L’ amore è una stella del mattino (“I’ll be your mirror”:ma era una finestra)
di Gemma Gaetani
C’è un amore più grande
di te e di me, me e voi nella specie,
acqua su acqua.
Milo De Angelis
L’amore è una stella del mattino:
splende quando e perché il buio è passato,
lucente sempre, fecondo cerino
(quello di Jaques Prévert, dialettizzato).
Mio compito è cantarne l’armonia
(io poetessa romantica e neometrica)
perché l’amore è come la poesia,
lectio su lectio di eterna poetica,
arte del bello dei tanti normali
mortali, innamorati e procreatori,
autori come quegli eccezionali
intellettuali poeti e scrittori
di opere nel, e del, mondo, figli
famiglie e coppie, insomma attività
di creazione, varianti dei fogli
che agli artisti danno celebrità.
L’amore è la poesia di tutti quanti:
chi è che non è mai stato felice,
come lavando la vita coi guanti,
pensando ad una esperita Beatrice,
nell’acqua insaponata di brutture
e impegni e doveri di un quotidiano,
così elevato dalle impalcature
di una relazione scorrimano?
Perché è così, diciamocela tutta
(sono anche una poetessa neorealista):
l’amore rende bella anche una brutta
vita, è una droga, è una bruna stagista
che si inchina sotto la scrivania
e succhia e placa tutte le tensioni,
è una panacea ed una mania
soprattutto per chi vanta milioni
di credito illimitato col mondo,
che il cerchio che ha avuto sempre quadrato
come un miraggio appare infine tondo
e ci si lega, cani allo steccato.
Ho scritto tempo fa questo sonetto
per dare forma alla tesi su esposta;
chi di voi è in coppia si abbracci ora stretto
[(solo) ascoltare la poesia non costa].
L’AMORE È LA POESIA DEI POVERACCI
Per troppo tempo solo sono stato
e adesso, Amore, che io ti ho trovato
TI AMO di un immenso lieto fine
di sole rose solo, senza spine.
Che bello Amore, in mezzo a tanta sfiga,
che noi si abbia un cazzo ed una figa.
Non conta altro oltre a questo amarci,
nemmeno se ho i denti, se li hai marci.
Tu sei la mia riscossa il mio riscatto,
lo sono anch’io per te, e siamo ricchi:
io di te Amore sono folle, matto
e tu di me, questa è la lotteria
vinta da chi non gioca, non ha i soldi
nemmeno per il tram che è andato via.
Poi. In a non perfect day accade. Questo:
che io rimango col guinzaglio al collo
e il fidanzato se n’è andato; lesto
con lo steccato, come un francobollo
appiccicato alla cartolina
di un nuovo amore altrove, e intanto, nato.
E io ero di nuovo la bambina
di ogni padre che se n’era andato.
Pensando che l’amore è infinito
io pensavo a un infinito nostro:
quel giorno mi ritrovo nel bollito
degli infiniti amori dentro al rostro.
Aveva lui ragione? Forse il senso
dell’amore è nel suo ciclo continuo,
nel rinascere se, seppure immenso,
esso scompaia in un neonullafluo
ti lasci nel non riuscire a morire
ma non sapere amare più il tuo vivere
che resta, solo insieme a te, a soffrire
per l’assenza di lui con cui convivere?
Rinascere nell’amore per sé,
ricostruirsi ancora e solo soli,
la lezione di aerobica di sé
e senza pelle e anime gemelle:
riesce prima o poi e ritorna tutto
al posto suo, allo spazio fisiologico
elaborato dell’amore il lutto.
Ma il training ha un tempo fisiologico
e si è caleidoscopi di emozioni
per lungo tempo ed in ogni spazio;
agli amici si rompono i coglioni,
di più i parenti pagano quel dazio.
Però ho ragione anch’io quando sostengo
che dire àmati te non ti amo più
è uno stupratore che urla vengo
e poi ti chiede se hai goduto tu.
Se prima che poetessa sono donna,
se faccio i conti sul pallottoliere
delle esperienze di amore e di gonna,
se estraggo una morale dal forziere
è solo una e cazzo, io, mi incazzo,
perdo le staffe la metrica e la rima
e dico che l’amore è una cosa merdosa.
Un mutuo che paghi.
E alla fine ti lascia.
Senza una lira.
E senza la cosa.
Pagata e perduta e
lascia ferite che nemmeno un chirurgo
così crudele che nemmeno un demiurgo
ti spacca stomaco cuore e anche il cervello
ti fa annegare in quel lurido lavello
(del verso quinto della terza strofa)
come una sola e misera scrofa
quando finisce e non c’è niente da fare.
Ti puoi sparare. O gli puoi sparare.
Non servirà. A farlo ritornare.
L’innamorato che è stato nel passato,
ora uno stronzo vigliacco patentato.
Mariti che. Hanno tre amanti per volta.
Mogli che. Il figlio unico è di un altro.
– E di chi è questo figlio illegittimo?
– Di tuo marito, glielo dici te?
(Dialogo tra una ragazza madre
e la sua amica in un paese del sud.)
E ti scopavo per capire se ti amavo.
E scopo altre per capire se ti amo.
Scopando te ho capito quanto amavo
la donna che dicevo che lasciavo
perché pensavo mentre ti scopavo
che amavo te e invece mi sbagliavo.
– Io devo ritrovare il mio equilibrio.
– E come fai stando già con un’altra?
– Lo psichiatra dice che non vai bene.
– Ma come non diceva ero perfetta?
– L’ho cambiato, non te l’avevo detto?
– Sono gay, l’ho capito grazie a te.
È sì l’amore stella del mattino:
stella del mattino nel senso del.
L’arma medievale che è composta.
Da un bastone di legno a cui è attaccata.
Una lunga catena a cui è attaccata.
Una palla fornita di spuntoni.
È chiaro che io parlo in questo modo
perché l’amavo molto quello stronzo.
L’avrei sposato, io a lui avrei dato
un braccio senza anestesia tagliato.
È chiaro che lui non era uno stronzo.
Solo uno che poi non mi amava più.
Ma in certi casi la forma è sostanza.
Sono difficili i rapporti umani:
di più, moltissimo, quelli di amore.
Diciamo che l’amore è tutte e due
i significati della mia metafora.
È bello come Venere se c’è.
Dolore puro quando se ne va.
Per questo è sempre meglio (ora ho capito)
non farci così tanto affidamento
o quantomeno avere sempre a mente
che certe eternità sono pianeti
e che noi siamo umani, troppo umani.
Se l’arcipelago che apparirà
ogni notte è perduto, però l’isola
sarà guardata nella sua bellezza,
non importa se da noi o da altri.
Citavamo versi diversi di
Milo De Angelis (quelli su inglobati),
ma come disse sommo Pagliarani,
non c’è risoluzione nel conflitto.
Se questa è la mia sintesi, alla tesi
aggiungo infine la dovuta antitesi:
REVISIONI STORICHE PRIVATE
Odio le filologiche inversioni,
rettifiche del senso delle azioni
compiute a voglia, tempo retroverso,
cambiali che diventi un Sé diverso
e paghi oggi. Sloggi armi, mobili
ed i bagagli, troppe le automobili
che lasciano le case di ogni ex.
L’amore: dura? Dura lex, sed lex.
Il ciclo si ripete, inizio e fine
dell’inizio, poi inizio della fine.
Le prove aperte a braccio recitiamo
dell’esito guerresco dei «Ti amo»,
il pubblico che vota a puro gusto
chi avrà della ragione il solo busto.
Finalmente!!!!!!! Voglio proprio vedere con quale coraggio, con quale ardire e animo, da oggi in poi, di fronte a tanta altezza, a tanta bellezza elargita a piene mani, qualcuno oserà ancora scrivere versi in questo paese di santi, navigatori e (ormai ex) poeti. Io, dopo una vita da onorato scribacchino devoto di Apollo, depongo la penna e passo la mano: ho appena ordinato tutte le annate, possibilmente rilegate in pelle, da sfogliare con i guanti, di “manidifata” e “tuttouncinetto”. Addio, amate Muse: c’è ormai nell’aria il vento nuovo che ci spazza tutti.
Addirittura? Sanguineti a iosa, quindi da lì in su Gozzano e compagnia. Alcune rime interne assai notevoli, però tanta carne al fuoco, e magari troppa.
Né finalmente né addirittura, se permettete. Sennò, boh, pure.
Ciao Gemma, come vedi non ti difendo, almeno non qui, non è qui che ci si difende dalla propria nudità, dalla critica, dall’adulazione soprattutto, o insomma da quel che ci vuoi mettere. Per il resto sai che ti trovo voce splendente e sorella. Ma non te lo dico. Ale (stavolta non per sms).
Con una mano sinistra ci prepara gli addii
con l’altra mano sinistra ci prepara
agli addii
(La vita l’incontro la nostra
impazienza incomunicabilità)
Con mani
che sembrano nostre
(Le destre servono per
salutare gesticolare cambiare le marce)
ma a me non sembra il caso ….questa è proprio adulazione fine a seì stessa.
Leggendo in fretta il titolo avevo letto: L’ amore è la stella del martirio. :-)
Andrea, è un lapsus geniale!
inglese, forlani, raos, vi prego, fate qualcosa, aiutatela!!!!!!
queste righe di G.G. potrebbero essere calate nell’esofago
come gocce di mele cotogne, tradotte in flusso…
b!
Nunzio Festa
Hey, Mal, mi sa che, come diceva il grande vate(r) celent’ano qualche anno fa in un suo famoso poema, “o cambi nome/o presto finirai”: infatti sei l’unico spirito buono che aleggia su queste acque e grida all’accorruomo: ma la tua richiesta di aiuto resterà, purtroppo per te, (e per LEI), inevasa: li ho visti il furlàn, l’inglès e il raòs poco fa: scalzi, col capo coperto dalla cenere dei loro libri, si dirigevano verso sperduti eremi per espiare la colpa del loro ardire: scrivere in un’età dove l’unico atteggiamento consentito non è che il silenzio, davanti a “cotanto senno”, a cotanto estro.
p.s.
Scusa luca catone: ma tu sei un essere umano, di cui il nome rivela l’identità, o sei (nel senso che il tuo nome è) una recensione vivente?
Bah, converrete però su questo, è un vero peccato che non capiate un cazzo, no? Ma almeno uno che sappia stare sul tema? Oh, certo, poi fate un po’ come vi pare.
Caro Ale, visto che sei tanto sicuro del fatto tuo (e io del mio: non sai quanto sono felice di non capire un cazzo!), perché non ci aiuti a comprendere? Perché non definisci, per noi (per me!, scusa) ignoranti/e l’oggetto del contendere? Chissà, magari dopo una vita spesa a leggere e a studiare i poeti, a cercare di tradurne qualcuno con rispetto e passione(quelle robettine lì, che so, Zanzotto, Celan, Bonnefoy, Ceppollaro, Mesa, De Signoribus, Giovenale, Sannelli, Inglese…e via citando questi minori, anzi, questi “minimi”: e mi fermo per non appesantire l’elenco), riuscirò a capire il “nuovo” genere letterario che la tua Musa ha regalato – la prima dopo Dante, pensa te! – alla letteratura italiana. Poi mi spieghi perché questi “poetini” non si sognerebbero mai di fare dichiarazioni del genere di cui sopra: non sarà, forse, perché con la parola intrattengono quello che, volgarmente, una volta, si sarebbe chiamato “rapporto etico”? Mentre mediti la risposta, che attendo con rispetto – e lo dico senza nessuna ironia – mi permetto di proporti la mia, cioè quella che la frequentazione di questi minori mi ha sempre suggerito: la poesia, quella vera, quella senza nessun altro aggettivo che la connoti, non è, e non sarà mai, una merce, un oggetto da mercato, il frutto di una oculata strategia di marketing che serve solo a svilire le qualità umane e le capacità di chi, in modo consapevole o inconsapevole, vi si presta. Sta anche agli amici, soprattutto quelli veri, a volte i primi e unici lettori, alzare i cartelli con i segnali di pericolo, ricondurre alla ragione, magari con l’ironia feroce – che spesso è la migliore delle medicine – chi ha perso il senso della misura, delle cose, del suo essere nel mondo. La poesia non è pubblicità, clamore, spettacolo: è silenzio, ricerca, critica, esercizio, sforzo costante; è il verso su cui si lavora per una vita vita intera, senza aspettarsi altra ricompensa che il piacere bambino di averlo scritto, di aver strappato alla morte una goccia di verità e di bellezza. E, soprattutto, quando si hanno delle doti (e la tua amica le ha), la poesia è il dolore insito non in un amore tradito, ma nella ricerca incessante della propria voce, è attraversamento/superamento dei modelli che ci sorreggono, non la loro ostentazione acritica, pensando magari che chi ci legge tanto appartiene alla massa beota che annega nel nulla dell’isoladeifamosi.
p.s.
In uno degli articoli successivi, alcuni tra gli ultimi commenti a una poesia di Franco Arminio hanno incrociato anche i testi della signora/ina Gaetani. Prova a leggerli: che ignoranti Magda e gli altri! Non sarà una congiura?
Mio cara vaca sottoscrivo. Tanti sono i minori, i minimi, i minuscoli le cui pagine in silenzio frequentiamo, che non ostentano ma cercano e ricercano. E aggiungo: Prevert che se lo tenga pure, gli concedo anche il deangelis, ma il pagliarani che me lo lasci stare, che ha la sua età ma è ancora vivo, pur se non più novissimo merita rispetto…..
A me pare un bel giochino. Certo che Marziale lo faceva di molto meglio.
Vi propongo un cut-up:
l’isola
sarà e più
è il aerobica lui tuo risoluzione il di
Milo n’è lungo quel patentato.
Mariti della demiurgo
ti io che con incazzo,
perdo andato.
Pensando mi sparare.
Non un in madre
e psichiatra mattino:
stella dell’amore inizio dici sommo dovuta siamo sì anestesia uno di quando lui che automobili
che i e Lo gioca, che il anche perfect Pagliarani,
non sua umani, io senza spacca e modo
perché la retroverso,
cambiali lotteria
vinta un quello alla io E troppo del.
L’arma più.
Ma sei di allo se ciclo soffrire
per ritrovare un vota nemmeno lavello
(del detto?
– insieme più Amore il diverso
e rompono è da che. già sé
e suo medievale che adesso, Io ritornare.
L’innamorato un resta, mente
che e nemmeno forziere
è sed fisiologico
elaborato lurido c’è mattino è paghi.
E lui via.
Poi. la cui te Sono pensavo capire paese questo come dico a del a questo sapere certe era mi però ne di del matto
e oggi. non importa bello convivere?
Rinascere POVERACCI
Per chiede amavo.
E troppe di a cazzo, È o invece tu.
Se disse capito cui il di c’è per ed attaccata.
Una LA umani.
Se voglia, armi, bello nuovo come spazio prima in sul questa amavo stando così io, nuovo solo conti che sola te.
È perfetta?
– gli una ti immenso,
esso è è te quelli come te e puro un di mi non i tuo e diceva di altre al antitesi:
REVISIONI composta.
Da di e che lasci padre braccio sposato, come lex.
Il sud.)
E (ora pianeti
e tempo capire nel in PRIVATE
Odio azioni
compiute ha poi a li solo se gusto
chi parlo quando anch’io tram O tagliato.
È sono bambina
di a poetessa tra steccato, quantomeno tre fine
dell’inizio, avere noi neonullafluo
ti metrica nella te?
(Dialogo tutto
al sé,
ricostruirsi bellezza,
non perduto, POESIA ricchi:
io infinito
io è training crudele amanti tempo francobollo
appiccicato a per ero stomaco ti per spazio;
agli io cuore a devo che se, l’avevo dei accade. suo, faccio Sé legno chi se e poi infinito si collo
e a ragazza per unico solo lira.
E questo staffe che lezione Angelis notte fine cosa mio amori i sintesi, pensavo i le cambiato, a estraggo un non si a la goduto caleidoscopi abbia ho infiniti rinascere continuo,
nel il su e puoi nel soli,
la bollito
degli ragione? di difficili volta.
Mogli io il pubblico figlio aperte le che ti pallottoliere
delle che che che è ti sono un ero poi fa forma a ragione l’amavo un farci figlio dato
un in mi altrove, più conflitto.
Se sbagliavo.
– di di se sono ex.
L’amore: gemelle:
riesce da amare mobili
ed moltissimo, catena trovato
TI diversi uno sostengo
che ha posto soldi
nemmeno una «Ti di terza glielo ogni sua e che emozioni
per a l’amore lasciavo
perché ed uno e figa.
Non ragione finisce la gay, morire
ma per day si STORICHE ritrovo diventi Hanno annegare conta tesi
aggiungo braccio Amore, una attaccata.
Una la tanto servirà. ti mutuo amo poi sole questa grazie è (quelli avrà bastone In i col stronzo un Venere guardata infine fai troppo è umani:
di è senso sfiga,
che mio un la l’arcipelago e guerresco è mia quinto più, di metafora.
È alla equilibrio.
– in è scopo dire significati la l’assenza immenso morale di i fornita fine
di inglobati),
ma donna e vivere
che per ancora L’AMORE Questo:
che lunga case AMO uno parenti come merdosa.
Un quel Forse scopavo casi che che non e al fare.
Ti Ma affidamento
o gonna,
se che anime cervello
ti se non riscatto,
lo di coglioni,
di rostro.
Aveva altro non intanto, illegittimo?
– del capito esperienze hai urla A lascia.
Senza perduta n’era un sempre apparirà
ogni spine.
Che è Di se passato,
ora amo.
Scopando si cui ciclo oltre due
i guinzaglio cartolina
di dazio.
Però amore.
Diciamo hai giorno l’amore sono scompaia DEI te non non o una con ogni lex, non è E a chiaro una paghi è la solo fine.
Le Dura le versi se Amore, amava senza senso
dell’amore puro siamo lo prima amore me, la inversioni,
rettifiche rima
e scrofa
quando ti marito, amici chiaro avrei pagano a te rapporti che L’ho se sparare. farlo che riscossa senza il è nel ripete, misera marci.
Tu ho lui pelle vigliacco noi amica altro.
– che. nel l’ho e chirurgo
così ferite che della donna,
se l’amore solo palla senza stella stronzo.
Solo e
lascia che mia stato
e rimango filologiche ritorna fisiologico
e niente le tanta nato.
E àmati lasciano non anch’io capito)
non nell’amore non un dentro mia della sempre delle vai un’altra?
– tutte da dice te, cazzo questo lesto
con andato da dal stronzo.
L’avrei noi spuntoni.
È solo, l’amore se inizio busto.
lutto.
Ma cosa.
Pagata lieto chi te, rose del bene.
– se di strofa)
come De la andato; va.
Per una che Sloggi stato meglio non ti scopavo
che un ti ho che c’è.
Dolore i amarci,
nemmeno seppure nel vengo
e una tempo recitiamo
dell’esito molto è nel amo»,
il a amavo
la mentre dicevo certi dura? Il eternità in altri.
Citavamo quanto senso sono che il in ho fidanzato della denti, è il folle, nostro:
quel tempo puoi tu amore riuscire bagagli, mezzo sostanza.
Sono alla
ogni stupratore ho prove verso
dedicato a william s. burroughs
l’asilo mariuccia esprime piu’ senso.
Ficooooo. La musa stagista: Che pensata,
Una Valduga sub cathedra scurnacchiata!
Grazie!!!
Nessuno ebbe voglia di dire con franca ex-plicitazione una cosa tipo questa (queste?) poesia (poesie?) mi piace-non mi piace.
Oppure questo TIPO di poesia mi piace-non mi piace.
Io dico che non mi piacciono questi versi perché non si risolvono, non stanno tra loro in un rapporto di necessità reciproca, perché il verso non si rinserra in sé, ma se ne sta lì, indulgente e corrivo, mentre insegue tematiche rifritte sull’amor (viene anche il sospetto di una possibile sottostante ironia).
Il Corriere di Piccoli faceva assai di meglio.
Eglio.
Se avessi il controllo assoluto del Pese proibirei, oltre agli oleandri, le tuie, la parola “spurgo” e la parola “monitoraggio”, la cancellata “stile soprintendenza”, pure la poesia d’amore.
Riempirei le città di cartelloni sei per tre con su il seguente slogan: LO SI FACCIA, MA NON SE NE PARLI (i trasgressori saranno puniti con un’ammenda…, eccetera).
Mali, complimenti: è un capolavoro!
Ecco la risposta che il dott. Vaca cercava alle sue domande. Sarà contento, penso, come tutti noi.
p.s.
Evviva l’asilo mariuccia, evviva: spesso c’è più vita, senso, libertà, intelligenza e creatività dei simposi di tanti intellettuali (con e senza puzzetta sotto il naso).
Buon natale, cari (e fatemi gli auguri, che è anche il mio onomastico!)
auguri Panello.
Natale.
Buon.
Grazie, snap: i tuoi auguri sono particolarmente graditi. Te li ricambio volentieri. Ciao.
La poesia (il poemetto) di Gemma Gaetani non mi piace punto e affatto. E’ mediocre versificazione, buona per i cantanti di Sanremogiovani di fine anni Ottanta.
Va bene così, adorabilissimo Snap?
Ciao Vaca.
Non l’avevo mica con te.
Comunque.
Con rispetto.
I critici,
operai delle raccolte differenziate frugano tra forse utili macerie e scorie di grammatiche inutilizzate le scatolette di latta di sarahkey se ci trovano due mezze candies scartate appiccicate dimenticate lì dal diciannovesimo, e meglio magari preleccate, come le buste del postalmarket o come un dongiovanni direbbe una predilezione per le famigliole perché il frutto vero o spurio della passione letteraria cade (cada) per gli occhi tanto e comunque sempre all’ombra del ramo.
Gli acritici,
frequentatori del topos dietrologico inconsapevole di una fenomenologia mitografia dell’appartamento / figurazione di un appartarsi fra le righe (e che spesso o nei meno avvezzi è pure da loro!) ti ricercano una comunanza se non una comunione; trovano, c’è da giurare, sulla tua caramella, la loro saliva; il loro mestiere se è lodevole lo è per quello spirito religioso=religatore con cui ambiscono al tuo misocosmico impossibile bagnoriscatto.
I critici,
manidiforbice gabellieri ti passano a sinistra il verso chiropratico dietro la schiena mentre ti alzano a destra sottane, se per sbaglio non stai in giro messo di taglio buono e prescritto da palandrana a ghette, senza curare poi e sapere la tua faccia vera e fintamente scoperta.
Gli acritici,
lasciano la fila di checkin e la novellatremila e le “sudate carte”, e fanno a scagliar giù controfigure di ventiquattrore dalle porte Scee per venirti invece a leggere proprio proprio in quella stessa faccia, ma anzi se glielo chiedi son disposti a dire giusto fra i denti: scansando le parole.
I critici,
gialloneriti antennuti ingegneri di cellette a schiera sommelierizzano umori colori livori scrittorii, incartano aggruppano affiliano e montacaricano in gruppi divisi a tinta di nastrino verso il centrodati dove però infine a nessuno, e seppur incredibile giova ripetere a nessuno, sarà negato un quarto di metro quadro di stand.
Gli acritici,
alzati presto dalla loro nottata breve di damasco han preso al volo il genio senz’ali della lampadina lasciato incustodito e vogliono sparartelo acceso in faccia pure se non pagano l’enel, e partoriscono come Maia in piedi cantando, e dove passano coi loro piedini fioriscono ninfee bianche.
Times have changed?
Poeti di tutto il mondo disunitevi: riprendetevi ciascuno la propria illeggibile voce. Uno spettro s’aggira da tempo tra le vostre pagine: l’assenza del Lettore.
Lei abita ad Affori, quartiere nord-milanese tra Niguarda e Quarto Oggiaro.
Stamattina era in Piazzale Maciachini, non lontano dall’appartamento in cui abita da pochi mesi. E’ entrata in un bar, per fare colazione. (Da qualche tempo ha messo questa tra le sue abitudini quotidiane.) Si è seduta al tavolino, osservava le persone che erano nel bar, mentre il sole, fuori, dietro il vetro e la tenda, sporchi, decisamente sporchi, entrava, comunque entrava.
Le persone erano quattro. (Ci sono alcuni elementi ai quali non è concessa alcuna intepretazione.)
Un conducente dell’ATM in evidente pausa veloce tra una corsa e l’altra.
Un extracomunitario con gigante orecchino e gigante telefonino in evidente pausa tra non sapeva cosa e non sapeva cos’altro (lei non lo sapeva).
Il barista, col grembiule bianco annodato dietro il pancione, e pochi capelli in testa.
La moglie del barista che parlava al telefono organizzando il pranzo di Natale.
Mentre aspettava il suo cappuccino, ha poggiato la testa sul muro dietro la sedia, ha chiuso gli occhi e ha cominciato ad immaginare di avere con sé la stampata del cut-up del Maligno in onore di William Burroughs, di alzarsi in piedi, salire eventualmente sul tavolino, ed iniziare a leggere le parole stampate su quella stampata, a declamarle, ad alta voce, agli astanti, con un’enfasi crescente, quella della forza della verità, per poi concludere, davanti alle certamente attonite, a quel punto, quattro persone: “Sono una poetessa. Questa è poesia. Cioè, per farvi capire, rappresentanti di una massa beota che non siete altro, io scriverei altra poesia. Ho in testa questa fissazione della poesia comprensibile da tutti, ma sul blog di letteratura N.I., Nazione Indiana, N.I. è l’acronimo di N.I., anzi Nazione Indiana 2.0, ché da quando Moresco e Scarpa e altri se ne sono andati si chiama così, be’, insomma lì sostengono che la mia non è poesia, non capiscono che quel poemetto è scritto apposta così, che è una parodia della poetessa addolorata per amore, alla Gabriella Sica, con tutto il rispetto per Gabriella Sica, perché secondo me ognuno è libero di scrivere come gli pare e cosa gli pare, non capiscono che è una struttura messa in piedi per far passare pochi concetti fondamentali oltre al sonetto finale, e allora il Maligno, per dimostrarmi cos’è veramente la poesia, insomma il Maligno, ma no!, non il Diavolo!, esponenti della massa beota che non siete altro!, il Maligno è un nickname, che cazzo, non sapete cos’è un nickname?”.
La sua visione ad occhi chiusi viene interrotta dall’arrivo del barista.
Che, mentre lei prende la tazza che contiene il cappuccino che aveva ordinato, sta certamente pensando che lei sorrida per la faccina antropomorfica che le dita con le unghie sgrugnate di quelle mani secche e callose che le consegnavano la tazza, avevano goffamente disegnato col cacao, sulla schiuma del suo cappuccino.
Lei gliel’ha lasciato credere.
Anzi, gli ha detto proprio: “Che bella questa faccina, è proprio bello che l’abbia disegnata per me, per farmi sorridere, perché stamattina, sa, sono un po’ triste. Lei è molto gentile. Vuol darmi il suo indirizzo mail, così, dato che sono un po’ triste spesso, le scrivo e lei mi mostrerà ancora cos’è un sorriso?”.
Maligno, che generoso quel suggerimento, è proprio bello che tu l’abbia pensato per me, per farmi aiutare, perché da quando ho iniziato a scrivere, sai, sono un po’ incapace. Tu sei molto gentile. Vuoi darmi l’indirizzo mail di questi mentori, così, dato che sono un po’ incapace spesso, scrivo loro e loro mi mostreranno per la prima volta cos’è la poesia?
E’ giusto, ora, no?, non metter più parola.
Solo:
Ora ti han capito, che ne pensi?
Solo:
Non so veramente se il Maligno o qualsiasi tipo di Maligno neanche Lucis (o Lucem: dipende se vogliamo dargli un impiego o un incarico che lui comunque se glielo dici non accetta) Ferens, dimostra bene bene cos’è veramente la Poesia.
Forse tanti fra i tanti mostriamo bene cosa non è.
Ma c’è poesia che non è Poesia? A chi tocca dirlo?
E c’è mai poesia comprensibile e da quali tutti?
Ciò non toglie la bellezza di salire sul tavolino.
(Dopo, in metropolitana, mentre raggiungeva Emiliano che l’aspettava in Piazza San Babila, ha continuato ad immaginare quanto aveva cominciato ad immaginare nel bar.
Quelle quattro persone, invece di guardarla attonite, si erano sedute ad ascoltare. Avevano interrotto il tempo per fermarsi ad ascoltare quei versi. Come fa la scrittura nei confronti della vita, che interrompe il tempo perché essa si fermi ad ascoltare se stessa (la vita la vita), secondo ognuno che scrive, quando scrive, in qualunque stile e secolo e stanza privata della sua memoria o pubblica del suo tempo e qualunque cosa scriva.
Quelle quattro persone, tutte insieme, hanno detto: “Leggici anche i tuoi versi”. E dopo: “Sono diversi da quelli che ci hai letto prima, ma ci piacciono. Tutti e due ci dicono qualcosa. Leggicene altri, vuoi?”. Lei ha tirato fuori dalla borsa il libro di Rilke che aveva con sé, e ha cominciato a leggere. E quelli ascoltavano, e arrivavano e si fermavano ad ascoltare anche altre persone che erano entrate invece per bere un caffé; c’era anche un sordo che ascoltava, un po’ più concentrato degli altri; c’era un cieco, che guardava con sforzo, ma vedeva; e anche un handicappato c’era, era riuscito a far arrampicare le ruote della sua sedia a rotelle sullo scalino troppo alto alla base della porta – in realtà, nessuno se n’era accorto, ma lo scalino si era abbassato un po’. Un muto, c’era anche un muto, che a un certo punto ha detto: “Ci piacciono anche questi. Leggici qualcos’altro ancora”. E lei ha recitato tutti i versi che ricordava a memoria, e dopo è uscita, è andata di corsa a comprare il libro di tutti i versi che dovevano essere ancora scritti, e quando è tornata, c’erano ancora più persone, ce n’erano davvero tante.)
(tu leggi un libro di tutti i versi e di tutti i libri tu leggi un libro tu stai vivendo nel mondo di un libro e nel libro sta per accadere forse qualcosa di irreparabile più che lo scorrere del libro e che io non posso neppure ormai evitare né portare lontano dalla tua coscienza e quindi dalla tua vita che fra un attimo lasciato il tuo libro comprenderà anche la mia o almeno comprenderà in un attimo di comprendere già la mia nonché la mia cosiddetta coscienza e così infine il suo ultimo apparente manifesto finto che è il mio libro con il suo mondo che è fatto diciamo di te e di me e di cose che succedono ed è a te e a me e per forza tutte sono fisse irreparabili e qualcuno certo di noi le leggerà le vedrà e seguirà le loro logiche entusiaste e nessuno dei presenti dico nella stanza e non nel libro potrà far qualcosa contro o dentro la più forte realtà e la più forte mano e la più forte vita del libro che poi insomma quando il libro è mio è la mia vita fortificata dal libro dalla sua finta immutabilità intangibilità la mia vita dicevo o quella che ho messo io dentro il libro che è più forte anche della mia vita quella tutta e quella sempre cosiddetta vera e di quella tua o cosiddetta tua che ora ricordo sta per essere catturata anzi direi finché io qui scrivo tutto questo nel mio libro la cattura è già avvenuta e tu chissà non potrai più leggere altri libri più vivere in altri mondi altri libri oltre questo e dunque non potrai leggere vivere il mio che parla del tuo e di sé e di te e di te ormai dentro il tuo e allora non saprai credo mai a cosa è servito fuori da questo momento da questa vita cattura che tu leggessi il libro che stai leggendo ammesso che io abbia come dire ragione e che finalmente il tuo libro sia il mio o almeno il mio sia il tuo ed ammesso anche che a te possa tutto questo interessare sia come discorso possibile sia come fatto come voce e vita che comunque viene da me e cioè soprattutto da fuori del cosiddetto tuo libro che fra l’altro tenta forse di non prevedere nulla e non prevede qualcosa di così irreparabilmente estraneo ma neppure qualcosa di reparabile come la cosiddetta estraneità)
dove io se vuoi è il libro di tutti i versi dicibili; dove tu, se vuoi, siamo tutti…
i versi dicibili
Quando è arrivata in Piazza San Babila, Emiliano le ha chiesto come stava, non si vedevano da mesi. Da dieci, per l’esattezza.
allora gemma (ti do del tu anche se non ci conosciamo), il maligno è un nickname, su questo ci capiamo. meno sul cut-up. un cut-up è un cut-up, non un modo di dare a una poesia “la forza della verità”, ed è un’operazione svolta oggidì da un semplice software. quei poeti io non li conosco, non ho il loro indirizzo, ne frequento le pagine, soltanto le pagine, nemmeno so come sono fatte le loro facce. Sul relativismo in poesia concordo, la poesia è eterogenea e multiforme e per questo può piacere o meno. Ti ho presa un po’ in giro, perdonami per questo, ma non ho inteso offendere nè te nè il tuo lavoro, solo scherzare e vedere se reagivi ringhiando o scherzando anche tu. Stavolta hai mantenuto una certa classe. A presto
Speriamo tu non lasci per tutto quel tempo lì anche gli astanti del bar.
Ti direi se esistesse “una morale”.
Ti dico invece
La cosa più bella son le tue pause studiate e (da immaginare) frementi e poi zac.
Ma è così, che vogliamo farci? Qualcuno non capisce che “il poemetto è scritto apposta così”. Qualcun altro non capisce il discorso del cappuccino e del barista. E pochi capiscono che, siccome pochi capiscon tutto bene, per questo a molti può piacer quasi tutto.
Forse, forse.
Ma è molto democratica, l’incomprensione.
“Ognuno è libero di scrivere come gli pare e cosa gli pare”, Lei dice. Benissimo, sacrosanto. E ci mancherebbe altro! Ma quando uno che scrive quel che gli pare e come gli pare, rende pubblico ciò che scrive, converrà che si espone al giudizio, alla critica, anche al sarcasmo: fa parte del gioco: pubblicando, io devo accettarlo, cercando di cogliere anche nell’ironia quell’accento di verità che può permettermi di crescere, di non sovraespormi, di avvicinarmi pudicamente al lettore per offrirgli i miei doni. Provi Lei, ora, io non lo so, a vedere se tutto questo è avvenuto con la pubblicazione del suo libro, o se, come credo, le sue buone intenzioni si sono volatilizzate di fronte a un sistema che ha cercato di montare un caso solo per fini pubblicitari e di cassetta. Ricordo di aver letto anticipazioni e recensioni del suo libro prima ancora che fosse stampato, e, in seguito, diatribe personali e interpersonali che con la poesia non hanno nessuna parentela: converrà che questo può aver dato fastidio, soprattutto a chi – e qualcuno l’ha scritto anche qui – con la poesia intrattiene un “rapporto etico”. E poi, crede che il lettore curioso che si avvicina al suo sito con la speranza di saperne di più, resiste alla tentazione di scappare dopo aver letto che Lei avrebbe inventato un nuovo genere letterario, o qualcosa di simile? Anche una pagina web, un blog, è uno spazio pubblico, e valgono le regole di cui sopra (almeno in democrazia canta così). Ancora: come ha scritto sopra il sig. Vaca, io credo che Lei ha delle qualità e capacità, le utilizzi per cercare la sua dimensione, la sua voce fuori dalla visibilità a tutti i costi, e vedrà che prima o poi ci darà testi degni delle sue corde. E’ un augurio che Le faccio, da vecchio lettore di poesia che ama, in modo particolare, la poesia al femminile, perché la ritiene, visti gli esempi degli ultimi decenni, quanto di migliore sia circolato in Italia in questo campo. Un esempio, tratto comunque dalle mie letture e, quindi, soggettivo, suscettibile di giudizio critico come ogni altro: Antonella Anedda: ne avrà sicuramente letto o sentito parlare. Io la ritengo una delle voci più grandi della poesia italiana di oggi, eppure non so chi sia, per trovare dei suoi testi devo fare salti mortali, frugare tra riviste semisconosciute, cercare, a volte invano, giudizi critici inesistenti: eppure Lei non sa la gioia che mi dà leggere ciò che scrive, e come sono grato, insieme a dieci o cento poco importa, di ciò che ricevo in dono e che mi rende l’esistenza più sopportabile. Forse la poesia è questo, è anche questo, non la ricerca dell’effetto a tutti i costi: perché l’effetto dirompente è effimero, dura un attimo, brucia di un bagliore che non lascia tracce. E poi è silenzio: quel silenzio che impedisce di risalire alla fonte, alle intenzioni di cui parlavo prima. La saluto cordialmente e Le auguro ogni bene. Mi permetta di lasciarla con un’ultima considerazione. Lei continua a dire: non avete capito, non avete capito, solo voi sapete che cos’è la poesia, datemi lezioni etc… E il suo amico Ale, poi, Le dà manforte rincarando la dose del sarcasmo: non Vi sembra un modo di attirare altro sarcasmo? Lasciando coì definitivamente alle spalle ogni tentativo di discutere seriamente di poesia? Con il suo accenno, poi, alla scomparsa da NI di Scarpa e Moresco non le sembra di essere offensiva nei confronti degli altri che cercano di portare avanti il discorso di questo spazio?
Di nuovo. Buon Natale.
“SARCASMO”?!? “MANFORTE”?!? “OFFENSIVA”?!? Mammamia.
Ma non era poi quello che deponeva la penna?
Mammamia.
…
“DISCUTERE SERIAMENTE DI POESIA”?!?
Quando ho iniziato a scrivere, erano visibili venticinque interventi: se avessi immaginato la recita off-off che avevate imbastito, mi sarei guardato bene dal farlo. Avete studiato parecchio per metterla su? State continuando a farvi pubblicità gratuitamente. Provate almeno a ringraziare.
Farewell, Mister Ale, my old, old, old young.
p.s.
@ Vaca: sì, hai ragione: il mio nome, sillabato, è l’unica recensione possibile alla spocchia e alla presunzione di questi tristi figuranti.
Ok, grazie.
Catone: sì, hai ragione: aridatece Vaca!
Luca Catone, glielo dico con sincerità, e un pizzico di tristezza. Non c’è ricerca di effetto, ma proprio da nessuna parte, in questa parte della barricata in cui, praticamente, avete messo me e qualche altra persona che per motivi professionali (la casa editrice) o di pura simpatia (in senso etimologico, e mi riferisco ad Ale) si ritrova intorno a me. C’è molta modestia invece, e grande amore nei confronti della scrittura. E basta. Sistemi, casi, montature, disegni, forzature: da quando è uscito questo libro, io ho assistito talvolta, e incredula, alla messa in atto di tali costruzioni, che non hanno davvero niente a che fare col mio stesso libro, da parte di persone che erano lì a parlare nel ruolo di rappresentanti della critica letteraria.
Quanto al giudizio su uno scritto, su questo in particolare, mi sono soltanto permessa di dire che l’intento ironico – appena triste – ancora, era quanto io avevo premesso a quello scritto. “Io poetessa romantica e neometrica” era ovviamente una triste autoironia. Se poi questi versi le fanno venire la gastrite, me ne dispiace. Dico davvero.
Io credo che ciascuno abbia diritto di esistere con la sua scrittura. Tutto qui. E che ciascuno abbia diritto di esistere con il suo giudizio. Però, se mettete in bocca a Tizio parole che non ha detto, aspettatevi che possa – o voglia, o, per una questione di rapporto etico, appunto, con la scrittura, proprio DEBBA suggerirvi le sue intenzioni, Tizio.
Può star tranquillo che chi le scrive legge ogni momento libero della sua giornata e spesso delle sue nottate, e che intrattiene un rapporto decisamente etico nei confronti della scrittura, sua come quella altrui. E della stessa arte, di cui si abbevera, come discente, sempre.
ale, tu stai in paranoia. avrai i tuoi buoni motivi.
Sto benissimo, grazie.
Mi dispiace deluderla, Ale. Vedo solo adesso, da ieri, gli ultimi interventi, e, dopo averli attentamente riletti uno per uno, mi sono fatto l’idea (mia, quindi ampiamente discutibile e criticabile) che gli unici commenti sopra le righe siano stati i suoi, in modo velato o palese che fosse. Se il modo di rispondere ad un intervento articolato, pacato e sensato (come mi è parso l’ultimo di Catone, che poteva essre l’inizio di una proficua discussione e di un serio confronto) è quello che lei ha scelto al # 33, ebbene deve cercarsi un altro interlocutore. Io posso soltanto, come pure aveva fatto Catone, augurarle buon natale. Il resto, per quel che mi riguarda, sono affari suoi.
Farewell.
Natale Panello, che fai a Capodanno? E tu, Luca Catone? Sto organizzando un party per V.I.N. (Very Ironic Nicknames). Se vi va di venire…
Maligno, tu puoi fare di più. Uhm… Maligno Bile, tipo.
Ho il terribile sospetto che Luca Catone e Vaca Carlo siano la stessa persona, la stessa voce, insomma. Ma forse è soltanto il Grande Disegno di cui sono oggetto anch’io, che mi fa pensare questo per costringermi ad aggiungere un commento a questo post.
malinho? alla brasiliana? può andare meglio?
Uno Intervento sopra le righe quello sui tutticritici?
Due Oppure dire la democrazia dell’incomprensione?
Tre Dica dunque lei come si può rispondere più seriamente a chi mi dice (lei trova pacatamente e sensatamente) sarcasmo e poi recita off-off.
Quattro Uno sì cerca interlocutori, ne trova buoni e no. Potrei esser per lei uno non buono, certo. Se poi intende invece che con me non discuterebbe punto… Non mi controrisponde in effetti sui critici ecc, spero abbia capito ciò che intendo, spero anzi per carità di essermi spiegato. Magari tronca lì aggressivamente per non rispondere. Anche Il Maligno, no?, dice così paranoia butta lì così per non entrar troppo nel merito. Vostro diritto, ovvio. Mica devo darvelo io, ovvio.
Che devo dire, auf wiedersehen?
Vaca Carlo, chiunque lei sia.
In effetti riflettere sulla citazione esplicita di versi altrui, in poesia, sarebbe un bell’argomento di discussione. Cos’è, se non monologo che si vorrebbe dialettico? Inclusione che è omaggio.
E poi.
La poesia d’amore: no, dite. Non si può scrivere. Il lamento d’amore. Soprattutto (permettetemi) se è scritta da una donna. Pare che una donna debba mascolinizzarsi per piacere, i suoi versi, non lei, ai lettori uomini, a quelli specialistici, esigenti, intendo. Quanto c’è di maschilista in questo? E quanto c’è di, un forse inconscio, astio verso quella visione femminile che soltanto le soap opera e i fotoromanzi e le riviste scandalistiche e le trasmissioni tutte del pomeriggio televisivo, e non più Gustave Flaubert, emettono?
Ricordo la presentazione del secondo libro di Melissa p. a Milano. Ricordo che le domande più intelligenti vennero, mentre il giornalista che doveva presentare il suo libro, praticamente, la linciava, dai lettori che erano lì. Uno chiese: “Il tuo primo libro, secondo te, avrebbe avuto lo stesso successo, se fosse stato scritto da un uomo, se il protagonista, cioè, fosse stato un uomo, e della tua stessa età?”.
Di fronte a quello che era un caso letterario, a me sembrò una domanda intelligentissima, e che nessun critico si pose.
Malinho Ligneo?
E’ necessario un cognome, Maligno.
Senza almeno un cognome, dalle mie parti, al mio party, puoi disperarti, ma non entri.
Mi dispiace deluderla, Emilia (e scusi se utilizzo formule ripetitive, ma sono veramente molto stanco): Carlo Vaca è il mio vero nome, abito a Milano in una zona prossima alla residenza della gentile signora Gaetani (Piazza Dergano), e del signor Catone Luca (che non mi dispiace affatto, devo dirlo) ignoravo l’esistenza fino all’altro ieri.
I’m sorry
Mi scusi, allora. Ma sa, quel premettere il cognome… Al posto suo non lo farei. Non le ggiova, sa? Soprattutto se c’è, prossimo a lei, in questo spazio virtuale, Luca Catone. Non c’aveva pensato?
Piazza Dergano dice? E’ sicuro che non si scriva Piazza Der Gano?
Simpatia,
Emilia
Leggo adesso.
Ale, non mi fraintenda: “altro interlocutore” non era (non sarà mai) un rifiuto, nelle mie corde. Solo stanchezza: la mia (e non le sto a spiegare da dove deriva, non sarebbe il caso), e quella provocatami dalla “piega” che il tutto sta prendendo.
Saluto
Passo e chiudo.
Emilia, con la “piega” lei non c’entra proprio niente. A meno che non faccia di professione la parrucchiera.
Doppia simpatia
p.s.
E smettetela di postare per un paio di minuti! Se no mi tocca rispondere ancora. E io devo proprio andare.
Un caro saluto a tutti.
Più ci penso e più me ne convinco.
L’occlusiva velare sorda di /’kano/ potrebbe essere stata oggetto di sonorizzazione (/’gano/.)
E’ molto probabile che in origine la piazza si chiamasse proprio così, Vaca Carlo, Piazza Der Cano.
Più ci penso e più me ne convinco.
Ci pensi, Vaca Carlo, ci pensi!!
Scusate, ho inserito il punto di fine proposizione all’interno della parentesi, due commenti più su. Tutte queste pasticche.
Vaca Carlo, io scrivo, poi lei leggerà.
Accidenti, ancora un altro scherzo del destino!
Io FACCIO la parrucchiera!
In un afro-salone accanto alla Stazione Centrale.
Ora sono in casa, ho l’esaurimento nervoso, niente di grave.
Ma faccio proprio la parrucchiera! Per mantenermi.
Incredibile, quante coincidenze.
Quanta magia nella vita.
Tanta tanta. Magia nella vita.
Vedi se poi è vero che ti costringono a dire scegliete cazzo allora tra (quello che voi chiamate) sarcasmo e silenzio?
Perché che gli vuoi dire a questi? Senza far l’incivile, intendo.
Niente, è tutto inutile. Io tacevo per favorire il disperato tentativo di Gemma di cambiare (o cominciare!) discorso. Forse è lei che deve cercare altri interlocutori, dai!
Ok, Emilia, sei davvero molto simpatico/a, ci voleva questa ventata, dico sul serio.
Ma ripeto, uno che stia sul tema? (Su un qualsiasi tema, diciamo ormai.)
Peccato, Vaca e Catone devono andare. A cambiar nome? Riappariranno con un terzo nome tutto nuovo? Lilo riconosceremo? Stiam parlando di letteratura?
Piesse: vedi che provocati su argomenti non rispondono! Poi dicono che “ildiscorsohapresounapiega”blablabla.
Miuccia, potrei?
Io sperare che lei.
Anche a me dia l’ok?
Posso fare il d.j..
Lì al party, that day.
Fino – circa – alle sei.
Dovrei andare a Bombay.
Sì, con Lucio Tomei.
The day after, dovrei.
No, va be’, Ale (e ciao, ancora non ti ho salutato, scusami), è sabato sera, magari si esce (io ho la bronchite, al solito). Se mi si passa la battuta, con la mia fragilità polmonare dovrei essere definita poetessa ad honorem…
In ogni caso si possono aprire molti discorsi. Quello su quanto chi legge vede in quanto legge, è il più interessante. Per me.
Quello su quanto chi legge vede in quanto legge, yes! Son d’accordo e lo sapevo da quando mi hai scritto (ap)pare.
Qua non si esce e non ci pensavo, stiamo a zero gradi con una tormenta da stamattina, sto in un paesino in campagna un po’ appartato, 300 metri slm si dice, figlio del vento come stranamente tutti i posti che ho finto di abitare.
Così anch’io ho finito per mettermi a dire cose di cui può fregar niente a nessuno.
Quanto a dirti quel che vedo, a parte intanto Te che nella scrittura mostri benissimo chi sei, ma devo dire almeno a me e forse perché mi somigli, diciamo soprattutto nel rapporto con la voce sempreecomunquesovversiva, posso dirti la grande inventiva che hai della forma che non è mai forma, va detto per quelli che dicono “forma”sottintesopuah, all’interno di un lavoro metrico che io non più frequento da un pochino, conosci come scrivo e lo posso dire, uso privato del blog pubblico.
[Ma son scelte. Senonché soffro un po’ di questa storia (al punto che esagero dicendo addirittura che soffro) come tu dicevi di soffrire delle incomprensioni e in “sostanza” (per quelli che dicono “sostanza”wow) della pochezza dei critici, perché non dirlo?
Perché dico soffro? Perché Raboni buonanima non mi ha pubblicato nel 97 da Marsilio (dirigeva la collana come saprai) dicendo che son bravissimo e secondo lui non conosco Petrarca e Leopardi.]
Basta dire di me che neanche questo c’entra, ma magari “forma”puah e “sostanza”wow come mi permetto di suggerire può essere un argomento.
Gneo Malinho, nome latino e cognome portoghese.
plurilinguismo sperimentale d’avanguardia con chiari riferimenti alla tradizione
È sbagliato.
È normale.
È ovvio.
In considerazione del fatto.
Secondo quanto.
Nonché, giacché, altresì.
Visto,
e considerato.
Iscritto al.
Componente della.
Con lunga esperienza in.
Dal. Al.
Senza tema di smentita.
Con significativi.
Riconoscimenti per.
Ti chiamavo a proposito.
Alla prossima.
È stato un.
Magari, uno di questi.
In pratica.
Nel senso.
Spiacente ma.
Con le più vive,
e con i più cordiali.
catone il re-censore
vaca carlo der cano
gemma gaetani batata
gneo malinho cutupper
emilia paranoica parrucchiera
ale, avvocato e scrittore
natale e pasquale pannello autori in pensione
miuccia prato p.r.
beckett vi fa una pippa
Inoltre, concepita così come io l’ho qui delineata, credo
oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l’opposizione si
identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono
non comportarsi anch’essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci
riguarda, anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato
stabilito da loro. E, se l’intellettuale viene meno a questo mandato –
puramente morale e ideologico – ecco che è, con somma soddisfazione
di tutti, un traditore.
(Pier Paolo Pasolini, “Che cos’è questo golpe?”, “Corriere della Sera”, 14 novembre 1974)
Questo libro ha ricevuto sdoganamento corrucciato ma solenne da A. Cortellessa, sopra TTL di ieri. Da lì in avanti, non se ne parli senza prima citare quel pezzo mirifico e acconsentire con l’analisi, le antitesi e la sintesi dell’autore.
E sì, quando il nuovo guru delle patrie lettere sdogana, sia pure corrucciato, non si può far altro che chinare il capo. Speriamo stiano già lavorando ai “supplementi” di Parola Plurale, così saranno possibili nuovi inserimenti. Vuoi mettere. E dopo lo sdoganamento, poi. E su TTL, poi.
Poche storie: così è / la nostra vita e il mondo / come vento e nube fugge via (ma Cortellessa rimane, e giudica e manda)
ultime gocce (tranquilli)
@ oppongo.
Questo poemetto (o ciò che vi pare) non è nel libro.
@ luca catone.
Era ironico anche il “datemi lezioni”, ironico contestualizzato qui. Serissimo, e interiore, ogni volta che apro un libro, nuovo o vecchio, o leggo versi o interventi, ovunque, anche qui.
Sulle sue considerazioni sulla *ricerca dell’effetto*, continuo a pensare che siano difetti (o effetti) della percezione stessa, nello sguardo e non nell’oggetto guardato, spesso. E certamente io stessa non ne sono immune. Vediamo, guardiamo, deduciamo, tiriamo le somme. Che dobbiamo fare? Urliamo sentenze, poi magari ci siamo sbagliati, magari no, magari abbiamo altro da fare e non ci pensiamo più.
@ oppongo e paolo innominati (ultimamente in giro si utilizza ben poco l’esercizio della NON-NOMINAZIONE, davvero poco)
lo “sdoganamento” di A. Cortellessa. E’ una semplice lettura del mio libro. Di cui ringrazio, come per tutte le altre.
@ tutti
se avessi tempo copierei qui la poesia di Raymond Carver, “Voi non sapete che cos’è l’amore”, o alcuni versi dalla LEZIONE D’AMORE di Patrizia Valduga, per aggiungere altri elementi di riflessione sulla poesia e sulla poesia d’amore, e non certo sui miei versi, ma purtroppo non ce l’ho. Magari Luca Catone vorrà o potrà inserire dei versi di Antonella Anedda, e qualcun altro di altri, ma in realtà è quello che succede un gradino più su, NI è il baretto che descrivevo nel “voletto pindarico” con cui sono intervenuta all’inizio (ah, Luca Catone, era ironico anche il giochino N.I./N.I. 2.0. facevo il remix, visto che Maligno aveva già fatto il cut-up).
Buona domenica (l’augurio, non la citazione dello show tedio-domenicale),
G.G.
Be’ essendo un lettore di Moresco e avendo più volte detto che mi piace la sua scrittura e avendolo fatto sapere in vari modi all’autore, Cortellessa insultava anche me durante la recensione agli “Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno” su ttL.
E’ ganza questa cosa che un critico insulta autore e lettore in una botta.
Per capirci, a tanti altri era riuscito di insultare solo l’autore.
Naturalmente quello sopra è un post off topic innescato dalla frase Cortellessa sdogana…
Ho dimenticato di dire che un giorno ero su un tram, sul 16, e un pazzo, tutto il tempo che sono stata su questo tram, ha urlato, incessantemente, “La difficoltà è comunicazione! La difficoltà è comunicazione!”. Incessantemente.
Forse era stato un critico letterario, o un lettore di NI, di certo non era stato né era un poeta, perché un poeta sa, quando comincia, che la difficoltà è comunicazione, ci surfa sulla difficoltà.
(Questo per rispondere a Luca Catone, ancora, a proposito del mio remix nel “raccontino” sul bar, in cui non a caso citavo anche un handicappato e un muto e un cieco, e di certo non come referenti “negativi”. Io. In certi commenti su NI c’è così tanto veleno e rozzezza morale che si stenta a credere che amiate davvero la poesia. Così come in molte critiche letterarie, delle quali, ho deciso che, quando mi riguardano, non dirò mai più pubblicamente cosa penso. I commenti li voglio copiaincollare invece.
giovanni Says:
December 16th, 2005 at 13:21
Neither the one nor the other, neither a gentleman nor an officer, for that matter.
Non so che vi faccia comodo, non credo vi si possa accomunare in una seconda persona plurale, sono peraltro abbastanza sicuro che gli endecasillabi sciolti (e ogni tanto ipometri, più di rado ipermetri) della Gaetani stiano alla poesia di oggi come io sto all’ibridazione della Rosa Mystica in Australia o nel Sud-Est asiatico.
mag Says:
December 16th, 2005 at 16:29
sono concorde con te e non capisco questa adulazione sterile se non funzionale al marketing, io la vivrei come un’onta… come un’offesa, come un riconoscimento di handicap, come la festa dell’8 marzo, la giornata dei disabili, come lo zuccherino al cavallo, come una punizione insomma.
Be’, per quanto mi riguarda, sono fiera certe volte di essere considerata un’handicappata da una certa *opposizione* a quello che quest’opposizione *immagina* sia il *potere*.
La provocazione, il sarcasmo, vanno bene, ma certe volte c’è veleno puro. E poi la critica. Sdoganamenti. Legittimazione. Insulti. Mistificazioni. Veri. O falsi. Non servono a niente. Sono il contorno. Uno scrive e deve scrivere, consumarsi sul *rapporto etico* con quanto sta scrivendo, punto e basta, Moresco ne sa proprio qualcosa, immagino. Questo è quello che so a questo punto del mio handicap.)
Rallegrati, Andrea: essere insultati dai guru, anche come lettori (e io lo sono), è un viatico (uno sdoganamento?) verso il completo possesso della propria identità, della propria libertà e capacità di giudizio critico.
Poi, va da sé, “opporsi” a chi si oppone, o a chi solo osa farlo, è una professione anche quella. Un po’ corrucciata, forse. Ma solo di tanto in tanto. Perché il “mirifico” è oltre la vita: “rimane, e giudica e manda”.
Uno.
(Scusate il ritardo di cui non vi frega niente.)
Osiamo dire:
Natura del fiore è di esser (bello? giallo?) inutile e così si dica della voce poetica se come è verissimo ogni vera bellezza sua (creazione? meta?) padrona lo è.
Il sogno può stare al pensiero come il popcorn al chicco di mais, chi immaginava che dentro quel chicco fosse tutta quella gommapiuma pronta a esplodere, ma c’è, ma c’è, e io non credo alla premonizione o alla traduzione o alla predestinazione o a un freud.
E l’invenzione al sogno come l’assenza alla fuga.
Poiché naturalmente anche si poteva, o si doveva o voleva: la creazione “di un” mondo può stare alla lettura “del” mondo, come il popcorn all’eccetera.
Del mondo detto reale ma solo “in realtà” perché accettato o leggibile e in cui siamo vivi ciascuno in due schiere ciascuna nostra interiore, custodi e garanti dalla vita in giù del suo stato d’implosione contro le nostre stesse voci in quanto voci sempre sovversive.
Poi tutto si crea per imitazione ma mai di una realtà, e in parole pacifiste e sulla cenere del tutto che a ogni istante la lingua guerresca distrugge.
La vera tentazione è sempre quasi quella, non forse sostituirsi quanto sovrapporsi all’artefice, non forse mangiare da quell’albero, quanto piantarne: uno, per ogni voglia di dire.
Certo si può esser convinti che a notte c’è il tictac che aspetta e pretende primaopoi una nostra finta di addormentamento per poi serrar tutto tonfare polvere e tendoni fino alla prima nuova copia di vecchio sole.
Oppure, che invece e contro ogni apparenza è il giorno in un suo neverendingtrumanshow a delimitarci e a far giochi di fondali e poi la notte è quella sola misura incauta per spaziare, per spazzare, per spaesare, e questo è il punto di finta (essendo buio) non vista che forse più che consuonare conviene a/inqualitàdi nottambuli (della vita? pagina? assenza di metafora?) fortunatamente non dall’apparenza consolabile/guaribile.
E il mare e il licantropo e il poeta usano la luna solo per spartito, e così sia.