Costituzioni
di Giuseppe Montesano
Purtroppo la verità, l’attitudine a cercare e a tentare di dire “la verità” non è un metodo. O forse per fortuna? Probabilmente se “dire la verità” fosse un metodo, una tecnica, diventerebbe presto uno strumento privilegiato di menzogna. Gli “studiosi” al servizio del Principe non sono mai mancati, e quando lo sono apertamente va ancora benissimo: li si identifica e si evita di scambiare i loro sofismi per ragionamenti. Esiste però qualcosa di molto peggiore: l’introiezione, da parte degli “studiosi”, dello stato di cose esistente, considerato come immutabile, poi come “tutto sommato” buono, e infine come necessità. Fino a che punto, del resto, lo studioso che si ritiene “sobrio” e “scientifico” e “oggettivo” è preda della sua stupidità, vale a dire delle sue illusioni su se stesso e il mondo? Non c’è scampo.
L’illusione primaria dello “studioso” è la scientificità: ma si dà il caso che diritto, economia e scienze umane in genere non siano scientifiche per niente: esse non sono inviolabili teoremi o postulati metafisici, ma realtà storiche, soggette a ogni genere di inquinamento, concetti divenuti così o cosà sotto la pressione di avvenimenti reali. Il discorso sarebbe lungo e intricato, ma dal momento che lo ha già fatto in modo completo Franz Kafka, suggerirei la rilettura di almeno due dei suoi libri: Il Processo e Il Castello, citando solo, dal Processo, un breve passaggio che si erge con tutta intera la potenza fatta di volontaria debolezza dell’arte contro la forza fatta di razionalizzazione postuma dell’ingiustizia:
Alcuni dicono infatti che la storia non dà a nessuno il diritto di giudicare il custode della Legge. In qualunque modo egli ci appaia, è tuttavia un servitore della Legge, dunque è sottratto al giudizio umano. La Legge lo ha posto al suo servizio, dubitare della sua dignità vorrebbe dire dubitare della Legge. ”Non sono d’accordo con questa opinione,” disse K. scuotendo la testa,”perché se la si accetta, bisogna ritenere vero tutto ciò che il custode dice. Ma che ciò non è possibile lo hai dimostrato ampiamente tu stesso.” “No,” disse il sacerdote, ”non bisogna credere che tutto sia vero, bisogna solo credere che sia necessario.” “Triste opinione,” disse K. “Della menzogna si fa ordine universale.”
Con un gesto di resistenza inaudito, che consiste nell’uso ripetuto del termine “opinione” e nella straordinaria frase finale, K. si oppone non al custode soltanto, ma alla Legge stessa: e l’esito di ciò sarà il sacrificio di K. sotto forma di capro espiatorio che chiude Il Processo: ma nella distruzione di chi si oppone Kafka svela per sempre l’arcaico meccanismo sacrificale sopravvissuto nel cuore del “diritto”, e il nocciolo indistruttibile di violenza celato nella Legge. Mai niente è stato scritto di così radicale sulle illusioni e le menzogne chiamate purezza, scientificità, sobrietà, oggettività, realismo etc. di saperi come il Diritto o l’Economia o qualsiasi paradigma di scienza umana.
La malattia giace annidata nel cuore stesso di ciò che si reputa sano, è questo il punto: ne siamo coscienti? Mi permetto di dubitarne. E come sarebbe possibile allora un pensiero critico se non si è critici già sui fondamenti del proprio pensiero? E’ evidente a chiunque abbia gettato uno sguardo alla realtà come è senza lasciarsi infinocchiare dalle sue stesse illusioni, che la realtà stessa è radicalmente distorta dal potere: ma quel potere si fa chiamare “diritto”, e una volta che si è protetto sotto quel nome-numen, il potere diventa indistruttibile: vedi Manzoni, Adelchi, atto v, scena ottava: “Una feroce forza il mondo possiede, e fa nomarsi dritto: la man degli avi insanguinata seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col sangue; e omai la terra altra messe non dà”: da rileggere insieme al coro “Dagli atri muscosi…” confrontato con la Fenomenologia dello Spirito di Hegel e la figura de Servo-Padrone: i classici parlano, bisogna ascoltarli.
Ma chi è pronto a trarre da certe considerazioni le conseguenze del caso?
E per quanto riguarda “sociologi”, “giuristi”, “economisti”, “letterati”, etc. siamo sempre da capo: per le loro pretese, e nostre, di oggettività, vale sempre ciò che ha scritto Marx a proposito delle pretese degli economisti del suo tempo di essere oggettivi: sono fanfaluche, e chi più mette l’accento sulla sua “neutralità” più evidenza il suo legame carnale con il potere: con l’ingiustizia interessata che usa la “scienza” per giustificare la miserabile violenza di “pesce grande mangia pesce piccolo”, la miserabile violenza che dice alla vittima sacrificale che è colpa sua, o, peggio, che le dice compunta che essa è stata sacrificata per il bene comune.
E allora?
Allora, voi dite, costruire un nuovo protagonismo popolare e rilanciare il conflitto sociale come indicato dall’art. 3, 2° comma, della Costituzione: e sarebbe interessante. Ma…
La situazione attuale va in altra direzione, e non sarà un cambiamento di Governi a invertirla: la direzione dell’epoca è verso le sabbie mobili, verso il tutto è uguale a tutto, verso l’abolizione illusoria delle differenze. Ciò che tutta intera la politica ha in mente è solo il sedativo sociale: o, più pittorescamente, “l’arrangiarsi” o “l’adattarsi”, offerto ai deboli e agli sfruttati come parola d’ordine new, in realtà per spacciare la droga di quell’egoismo sociale necessario alla sopravvivenza del potere. Di fatto l’atomizzazione della società si oppone a ogni tentativo collettivo di ripensare le cose, e senza pensare e ripensare lo stato delle cose non c’è alcuna chance di cambiarle. Bisogna liberarsi dell’idea positivista e ottusa di progresso lineare: è ancora possibile? Non si può fare diversamente. E poi è necessario coltivare le minime e le minimissime “comunità” (molto tra virgolette: è un termine pericoloso, anch’esso da ripensare, e forse ad esso è preferibile “società”, nel senso anche un po’ ironico di società segrete, carbonare…): allo stesso tempo, però, bisogna coltivare tutto ciò che dentro la società continua nonostante tutto ad essere irregolare, originale, individuale. E spezzare la fascinazione del “comunicare”: l’arte o il pensiero critico non comunicano, non hanno a che vedere con il mediatico, lavorano a un altro genere di comunicazione: hanno a che fare con “la cosa”, con la “verità”, non con il discorso sofistico o pubblicitario intorno alla cosa.
La verità non è un metodo, ma un modo del vivere.
Voi dite: riprendere il cammino dei Padri Fondatori, attuare le potenzialità della Costituzione e della Democrazia. Bene! Ma dov’è oggi, sulla nostra pelle e fino a spingerci oltre i vecchi pensieri, il senso di pericolo che vissero i Padri Fondatori, l’attraversamento del tragico, del male e insieme di ciò che lo nega? La foto che ritrae Parri e tutti gli altri che entrano a Milano liberata è straordinaria, fino alle lacrime. Quegli uomini hanno “vinto”, eppure sono tristi; è un giorno di festa per la liberazione, eppure loro non sono in festa. Sono vestiti come capita; nella loro serata non li aspetta una cenetta in ristorantini di lusso per chi del lusso ha un’idea da parvenu e dove si atteggeranno a sommelier e degustatori di ambrosia; odiano il potere che hanno dovuto assumere come un cilicio: gli uomini di quella fotografia vogliono stare al livello del corpo sociale in cui vivono e di cui sono la coscienza più avanzata: e ancora questo gli pesa, soprattutto questo gli pesa, perché ciò che vorrebbero è una coscienza per tutti. Una coscienza per ogni singolo, un pensare per ogni singolo. Perché solo una società di individui compiuti, è libera.
Non c’è scampo, a questo.
Allora bisognerà forse rassegnarsi ad essere pochi, ad agire in piccolissimi gruppi, a seminare dovunque: senza aspettarsi raccolti.
E essere in movimento.
Non il perpetuum mobile del circolo vizioso, del lamento chiacchierante, dell’opposizione cieca a tutto. Niente va bene, è vero: ma non è stato sempre così, o molto peggio?
Fare la propria parte: se questo è compiuto fino in fondo, è già molto.
Infine, alla maniera di un commiato, un po’ frivolo un po’ serio, alcune ricette, una sorta di appunti su ciò che forse è importante.
1) Semplicità, non semplificazione.
2) Ascoltare attentamente le vittime, gli alienati, i mercificati, i servi, i rassegnati: solo dalla loro infelicità e sconfitta si impara a lottare.
3) Studiare i libri e le cose: ma senza avere sempre uno scopo preciso. Lo scopo, il fine, è una trappola per la mente.
4) Non parlare o scrivere o agire se non quando è davvero necessario, inevitabile. E non lo è quasi mai.
5) Dimenticare tutti i vecchi significati di sinistra, lotta, potere, diritto, giusto-ingiusto, uguaglianza.
6) Ripensare tutto: sono tempi nuovi. E se non è così, sono le menzogne a essere nuove: non bisogna sottovalutare le apparenze.
7) Non avere speranze, è inutile. Piuttosto sperare di tornare a sperare, è indispensabile.
Pubblicato con prefazione di G. Bucci su www.costituzionalismo.it
Immagine, Renato Guttuso.
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Gustav Klimt…
sosteneva che la verità è eversiva.
Per questo va detta e dipinta.
il sesto punto mi pare fondamentale, ma tutto il testo è assai condivisibile.
La verità, l’aspra verità! Esergo al Rosso e il Nero di Stendhal… Ma oggi quali scrittori italiani ricarcano davvero la verità?
gli scrittori sono esseri umani.
facciamo una prova tra le miserie degli esseri umani.
Chi è in grado di sostenere quello che amici, parenti, colleghi, consorti dicono di noi in nostra assenza?
Un test semplice per valutare la tolleranza alla verità di tutti i giorni.
E chi tra gli intellettuali è in grado di sostenere la mediocrità del proprio pensiero riflessa nei giudizi dei superpartes?
> Probabilmente se “dire la verità” fosse un metodo, una tecnica, diventerebbe presto uno strumento privilegiato di menzogna.
Bellissima frase – c’è dentro tutta la “storia naturale” che ci ha costruito. E’ chiaro che a forza di “passi indietro” (dapprima dalle emozioni obnubilanti, poi dagli schemi concettuali irriflessi, poi dalle compensazioni più sottili e inafferrabili che ancora resistono) o ritorniamo al punto di partenza oppure sfociamo nell’ “esperienza metafisica” (“l’infinito è l’unità indivisa e non moltiplicata, ogni molteplicità è un inganno”).
Non siamo affatto “infiniti”, questo il fatto – quanto vorrei che il materialismo avesse torto e poter così profferire ad Arminio una parola di consolazione.
> Chi è in grado di sostenere quello che amici, parenti, colleghi, consorti dicono di noi in nostra assenza?
Non ci voglio pensare a queste cose! Già mi fa orrore la mia voce, quando la sento riprodotta in qualche filmato. Imbattermi nel “me stesso” visto dall’esterno, sentirmi s-ragionare senza il supporto di quell’invisibile corroborazione che il corpo regala alle parole che emette, penso che sarebbe atroce – non reggerei all’esposizione obiettiva della mia automitologia.
pensieri vaganti, auto-compiaciuti, indefiniti, che alla fine inneggiano alla semplicità, alla precisione, in modo confuso, impreciso, letterario.
maneggiano il concetto di verità con ingenuità, imperizia pensosa, pavoneggiandosi, citando i “classici”.
dimenticare i significati di destra e sinistra, giusto ingiusto, eccetera: bene.
“sono tempi nuovi!” dicevano i marinettiani prima e i manipoli in chemise noire, après.
buon viaggio.
animula vagula, blandula …
oggi mi piace e credo a tutto ciò che leggo.
…animula vagula, blandula …
Adriano – Memorie di – Marguerite Yourcenar
Ci ho preso?
Ho indovinato la citazione? :-)
non vi dico che cosa penso di Tashtego…. che si crede un padreterno! Proprio come Moresco. Coincidenza?
Santarelli, tu sei quello che ha così genialmente commentato ragazzo X, giusto? Allora, scusa, non dircelo.
Cmq trovo anch’io il testo di Montesano farraginoso.
@Emma
Animula vagula blandula
Hospes comesque corporis
Quae nunc abibis in loca
Pallidula, rigida, nudula
Nec ut soles dabis iocos
Fonte: google
@ vanny
la modalità assertiva, vagamente oracolare, che sono costretto ad usare qui è dovuta all’esigenza che provo della massima chiarezza nella massima brevità.
questa per me è scrittura per il web, e ha i suoi pregi.
ma non mi fa certo apparire simpatico, alla mano.
ma non è né la mia scrittura, né il mio modo di essere.
Cuando se muere la carne
el alma va derechito
a saludar a la luna,
y de paso al lucerito.
per correttezza: http://www.corohispanoamericano.it/Rin.htm
Puem del musclo et du comentari
Car s’il est vrai kel cumentar le jova
à la caten de penzer et de intelecto
l’est vrai ke nun è ver ke sempre trova
celui qui cherche in questo vero delecto
come postar alors que pertinenti
corsi di riflession s’human natura
kel sieno seri pop ou divertenti
l’est sempre nueva et puis parfois meme dura
de retrovarsi intieri et solidali
avec posteur l’auteur et la su gente
ke si l’est bien l’est vrais ke nun est mali
trovarsi in desacordo totalmente
effeffe
vi ho riportato l’esempio della verità spiata su noi stessi, perchè le intercettazioni sono uno dei tanti strumenti per accertare la verità.
a questo punto ci si chiede se la verità è quella scientificamente provabile o esiste una verità sintomale, tacita, colta su frequenze inpalpabili e indimostrabili…….
…La situazione attuale va in altra direzione, e non sarà un cambiamento di Governi a invertirla: la direzione dell’epoca è verso le sabbie mobili, verso il tutto è uguale a tutto, verso l’abolizione illusoria delle differenze…
Destra e sinistra non sono radicalmente diverse, condividono lo stesso “sfondo”, ma non sono nemmeno una sola indistinta poltiglia.
Trovo deprimente che questo tipo di ragionamenti venga da un intellettuale, e per giunta del sud.
Trovo deprimente che questo intellettuale ci fornisca tanto di elenchi e di istruzioni per l’uso, quale presuntuoso coronamento di una serie di considerazioni e di assiomi a cavallo tra estetismo, anarchismo elitario, new age.
Spiegami perché attribuisci all’intellettuale del Sud un handicap positivo.
per favore
Temperanza mi hai tolto le parole di bocca e a questo aggiungo: perchè tanto livore?
effeffe
Non vedo livore nelle parole di Emma, ma irritazione, Emma ha una mente chiara, almeno così la vedo io, e per chi è portato a pensare linearmente il pezzo di Montesano è fastidioso perché è pieno di contraddizioni e abbastanza confuso. Non tutti gli scrittori riescono a essere anche saggisti interessanti.
Resta la mia domanda.
Resta per me, ovviamente, Effeffe, non voglio trascinarti nella mia testa;–)
@Temperanza
Certo non tutti i saggisti sono grandi scrittori e viceversa. Nabokov e Kundera fanno eccezione insieme a tanti altri. Peppino Montesano a me piace sia come saggista che come scrittore. Però non voglio trascinare te e Emma nella mia testa a Torino (a Sud di Parigi)
effeeffe
@Effeffe
A me no e ti voglio anche dire perché. Questo testo (che però forse, ma nessuno ce lo dice, aveva una destinazione tale da giustificare le sue pecche) apre con il concetto di verità. Concetto subito abbandonato a favore di quello degli “studiosi”, termine quanto mai vago e di cui non si capisce bene a chi si riferisca (si intuisce solo più avanti), divisi in due categorie: studiosi esplicitamente di parte, e studiosi che hanno automaticamente introiettato lo statu quo del potere. Ma Montesano neppure qui approfondisce il tema “studiosi” perché “il discorso sarebbe lungo e intricato” e rimanda a Kafka, alla legge e al suo custode (lo identifica con lo studioso? con il sacerdote? non si capisce, il riferimento al discorso precedente è oscuro). Interpreta in modo opinabile la parola “opinione” che definisce “gesto di resistenza inaudito” e asserisce che Kafka ha inteso parlare qui di Diritto e Economia. (Tutti i grandi studiosi vanno con mano leggerissima su Kafka, Montesano no). Poi con la stessa rapidità passa a Manzoni, Hegel, Marx. Nulla viene approfondito, nulla viene argomentato e mi fermo qui, anche per ragioni di lunghezza, ma ti chiedo, sono queste le basi per un ragionamento sensato?
Se Montesano non è un saggista perché non ha scritto un apologo? Un micro racconto, o cmq un testo meno pretenzioso ma più efficace e maggiormente nelle sue corde? Con queste premesse come poteva stare logicamente in piedi la parte politica? E’ altrettanto farraginosa e sembra, anche se non credo che Montesano lo sia, terribilmente qualunquista.
Sarà pure qualunquista ma il punto 4 del ricettario mi sembra ineccepibile.
“sembra” qualunquista, “sembra”, non “sarà”. O devo pensare che viviamo in mondi paralleli?
Qualche goccia di laudano, cara?
@Temperanza (e effeffe)
Non so cosa intendi per handicap positivo.
Io sarei dell’avviso di attribuire a un intellettuale del sud una maggiore “responsabilità”. Ma certo sbaglio. E certo ho esagerato (non livore però, forse un po’ di fastidio – e mi scuso).
Insomma, non voglio fare prediche.
In che veste – poi – potrei fare prediche?
In realtà ho fatto – e faccio – dei confronti, delle associazioni.
Penso ai pezzi che compaiono in NI su Napoli e sulla Campania a firma di Saviano e di altri.
Poi leggo, nel pezzo di Montesano (e preciso che di Montesano non ho letto altro).
…Ciò che tutta intera la politica ha in mente è solo il sedativo sociale… bisogna coltivare tutto ciò che dentro la società continua nonostante tutto ad essere irregolare, originale, individuale. E spezzare la fascinazione del “comunicare”: l’arte o il pensiero critico non comunicano, non hanno a che vedere con il mediatico, lavorano a un altro genere di comunicazione: hanno a che fare con “la cosa”, con la “verità”… Perché solo una società di individui compiuti, è libera.
Non c’è scampo, a questo. Allora bisognerà forse rassegnarsi ad essere pochi, ad agire in piccolissimi gruppi, a seminare dovunque: senza aspettarsi raccolti…
Niente va bene, è vero: ma non è stato sempre così, o molto peggio?…
Infine alcune ricette, una sorta di appunti su ciò che forse è importante…
3) Studiare i libri e le cose: ma senza avere sempre uno scopo preciso. Lo scopo, il fine, è una trappola per la mente.
4) Non parlare o scrivere o agire se non quando è davvero necessario, inevitabile. E non lo è quasi mai.
5) Dimenticare tutti i vecchi significati di sinistra, lotta, potere, diritto, giusto-ingiusto, uguaglianza…
Leggo una cosa e penso all’altra.
Associo. Confronto.
E il confronto mi spiazza.
Infine mi chiedo: perché ad illustrare il pezzo c’è una bella addormentata in posizione fetale?
@Emma
per handicap intendevo lo svantaggio che si dà al giocatore più forte, per cui all’intellettuale meridionale tu chiedi più “responsabilità” attribuendogli così tacitamente uno statuto più forte, e non capivo perché. Anzi, continuo a non capire, perché dovrebbe avere maggiore responsabilità?
Ma comincio anche a chiedermi che cosa si intenda ormai con intellettuale, soprattutto qui, se è nel senso largo di chi non ha un’occupazione manuale o nel senso classico.
Se è nel senso largo mi va bene tutto, e cercare il pelo nell’uovo è ridicolo; ma se è, o si presume che sia nel senso classico mi aspetterei capacità di argomentare e di articolare maggiori.
Leggevo poco fa una definizione en passant che Starobinski fa della ormai defunta Repubblica delle lettere (J.S. Le ragioni del testo, Bruno Mondadori, Milano 2003): “… una rete di scambi, di solidarietà, di querelles assai aspre in cui erano coinvolti scrittori, eruditi, uomini di scienza e persino teologi.”
E a quella defunta repubblica oppone una serie di scambi mondiali, soprattutto nelle discipline scientifiche, e poi aggiunge:
“Le cose stanno diversamente nel campo di ciò che chiamiamo cultura. Al di là di un consenso facilmente raggiunto circa i vantaggi che potrebbero risultare dal ‘dialogo delle culture’, l’esperienza pratica ci fa constatare quasi quotidianamente che l’espressione dei valori personali o collettivi più preziosi soffre ad essere affidata ai mezzi di ampia, massiccia comunicazione; d’altra parte il linguaggio che si presta a questo tipo di scambio universale paga la propria apparente universalità con un impoverimento e un’insignificanza che costernano.”
Mi è sembrato che parlasse anche di noi, qui, pur nella nostra piccolezza.
Scusate, mi sembra che rispetto a questo testo manchi in molti commenti un’adesione di lettura più attenta. Non credo, ad esempio, che sia lecito separare un punto specifico come il quattro da quelli che lo precedono e loseguono: considerato nel suo insieme il movimento del elenco non mi pare affatto qualunquista o di rinuncia. Lacerato sì. Qui non si procede per ragionamenti distesi ma per strappi, a volte paradossi. Si esprime un pensiero che vuole mostrare la fatica del suo farsi, vuole far vedere che si pensa perché si torna a sapere di non sapere, perché non si possiede la verità ma si è avvisati sulla facilità con cui un pensiero acquisito può trasformarsi in menzogna e strumento di dominio.
Questo testo sta in una tradizione formale novecentesca (con radici anteriori) che in casi estremi – secondo me- rischia la fumosità e l’effetto speciale, ma che è stata necessaria e qui, a mio parere, lo è ancora una volta.
Poi i gusti sono gusti.
Ultima cosuccia: forse tu, Temperanza, non li consideri tali, ma la formulazione “grandi studiosi”, mi ha fatto venire in mente Citati e Calasso che non mi pare abbiano avuto con Kafka una mano leggerissima.
neanch’io li considero grandi studiosi…(che bastino i puntini e risparmiamoci gli emoticon!)
Giuseppe Montesano, in ordine di produzione:
A capofitto (Tascabili Mondandori 2003, dopo prima uscita con un piccolo editore)
Nel corpo di Napoli (98, Mondadori) Premio Napoli
Di questa vita menzognera (2003. Feltrinelli) Premio Viareggio
Per capire cosa passi nella mente di un intellettuale napoletano prego tutti di leggerli, se possibile più volte. Dei personaggi di Montesano conservo intatti la disperazione, il disincanto, il nichilismo, l’oralità ferina, la ricerca ossessiva e inutile del vero. Il Tolomeo, Fulcaniello e signora, Cardano, i Negromonte: io con loro mi sfamavo!!
@cara Helena,
infatti non considero grandi studiosi né l’uno né l’altro. Se penso a un grande studioso italiano di Kafka penso a Giuliano Baioni che ha scritto su Kafka due libri fondamentali (do i riferimenti per Emma che giustamente mi ha cazziata: G.B. Kafka. Romanzo e parabola. Feltrinelli 1962 e G.B. Kafka. Letteratura ed ebraismo. Einaudi, 1984).
Quanto a questo pezzo di Montesano – e non a Montesano in generale che non conosco abbastanza per dare un giudizio, come ho fatto notare anche altrove – continuo a vedere tutti i difetti che ho detto e poiché sono curiosa sono andata a vedere il sito e dal sito, pare di capire, lui risponde a una serie di domande. Se così fosse, qui, e prima che qui sul sito, gli è stato fatto un pessimo servizio, assemblando singole risposte senza indicare che erano tali, dal che l’inevitabile farraggine.
Approfitto per dire che spesso i pezzi postati, quando non sono scritti apposta per NI, sono postati senza nessun contesto e questo non fa loro del bene.
Capone, come sono contenta che tu abbia citato i libri di Montesano! Ho terminato da poco Di questa vita menzognera e come dimenticare i Negromonte e tutta la loro teatralità grottesca? Non è Napoli soltanto, è il mondo che viene rappresentato in modo allegorico, è il particolare che si fa universale, la volgarità che si insinua tra le pieghe della vita di tutti in questa corsa farsesca verso la spettacolarizzazione… detto questo, da un intellettuale mi aspetto che abbia anche un’anima per riuscire a cogliere i colori, gli odori e i sapori della vita, non soltanto la capacità di argomentare punto per punto. Spunti di riflessione, non la verità in tasca. Ecco.
E’ come pensavo, alla parola intellettuale ognuno dà il significato che preferisce. Per me va benissimo, ma senza un significato condiviso intendersi è un gran casino.
A modest proposal: perché non rileggere D. Rea, Una vampata di rossore, (oggi in) D. Rea, Opere, Milano, 2005? E scoprire quanto di Montesano, ma sintetico e, deo gratias, bello carnale già c’era in lui? E intanto, lode a Francesco Durante, uomo di lettere e signore d’altri tempi che ha curato quel Meridiano.
Può darsi che la necessità di rispondere a “domande” cui fa cenno Temperanza abbia condizionato parecchio.
Può darsi che la difesa d’ufficio della Costituzione sia ormai un artificio retorico, un argomento buono solo per i discorsi a scatto fisso di Ciampi.
Può darsi che l’art. 3 della Costituzione meriti solo una liquidazione sarcastica.
Può darsi che qualsiasi idea di intellettuale sia solo una prova di ingenuità.
Può darsi che questo pezzo sia figlio di grandi tradizioni del Novecento. Non so – non sono un’esperta.
Mi rimane il quesito: la bella addormentata in posizione fetale è la Costituzione? È Napoli? È il sud? È un’idea di letteratura? È niente?
@Emma
L’ho guardata anch’io con attenzione, credo che sia niente.
Tra l’altro è di Guttuso, fosse stata di Klimt qualche nesso si sarebbe visto, come dice Magda.
@Helena
A proposito, a quale tradizione formale novecentesca (con radici anteriori) ti riferisci? Montesano a parte, sono curiosa di saperlo, mi ero dimenticata di chiedertelo ieri notte.
le piu’ belle nude verità le ho viste al Moma,
i disegni di Klimt…da allora lo vedo dappertutto…
@ Gabriella Fuschini
Sbaglierò, ma se c’è uno che della ricerca del vero si fa beffe questi è Giuseppe Montesano. Ti consiglio in proposito, e vivamente, Nel corpo di Napoli.
@ non belligeranza
anche io ho trovato in Montesano dei rimandi – mai capito se inconsapevoli o voluti – all’opera di Rea. E mi fa paicere aver trovato qualcuno che confermi l’idea. Certo il mondo di Rea è Nofi, un luogo della mente dove abitano i suoni e gli odori e i sapori, sia pure carnali o ferini, della vita (per rifarmi a una pecca dell’autore di Sant’Arpino riscontrata dalla Fuschini). Il corpo di Montesano è invece purulento, trasuda vermi e sopraffazioni, è una Napoli affetta da un’irreversibile illegalità. Ed in quel corpo una ghenga disperata fa il suo viaggio in cerca del vero supremo,l’energia assoluta!
Gentile Carlo, farsi beffe del vero è senz’altro cosa in cui Montesano eccelle. Forse non ha mantenuto le promesse del Corpo di Napoli e non pare illecito nutrire qualche dubbio sulla necessità delle sue scritture al giorno d’oggi. Molto d’accordo, però, e anche se non c’entra, col magnifico richiamo starobinskiano di Temperanza. Non si finirebbe mai di citare Starobinski, tanto varie e ogni volta pertinenti sono le sue intuizioni. Per un blog come NI, La rélation critique dovrebbe essere – ma forse già è – testo di riferimento.
Ciao, Non belligeranza, eccoti qui in nuove vesti, lo so che condividiamo l’amore per Staro, e non solo lui. Condivido quel che dici su Rea, lo sto appunto leggendo anch’io.
Letta oggi sul Corriere apertura assai blanda del La Capria, già a suo tempo omaggiato di generoso Meridiano e, siccome gli amici sono gli amici, pròdigo di lodi al non tanto meritevole Guarini. C’è di buono che persino lui s’è accorto del lavoro di Francesco Durante, che comprende anche una micidiale bibliografia (però per quale ragione un volume di 2mila pagine quasi può uscire senza l’indice dei nomi e con sezioni di livello così spaventosamente inferiore alla sua media, come qui sono il teatro e le poesiole?)
Mi riferivo grosso modo a quel movimento sismico di reciproco avvicinamento per cui il pensiero (filosofico, in primis, ma non solo) cerca forme espressive sempre meno sistematiche, e sempre più letterarie, spurie (frammento, dialogo, aforisma ecc) mentre la letteratura diventa sempre più esplicitamente portarice di pensiero. Ovvio citare Nietzsche e Schopenhauer, vedervi un segnale di apertura ufficiale della crisi (ma non vorrei mai dimenticare, per esempio, il saggio sul teatro di marionette di Kleist ). Ed è sempre da lì , del resto, che parte anche la forte tendenza della filosofia a costruirsi intorno alla letteratura dove la mano del filosofo-interprete non è mai (e non lo è leggittimamente) leggera: Heidegger su Hoelderlin, Benjamin e Adorno su Kafka (Baudelaire va sans dire) e così via.
Fare una lista sarebbe noioso e arbitrario: ci starebbero comunque dentro cose su cui sfido non trovare accordi e entusiasmi unanimi come la Lettera di Lord Chandos e certa filosofia francese anni settanta che io ho spesso in sospetto di fuffa (a volte, però, andando a guardare le carte mi accorgo di sbagliare così come so di non poter togliere a Heidegger la sua importanza sebbene il suo modo di scrivere mi innervosisca). Insomma c’è spazio per gli eccelsi e i meno buoni, i grandi e in piccini.
Sono andata anch’io a vedermi il testo postato sul sito e ho avuto il mio momento di vanità nel vedere che avevo scritto cose molto simili a quelle aggiunte lì. Vanità a parte: molte delle idee che propone senza svilupparle, continuano a colpirmi come spunti per niente banali e la forma o postura stilistica di elargirli mi pare onesta, sentita, perfettamente lecita per quel tipo di intellettuale che è in primo luogo uno scrittore. La pianto qui. però: la mia religione non fa proselitismo.
@Helena
No, non sono d’accordo. Il frammento è una cosa, il todos caballeros un’altra (ma non per far polemica su Montesano, anzi, togliamolo di mezzo e parliamo in generale) .
Quelli che citi sono i testi classici della costruzione del Moderno, ma così ammucchiati non servono a nessuno, non sono UGUALI l’uno all’altro.
Quando dico che la mano dei grandi studiosi (ma Benjamin e Adorno sono “pensatori”, che è altra cosa) non è pesante è perché definendo si interroga e dunque è impossibile ridurla a una formula. Nella formula, nella semplificazione, sta la pesanteur.
Far passare il Processo come una metafora dell’opposizione di Kafka alla legge tout court, quando il suo rapporto con la legge è così complesso e comporta anche il suo rapporto con l’ebraismo, non è a mio avviso una cosa ben fatta. Se bisogna semplificare così, meglio tacere, o trovare esempi meno delicati e che si possano maneggiare con più facilità.
@ancora per Helena e in generale
Ma io pongo sempre e solo una questione di metodo, oddio, metodo è una parola grossa, diciamo di procedure, senza le quali quella citazione di Starobinski che ho riportato più su diventa drammatica.
Non dico infatti che uno vale l’altro, ma che nella grande costruzione del monderno c’è il diamante e il fumo e le infinite sfumature che esistono in mezzo. Dentro a quella cornice ognuno da i propri giudizi di valore al singolo testo, alla riuscita o meno della sua coesione di forma-contenuto (struttrualisti e post – ecc. rabbrividite!)
E capivo bene che con “grandi studiosi” intendevi gli studiosi e non i pensatori.
Bah, studiosi, pensatori, questa cosa sarebbe, un’altra distinzione “fondamentale”? Nel sistema di pensiero (congetturabile) dell’adorabile Temperanza mi sembra di intravedere una grossa difficoltà: sua identificazione del pensiero con il linguaggio. Dire infatti che “scrivere bene” (con precisione, attraverso l’ormai mitico “stile”) equivale a “pensare bene” è secondo me una grossa esagerazione, che conduce dritta dritta alle ubbie della “distinzione”. Quando il significato dipende così strettamente dalla forma, è infatti da considerarsi “estetico” più che concettuale, e che l’estetico sia una forma di conoscenza superiore, piuttosto che un titillamento di sensi interni (oppure, con Eco: “tirocinio della sensibilità e dell’immaginazione, senza pretendere di costituire surrogati orfici della conoscenza”) è cosa assai dubbia. Un modello concettuale autentico sopporterà centinaia di descrizioni o formulazioni malfatte e sgraziate, che potranno essere fatte “convergere” a calci e spintoni verso qualcosa di letterariamente decente senza rompersi per strada, e senza perdere la sua efficacia esplicativa (ma soltanto quella didattica). Invece una confusa affabulazione heideggeriana (dove alla fine “nulla risulta chiaro, ma tutto pare significativo”) non reggerà ovviamente nemmeno alla più delicata e rispettosa delle sintesi, con tutte le conseguenze del caso: “riassumere un discorso che, come dimostra l’attenzione dedicata alla scrittura ed alla stesura, è il risultato di un’intenzione di dare forma al discorso, ricusando in anticipo come “sommario” e “riduttore” qualsiasi riassunto che cerchi di separare il contenuto dalla forma, di ridurre il testo alla sua espressione più semplice, di presentarlo nella sua struttura più elementare, significa infatti negare l’intenzione più di fondo dell’opera, e compiere l’epoché di tutto ciò per cui il testo filosofico si presenta come testo filosofico, cioè del suo “disinteresse”, della sua libertà, e con essi, della sua superiorità, della sua distinzione, del suo distacco da tutti i discorsi “volgari”, con una specie di riduzione trascendentale che nessun critico si è mai sognato di fare. – Indovinate chi l’ha detto?
@ Capone:
forse per essere breve non sono stata chiara. Non trovo affatto che Montesano pecchi di alcunché, al contrario! Quando parlavo di come intendessi un intellettuale intendevo rispondere a Temperanza che infatti fa notare che ognuno dà il significato che preferisce alla parola. Non mi interessa che uno scrittore esprimendo il suo pensiero sul mondo argomenti come in un’aula universitaria: ne ho piene le tasche! Sono una sentimentale, come mi ha detto stamattina qualcuno… voglio vedere la vita tra le righe di chi scrive e in Montesano la vedo, eccome.
Viva la Fuschini e vivano i concetti, uno in particolare, che esprime nel suo commento notturno. I testi da soli non bastano più a nessuno: a completarli, cioè per la verità a risorgerli dal loro sonno di carta, serve il sacrosanto extratesto, la vita fra le righe, sulle righe, oltre le righe. Montesano ce ne mette e, con lo zelo tipico dei volenterosi, finisce in genere sopra le righe. Meglio di lui i suoi maestri, più volte citati in questo thread; meglio certi suoi coetanei o appena più giovani (di tutti, e solo per esempio, Emanuele Trevi quando non parla dei libri d’altri e racconta la sua città e la càna Zara. Ma insomma e comunque, viva chi all’una quasi di notte sta ancora lì a discutere di teoria della narrazione.
che dire deféd? mi sento “leggermente” presa in giro… e se sei chi penso, discuteremo all’infinito su Montesano oltre le righe! :-)
Sorprende il tasso di violenza contenuto in molti dei commenti a questo blog. Peccato, perché alcuni dei temi, anzi quasi tutti, meriterebbero una discussione ampia e articolata: per esempio l’extratesto di cui, se bisogna credere al De Mauro, per primo parlò Contini e, a parte l’intemerata poco sopra, Gabriella Fuschini dà segno evidente di possedere ottima contezza.