Sui roghi
di Andrea Raos
A qualche giorno dalla fine dei disordini (ora, cioè, che si è tornati alla piatta normalità delle circa cento macchine bruciate ogni mese nelle periferie parigine), è ormai chiaro che la trappola orchestrata da Nicolas Sarkozy e dai suoi ha funzionato in pieno. Ci sono cascati tutti: per primi i giovani devastatori, la carne da cannone; ma anche, più di loro, i cosiddetti partiti di opposizione, i movimenti antagonisti, gli scrittori, gli intellettuali; e soprattutto gli obiettivi primi della manovra, ossia i concorrenti interni (nei partiti di destra) di Sarkozy, ed il loro elettorato.
Un passo indietro.
Bisogna sapere che Sarkozy punta alle elezioni presidenziali del 2007. Per questo, le sue priorità sono due: sottrarre voti al Front National – l’estrema destra di Le Pen -, ed alla destra (più o meno) moderata di De Villepin – il candidato ufficiale dell’attuale presidente Chirac.
Gli occorreva dunque frugare da un lato nelle paure irrazionali, quasi inconsce, della psiche sociale francese, quelle in cui pesca Le Pen: gli immigrati, gli arabi, gli integralisti (tutti spettri sostitutivi del mostro fondamentale, ovvero l’Algeria, la sua invasione, la sua guerra, le sue torture); d’altro lato, doveva far leva anche sulle paure razionali, quelle della destra classica – ed insistere dunque su patria, ordine, famiglia, lavoro. Gli antidoti classici che l’ordine morale oppone al disordine sociale, quello che impedisce di farsi i proprî affari ed evadere con comodo le tasse.
Questi disordini sono stati letteralmente inventati, pianificati a tavolino, da Sarkozy e dai suoi collaboratori. Qui è fondamentale seguire la cronologia. Alcuni giorni prima, Sarkozy si era recato in alcune periferie “degradate”, dove aveva fatto in modo di farsi prendere a sassate da qualche testa calda (prezzolata o no, non lo sapremo mai); l’attenzione dei mezzi di informazione (a lui favorevoli o contrarî, poco importa) si concentra su di lui; a quel punto, lancia la famosa frase sul “ripulire la feccia” che è indicata come il fattore scatenante dei giorni di rivolta. Un’azione perfetta, che concentra su di lui tutta l’attenzione del Paese ed obbliga il suo concorrente, De Villepin, a giocare di rimessa (anche se sono convinto che, fra i due, una qualche forma di concertazione preventiva ci sia comunque stata).
Risultati: stato di emergenza, che è tuttora in vigore e che – penso, sperando di sbagliarmi – lo sarà ancora a lungo; restaurazione della “doppia pena” (pena detentiva più espulsione per gli immigrati in situazione irregolare), vero e proprio crimine contro l’umanità, che lo stesso Sarkozy aveva abolito nel corso di una precedente manovra pre-elettorale; e soprattutto un enorme capitale di immagine, da far fruttare nei prossimi mesi, presso gli elettori di destra. L’unico prezzo da pagare, l’ostilità di frange della popolazione (certi abitanti di certe periferie) che, comunque, non dispongono neppure di quel grado zero della politicizzazione che consiste nell’andare almeno a votare (quand’anche siano maggiorenni, perché per la stragrande maggioranza sono invece ragazzini). Rischio zero, dunque.
Tutto questo con due forme di complicità da parte delle sinistre, una passiva ed una attiva. Quella passiva è stata il comportamento di quella manica di imbelli, incapaci e opportunisti che sono gli attuali dirigenti del Partito Socialista francese, da far (quasi) rivalutare i loro omologhi italiani: su due settimane di “eventi”, non sono stati in grado di dire una frase coerente che fosse una (su quali parole si sarebbero dovute dire, ci torno dopo). La complicità attiva è stata invece quella di molti commentatori, scrittori ed intellettuali ostili a Sarkozy e De Villepin che, in totale buona fede, hanno replicato sul presunto contenuto del loro discorso, anziché rifiutarne le premesse – il ricatto – e smontarne una ad una le parole e le immagini.
Una questione di parole ed immagini, dunque.
I mezzi di informazione mondiali sono stati invasi da fotogrammi di giovani maghrebini e africani che distruggevano ed urlavano il loro odio verso tutto e tutti. Particolare insignificante, e passato del resto inosservato: dopo l’ondata di arresti, i primi condannati per gli atti di vandalismo sono stati dei minorenni bianchi, biondi e con gli occhi azzurri, figli di operai, gente a posto, che di fronte ai giudici hanno balbettato di aver lanciato le molotov per “fare come i loro amici”. Quattro anni senza condizionale (Libération del 18 novembre).
Questa rivolta è stata la rivolta di una classe. Più esattamente, la rivolta dei figli di una classe esplosa, lacerata, trasformata – a colpi di manganello e di licenziamenti – in massa gemente ed informe, da usare per i proprî fini e far sparire poi con la prima pioggia. Non certo di una “razza”, o di un colore di pelle.
Ma senza un maghrebino in prima pagina, si vendono molte meno copie.
*
Quali parole usare? Quali immagini mostrare?
Prima ancora di questo, ciò che mi ha esasperato è stato – non certo per la prima volta – vedere i dirigenti delle sinistre e gli intellettuali di spicco – o aspiranti tali – parlare con toni oh quanto solenni di periferie e realtà sociali nelle quali, si capisce alla prima riga, non si sono mai degnati di metter piede. Periferie che invece Sarkozy conosce come le sue tasche, e che difatti manipola con schiacciante facilità.
Beh, io, nel mio piccolo, in quelle periferie ci sono stato. Ho insegnato per tre anni in scuole medie “speciali” (ZEP: Zones d’Éducation Prioritaire). Di quelle un po’ durette, diciamo.
E certo, ho visto quartieri poveri, sventrati, da bombardamento ceceno; quartieri con un tasso di disoccupazione del 70 per cento o giù di lì; quartieri dove il nucleo familiare tipo di certi miei studenti era: padre alcolizzato, madre che batte il marciapiede e fratello maggiore in carcere per spaccio (guarda caso, capitava spesso che il ragazzino fosse un po’ turbolento in classe).
Ma ho visto anche altre cose. Cose, qui voglio insistere più che posso, percentualmente non inferiori alle precedenti. Non parlo di pochi eroi che resistono, ma di quantità considerevoli.
Ho visto scuole in cui i ragazzi sanno perfettamente che, se non fanno troppo i coglioni, possono essere aiutati non solo ad avere un diploma ma anche, concretamente, a trovare lavoro, tramite delle convenzioni scuola-imprese; scuole perfettamente miste dal punto di vista delle origini geografiche, in cui qualunque atto di razzismo viene punito con la massima durezza; scuole in cui qualunque ragazzo, quale che sia il suo colore della pelle, sa, gli viene provato ogni giorno, che dispone di tutti i diritti – e di tutti i doveri, peraltro – di chiunque altro. Licei fatiscenti ma che hanno una convenzione con la Facoltà di Scienze Politiche di Parigi (una delle fucine delle future classi dirigenti), per cui gli allievi meritevoli possono accedervi senza passare dal concorso di selezione che in Francia, lo sanno anche i muri, nei fatti seleziona essenzialmente sulla base dell’origine sociale. Allievi che una volta dentro, superato cioè lo scoglio della busta paga o del paese di origine dei loro genitori, se la cavano benissimo (le statistiche sono inequivocabili).
E potrei continuare.
Ma su queste cose alla sinistra non conviene insistere, perché costano soldi per essere tenute in funzione, senza essere molto proficue in termini di voti. E difatti aveva cominciato a smantellarle prima la sinistra che la destra. Quest’ultima si è limitata a mettere la ciliegina sulla torta quando, di recente, ha riportato di fatto l’obbligo scolastico a 13 anni (il linguaggio burocratico è ovviamente più complesso, ma la sostanza è quella). Un regresso sociale di decenni.
Nelle settimane scorse Sarkozy, con la sua istigazione all’odio sociale, ha anche ottenuto il risultato laterale di azzerare anni di azioni buone, di lavoro concreto e quotidiano, sul miglioramento delle condizioni di vita in certi strati della società. Risultato fortemente cercato e voluto, perché significa delegittimare l’azione della scuola e degli operatori sociali – tutti tradizionale serbatoio di voti della sinistra, cosa che, del resto, la sinistra stessa crede di non avere interesse a ricordare. E disporre così, a breve o medio termine, di una massa – proletaria o borghese, poco importa – accomunata dalle stesse pulsioni primarie (paura, razzismo e via dicendo), rifiutate o combattute da alcuni (sinistra), motivo di vanto per altri (destra), ma che comunque vengono prese come elementi fondanti del discorso, come l’unica cosa di cui è legittimo parlare. Quando invece dovrebbe essere possibile parlare altrimenti, altrove. Parlare ed agire.
Nello stesso spostamento forzato del discorso rientra anche, ultimo tassello, la legge sulla “discriminazione positiva” nei giorni scorsi promulgata, che Sarkozy o chi per lui potrà sventolare quando – dopo Kissinger, tutto è possibile – gli verrà conferito il premio Nobel per la pace. Dopo il danno, la beffa. Leggi apposite esistono già. E non vengono applicate. A chi crede che verrà applicata quest’ultima, consiglio di fare le valigie e trasferirsi su Marte; lì lo sarà, forse, un giorno. Nel frattempo, la “doppia pena”, qui e ora, viene applicata eccome.
E quanto all’Italia…
*
In queste settimane sto scoprendo un libro di Peter Weiss che non so se esiste in italiano, L’estetica della resistenza. Narra la storia della sinistra tedesca dalla fine della Prima Guerra Mondiale, attraverso Weimar e fino al 1945. Un imbuto lungo decenni, una nassa (rubo l’immagine al poeta Laurent Grisel, cui devo anche la scoperta del romanzo di Weiss) che ha somiglianze impressionanti con noi oggi.
E non dico i poveri ed indifesi abitanti delle periferie. Dico noi, che dovremmo pensare, scrivere, parlare ed agire su altre basi, con altre parole, attraverso altri territorî.
Ci saliremo noi, sui roghi.
La prima cosa che mi viene in mente è ringraziare Raos per il pezzo.
Rieccoti, enfin. Una domanda che covo da tempo: “racaille” non sarebbe più giusto tradurlo con “plebaglia”? (che mi pare ancora più trasparente nel suo classismo…)
bene, grosso modo sono perfettamente d’accordo con la tua (è tua?) analisi.
E’ quello che penso fin dall’inizio.
Solo ti chiederei un piacere: se mi puoi dire qualcosa di più sui ragazzini condannati, biondi e con gli occhi azzurri. Dove lo hai letto?
mi interesserebbe l’indicazione precisa.
E’ un particolare che smonta completamente le teorie che vorrebbero vedere gli episodi come atti di guerra del nemico dentro casa.
Bentornato :-)
georgia
Continuo a leggere e anche a salvare i pezzi che trattano questo argomento – qui, in altri blog (per es. quello di Georgia), sui siti dei giornali. L’attenzione però sta diventando selettiva. Mi interessa il discorso immediatamente politico, ma mi interessa ancora di più la questione della scuola e dei modelli di integrazione e selezione.
Ora stampo il pezzo e poi ci torno su con più calma.
(Andrea, bentornato).
pezzo mediocre.
caro Andrea, sono contento che hai messo per iscritto cio’ che già ci avevi anticipato, a tavola, durante una discussione. E la parte più preziosa del tuo intervento credo riguardi proprio la tua diretta esperienza, che vale ben molte analisi al “canocchiale”.
E hai ben ragione a sottolineare come lo stato, sotto le sinistre, fino ad un certo punto ha fatto, e quello che ha fatto non è stato inefficace, anzi, è quella è l’unica direzione possibile. E dare quindi un’immagine catastrofica fa gioco certo alla politica di smantellamento della destra.
Su un’unica cosa non sono pero’ d’accordo. E cioè sull’idea che il signor Sarkozy sia il grande protagonista della sommossa, che abbia lui manipolato tutti quanti come burattini. La ricostruzione che fai lascia fuori un evento fondamentale, cio’ che davvero ha scatenato la rabbia. Rabbia su cui lui ha certo soffiato, come si soffia sul fuoco.
L’evento che non hai ricordato è la morte di due ragazzi, che per sfuggire all’inseguimento della polizia si sono infilati in una centralina dell’alta tensione e sono morti per una scarica elettrica.
A Lille, nel 2001, dopo che un poliziotto uccise un giovane, che guidava una macchina rubata, si scateno’ una rivolta altrettanto violenta, ma che resto’ circoscritta.
Sociologicamente, è un fatto accertato in molte situazione simili: di fronte all’uccisione o alla morte violenta o al pestaggio di qualcuno che è percepito come un “simile”, che fa parte del “noi”, vi è come l’immagine di una soglia varcata, di un’equilibrio di compromesso che si rompe, e piove su di loro, dall’esterno, quel “no future”, che cova sempre come spettro nelle loro vite precarie e incerte.
A Lille, nel 2001, dopo che un poliziotto uccise un giovane, che guidava una macchina rubata, si scateno’ una rivolta altrettanto violenta, ma che resto’ circoscritta.
GEORGIA
Bhe andrea con quel “restò circoscritta” dai completamente ragione all’altro andrea ;-)
Dice in ‘Itto itto’ Edoardo Cacciatore :
“Nella prassi politica si va avanti per approssimazioni. Ci si avvicina sempre di più al momento in cui si procederà alla spartizione della preda”.
Secondo me occorre distinguere i fatti, le loro cause e l’uso politico che se ne fa.
Le società democratiche occidentali sono di fatto rette da governi eletti da minoranze molli e de qualificate, nella cui mente abita la peggiore merda qualunquista e piccolo-borghese (mi scuso per l’uso di quest’ultimo termine, ma non ne ho altri a disposizione).
I governi non li eleggono la destra e la sinistra stabili e consolidate, ma quelli che sono nel mezzo e che si spostano sulla base dei loro interessi/sensazioni, di volta in volta da una parte e dall’altra.
In questo modo in Italia è stato eletto Berlusconi.
E allo stesso modo sarà eletto, se sarà eletto, Prodi.
Insomma, se questa immagine è sostanzialmente esatta ne conseguono una serie di cose.
La prima è che le democrazie occidentali, nel loro attuale stadio evolutivo sono delle peggio-crazie, cioè sono il governo dei peggiori.
La seconda è che osa nota che chi vuol vincere le elezioni politiche deve rivolgersi soprattutto a costoro, a questa massa senza forma e senza storia e senza classe e senza idee, una somma di egoismi preoccupata solo di sé e dei propri interessi immediati, ossessionata dalle proprie paure, priva di senso della civitas, estranea all’idea di bene comune, dedita al culto del successo e di chi ne ha avuto, pronta a tradire chiunque, eccetera.
La terza cosa è che la prima ad essere messa in scacco da questa situazione è proprio la sinistra, perché sa che se vuole vincere deve necessariamente tradirsi (vedi Blair, Fassino, eccetera).
Chiudo rapidamente.
Non conosco bene la situazione francese, ma suppongo che anche lì sia ormai più o meno lo stesso.
Dunque l’analisi di Raos mi appare convincente proprio perché dipinge un Sarkozy, e non solo lui, teso a guadagnare consensi nella grande sacca di pus sociale di cui sopra, quindi con tutto l’interesse ad inasprire, per poi reprimere e punire: quindi in sostanza a fare una politica di provocazione.
La sinistra in una situazione del genere non sa che fare, non è più in grado di apparecchiare contro-narrazioni come storicamente è sempre stata capace di fare. E si adegua.
Leggere dell’esistenza di istituti scolastici “diversi” è un sollievo.
Dopo le immagini della scuola materna bruciata, era diventato obbligatorio pensare a un sistema scolastico finalizzato soltanto a legittimare l’esclusione e la discriminazione, apparato ideologico di stato e null’altro.
Per chi non lo sapesse, in Italia c’è una sorta di equivalente delle ZEP: sono le scuole delle cosiddette “Aree a rischio”, e sono state “pensate” (precedente governo, ministro Berlinguer) guardando proprio alla Francia. Su queste scuole tuttavia in Italia non ci sono “modelli”, non c’è stata una elaborazione teorica o una sperimentazione seria. “Aree a rischio” ed “Aree ad alto flusso migratorio” sono rimaste voci di un articolo del contratto di lavoro del personale della scuola statale. Il problema del “disagio” sociale e scolastico delle “periferie” italiane sembra insomma – nei documenti ufficiali, e soprattutto nelle risorse messe a disposizione dallo stato centrale, che negli ultimi anni non ha fatto nulla, assolutamente nulla, per qualificare e migliorare la condizione operativa delle “Scuole a rischio” – essenzialmente una questione sindacale, ore di straordinario (poche) per i docenti, docenti che di certo “rischiano” di non rimanere indenni dal “disagio”.
Cominciano per la verità ad apparire anche indagini e “rapporti” specifici del MIUR (il Ministero dell’istruzione), sempre attento a coltivare l’“immagine” e gli slogan ad effetto, ma nella legge di Riforma del sistema scolastico (Moratti) e nei provvedimenti applicativi che l’accompagnano manca qualsiasi accenno al “disagio” sociale e scolastico forte, manca ogni accenno a possibili modelli interculturali e alla presenza (ormai stabile e strutturale) degli alunni e degli studenti stranieri, in pochi anni diventati “numeri” non molto diversi da quelli di altri grandi paesi europei (Per chiarire, dati 2004 – Paesi con storia coloniale “pesante”: 5,1% di alunni stranieri in Francia, 4,4% in Spagna. Italia: 4,2%, con punte dell’ 8,4 % in Emilia-Romagna, la regione con la maggior presenza in percentuale, e dell’11,6% a Milano, la grande città con più alunni stranieri. Sono dati riferiti ad alunni – soprattutto bambini e preadolescenti – che non hanno la cittadinanza del paese in cui sono immigrati o nati, sono essenzialmente immigrati di “prima” generazione).
Alcuni link di approfondimento potrebbero essere questi:
http://www.pavonerisorse.to.it/intercultura/default.htm
(dati e considerazioni su Dossier Caritas, Rapporto del Ministero dell’istruzione, educazione interculturale, ecc.)
http://www.eurydice.org/Documents/Mig/it/FrameSet.htm
(indagine della Commissione europea sull’integrazione scolastica dei bambini immigrati in Europa.
C’è anche una versione ridotta, questa:
http://www.eurydice.org/News/Communique/it/PR%20Immigrants_IT.pdf )
Tutto ciò non significa che le scuole e gli insegnanti italiani non si danno da fare. Non è questo, o meglio non è solo questo, il punto.
Quella che sembra latitare è la consapevolezza “politica” dei mutamenti in corso.
O forse la consapevolezza c’è, e allora non sono casuali la continua riduzione delle risorse della scuola pubblica (riduzioni di risorse finanziarie e di personale, queste ultime anche per effetto dell’applicazione della Riforma Moratti) e il crescente sostegno finanziario alle scuole private.
Ci sono in realtà segnali (forti e meno forti) che fanno pensare alla definitiva messa in archivio di ogni modello di emancipazione sociale legato all’istruzione “di massa” (il diritto effettivo allo studio, la cosiddetta “uguaglianza delle opportunità” – non diritti rivoluzionari, semplici diritti di base di ogni seria democrazia liberale) e a una ripresa in grande di modelli privatistici e classisti.
Il fatto è che sembra di avere a che fare con trasformazioni che agiscono nel profondo, trasformazioni che non lasciano “fuori” nessuno, neppure le sinistre.
Ci si augura che un governo di sinistra possa correggere il tiro, almeno in parte, ma non pare un’operazione semplice, né scontata.
Ho letto solo alcune parole: scuola, diversa, insegnanti….mi è venuta la brillante idea di interessarmi della scuola come comitato genitori…non vi dico lo stato disastroso della scula.
addirittura una maestra ha detto “ma non avrete mica bisogno di fare il comitato per interessarvi dei figli !”
se parlo di crimini, di stupri e violenze ho piu’ consenso che quando parlo di PARTECIPAZIONه
Cara Magda, credo sempre meno alla “bontà” come virtù innata di una categoria o di un gruppo sociale.
Quella maestra può darsi abbia torto, può anche darsi abbia detto una mezza verità.
Per quel che mi riguarda, ho *anche* l’esperienza di gruppi (“comitati”) di genitori che a priori non volevano in classe con i loro figli dei bambini stranieri, perché ciò avrebbe “senz’altro rallentato lo svolgimento del programma”.
Alle riunioni con questi genitori (è *anche* il mio lavoro) ci vado ultimamente con i risultati delle prove sulle “competenze” degli alunni inventate dagli ultimi ministeri (di sinistra e di destra): servono a dimostrare che le classi con molti alunni stranieri non portano affatto a prestazioni negative dei bambini italiani.
Innanzitutto grazie a tutte e tutti.
Qualche rapida osservazione:
a Georgia, che mi chiede se l’analisi è mia. In testa al pezzo c’è scritto: “Sui roghi”, di Andrea Raos. Secondo te cosa vuol dire?
La storia dei ragazzini biondi l’ho letta su un giornale (“Libération”), forse una decina di giorni fa. Non credo di avere conservato la copia; prova magari a cercare su http://www.liberation.fr, può darsi che ci sia ancora.
a Inglese. Ripeto per tutti ciò che ti ho già detto al telefono: è ovvio che Sarkozy non ha CERCATO la morte dei due ragazzini; ha più genericamente soffiato sul fuoco, e dopo l’incidente ha deciso di guidare i disordini – che a quel punto sapeva che sarebbero accaduti – a suo vantaggio. E’ la quintessenza della politica spicciola: reagire alle situazioni contingenti per piegarle comunque ai propri fini.
a Emma. Non sapevo che anche in Italia si stesse tentando l’esperimento delle ZEP. E’ interessante che ciò avvenga proprio quando, in Francia, si comincia a constatarne il fallimento, per motivi che condivido. Ma è un discorso troppo lungo e complesso per essere fatto qui. Grazie intanto per i link, leggerò.
a Tashtego. Sono d’accordo con te.
a Helena. Come ti dicevo ieri sera, non ho risposte. Ti ho proposto “marmaglia”, ma io per primo non sono convinto.
Buona domenica,
Emma, l’arretratezza contro cui io combatto è sopratutto quella dei genitori.
Ho in mente una scuola aperta, in cui tutti collaborino verso obiettivi comuni: partecipazione alla collettività e integrazione.
e quale agenzia educativa puo’ farla meglio della scuola?
Un disastro…un disastro…ma sai che qui nel profondo nord il diverso è anche chi viene da un paese limitrofo che parla un’altro dialetto? figurati il resto…i diversamente abili.poi lo scandalo è che si creano progetti, bisogni inesistenti per i finanziamenti….ma poi nessuno li attua realmente e su tutto sovrasta il pietismo della chiesa , che vive tutto come fonte di proselitismi..io adesso fino a quando non vedo realizzato quello che ho in mente…..vado avanti come un mastino…tutto volontariamente a gratis..
sono due settimane che lavoro come una matta.
poi voglio dirti una cosa: c’è un problema grave che è l’identificazione cristallizzata dei ruoli: la maestra è la maestra , la mamma è la mamma..etc etc, in realtà tutto cio’ ad un livello di consapevolezza adeguata è interscambiabile e inesistente…ma io a chi le devo dire queste cose? solo ai formatori ma quando parlo alle mamme devo virare sul gioco e l’interesse personale…la festa di natale e cagate simili.
che fatica essere visionari.
intanto ho fatto 2 blog…
http://www.bloggers.it/genitoriterno
http://www.bloeggers.it/labrete
errore: http://www.bloggers.it/labrete
siamo precisi: per entrare a sciences po c’è un concorso la selezione avviene in base ai risultati non all’origine sociale…
secondo me per i più “racaille” suona “piccolo deliquente” (o forse visti i risultati degli ultimi sondaggi a favore di nicolas sarkozy “piccolo delinquente di altra razza” ?).
in francia è un termine ormai di uso comune – usato anche da chi viene denominato tale (per esempio nelle parole di canzoni rap, nei siti web).
Il problema nella sua complessità, era già da tempo che doveva esplodere. Quando a metà anni ’90 visitai per lavoro le banlieus parigine, chiesi al mio accompagnatore se temessero dei disordini, tanto mi era sembrata una polveriere pronta a scoppiare. La risposta fu un’alzata di spalle, e da lì capii che il problema, per una certa cerchia di persone, non si poneva affatto. Gli abitanti delle banlieus erano “invisibili”. Il problema che si è verificato, non è tanto per le infelici uscite di Sarkozy che, a detta di molti, avrebbe fatto sentire offesi gli abitanti, quanto per una sorta di fuoco che già da decenni covava sotto la cenere. Che Sarkozy cavalchi lo scontento per essere eletto alle presidenziali del 2007 era già appurato da tempo e la figura di De Villepin, di ben altro profilo, s’inquadra solo in una lotta tra vecchi marpioni della destra neogollista francese (De Villepin e l’entourage di Chirac) ed i “rampanti” della nuova generazione (Sarkozy). Da una parte ricordano un fatto analogo che portà De Gaulle a vincere le sue ultime elezioni in Francia. Sotto l’onda della contestazione studentesca del ’68 e di fronte agli scioperi, la destra francese non seppe fare altro che stringersi intorno al vecchio generale. Da una parte Sarkozy ricorda un po’ l’avventura politica di Berlusconi: stesso stile, stessa incapacità di dialogo.
@Magda
1) Innanzitutto mi pare di dover chiarire ciò che ho scritto a proposito delle prove “inventate”.
“Inventate” è un termine equivoco.
Si tratta delle prove “oggettive” obbligatorie riguardanti le “competenze” degli alunni introdotte dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema scolastico (INVALSI). Sono prove molto criticate (giustamente), ma per la scuola in cui lavoro (14% di alunni stranieri) hanno dato risultati tutto sommato positivi: pochi picchi di eccellenza, questo sì, ma anche pochi picchi negativi, molti alunni nella fascia di mezzo, punteggi lievemente superiori alla media provinciale, risultati delle classi con molti alunni stranieri (questo è il dato che mi interessa) in linea con le altre classi.
2) Ho dato un’occhiata ai tuoi blog. Mi sembra ci si respiri un’aria da anni settanta.
Non so.
Mi immagino la maestra che ha pronunciato la frase “infelice”.
La vedo proprio, la vedo alle prese con i bambini, con il tutor, il portfolio, gli OSA, gli ammennicoli vari della Riforma Moratti, le prove INVALSI.
La vedo poi di fronte a questi “strani” genitori, che vogliono la PARTECIPAZIONE 30 anni dopo i Decreti delegati (1974)…
3) Sui ruoli.
Non ho dubbi. L’insegnante deve fare l’insegnante, il genitore deve fare il genitore.
Tra 1 insegnante che sa insegnare (e insegnare a tutti gli alunni) e 1 insegnante che cura la socializzazione con i (o dei) genitori, non ho alcuna difficoltà a scegliere.
Chiariti i “ruoli”, ben venga la collaborazione, ben vengano le serate a tema, gli incontri sulla promozione della lettura dei bambini.
Noto però che l’articolo sulla lettura è quello che ho già criticato.
Spingere i bambini a leggere per aumentare il PIL e per diventare ricchi è sbagliato. Di più: è un’illusione.
Cara Emma,
il clima è da anni 70 perchè li dove vedi siamo negli anni 60.
Io adesso ho una serie di remore e scrupoli.
Vista la situazione dei genitori, su cui emergono le punte che vengono viste un po’ come fanatiche( io) e il resto bene o male uniformato sul’apatia….non so se è meglio prima adottare formazione ed educazione al senso civile e poi di conseguenza anche alla scuola, o se operare delle terapie d’urto sulla consapevolezza collettiva.
Considera che l’aspetto didattico non m’interessa affatto.
Pero’ se all’inzio dell’anno ci fosse maggiore comunicazione sul pof sul programma in generale, uno potrebbe anche individuare delle iniziative extrascolastiche che sposino il programma e che anzi lo valorizzino.
poi penso anche che quando esiste il bisogno di avanzamento e progresso, un po’ di pionierismo non fa male.
Adesso mi fai pensare ad un’altra possibilità: sarebbe sufficente produrre del materiale inerente alle esperienze analoghe sviluppate negli anni 80 per esempio a Milano e provincia o da altre parti….forse non è necessario fare questi percorsi obbligati..forse si potrebbe saltare direttamente alle formule innovative.
Anche sulla partecipazione dei genitori nella scuola…il livello culturale attuale è limitato alla festa, in realtà sarebbe bello individuare collaborazioni diversificate e adeguate….mi rendo conto che il clima è molto concitato e complesso e non so se è meglio lasciare tutto com’è o proprio perchè ora è cosi, operare ora dei cambiamenti.
Vivi la formazione come prestazione consulenziale o proprio didattica?
Emma: lo so quella è una cosa che a detto il medico e che io ho dovuto riportare per la cronaca…….
Si… “racaille” è più traducibile come “marmaglia” … “plebaglia” non è per niente apropriato.
Per me l’ipotesi dello sfruttamento dell’accaduto per fini elettorali ha un pò il fiato corto: le elezioni sono ancora troppo in là, e Sarko ha rischiato, con le sue mosse da sceriffo, di fare la fine del fusibile… auspicata da molti nel suo stesso partito :.)
Magda, capisco la tua voglia di partecipazione e le generose intenzioni del tuo comitato-genitori, ma francamente non ho esperienze originali da raccontare.
Ci sono genitori che tengono laboratori creativi, altri che curano le biblioteche, altri che organizzano le feste e le giornate di giochi sportivi. Ci sono genitori che “recitano” per gli altri genitori e per i figli. Ci sono gli incontri e le discussioni, con gli esperti e senza. Ci sono le iniziative di solidarietà…
In realtà mi sembra che la partecipazione dei genitori sia sempre più scarsa, che l’individualismo sia un dato di fatto, se non proprio una scelta, che i “tempi” della vita e del lavoro condizionino tutti, che il legame “tra” genitori sia molto labile, che questo legame troppo spesso si rinsaldi solo in vista di un “nemico” comune, che ciò che conta è il “proprio” figlio, che i presenti siano sempre gli stessi, che i più presenti siano in molti casi alla ricerca di ragioni per sé più che per la scuola…
Ogni tanto penso anche che la scuola non può occuparsi di tutto, che non ce la fa, che non può per esempio occuparsi sul serio del “benessere” dei genitori, che deve fare delle scelte. E se deve scegliere è bene che si occupi di fare la cosa fondamentale: insegnare, possibilmente bene e con risultati dignitosi per tutti.
Concordo
Si è vero quello che dici.
Mi accontenterei che i genitori facessero le cose banali che descrivi, se non altro perchè possano sperimentare lo stare insieme agli altri sotto una qualche forma.
Tra quelle che s’impegnano esistono coloro che lo fanno per esibizionismo, frustrazione, interesse, proselitismo, spirito caritatevole ipocrita.
Personalmente dialogo trasversalmente a dei livelli di comprensione accettabile sia con docenti, genitori, formatori, che hanno già un grado di consapevolezza civile evoluto.
Quindi non si parla tanto dell’operatività, ma ci si confronta su modelli educativi, si valutano le applicazioni storiche e quali limiti o vantaggi hanno avuto.
Un po’ quello che fate qui sui temi della letteratura.
Mi piacerebbe innescare modi diversi del convivere. tutto qui. Perchè l’indifferenza mi spaventa.
Del resto la scuola è un ecosistema che riflette su piccola scala la società, con la varietà di eccellenze e abberrazioni, che purtroppo non possiamo scegliere ne’ eliminare.
Penso che anche per le insegnanti non sia gratificante non vedere riconosciuti i loro meriti, i loro sforzi.
Certo io lo faccio anche per me, nel senso che vivere in una scuola migliore alla fine è un mio interesse.Magari pensassero tutti questo:
Pensare al benessere di se’ come benessere collettivo e viceversa.
quasi un’equazione.
Quando vedrò dei minimi cambiamenti corali e positivi almeno in questo piccolissimo ambito circostritto….cambierò argomento :-)
Grazie ragazze
Magda
Cara Marlène, tu dici:
“siamo precisi: per entrare a sciences po c’è un concorso la selezione avviene in base ai risultati non all’origine sociale…”
Certo che si seleziona sulla base dei risultati; il problema è che i risultati, soprattutto nel caso delle Grandes Ecoles, dipendono dall’origine sociale. Perché per accedere alle “classes préparatoires” (le classi speciali che, in alcuni licei, appunto preparano al concorso di ammissione alle università più prestigiose) devi essere in un liceo prestigioso, e per entrare nei licei prestigiosi devi avere buoni voti, e per avere buoni voti devi venire da una scuola media prestigiosa… e via così fino all’asilo nido. Tutto ciò si svolge in un ristretto perimetro intorno al centro città, o in poche selezionatissime periferie. Cioè a dire che l’origine sociale conta eccome.
Questo è particolarmente vero per le materie umanistiche (in cui includo scienze politiche), perché sono materie in cui lo “stile”, la “postura”, sono essenziali. Sembra che un discorso a parte vada fatto per le materie scientifiche, per le quali (ad esempio a Mines o Polytechnique) mi dicono che la selezione sia operata su basi più sane.
All’Ecole Normale Supérieure di rue d’Ulm il problema sta assumendo proporzioni serie: il concorso è fatto in modo tale che, se uno ha fatto tutti gli studî in scuole “buone”, riesce a passarlo quasi solo assumendo la giusta “postura”, scrivendo con uno stile “come si deve”. Che è l’esatto contrario della vera originalità. E difatti da alcuni anni constatano che il livello sta scendendo; cercano di rimediarvi in parte facilitando l’accesso agli studenti stranieri (e quindi è, in fondo, lo stesso principio che ha portato Sciences Po ad ammettere gli studenti delle periferie senza concorso), ma c’è anche chi ha pensato di abolire proprio il concorso (poi non è stato fatto).
Ciao,
François, non sono d’accordo con te su Sarkozy che ha rischiato di fare la fine del fusibile; non hai visto com’è schizzato in alto nei sondaggi? Ormai è diventato intoccabile.
E poi, il terreno per un’elezione presidenziale non lo prepari certo una settimana prima… Ci stanno già lavorando tutti, non solo lui.
Una prova empirica: prima delle rivolte, nei giornali si discuteva delle sue possibilità di successo al primo turno; da dopo le rivolte, si è passati a discettare su chi sarà il suo rivale al secondo.
Ha corso un rischio, certo, ma molto calcolato – e comunque, i fatti gli hanno dato ragione, ahinoi.
Non so se può servire Andrea però come dice Michea nel suo Insegnamento dell’ignoranza, ed. Metauro,
” Persino Antoine Prost ha finito per riconoscere che «le riforme, volendo assicurare le pari opportunità, hanno invece ottenuto il risultato contrario» (L’enseignement s’est-il démocratisé?, 1992). Per esempio, la percentuale di insegnanti di origine popolare all’ENA, l’ENS e l’X è passata dal 15,4% per il 1966-1970 ( prima del 68, nda) al 7% per il 1989-1993.”
effeffe
Nota
L’Ena, Scuola nazionale d’amministrazione- classe politica
ENS, scuola normale superiore- classe intellettuale
X, il politecnico- classe dirigenziale
cui si aggiungono molte altre Grandes Ecoles di cui parlava Andrea Raos
Dimenticavo
bel pezzo Andrea, complimenti
effeffe
Sempre per le ragazze e anche per me:
Giorgio Gaber come testamento ai bambini.
Non per nulla la canzone è stata usata al suo funerale, per sua volontà.
peccato che all’Abbazia di Chiaravalle c’era anche Silvio….(i body guards non hanno sentito quello che gli ho detto..)
http://it.wikipedia.org/wiki/Non_insegnate_ai_bambini
Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.
Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l’unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.
Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto, al teatro
alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un’antica speranza.
Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all’amore il resto è niente.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Giro giro tondo cambia il mondo.
GIORGIO GABER
Grazie Francé. Non ricordo in che colonna di commenti lo dicevi, ma “chiaviche” per tradurre “racaille” mi sembra perfetto.
Francesco Forlani (ore 15,52 del 29 novembre): “Non so se può servire Andrea però come dice Michea nel suo Insegnamento dell’ignoranza, ed. Metauro…”
Dipende da come viene usato l’argomento. È da almeno un quarantennio che si insiste (soprattutto a destra) sugli effetti “perversi” delle riforme democratiche.
L’argomento è stato ampiamente “accolto” e dibattuto anche a sinistra, e naturalmente ci sono ottime ragioni per trattarlo da “buon” argomento sia a destra sia a sinistra.
Il fatto è che un sistema scolastico di massa non serve solo a selezionare i “migliori” o la classe dirigente. Anzi, forse questa funzione si sta riducendo. Anzi, forse questa funzione non è mai stata davvero “essenziale” (è interessante sapere che Temperanza e Tash hanno frequentato scuole private…).
Un sistema scolastico di massa serve soprattutto ad includere, ad integrare, ad “alfabetizzare” le masse che storicamente sono state lasciate fuori dalla cosiddetta “cultura”, o – se si preferisce – serve a preparare una forza lavoro più “qualificata” e più flessibile (e ultimamente sappiamo quanto “flessibile”).
Pur con gravissime carenze (ma si dovevano scontare ritardi pesantissimi rispetto ad altri paesi europei; soprattutto differenze interne inimmaginabili altrove, differenze peraltro ancora molto forti – quelle tra nord e sud, tra città e campagna, differenze di cui si discute anche in moltissimi post di NI…), il sistema scolastico italiano – dal dopoguerra in poi, e in particolare dagli anni ’60 in poi – ha comunque portato a un innalzamento del livello medio di scolarizzazione, e dunque, in qualche modo, a un allargamento delle possibilità di accesso alla cosiddetta “cultura” (ancora virgolette, sì).
Chi qui dentro ha genitori (o nonni) operai o contadini sa cosa intendo.
Dunque ben vengano la prudenza e la mancanza di “illusioni”, ben vengano il “rigore” e il livello “alto” che suppongo auspichi Michea, ma per favore si stia attenti a non fare dell’argomento “Grandes Ecoles” un ulteriore argomento per la difesa dello statu quo, per il taglio dello stato sociale, per la riduzione ai minimi termini degli investimenti nell’istruzione.
…istruzione *pubblica*.
…appunto
effeffe
ps
però ragioniamo sulla cosa. Orwell si definiva anarchico conservatore.
Gli anarchici conservatori mi sembrano una gran bella cosa. Un ossimoro perfetto. Un intellettuale anarchico conservatore può benissimo continuare il suo “mestiere” di intellettuale e starsene a guardare un po’ sprezzante la massa di chi è costretto a lavorare “manualmente”.
Preferisco Gramsci.
Gramsci e Orwell fanno squadra insieme nel libro di Michea (l’insegnamento dell’ignoranza)
effeffe
da Christopher Lasch
La culture de masse est défendue à partir de l’idée qu’elle a permis de faire accéder chacun à un éventail de choix autrefois réservé aux plus riches. La confusion entre démocratie et libre circulation des biens de consommation est si profonde que toute protestation contre l’industrialisation de la culture est automatiquement perçue comme une protestation contre la démocratie elle-même. Alors que le marketing de masse, dans le domaine culturel comme ailleurs, n’augmente pas, mais réduit les possibilités de choix des consommateurs. La culture de masse, homogénéisée, des sociétés modernes n’engendre nullement une ” mentalité ” éclairée et indépendante, mais au contraire la passivité intellectuelle, la confusion et l’amnésie collective. Ce pseudo pluralisme culturel appauvrit l’idée même de culture et ignore le lien intrinsèque existant entre liberté intellectuelle et liberté politique.
Une culture vraiment moderne ne répudie pas les schémas traditionnels. La gauche doit donc réviser ses idées sur ce qui fait accéder les hommes à la modernité.
Be’, che ci piaccia o meno, esiste una radicata tradizione di “anarchici di destra”. Non è mica una roba espemporanea di Orwell.
Niente da obbiettare alle parole di Lasch, ma banalizzo: non mi è chiara la “soluzione”.
Cultura di massa e scolarizzazione di massa sono proprio la stessa cosa? C’è comunque una sovrapposizione senza scampo?
L’“accesso” all’istruzione di massa “istituzionalizzata” non vale più niente?
Descolarizzazione?
Solo “cultura” fuori dalle istituzioni?
Sui limiti e sui rischi della cultura di massa mi pare che la Scuola di Francoforte abbia già detto tutto o quasi.
Di analisi mi pare ce ne siano molte.
Non per avere a tutti i costi una ricetta, ma il problema alla fine è comunque il “che fare”.
Buttare via l’acqua col bambino dentro?
@Gianni
Anarchico conservatore non sta per anarchico di destra, ma proprio di sinistra.
@Emma
Vorrei provare a risponderti a parole mie e prendendo il tempo (magari anche un bicchiere di vino) ma forse vale la pena riprendere alcuni passaggi tratti da
L’insegnamento dell’ignoranza, di Jean CLaude Michea:
Anticapitalismo e conservatorismo
«Quel che ci spinge a ritornare indietro è tanto umano e necessario quanto quello che ci spinge ad andare avanti».
Pier Paolo Pasolini
Se è vero che la critica dell’ideale del Secolo dei Lumi è una condizione necessaria – come pensava già Adorno – per qualsiasi critica del Capitale, non bisogna tuttavia privare completamente di significato le nozioni di Progresso o di Civiltà universale. «I migliori tratti delle civiltà – scriveva Marcel Mauss – diventeranno proprietà comune di gruppi sociali sempre più numerosi» e «questa nozione di fondo comune, di acquisizione generale delle società e delle civiltà […] corrisponde, a nostro avviso, alla nozione di Civiltà». Tale movimento non implica comunque – come aggiunge subito dopo Mauss – la necessaria scomparsa dei «sapori locali». In realtà, molti altri complicati dibattiti sulle dialettiche dell’universale e del particolare, o della modernità e della tradizione, avrebbero potuto forse essere considerevolmente abbreviati o persino evitati, se si fosse tenuto conto, nella giusta misura, della frase dalla precisione infinitesimale dello scrittore portoghese Miguel Torga: «l’universale è il locale, meno i muri».
Questa proposizione significa che una comunità umana progredisce e si civilizza non quando distrugge o abbandona ciò che la caratterizza (per esempio la lingua o l’accento) bensì ogni volta che riesce ad aprirsi ad altri gruppi, cioè a sostituire, nei suoi rapporti con questi, il disprezzo e la violenza iniziale con diverse modalità di scambio simbolico. È sicuramente inevitabile che questa iscrizione nelle dialettiche complesse della reciprocità porti poco a poco ogni comunità a lasciare da parte tutto ciò che – nei modi, fino ad allora consueti, di vivere e di sentire – si oppone, per principio, al riconoscimento reciproco dei soggetti. In altri termini, a tutto quello che, nella propria cultura – tenendo conto del gioco e dello scherzo- non può essere universalizzato senza contraddizioni. Ma questi progressi legittimi dell’universalità – nella misura in cui essi conservano come base proprio quelle particolarità storiche e culturali durature, che sono la condizione stessa dello scambio simbolico – non hanno granché in comune con quella uniformizzazione accelerata del pianeta operata dal mercato capitalista, uniformizzazione la cui visione turistica del mondo e il cui pseudo-cosmopolitismo dello show-biz e della classe d’affari rappresentano una traduzione allo stesso tempo grottesca e patetica.
caro andrea
negli anni ottanta mia zia e mia sorella hanno studiato a sciences po entrambi “provinciales” (= non parigine), con origini sociali atipiche, provenienti da licei non prestigiosi e con voti – senza togliere loro merito! – nemmeno eccellenti e così le amiche di mia sorella che hanno genitori operai e/o immigrati.
mia sorella dice che erano una minoranza ma il concorso lo permetteva (a studenti “seri” e “preparati” ovviamente).
(all’epoca c’erano borse di studio).
sempre mia sorella dice che una parte della selezione avviene con il meccanismo che hai descritto ma anche più semplicemente per il fatto che per tentare il concorso bisogna essere a conoscenza dell’esistenza della scuola: si torna alle origini sociali ma per una via un po’ diversa…
@Francesco Forlani
Ecco, la mia attenzione va su questo: sull’esigenza di riconoscere che l’illuminismo non è solo orrore.
Quanto ai “sapori locali”: sì sono necessari. Ma se penso a chi se ne fa portavoce in Italia, qui e ora, e per quali “ragioni”, mi viene da inneggiare senz’altro all’universalismo.
Scusa Emma, a parte la lega a chi pensi?
effeffe
Forse tu stai pensando (per es.) a Cofferati. Io non ci avevo pensato.
Ma è sicuro che il clima generale non è per niente universalista.
“scrivendo con uno stile “come si deve”. Che è l’esatto contrario della vera originalità.”
sì comunque – e non c’entra più tanto con l’oggetto del tuo scritto… – l’éducation nationale in francia almeno fino a pochi anni fa non puntava allo sviluppo dell’originalità degli studenti/alunni.
“bravi” erano quelli “scolastici” chi faceva cose interessanti e meno “come si deve” in genere non veniva né incoraggiato né premiato.
la scuola negli anni ottanta e novanta era sostanzialmente repressiva.
la repressione mi sembra una tendenza naturale in francia.
chissà se voi migranti avvertite questo tratto di carattere?!
Cara Marlène,
la repressione credo sia un tratto presente ovunque. I migranti la percepiscono forte, ed è forse per questo che sono migranti.