Nazione Indiana in sciopero
Nazione Indiana aderisce allo sciopero del 14 ottobre contro i tagli al Fondo Unico dello Spettacolo
Oggi 14 ottobre cinema, set cinematografici, allestimenti e prove teatrali, musei e gallerie d’arte resteranno chiusi in tutta Italia per protestare contro il taglio del 40% alla cultura previsto dalla finanziaria 2006. I luoghi canonici del “fare cultura”, insieme a quelli più recenti e irregolari principalmente diffusi in rete, hanno deciso di fermarsi per un’intera giornata e, in questo modo, hanno scelto di evidenziare lo stato di mortificazione della cultura in Italia.
In un pacchetto di provvedimenti che prevede riduzioni che vanno dai costi di gestione delle auto blu agli stipendi dei parlamentari, i 464 milioni di euro del Fus (Fondo unico per lo spettacolo) stanziati nel 2005 verrebbero “tagliati” nel 2006 a 300.
Ma non è tutto. Vengono eliminate anche le quote Lotto destinate al settore e i trasferimenti agli enti locali.
5000 aziende direttamente legate al settore cultura e spettacolo sono in questo modo a rischio, così come circa 60 mila posti di lavoro sui 200 mila di chi opera in questo contesto.
Per farsi un’idea ancora più precisa di che cosa questo voglia dire è sufficiente considerare con attenzione le seguenti proiezioni, relative solamente all’ambito cinema: il Festival di Venezia passerebbe dagli attuali 5,6 a 2 milioni di euro; il CSC (Centro Sperimentale di Cinematografia) da 11 a 5 milioni; il Fondo alla produzione da 33 a 12; il Fondo per i cinema d’essai da 2,7 a 1 milione; il Fondo per la promozione da 11,5 a 4,5 milioni.
Si tenga anche presente che la finanziaria 2006 non interviene su una situazione preesistente florida e nel corso del tempo valorizzata, e quindi in grado, in questa occasione, di cavarsela.
L’Italia mette a disposizione della cultura solo lo 0,2 per cento del Pil. Il Portogallo lo 0,9 per cento, la Francia l’1,3.
Siamo gli ultimi in Europa.
Per giustificare questa manovra il governo si appella alla retorica dei sacrifici comuni e inevitabili, e rimanda la soluzione al problema, o almeno un lenitivo, a un eventuale maxiemendamento che contenga le perdite.
Partendo dall’idea che fare cultura in Italia – una cultura che sia rischio, azzardo, messa in torsione del senso comune e perforamento di spazi ritenuti inaccessibili – significa prima di tutto confrontarsi con una possibilità concreta di espressione, pensiamo che tagliare i fondi corrisponda tout court con il togliere la parola. E togliere la parola significa ridurre drammaticamente la risorsa del contraddittorio. Che è, da sempre, una condizione di civiltà.
In quanto blog collettivo che attraverso l’impegno di chi scrive e di chi legge tenta quotidianamente di generare cultura, Nazione Indiana ha deciso di unirsi a questa giornata di protesta e di “dimostrare”.
E abbiamo deciso di farlo nei modi che ci sono più fisiologici e immediati.
Attraverso la parola. O meglio attraverso la sua negazione. Illustrando, in una serie di brani più o meno noti della letteratura internazionale, che cosa possa voler dire tagliare/togliere la parola.
Per tutta la giornata di domani, quindi, oltre ad astenerci dalla pubblicazione dei nostri interventi, proporremo soltanto testi accuratamente mutilati, mancanti, sfigurati, appunto “mortificati”, coperti da un frego e parzialmente irriconoscibili.
La forma di questi testi sintetizza quale sia il rischio reale che stiamo correndo, la sua dimensione grottesca e la sua inaccettabilità. Racconta il destino di irriconoscibilità della cultura in Italia.
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Ah che sara’ che sara’
che vanno sospirando nelle alcove
che vanno sussurrando in versi e strofe
che vanno combinando in fondo al buio
che gira nelle teste e nelle parole
che accende candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni
e grida nei mercati che con certezza
sta nella natura nella bellezza
quel che non ha ragione ne mai ce l’avra’
quel che non ha rimedio ne mai ce l’avra’
quel che non ha misura.
Ah che sara’ che sara’
che vive nell’idea di questi amanti
che cantano i poeti piu’ deliranti
che giurano i profeti ubriacati
che sta sul cammino dei mutilati
e nella fantasia degli infelici
che sta nel dai e dai delle meretrici
nel piano derelitto dei bambini
ah che sara’ che sara’
quel che non ha decenza ne mai ce l’avra’
quel che non ha censura ne mai ce l’avra’
quel che non ha ragione.
Ah che sara’ che sara’
che tutti i loro avvisi non potranno evitare
che tutte le risate andranno a sfidare
che tutte le campane andranno a cantare
e tutti i figli insieme a consacrare
e tutti i figli insieme a purificare
e i nostri destini ad incontrare
perfino il Padre Eterno da cosi’ lontano
guardando quell’inferno dovra’ benedire
quel che non ha governo ne mai ce l’avra’
quel che non ha vergogna ne mai ce l’avra’
quel che non ha giudizio.
Ah che sara’ che sara’
quel che non ha governo ne mai ce l’avra’
quel che non ha vergogna ne mai ce l’avra’
quel che non ha giudizio.
Ha che sara’ che sara’
quel che non ha governo ne mai ce l’avra’
quel che non ha vergogna ne mai ce l’avra’
quel che non ha giudizio
Balle! In tempi di vacche magre (ma poi sono davvero tali, con un incremento della produzione industriale del 6,1% e il Pil in ripresa dello 0,7% contro il 3% dell’UE?) bisogna stringere tutti la cinghia. Alcuni contributi allo spettacolo, e mi riferisco in particolare al cinema, sono non solo esagerati, ma anche utilizzati assai male. Molti film sponsorizzati con centinaia di milioni poi incassano somme irrisorie. Quindi: prima si dimostri di fare davvero cose che meritano il sostegno pubblico, vale a dire di tutti i cittadini che pagano le tasse, e poi si potrà anche protestare se i fondi vengono ridotti. Non se ne può più di questo andazzo di protestare sempre per tutto, senza darne una spiegazione convincente.
za’
Io, in quanto cittadino che paga le tasse, protesto affinché i miei soldi che ora vengono usati per guerre e filiali della chiesa cattolica e spese di ordine pubblico per partite di calcio e stipendi ad agenti violenti e a politici corrotti, vengano destinati al welfare e al sostegno dell’arte.
Io voglio vivere in un paese civile.
aderisco alla vostra intelligente protesta e ne diffonderò il più possibile i contenuti