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Guy Debord 2

Questa è la seconda rata di Guy Debord, La società dello spettacolo. Come ho già detto la presento come commento a Pasolini e non per forzare una stretta analogia che non esiste, ma perché si intraveda un filo che comunque li connette. Tutti i corsivi sono rigorosamente nell’originale.

10. Il concetto di spettacolo unifica e spiega una grande diversità di fenomeni apparenti. Le loro diversità e i loro contrasti sono le apparenze di questa apparenza organizzata socialmente, che deve essere essa stessa riconosciuta nella sua verità generale. Considerato secondo i suoi propri termini, lo spettacolo è l’affermazione dell’apparenza e l’affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come mera apparenza. Ma la critica che raggiunge la verità dello spettacolo lo scopre come la negazione visibile della vita; come una negazione della vita che è divenuta visibile.

11. Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue funzioni, e le forze che tendono alla sua dissoluzione, bisogna distinguere artificialmente degli dementi inseparabili. Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso dello spettacolare, in quanto si passa sul terreno metodologico di questa società che si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è nient’altro che il senso della pratica totale di una formazione economico-sociale, il suo impiego del tempo. È il momento storico che ci contiene.

12. Lo spettacolo si presenta come un’enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso non dice niente di più di questo, che «ciò che appare è buono, ciò che è buono appare». L’attitudine che esso esige per principio è questa accettazione passiva, che ha di fatto già ottenuto con il suo modo di apparire senza repliche, con il suo monopolio dell’apparenza.

13. Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono al tempo stesso il suo scopo. Esso è il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna. Esso copre l’intera superficie del mondo e si bagna indefinitamente alla propria gloria.

14. La società che riposa sull’industria moderna non è fortuitamente o superficialmente spettacolare. è fondamentalmente spettacolista. Nello spettacolo, immagine dell’economia imperante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole riuscire a nient’altro che a se stesso.

15. In quanto indispensabile ornamentazione degli oggetti attualmente prodotti, in quanto esposizione generale della razionalità del sistema, e in quanto settore economico avanzato che foggia direttamente una moltitudine crescente di oggetti-immagine, lo spettacolo è la principale produzione della società attuale.

16. Lo spettacolo si sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi. Esso non è che l’economia sviluppantesi per se stessa. È il riflesso fedele della produzione delle cose, e l’ oggettivazione infedele dei produttori.

17. La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale aveva determinato nella definizione di ogni realizzazione umana un’evidente degradazione deIl’essere in avere. La fase presente dell’occupazione tota1e della vita sociale da parte dei risultati accumulati dell’economia conduce a uno slittamento generalizzato dell’avere nell’apparire, da cui ogni «avere» effettivo deve trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima. Nello stesso tempo, ogni realtà individuale è divenuta sociale, direttamente dipendente dalla potenza sociale, modellata da questa. Se le è permesso di apparire, è soltanto in ciò che essa non è.

18. Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico. Lo spettacolo, come tendenza a far vedere per il tramite di diverse mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente coglibile, trova naturalmente nella vista il senso umano privilegiato che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto, e più mistificabi1e, corrisponde all’astrazione generalizzata della società attuale. Ma lo spettacolo non è identificabile al semplice sguardo, sia pure combinato con l’ascolto. È ciò che sfugge all’attività degli uomini, alla riconsiderazione e alla correzione. della loro opera. È il contrario del dialogo. Ovunque vi è rappresentazione indipendente, lo spettacolo si ricostituisce.

19. Lo spettacolo è l’erede di tutta la debolezza del progetto filosofico occidentale, che fu pure una comprensione dell’attività, dominata dalle categorie del vedere; così come si fonda sull’incessante spiegamento della razionalità tecnica precisa che è uscita da questo pensiero. Esso non realizza la filosofia, filosofizza la realtà. È la vita concreta di tutti che si è degradata in universo speculativo.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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