clima di sconfitte o di guerre gia perse, basterebbe ammirarle queste bellezze
– potrebbe essere – o anche vederle leggermente
immortalate negli affreschi del dolore, al posto giusto,
insomma in rotondità scavate di volte e di teste vuote,
o di caverne, all’occultarci finale nel nostro sole/signore
– ti dico – meglio una luce più bassa/ radente/sottile
che renda plastico il volto dell’attesa, e la meta,
lo sai, quest’utopia ceduta ai posteri/credo, quei morti,
la scena dei colori non sa più che farsene di noi
e lascia stare ciò che ci insegna in stile/ in sconfitta
6.
– no, non è precisamente una prospettiva –
più che altro una prova di fede, una salto malfermo,
di buio in buio – queste immagini sorgono tra i freddi
della mente, sono scuole di soprassalti, credimi,
o di ragioni più calde, queste mucose semenze
vengono al solo segnarti di mille onde, sono lumache
questi cervelli, bestie senza vertebre, onde psichiche
13.
il mondo êênon affamato di cose sottili,
mi dici – come la mente – magma di barocchi
labirinti/edifici, ma senza rivoluzioni;
– o sei un evento di labirinti più semplici –
di rivolte per pane/pattume o cuore/letame,
bruciato sei ai campi del grano il colore
di fumo, l’apparenza più fitta di cielo
16.
vedi êêun modo di stare al mondo
nell’insieme o di quanto ne è rimasto,
ciò che pesa sulle erbe di sciami
metamorfi di insetti evoluti, l’ente
in tantissime erranze, ciò che vive
e muore in essi – quanto pesa settembre
all’ipotesi dell’anno, di speranze
in cui credere, di ragioni imperfette
18.
basti pensare alla nebbia
alla pietra che cede a poco
al bianco disco solare
si perde avanzando
ci viene vicino – e giusto
riprende per gioco la forma
di un fiore, malgrado alla pronuncia
balbetti: color rosa – petalo o
cremisi pallido o altro
+ rosa + rosa /colore vieni in contro
lasciati andare, siediti in me –
(con papaveri e profumi
con stilemi d’emozioni
– se questa luna in linee difficili
si perde, si perde, è più difficile
ora che avanza – ora tra i campi
in piene/in questo/in rosso)
19.
mi interrogo sui perché di un fiore,
e mi informo se ciò che istighiamo
è la presenza di un fiore/fantasma
– o almeno – di un meritarsi di esserlo(un fiore)
ma anche un segnale tanto dolce è da temere
se terrificante, da non dimenticare
– certo – può essere anche il fiore di un male,
chissà come, al caso nostro – è questo nulla
dove non esiste bisogno, è un bisogno del fiore,
ora lo capisco – è così gentile da non lasciarsi
toccare né predire o pesare – o almeno, lo spero –
che sappia darsi fuori da me, nel suo limite di sogno,
come di strade non giunte – beh allora –
questa è la vera bellezza/ una destinazione
mancante, non è più un fiore
26.
quando ti vengo dentro/stanco di allinearmi
come una sonda particolare, accanita,
sono reduce verso sera – « intendo stanco di illudermi » –
o anche il sapere di estinguere me
in quella macchia rossa, per poco,
cedendo al suo schema, nel tuo sangue
« è chiaro » sbagliandolo sempre, per distrazione
credo, / o non so cosa / cosa mi prede
ad un millimetro dal cuore, dunque al pathos
32.
ricordi – parlavamo di quel sole annegato
dei vuoti occhi del tuo pesce, della polvere
da sparo, di quell’astro che mi sono goduto
la tua mezza luna emersa dall’acqua tenue
quella sera di fuochi che non posso sognare
– ed ora, che non c’è più il mare e il problema
non sussiste, ma è altro, invece, è non avere
più pioggia che cade, qualcosa in cui credere
del cielo, – o almeno – il pallido grano vederlo
delirare attonito, ancora, nella massa dell’onda
– se non si muove, credo sia morto, lascialo
stare, al caso, è niente – è questo – ma se tace
sii felice, perché è altrettanto gentile quanto freddo
da non farci pesare la sua conclusione di speranze
fallite e ragioni d’esistere – è questo del mondo –
un silenzio fortunoso, un dilemma – tienilo a mente
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Testo tratto da Molokh II settembre-ottobre ’05
Foto di David Gillanders, “Rose” 2005
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Prego, non solo testi!
Chiedo didascalia nella foto
che mi colpisce più del poemetto.
MarioB.
la cosa peculiare di questa effige è l’essere incontro tra ermafroditismi visivi molto eloquenti.
struttura androgina, muscolosa, assenza mammellare, bacino largo adatto alla maternità, coscia da calciatore, tatuaggio solare, espressione satanica, genitali efebici.
insolita ma interessante.
cari, per reclami riguardo la foto rivolgetevi a chi ha postato il tutto, personalmente come autore dei testi non ne so niente… sarei curioso anch’io di sapere a cosa è dovuta la scelta di una simile figura…
comunque pensandoci bene un senso c’è per quell’inquietate presenza, e mag ha ragione, la sua definizione è perfetta; anche se il mio molokh lo immaginavo più sensuale ed accomodante, più familiare; se ragazza( e non necessariamente) più brava ragazza, in grado di angosciarmi sì, come ogni desiderio mancato (di turbarmi per precisione),come ogni insicurezza dell’essere al mondo, anche se solo istanza di una rappresentazione poetica. Il mio testo mirava più o meno a questo; e per chi avrà modo e tempo, o solo voglia di leggerlo, credo, sarà molto facile capirlo..
@gentile M.Bianco
convengo con lei che è più interessante la tetra donzella “ignuda” che il mio (t)/resto…
angelo, hai scritto qualcosa che fa perdere le tracce… il disegno che sottosta a questi brani (comunque antologizzati), se c’è, è poco chiaro. questo può essere un limite… o un vantaggio. voluto o involuto, non importa! come la foto, del resto!
pero’ che Moloch sia raffigurato cosi vuol dire tante cose…
la madre-utero-buconero è implosiva e distruttiva, risucchia i suoi figli distruggendoli.
E’ anche faccenda di cronaca in effetti…..Cogne & C.
sarà vero?
cara mag, per la precisione il mio MOLOKH è alla greca…
il tentativo è proprio quello di evitare facili accostamenti con altri vari e svariati MOLOCH che si rincorrono…
caro Angelo Petrelli,
ho scritto il precendente commento perchè vorrei che sempre avessero pari dignità immagini e testo, senza polemica alcuna letteraria sul valore del tuo testo;
la presente fotografia ha un autore, un titolo ed andrebbe nominato.
Già circa un mese fa Andrea Barbieri ed io protestammo amichevolmente su Lipperatura per il medesimo motivo,
ogni nuovo post immagini senza riferimento.
E’ una questione importante per chi ama l’immagine.
MarioB.
Allora chiedo venia e faccio un autodafè-
@caro MarioB,
io non polemizzavo affatto, anzi le davo ragione…
comunque non ho idea di chi sia l’autore della foto, né conosco il titolo dell’opere: posso solo ripetere che la cosa non è dipesa da me.
@cara mag, ((((: sempre perentoria e sagace…
no, mag,
non far autodafè, non è il caso,
mandami foto firmata et debitamente affrancata,
ecco
MarioB.
Angelo, i tuoi testi mi sono piaciuti moltissimo, veramente una gran bella sorpresa. Ho apprezzato il n.19 in modo particolare, ma l’intera silloge regge benissimo: vi leggo una ricerca sulla/dentro la parola, un muoversi lungo margini in ombra, scarsamente illuminati, alla ricerca di frammenti di senso, un “silenzio fortunoso” che, partendo da dati soggettivi, muove alla scoperta/esplorazione di geografie altre, che sappiano darsi fuori di noi “come di strade non giunte”. E “questa è la vera bellezza/una destinazione mancante”. Stupendo. Due novenari carichi di futuro, di anticipazioni, di sensi possibili. Complimenti.
la trovi sul mio sito alla seconda pagina.
ma non sono certo bella come questa raffigurazione.
nè ho le stesse caratteristiche psicofisiche…ahimè.
troppo materna purtroppo per rappresentare modelli di bellezza femminile.
Ho letto il testo.
Credo sia cangiante e se ora mi spinge a coglierne i lati molli, vulnerabili, domattina distillerà appuntite parole mosse da volontà di gesti di sfida apparentemente rassegnati al quotidiano svolgersi degli accadimenti.
un ritmo musicale simile ad un crescendo boleriano.
bene, mi fa piacere ricevere di tanto in tanto qualche complimento!
devo dire francesco che la tua analisi, anzi, la tua sintesi del testo è veramente precisa… la questione per quanto mi riguarda, quando si parla di poesia, è quella di lavorare con coerenza sul linguaggio anche a costo di sembrare omologanti e criptici in quello che si scrive; e solo ripetendo e ripetendosi nel proporre questa “inusualità”, nella lunga serie di episodi poetici che compongono una silloge, si può sperare di comunicare al lettore qualcosa di essenziale, che forse, spero, possa rimanere ed essere ricordato come “poesia”..
il testo n.19 è, come è facile intuire, una delle possibili soluzioni poetiche del poemetto… se questo linguaggio ha il solo scopo di raccontare il mondo, di definirlo, un fiore(per quanto mero simbolo, o pretesto)è più che sufficiente per raccontare al lettore che cos’è la poesia.
Molokh, in linea di massima, dovrebbe solo essere l’essenza, l’inquietudine di questa perenne battaglia tra l’io e la “tendenziosa” rappresentazione poetica del mondo che ne consegue.
Angelo, sei proprio bravo.
Mi molto questo stile denso senza sfronzoli e concentrato sull’apperente minimalismo descrittivo.
ah, ci tengo a specificare che, “êê” del post era nel file originario che ho inviato un simbolo grafico molto diverso “//”…
(13.)
il mondo //non affamato di cose sottili,
– che poi si ripete in successione-
(16.)
vedi //un modo di stare al mondo
“êê” è un problema di script..
oltre alla qualità dei versi è interessante quanto dici sulla composizione.. Spesso leggendo i tuoi versi la sensazione di smarrimento è avvertita come disturbo perché si vuole caparbiamente e ingenuamente trovare “una storia” . In realtà, come è noto, lo smarrimento è un effetto dell’intento evocativo perseguito dall’autore ( che, per quanto ti riguarda, non fa che mettere in scena quella “tendenziosità” cui credo accennavi). La poesia è un linguaggio a sé e lo sforzo che fai di trovare una coerenza interna al linguaggio poetico (anche per mezzo dell’uso della silloge) non fa altro che sottolineare questo fatto, senza mistificazioni di sorta!
Inoltre il “ritmo” interno al verso, i vari rimandi nel testo (condotto più sulla accentuazione e sul calcolo degli spazi) non fanno altro che corroborare tale ricerca di coerenza. Legate a questo giogo le parole si aprono all’evocazione.
E’ in questo giogo che ho cercato nel “fiore” una traccia di Novalis o Baudelaire, trovando solo quel “fantasma”
Credo semplicisticamente forse, che questa sia la poesia, o uno dei suoi modi, di sicuro non il secondario.
Complimenti per il tuo lavoro. L’accostamento dell’immagine credo che possa avere un rilievo solo per i più tardi esponenti di un surrealismo ormai decadente e buontempone.
complimenti ancora e auguri a tutti.
belli