Dialogo di Giacomo Sartori con la traduttrice Nathalie Bauer
[questo dialogo è apparso anche in “vibrisse“.]
GS Per il tuo lavoro di scout – spesso sei tu stessa che proponi i testi alle case editrici francesi – leggi da anni un numero molto grande di romanzi italiani, una massa enorme (o almeno questa è la mia impressione) se paragonata ai testi che sembrano leggere molti critici italiani. E comunque senza alcuna prevenzione e al di fuori di qualsiasi rete di relazioni o di favori incrociati. Potresti dire in due parole, non ti chiedo naturalmente di fare una mappa dettagliata o con una qualsivoglia pretesa di completezza, come ti appare questa grande “produzione” che ti passa per le mani?
NB L’impressione generale è quella di una sovrabbondanza di testi, all’interno della quale le autentiche opere letterarie fanno una tremenda fatica a emergere, visto che sono in genere travolte dagli imponenti dispositivi che le case editrici costruiscono attorno a personaggi celebri in tutt’altro dominio (per es. Faletti), o cavalcando delle polemiche (come è successo ultimamente con il romanzo di Alessandro Piperno), o sulla base di montature di taglio pubblicitario, come fu il caso dei « cannibali ». È difficile orientarsi nell’edizione italiana, dove la ricerca del “colpaccio editoriale” sembra avere il sopravvento. Il risultato di questa politica è che autori buoni e autori pessimi, vere opere letterarie e testi commerciali si ritrovano nella stessa editrice, o anche nella stessa collana, il che impedisce al lettore di utilizzare il marchio della collana come una garanzia di qualità. Per queste ragioni lo scout, se vuole scovare le “perle rare”, non può percorrere i canali tradizionali, ma deve pescare qua e là, sfruttando il passa parola. Ma naturalmente la ricerca a tutti i costi del grosso successo di vendite vale anche per la maggior parte delle case editrici francesi. Qui le garanzie di qualità si trovano in particolare nelle collane di narrativa straniera – per esempio la collana Feux Croisés dell’editore Plon, diretta da Ivan Nabokov. Ma da qualche anno c’è in Francia un grandissimo interesse per le piccole case editrici, fenomeno che in Italia mi sembra molto più timido.
GS Ti sembra, senza entrare nel discorso delle operazioni di marketing, che in realtà stanno diventano sempre più pesanti anche in Francia – vedi l’ultimo libro di Houellebecq – che nella narrativa italiana, vista appunto dal di fuori, emerga qualche carattere peculiare?
NB Una caratteristica tipicamente italiana è l’enfasi messa sui giovani autori. Mi sembra che un gran numero di giovani scrittori sono stati sfruttati dalle case editrici, le quali hanno fatto credere loro che era possibile scrivere senza un savoir faire letterario, senza una cultura letteraria, o semplicemente senza aver qualcosa da dire. Diventati alla moda questi autori sono stati spinti a pubblicare, con dei risultati che, come era logico, non hanno potuto che – con qualche eccezione – essere sempre meno interessanti. Questa è una tendenza che non esiste in Francia – solo alcuni giovani provenienti dalla periferia parigina hanno avuto un certo successo questi ultimi anni – e che faccio fatica a capire, perché è completamente deleteria. Forse gli adolescenti e i giovani adulti comprano più libri in Italia che in Francia, non lo so.
GS Tu le leggi le recensioni sulla stampa italiana, e soprattutto ti sono utili per il tuo lavoro di scout?
NB Seguo la stampa italiana, ma solamente a titolo indicativo, perché il mestiere di critico letterario, in Italia come in Francia, mi sembra in parte “inquinato” dagli interessi che una parte dei critici stessi hanno in comune con le case editrici, i quotidiani e le riviste.
GS Davvero ti pare che non ci siano differenze tra Italia e Francia, in questo campo? A me personalmente sembra che, nel complesso, e senza sottovalutare la micidiale potenza dei grossi gruppi editoriali, la critica giornalistica sia molto più indipendente in Francia. Prova ne sia che romanzi di case editrici anche minuscole possono arrivare su settimanali ad altissima diffusione, tanto per fare un esempio. Ma soprattutto in Francia è impensabile che testi completamente privi di qualsiasi qualità letteraria, facciano l’unanimità del dibattito letterario sui giornali.
NB Come ho già detto, è indubbio che in Francia le piccole case editrici beneficiano ormai di un vivo interesse da parte di giornalisti e lettori. Va tenuto conto che una quindicina di anni fa Michel Pollack ha inaugurato la figura del giornalista scopritore di talenti, che se ne frega della tendenza generale, per mettere in luce opere di cui nessuno parla. Ma purtroppo questo non riguarda – purtroppo – che qualche individuo, e qualche volta finisce per essere una sorta di snobismo. Per il resto esiste una sorta di parisianisme, dal quale è molto difficile prescindere: dei legami tra giornalisti, editori e autori parigini che formano una sorta di cenacolo. Si ha quindi una grande massa di articoli su dei libri pseudoletterari e tutto sommato senza grande interesse, per ognuno dei quali l’autore, l’editore e alcuni giornalisti sono professionalmente o affettivamente legati. C’è poi una tendenza sgradevole dei critici francesi a hurler avec les loups, vale a dire a s’accordarsi sullo stesso giudizio senza osare fare polemica, e senza uscire dai sentieri battuti. A ogni rentrée littéraire, in settembre, resta quindi ben poco spazio per gli altri testi di narrativa (circa 600!), tanto più che c’è poi una seconda rentrée littéraire in gennaio, quasi con altrettanti titoli. Questa sovrabbondanza di testi è un’assurdità dell’edizione francese, che mi sembra anch’essa suicida.
GS Molti noti critici italiani sostengono da anni che nella narrativa nazionale contemporanea non c’è nulla che valga qualcosa, e che dopo i grandi maestri del dopoguerra non c’è stato un ricambio. Sei d’accordo?
NB Questa condanna di tutta la produzione attuale è a mio avviso sbagliata. La generazione degli scrittori tra i 40 e i 50 anni conta dei buoni – o anche ottimi – autori, che hanno un vero progetto letterario; è il caso per esempio di certi scrittori del Meridione. E comunque il giudizio che la critica porta sui contemporanei è secondo me sfalsata, o deformata, da un’assenza di prospettiva. Certi scrittori che io considero dei classici sono stati ingiustamente ignorati per molti anni da una buona parte della critica italiana. È il caso di Mario Soldati, la cui opera completa non è ancora stata pubblicata (qualche anno fa non si trovavano più le sue opere in commercio), di Giovanni Arpino (si è dovuto aspettare fino a quest’anno perché si cominci a ripubblicare i suoi libri), o di Natalia Ginzburg, la quale, pur avendo scritto uno dei più bei romanzi italiani del XX secolo – Tutti i nostri ieri – non è secondo me apprezzata per il suo giusto valore.
GS Molti testi recenti che in Italia hanno venduto moltissimo, in Francia hanno avuto poco successo, e viceversa. Ti sembra che ci sia qualche regola?
NB Non c’è un’equivalenza sistematica, sul piano del successo in libreria, tra i due paesi. Se il bestseller della Mazzantini e i due primi romanzi di Baricco hanno venduto un grande numero di copie, altri, come per esempio Jack Frusciante è uscito dal gruppo, o Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, sono andati male. Al di là dei numeri di vendita, Erri De Luca e Antonio Tabucchi sono considerati due scrittori dai quali non si può prescindere, il che, almeno per De Luca, non succede nel suo paese.
GS Quali ti sembrano in particolare i romanzi italiani che sono difficilmente “esportabili”?
NB In generale appunto la narrativa detta “giovane” mi sembra difficilmente esportabile, perché si basa su fenomeni di moda e su codici di vario tipo, i quali non hanno equivalente in un altro paese. Ma non bisogna dimenticare che il successo di un libro non dipende, purtroppo, solamente dal suo valore, ma anche dal lavoro della casa editrice che lo pubblica, cosa che rende le vendite un criterio molto relativo. In Francia c’è stata una vera e propria moda degli italiani negli anni ottanta, dopo il successo del Nome della rosa di Eco e in occasione del Salon du Livre dedicato all’Italia. Si è allora tradotto e pubblicato senza molto discernimento, e ne è risultato un sentimento di confusione sia tra gli editori che tra i lettori, e spesso una delusione di entrambi. Da cui forse l’attuale ripiego, e la tendenza a fidarsi più volentieri dei numeri delle vendite.
GS Qualche mese fa il responsabile per i gialli del supplemento dei libri di Le Monde ha scritto, in un breve ma significativo trafiletto, che ormai dopo i gialli anglosassoni vengono – per importanza – quelli italiani. In Italia molti lamentano invece un eccesso di produzione di gialli e di noir. Tu come la vedi?
NB Certo la produzione di noir può sembrare eccessiva, ma questo corrisponde all’evoluzione della domanda e a una moda in tutto il mondo. In Italia gli autori hanno seguito la scia di Camilleri, usando e abusando del genere, ma la produzione è nel suo insieme di buona qualità. Si è formata una vera e propria scuola, che s’è servita del noir per abbordare temi più vasti, ma pronta però a prendere le distanze dal genere. È il caso di Fois, che nessuno può più considerare un autore di noir, ma che è a tutti gli effetti uno scrittore di talento, e che è un po’ il simbolo della vitalità di questa scuola.
Singolare questa intervista. Il cappello introduttivo promette chissà quali rivelazioni, ma alla fine l’interlocutrice (furba?) non riesce (???!!!) a fare nemmeno un nome che ella ritenga significativo nel panorama delle nuove lettere italiane (a parte De Luca e Tabucchi, nomi scontati e “vecchi”, e a parte i “classici” Soldati, etc). Non mi soffermo sul riferimento – veramente ridicolo – a “certi scrittori del Meridione”, che nessuno riuscirà mai a immaginare chi siano, ovviamente. Insomma, tanto fumo e niente arrosto. Un’intervista veramente molto “corretta”, non c’è che dire.
Ah già, è vero, perché Fois mica è uno scrittore, è un miserabile giallista…
;-)
(comunque, è vero, qualche nome in più non avrebbe fatto male. Ma l’intervista mi pare dia comunque indicazioni preziose)
Auguri a Fois, ma se solo a lui arriva e finisce la letteratura italiana, c’è poco da stare allegri.
Nathalie Bauer dice che Tabucchi e Fois sono i due scrittori contemporanei considerati in Francia i più importanti: non dice in alcun modo che sono i più importanti; è un’informazione – che direi chiunque potrebbe confermare – e che appunto, a chi si chiede come è recepita all’estero la narrativa italiana, può forse interessare; è la constatazione di una situazione di fatto, non un giudizio personale;
e appunto, io volutamente non ho chiesto a Nathalie B. di esprimere le proprie preferenze facendo dei nomi, a proposito di nomi, perchè non volevo fermarmi alle sue opinioni personali; Fois e Tabucchi: certo se si considera importanti solo loro ci devono essere dei motivi, in parte “francesi” e in parte anche “italiani”, e personalmente la cosa mi sembra piuttosto interessante, interessante e soprattutto rivelatrice, molto più di quanto potrebbe esserlo la lista degli autori che Nathalie B. predilige;
e comunque
quello delle liste mi sembra un bruttissimo vizio – proprio per il carattere categorico/inappellabile/necessariamente incompleto/sempre riduttivo e eccessivamente semplificatorio, e ingiusto/e anche insopportabilmente pretenzioso (in realtà districarsi in una qualsiasi narrativa contemporanea che si rispetti è sempre maledettamente difficile), delle liste stesse – già anche troppo praticato dai nostri quotidiani: lasciamo che facciano le liste loro, vi supplico.
A volte i nomi sono utili, altroché! Perché è assurdo andare avanti a esprimere considerazioni superficiali e generalissime come fa la Bauer su tutto e su tutti (“scrittori del Meridione”, “narrativa giovane”, eccetera), facendo alla fine un gran calderone. Meglio i nomi, a questo punto, certo!
le cose che Nathalie B. non mi sembrano affatto superficiali, e nemmeno tanto generalissime, anche se lo spazio era necessariamente molto ridotto; gli stranieri, essendo stranieri, ragionano da stranieri; magari conoscono meno le cose (non è il caso assolutamente di Nathalie B., se il tema è la narrativa italiana contemporanea e del 900), ma hanno uno sguardo DIVERSO;
non si può pretendere che ragionino come noi; anche proprio per il fatto dei nomi, fra l’altro: noi italiani siamo abituati a ragionare sempre in termini di schieramenti e di parrocchie (scrittori di sinistra e di destra, buoni e cattivi… io personalmente – mi ripeto – mi ci trovo molto male). L’interesse di ascoltare chi parla da “fuori” sta proprio nella diversità di approccio/sguardo.
E poi, a proposito di nomi, Nathalie B. in Francia è un NOME, quando si parla di narrativa italiana.
Sono d’accordo con Marra, e mi dispiace per questo inutile cimento di Sartori, che come scrittore è decisamente più interessante.
Ecco, Sartori, la tua cacciata finale dimostra semplicemente che sei TU che hai in testa i NOMI quando parli di letteratura. Così come li ha in testa la Bauer, evidentemente, che parla a vanvera, o perlomeno fa dei gran casini, e ha più di qualche problema ad esprimerli, com’è ovvio. Che poi lei stessa sia un NOME, be’, cosa dire: mi dispiace per lei se si è ridotta così.
Va bene, Marra, ma adesso non scaldiamoci troppo! A parte il difetto di superficialità, che condivido, non mi pare che il pezzo meriti di essere addirittura disprezzato. Si fanno cose buone e altre meno buone, tutto qui.
Sartori, prima o poi sarei curioso di interpellarti e magari proporti una critica su certe soluzioni tematiche di “Anatomia della battaglia”, che ho apprezzato quest’estate. Keep in touch.
Scusa, Zangrando, ma tu cosa fai, l’arbitro? Lascia pure che si scaldi chi annusa il gelo del nulla!
No che non faccio l’arbitro, ho solo il vizio della misura.
Perciò: tanto di cappello alla tua tempra, e tanti saluti.
Zangrando, a giugno avevo postato in NI un dialogo fra me e Sartori proprio a proposito di “Anatomia”. L’hai letto? Lo segnalo per le risposte di Giacomo, non certo per le mie domande.
Sono contento di non essere il solo a pensare che è un libro formidabile. In realtà, lo pensano tutti quelli che lo hanno letto – solo che appunto, non l’hanno letto poi in tanti… Come al solito, si è sempre più condannati a fare discorsi di distribuzione e promozione che di letteratura vera e propria (“vera e propria” – che non significa “pura”).
Grazie Andrea, ho trovato il dialogo solo pochi giorni fa – a giugno ero carico di lavoro e disertavo la rete spesso e volentieri. Ne riparliamo con calma alla prima occasione.
Zangrando, se vuoi scrivere qualcosa su Sartori (e ti interessa che appaia in NI) me lo puoi spedire a ndriacambria@hotmail.com .
A me non va proprio giù che un libro come “Anatomia” cada nel vuoto, quindi pensavo di ripubblicare il vecchio dialogo, nel tentativo di ricentrare l’attenzione dei lettori. Ma se si puo’ mettere qualcosa di nuovo è senz’altro meglio.
Un saluto,