E’ bello non morire
un microracconto di Elena Stancanelli
Grazie alla legge che dice che si muore
Ho smesso di fumare.
In dieci giorni sono ingrassata sette chili.
Ma quando diventerà obbligatorio dimagrire, mi metterò a dieta.
Gli uomini dovrebbero fare in fretta le leggi.
Perché secondo me
E’ bello non morire.
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ma la presunzione più grande, in questa faccenda dei postaggi di questi testi mignon, sta, secondo me, nella definizone che sorrentino si ostina a dare loro di “microracconti”, la presunzione e ambizione, cioè, di marchiare come roba letteraria queste cose, e per certi versi fa anche bene, sorrentino, a fare un’operazione del genere, ma dovrebbe avere il coraggio di andare fino in fondo e vedere cosa c’è al fondo di questa smania di dare definizioni da letterati per sentirsi in un mondo significativissimo dove la letteratura, e quindi definizioni come quella di “microracconto”, abbia ancora un senso
Meglio l’apologia dell’orrore, del ribrezzo, del kitch, dell’escremento, del dolore, ma celebrare l’anonimia è svilente.
kitsch, si scrive kitsch.
il microracconto troppo bello finora è soltanto quello di giordano tedoldi.
la forma microracconto è una bella idea. ma funziona soltanto quando il microracconto riesce a macroraccontare una bella idea.
Sono d’accordo che chiamarli micro-racconti è quanto meno impreciso.
Tutti quelli che ho letto sin qui sono, o brutti, o mal riusciti.
È roba molto difficile da fare, immagino.
Servirebbe anche una definizione di micro-racconto.
Che però di sicuro non verrà.
verbaminiata, minilogo, minitelo, microtelo, e-log, ketchup, Pi-Greco, bonsai, azeta, barrique, carrillon, codex, nanotelo, sintomo, grumo, atomo, pillola.
quanta ottusaggine, mammamia, e io in mezzo…
e tu bilancia con dette acute osservazioni
astroni.
.
Caro Tashtego, più che una definizione (che mi sembra già autoevidente nella parola stessa) può essere interessante provare a scavare un po’ nella tradizione – non nutritissima ma di livello piuttosto alto – del genere. Io butto lì qualche nome, e ne aspetto altri da altri : Saba, Monterroso, Gadda, Brown, Max Aub… chi altro vi viene in mente?
sappiamo della tradizione, sorrentino, e tuttavia occorre definire e ri-definire incessantemento ogni cosa a prescindere dai vari principi di autorità che nel frattempo si sono sedimentati sulle cose, i temi, le tecniche & le poetiche.
dunque, prima domanda: cos’è un racconto?
seconda domanda: cos’è di conseguenza un micro-racconto?
messa così l’auto-evidenza della parola stessa non è più così lampante.
o no?
No, tashtego. A me interessa più il discorso sulla tradizione, e mi piacerebbe portarlo avanti senza deviare verso la teoria della letteratura. Mi interessa vedere cosa c’è stato prima – se c’è stato qualcosa, ovvio. Lascio volentieri a lei le definizioni e le ri-definizioni incessanti, infinite…restando un punto fermo l’autoevidenza della parola microracconto.
Un saluto e grazie per la lettura e i commenti.
è evidente, tash, perché a sorrentino interessa la tradizione e l’autoevidenza della definizione “microracconto”: egli cerca soltanto un’autorevolezza (tradizione) e un nome d’autore, del resto non gli frega quasi nulla, mi pare di capire fin dal primo post che ha fatto di queste cose mignon, che si fregiano soltanto di un millantato credito, di niente altro – perché se voleva andare fino in fondo, avrebbe dovuto mettere in discussione un po’ tutto, a comincaire dai “nomi d’autore” di quelli che gli hanno inviato queste cose mignon, ma, ovvio, non è questo che il sorrentino rincorre, e ci mancherebbe – ahi, me misero e tapino! in tanta ottusaggine sperduto…
ed è singolare che mentre tu, tash, riprendi argomentazioni e lessico deleuziano per criticare l’autoritarismo autorevole rincorso da sorrentino, qui in nazioneindiana, da un’altra parte, si postino appunto testi di delezue… il dubbio confusione-caos-casino circa il tipo di idee che circolano qui dentro è legittimo, mi pare…
credo che il micro-racconto si basi sulla presenza di almeno una svolta narrativa.
credo dunque che sia una cosa narrata, che dentro debba esserci una vicenda, sia pure declinata in estrema sintesi.
in un micro-racc, ogni elemento di descrizione tende a scomparire?
non so.
so che la svolta narrativa deve essere significativa, pena l’inutilità del micro-racc.
so anche che il micro-racconto della stancanelli (scrittrice che apprezzo molto) non può dirsi tale, essendo solo una riflessione sullo smettere di fumare con finale arguto.
Il messaggio dell’Imperatore, di Kafka, può dirsi un micro-racconto?
perché mi dai del lei, oh sorrentino?
astroni, non ho mai letto una sola riga di deleuze.
non averlo letto nonmsignifica non poter dire le sue stesse cose
Tash, sei tanto fico che sei nato imparato :-)
uno serio serio dice una cosa e subito lo prendono per il c.
ulo.
Però l’altra sera a tarda notte mi sintonizzo su raitre e becco un video confuso, nebbioso, in cui un tizio che sembrerebbe Deleuze, ma sulle prime non si capisce bene, fa lezione in francese ad un gruppo di studenti che dall’aspetto sembrano appartenere ad altre ere geologiche, rispetto alla presente.
Tutti attentissimi, mentre lui va avanti col suo discorso complesso che gira e rigira su se stesso senza darsi conclusioni ma piuttosto aprendosi sempre di più in quelli che sembrano giri concentrici, o piuttosto un andamento a spirale.
Lunghe pause, un andare ogni tanto alla lavagna e poi sedersi di nuovo, la mano sul mento, un gestire che sembra studiato, tutti fumano, momenti di ironia tagliente, nessuna concessione a nessuno di quegli ascoltatori (e alle loro rare domande) completamente affascinati, intimiditi, direi soggiogati.
Decido che quella specie di ombra è Deleuze, anche perché cita in continuazione Guattari, decido di restare alzato a sentirmela tutta la lezione, senza capirne una virgola, o quasi.
e se li chiamassimo la narrativa in piccola mignotteria?
Tashtego, era solo per buona educazione il lei! :-)
un saluto
Caro Piero,
io della tradizione del micro-racconto non so dirti nulla. Però, se per micro-racconto intendiamo un concetto (narrativo, filosofico, estetico, morale e quant’altro) espresso in poche parole, allora tutti gli scrittori hanno prodotto dei micro-racconti. Non si chiamano micro-racconti, forse sono detti aforismi, massime, sentenze; Wilde deve averne prodotti a migliaia, ne ho letti di nuovi anche sulle bottiglie di plastica del chinotto.
Adesso, accostamenti a parte, che un racconto sia breve, brevissimo, o lungo normale (cosa poi vorrà dire normale?), se c’è un messaggio, una storia (ma il difficile è anche saperla leggere una storia in tre righe, mica solo saperla scrivere), dicevo, se esiste un senso, quale che sia, allora perchè non dovrebbe essere letteratura anche un micro-racconto?
Quanto agli scrittori che abbiamo letto fino ad ora, mi pare che siano personalità importanti nel campo letterario, e a questo punto sarei curiosa di sapere il signor Astroni cosa legge, anzi non cosa, ma chi legge.
Personalmente quello di De Silva mi fa sorridere perchè è nel suo stile di narratore, e mi ha incuriosito molto il raccontino di Montanari.
Io lo vorrei sapere perchè dio vuole uccidere quell’uomo.
laura, ascoltami bene: delle “personalità” a me non me ne frega niente, io non leggo “persone”, ma “testi” – è qui il cortocircuito, se sei in grado di coglierlo
elena stancanelli è quella dell’isola dei famosi?
@ Giorgio Astroni: grazie (per la risposta a Laura).
Provo una “definizione” di microracconto: quello vero, da tramandare ai posteri e insegnare nelle scuole, è una salutare “pausa di silenzio” tra pensiero e pensiero: la capacità, innata nei “grandi” (e difficilmente li trovi nelle antologie, questi), di lasciare a riposo la penna quando “nonhaiuncazzodascrivereodadire”. Questo vale per la Stancanelli (altrove brava, e spesso), così come per il primo pirla che senza aver mai letto una pagina azzarda i deserti di un foglio credendosi un esperto navigante.
@Laura: Dio uccide (quel)l’uomo nel raccontino di Raul Montanari perché Raul Montanari in molto meno di duecentocinquanta caratteri spazi inclusi ha saputo mettere in scena la riflessione che dopo la vita non c’è niente. Che Dio esista come ratificatore, ragioniere, della morte terrena, e basta.
@Astroni, Magda: i testi vanno letti, ascoltati, fatti parlare. Loro. Anche se imperfetti, anche se non tengono la strada come potrebbero nella svolta. Perché non ne scrivete uno voi? E se dice più di questi, bene. Meglio.
@Costa, mi sto allenando, ma il difficile, per quel che sento io, è inventarsi delle parole-concetto, delle metaparole, che riassumano in uno spazio ristretto, quello che tu dovresti dire in un libro.
i testi non devono essere dei tagli sul pensiero, ma delle forme simboliche totali di questo, per questo a volte dicono a volte no, perchè sono rappresentativi o meno di forme piu’ allargate.
mi immagino la frustrazione di questa stancanelli, che ha detto qualcosa, senza che nessuno rispondesse a quel che ha detto, o ne dicesse nulla.
innanzitutto mi pare che si è espressa con una calcolata elementarità e impassibilità di notevole efficacia
sul rispondere…quel che dice è sicuramente stimolante: le leggi producono anima, producono psiche (per il fatto stesso di essere espressi in poesia, i suoi sentimenti acquisiscono uno statuto di verità). o sviluppando il concetto, è inutile fingersi (trovo molto più scaltra questa tesi che quella a seguire di emilio villa) una volontà contrapposta alla legge, un’anima, un’io trascendentale, un’indole o dei sentimenti che non siano appunto sentiti da qualche altra parte: è il linguaggio, è la legge che ci determina…credo che si potrebbe discutere un bel po’ su questo…e anche sull’aspetto tecnico-normativo della questione…