Sulla forma paranoica 2

Di Slavoj Žižek

(Il brano non è altro che un’estrapolazione da un discorso di Žižek sul concetto di “atto politico”. Esso però individua uno dei punti di interesse fondamentali per riflettere sulla “forma paranoica” al di là della dimensione patologica puramente individuale, e restando in bilico tra forma puramente estetica e modello interpretativo del reale. A. I.)

“Tutti conosciamo il cliché per cui le teorie cospirative sono l’ideologia dei poveracci: quando le persone non sono in grado di elaborare mappe cognitive e non hanno le risorse per trovare il proprio posto nella società, inventano teorie cospirative che forniscono un surrogato di quelle mappe, spiegando tutte le complicazioni della vita sociale come risultati di una cospirazione occulta.

Tuttavia, come sottolinea Fredric Jameson, questo rifiuto ideologico non è sufficiente: nell’odierno capitalismo globalizzato siamo tutti alla prese con “cospirazioni” reali. Per esempio, la distruzione della rete del trasporto pubblico di Los Angeles, nel 1950, non fu l’espressione di qualche “logica oggettiva del capitale”, ma il risultato di un’esplicita “cospirazione” tra case automobilistiche, ditte di costruzioni stradali e agenzie pubbliche, e lo stesso avviene per molte “tendenze” dello sviluppo urbano contemporaneo.

Il rifiuto della dimensione ideologica “paranoica” delle teorie del complotto (l’invenzione di un misterioso e potente Padrone, e così via) non ci deve far dimenticare che “cospirazioni” reali sono in corso ogni momento. Oggi, l’ideologia fondamentale potrebbe essere l’autocompiacimento rifiuto critico-ideologico di tutte le cospirazioni in quanto pure fantasie. Per tornare ai Soliti sospetti [il film di Bryan Singer]: la peggiore lettura ideologica del film sarebbe interpretarlo come l’affermazione dell’ideologia della testualità universalizzata (“Non c’è alcuna realtà, solo una serie di storie contingenti su noi stessi che raccontiamo a noi stessi”).”

Da Iraq. Il paiolo in prestito, Cortina, Milano 2004, p. 88.

*

(È in questa direzione che va letta la mia affermazione paradossale sull’inevitabilità della forma paranoica nel pensiero dell’oppresso e di una sua valenza comunque “positiva”. Ciò non per produrre un elogio della paranoia razziale o di classe, ma per resistere al discredito cui ogni emergenza della “forma paranoica” va incontro, aprioristicamente. Liquidare sempre e comunque ogni sospetto di male radicale e occulto, di manipolazione e complotto, come pura espressione di patologia individuale o ideologica, mi sembra oggi, come sostiene Žižek (e non solo lui), una rinuncia alla lucidità. C’è sempre, infatti, una fase più o meno ampia tra l’accettazione ignara di una menzogna e il momento in cui è possibile esibire le prove che menzogna c’è stata. Tra il momento in cui un Pietro Valpreda finisce in prima pagina e il momento in cui “Gladio” diviene realtà storica accertata, c’è una fase di “ragionevole” sospetto. Ma “ragionevole” per chi? Chi, allora, non sospettava, riteneva irragionevoli e paranoici i sospetti della sinistra extraparlamentare. A I)

Print Friendly, PDF & Email

39 Commenti

  1. Sono d’accordo con te Andrea, tanto più che nelle strategie dell’impero – ma forse si dovrebbe parlare di tattiche- i termini chiave sono tutti leggibili in quella prospettiva. Si pensi ad attacco “preventivo” o allo stesso ” Vigliamo insieme” che veniva ripetuto dagli altoparlanti del metrò parigino durante gli attentati del 95. Nell’edizione scorsa delle olimpiadi di Atene, un terzo del budget, che poi credo corrispondesse al PIL dello stato greco o giù di lì è stato investito nella sicurezza. I neocons del resto da una decina d’anni per le proprie campagne elettorali battono il chiodo della sicurezza, profittando del sentimento di insicurezza che mina gli equilibri delle città.
    All’ideologia del sospetto che sembra fare la fortuna di un nuovo stato di polizia (non quella di stato ma delle compagnie private, para militari, eerciti di ventura, esattamente come in Iraq) e che sostituisce il progetto di soluzione del problema “terrorismo” a monte con una militarizzazione degli effetti, bloccare i terroristi e non il terrore, cosa opporremo?
    Il problema non è la verità ma come comunicarla
    effeffe

  2. NI mi sollecita et stimola, dunque difficile astenermi, sia dall’entrare qui, sia dall’intervenire.
    Me ne scuso con gli utenti.
    Sono d’accordo con Slavoj Žižek: non il Padrone, ma più genericamente i padroni, intesi in senso ampio come il potere economico – che considero l’unica vera forma di potere determinante per le nostre vite – tesse continuamente la tela della modificazione del mondo, il Nostro Mondo, a proprio vantaggio.
    In questo senso la forma paranoica, la pratica del sospetto è, non solo necessaria ma indispensabile per farsi un’idea anche solo approssimativa di chi, e come, ci guadagna in ogni cosa che “accade”.
    Perché è certo che sempre qualcuno ci guadagna, così com’è certo che ciascuno di noi viene formattato e convinto sin dall’infanzia, da scuola, preti e famiglia, ad acconsentire, sorvolare, eccetera.
    Aggiungo, en passant e qualora interessasse, che il marxismo servirebbe proprio a superare la forma paranoica, per inscrivere ciò che accade in un quadro analitico plausibile, da costruirsi giorno per giorno.
    Certamente il capitale, internazionale e non, non ha un Piano, ma è più ragionevole supporre che abbia MOLTI PIANI continuamente modificati e aggiornati che cerca in tutti i modi di farci adottare, molto spesso riuscendoci, cioè di trasformarli da piani occulti, elaborati da pochi, in piani o leggi (o guerre) palesi, approvate alla luce del sole.
    Eccetera.
    È l’ultima affermazione di Žižek che mi lascia perplesso: il fatto che siamo in grado di “percepire” la realtà solo attraverso la sua narrazione, non significa che la realtà e il suo accadere non esistano, significa solo che occorre che qualcuno (o noi stessi) le “trascriva”, ma anche la trascrizione più fedele è una forma di narrazione.
    La forma paranoica è contro-narrativa, cioè ri-narra fatti già narrati in un altro modo.
    Lo fa in modo immediato e coinvolgente, ma andante e meno efficace e preciso, anche se più appassionante e misterico, di quanto non faccia un’analisi coi contro-cazzi, che invece abbisogna di lavoro, dati attendibili, attenzione, verifica, eccetera.
    Mi fermo, interdetto.

  3. sto seguendo in modo discontinuo la conversazione sulla “forma paranoica” e mi dispiace davvero, perchè il soggetto è di quelli tosti, e gli interventi sono all’altezza. detto questo, però, una nota la voglio mettere anch’io e cioè fare un parallelo tra la forma paranoica e la forma dell’enumerazione, rifacendomi anche al pezzo di baraka.
    in un’età in cui l’esperienza principale mi sembra essere quella di ordini incompleti di dati, la cui incompletezza non può che generare la paranoia, una delle risposte “formali” che vedo molto diffusa è la giustapposizione di pezzi di testo irrelati, specialmente nei modi della lista, del catalogo, etc.. questa cosa, per di più, la vedo in “aree” separate, senza un’esplicita tradizione comune. facendo dell’antropologia culturale un po’ alla buona, mi piacerebbe dire che nell’era della globalizzazione (con l’immensa esposizione di merci a cui si è ridotto il mondo) l’elenco fornisce una specie di linguaggio in grado di duplicare questa esposizione e farcene in qualche modo padroni, superando le derive della paranoia, appunto.
    buona continuazione.

  4. Ma nessuno di voi è preoccupato, allarmato, sconvolto, paranoico per quello che ha fatto Yahoo? c’è un giornalista che si farà dieci anni di galera in Cina solo perché ha mandato per mail a un suo conoscente cinese in america uno dei periodici avvisi del governo cinese a non rievocare Tienanmen e il secondo lo ha pubblicato su internet. Shi tao usava la posta elettronica di Yahoo e Yahoo ha passato la sua mail alla polizia cinese.
    Spero che chi usa Yahoo cambi almeno gestore

    @Gherardo Bortolotti
    Non ho capito bene, puoi essere un po’ più chiaro?

  5. le mail sono controllate o controllabili come tutto il resto, e cioè telefoni, telefonini, nel senso che non credo esistano zone franche. ma bisognerebbe chiederlo a jan che tra l’altro è un esperto di questioni informatiche. a me sarebbe piaciuto realizzare un film utilizzando solo le telecamere all’uscita dei negozi, delle banche, oppure in certi punti della città tipo incroci od altro, e poi i circuiti chiusi all’interno delle metropolitane o nei supermarket. Percè forse proprio quelle immagini cosi’ sfocate ci danno un’idea della cecità in cui viviamo. Chissà che un giorno come ho letto da qualche parte non si mettano degli abbonamenti “existenz” per cui se non paghi le tasse o una contravvenzione, come per le paytv avrai davanti agli occhi al posto della vita uno schermo ronzante e buio .
    effeffe
    ps
    i delatori…

  6. Sì, effeffe, ma quando tutto è controllato niente è controllato e tirare per la manica la polizia cinese perché non le sfugga, beh, è un’aiuto che yahoo poteva fare a meno di dare. Se c’è una democrazia possibile forse ormai è proprio quella dei consumatori.

  7. @ Effeffe
    tu prima hai citato un incontro in cui “ad uno del pubblico che voleva zittirlo – Calvino denunciava i misfatti della dittatura di Franco in Spagna, in una libreria di Roma- lo scrittore rispondeva urlando che “quel regime era un insulto non alla sinistra o alla destra ma all’umanità”.
    Anche questo lo è, e soprattutto perché i proprietari, gli azionisti, i manager delle grandi compagnie si nascondono nel grigiore impersonale delle decisioni planetarie con la loro apparente irresponsabilità. Se come cittadini possiamo votare alcune persone, come consumatori possiamo toccare il portafoglio e la faccia, che per i cinesi vale, e spero anche per Yahoo.
    Non sempre si sa cosa c’è dietro quello che compriamo, ma quando lo scopriamo non possiamo stare zitti, io penso. Nestè ha dovuto fare marcia in dietro, perché yahoo no?

  8. per prima cosa dovremmo non usare più le carte di credito. A me le mie ci ha pensato la banca a polverizzarle. A ogni fine mese mi ricordo consultavo gli estratti conto ed avevo l’impressione che qualcuno- un oscuro biografo- compilasse il mio diario.
    C’era il giorno, l’ora – quella in cui avevo finito di pranzare o di cenare- il ristorante, il quartiere e la città dov’ero, per non parlare delle librerie o altro. Sull’ultimo consumatore, quello che di fatto decidendo di non avere progenie si spara tutto il capitale accumulato da tre e passa generazioni ha scritto mirabilmente Sloterdijk, credo in , Essai d’intoxication volontaire: Conversation avec Carlos Oliveira
    éd. Calmann- Lévy, 1999.

    http://www.petersloterdijk.net/ – 2k

    comunque a proposito del nostro internauta cinese
    que faire?

  9. Vedete, e poi la smetterò, per ora, è questo che mi lascia tanto scettica sul discorso politico che si intreccia alla letteratura, sulla letteratura civile, per intenderci. La letteratura civile in qualche modo mi sembra depotenziata perché spesso si limita all’ espressione verbale, soddisfa le nostre pulsioni di giustizia sociale, ci fa sentire dalla parte giusta, ma poi, in concreto, spesso non dico sempre, ma spesso, si ferma lì. E allora io chiedo alla poesia e alla letteratura la ricerca di un’eccellenza del linguaggio, la ricerca della precisione, della parola giusta perché precisa, non giusta perché è bella, e non perché mi voglio ritirare nella torre d’avorio leggendo opere perfette. La parola precisa non è una questione soltanto di stile, è un lavoro di pulizia mentale, di coerenza intellettuale.
    Vorrei avere più tempo per dire tutto questo meglio di come lo sto dicendo e in modo più efficace, ma non ce l’ho. Il discorso sulla paranoia ha molto a che fare con questo, il rischio è che finisca per restare soltanto discorso, in qualche modo frustrato e frustrante.
    Scusatemi per questa serie di verbosi interventi, tacerò per un po’.

  10. “Il rifiuto della dimensione ideologica “paranoica” delle teorie del complotto (l’invenzione di un misterioso e potente Padrone, e così via) non ci deve far dimenticare che “cospirazioni” reali sono in corso ogni momento. Oggi, l’ideologia fondamentale potrebbe essere l’autocompiacimento rifiuto critico-ideologico di tutte le cospirazioni in quanto pure fantasie…”

    Non ho preclusioni verso una visione di questo tipo. Il problema è allora come uscire concretamente dalle (due) ideologie, possibilmente senza fare vittime. Lo vedo come un terreno di azione eminentemente politico (e della giustizia, e dell’informazione, ecc.). La poesia tuttavia può occuparsi di tutto, senz’altro anche di “smontare” ideologie (ma per smontare ideologie la “forma paranoica” non mi sembra affatto la più efficace).

  11. Aggiungo che per me Baraka non è immediatamente un “oppresso”, è semmai un intellettuale che si fa portavoce degli oppressi. Non mi sembra la stessa cosa.
    Un intellettuale nero non “integrato” e rivoluzionario (ma poeta “laureato”) non è un emarginato nero del Bronx.
    Continuo a pensare che la diversa condizione sociale è più significativa dell’identica condizione di afro-americano.
    (Di qui, secondo me, anche la più acuta possibilità di analisi offerta dalla “lotta di classe” rispetto alla contrapposizione tra “razze”).

  12. @ emma.
    Bene, a furia di smontare ideologie, si è fatta piazza pulita e si è sgombrato per bene il terreno perché l’ideologia del consumo, del liberismo, in pratica der capitale, possa scorrazzare a suo piacimento nelle coscienze.
    Non esiste, ripeto non esiste, visione del mondo che non sia anche ideologica.
    E non esiste, ripeto non esiste, mente umana che non sia in qualche modo ideologizzata, anche e soprattutto se se ne crede esente.
    L’assenza di ideologia sarebbe dunque il cosiddetto libero pensiero?
    Avete mai conosciuto imbecilli più imbecilli di quelli che si proclamano liberi pensatori?
    L’ideologia SERVE, senza ideologia non si va da nessuna parte, non si narra né si costruiscono immagini di sorta.
    Non si vive, starei per dire.

  13. il Capitale esiste e il consumismo è il suo Profeta.

    se è vero che l’ideologia è connaturata al nostro essere, allora essa è fisiologica. appartiene alla nostra struttura biologica. è carne della nostra carne. io ritengo che a un livello così profondo si debba piuttosto parlare di desiderio e potere. l’ideologia a questo punto non sarebbe altro che la misurazione dell’energia necessaria a processare il potere di appagare il desiderio.
    sono convinto che un livello così intimo sia pertinenza principale del pensiero femminile (femminista sa troppo di militanza). ogni tanto mi intestardisco nel fare l’ottimista e mi convinco che il futuro sarà creativo e saranno le femmine ad aprirci alla creazione.

    p.s. ho fatto la mia rivoluzione quotidiana decapitando la mia vecchia posta di yahoo… sono libero adesso!

  14. Dal Dizionario on line De Mauro

    Ideologia

    s.f.
    1 CO complesso di idee e principi propri di un’epoca, di un gruppo, di una classe sociale e sim.: i. marxista, liberale, socialista; i. nazionalista; i. borghese, contadina
    2 TS filos., polit., nella terminologia marxista, dottrina o concezione che nasconde sotto i propri ideali gli interessi particolari di una classe | estens., complesso di idee astratte e mistificatorie che non hanno riscontro alcuno nella realtà
    3 TS filos., corrente filosofica francese fondata nel sec. XIX da A.L.C. Destutt de Tracy, continuatrice del sensismo illuministico
    4 BU gnoseologia

    Mi pare chiaro che Slavoj Žižek usa “Ideologia” nell’accezione n. 2.

  15. Le teorie paranoiche, semplicemente, sono PARZIALMENTE sbagliate. Voi vi accontereste di una teoria che spiega un fenomeno ed è parzialmente sbagliata? Io non credo. Conosco personalmente per ragioni di famiglia e di estrazione, diciamo, alcuni rilevanti membri dell’establishment economico di questo paese, e vi posso assicurare che c’è TANTO desiderio di copsirazione QUANTA impossibilità e cecità obbligata, complessità, etc. nell’attuarlo, nel tentare di attuarlo. Il punto semmai è migliorare la qualità delle élites, non perdere tempo a rivisitare la storia secondo schemi complottisti precisi ed esagerati al contempo, ossessivi e insieme vaghi, ma sopratutto, inevitabilmente, consolatori. Tutto, anche se sei intestatario di ampie partecipazioni azionarie della Coca-Cola, rimane spesso complesso e ‘unpredictable’. E’ molto, molto, molto importante rendersene conto in profondità. Un abbraccio

  16. migliorare la qualità delle élites? io mi accontenterei di migliorare la qualità delle vita delle persone qualsiasi di questo e di altri paesi, magari delegando meno potere decisionale, autorevolezza, egemonia ideologica alle cosidette elites

    quanto alla Complessità, è una dea che a volte salva, dalle volontà maligne di pochi, altre volte condanna, seguendo l’inerzia decisionale di molti; quindi è giusto essere consapevoli della sua forza, ma senza usarla come alibi contro utopie-sobrie-strettamente-urgenti

  17. cultura di massa o cultura popolare, è il titolo di un bellissimo libro di Christopher Lasch. Bisognerebbe approfondire il discorso delle elites. Magari provare a tradurne qulacosa anche se penso che sia stato tradotto in italiano.
    effeffe

  18. Se volessi cospirare seriamente comincerei con il diversificare i miei investimenti. Le “ampie partecipazioni azionarie in Coca Cola” non mi sembrano un investimento sufficientemente “strategico”.
    A meno che non intenda sconfiggere i miei nemici a colpi di ulcera gastrica.
    Sì, effettivamente un’elite che investe soprattutto in Coca Cola non è una buona élite.

  19. mi sembra che qualcuno qui veda le élites come signore che bevono champagne, le élites sono quelli che governano più o meno bene le (plurale) realtà di un paese, sono i politici, i dirigenti sindacali, i manager industriali, i rettori, i banchieri, quelli che stanno alla Consob e alla banca di Italia (!) pensate davvero che la qualità delle élites non conti? pensate che ci possa davvero essere un mondo senza élite? un eden paritario? Se uno non vuol far parte delle élites dovrebbe almeno preoccuparsi che quelle a cui di fatto delega il governo della sua vita sia di qualità non proprio pessima.

  20. @ Kristian, ?

    @ Temperanza. bello trovarsi d’accordo con te

    Sulla questione delle élites, vi propongo una recensione al libro di Lasch, con una mia velocissima traduzione.

    Gilles Tordjman, epok, ha scritto su Culture de masse ou culture populaire di Christopher Lasch

    ” On confond culture de masse et culture populaire dans le dessein de tenir à distance cette forme de critique pour laquelle, très simplement, chacun a droit au meilleur. ”

    Si confonde cultura di massa e cultura popolare con l’intento di tenere a distanza quella forma di critica secondo cui, semplicemente, ognuno ha diritto al meglio che c’è”

    C’est bien justement le contraire de l’élitisme. Et c’est précisément ce que les élites de la marchandise culturelle ne supportent pas : qu’on puisse défendre l’idée que les œuvres les plus belles devraient légitimement être les plus populaires, contre la massification de la médiocrité.

    E’ proprio il contrario dell’ élitisme. Cioè precisamnete quel che le élites del prodotto culturale non sopportano: che si possa difendere l’idea che le opere più belle dovrebbero essere legittimamente le più popolari, contro la massificazione della mediocrità.

    Moins de cent pages auront suffi à Christopher Lasch pour régler ce problème. Dans Culture de masse ou culture populaire ?, l’intellectuel américain aujourd’hui disparu pointait précisément ce problème : c’est parce qu’elle a travesti la démocratisation du savoir en abrutissement de masse que la logique marchande peut, à bon compte, accuser d’élitisme ceux qui se font une idée un tout petit peu élevée de la culture populaire. ”

    Meno di cento pagine sarebbero bastate a Christopher Lasch , per regolare la questione. In Cultura di massa o cultura popolare? l’intellettuale americano, oggi scomparso, focalizzava il proprio interesse su questa problematica: è attraverso il travestimento della democratizzazione del sapere con l’abbrutimento della massa , che la logica mercantizia può, a buon rendere, accusare di elitismo quanti si fanno un’idea un tantino più elevata della cultura popolare

    Gilles Tordjman, epok.

    Viva le élites popolari, e il gusto “etilico” (divino) della classe
    effeffe

  21. cara temp, le élites avrebbero già tutti gli strumenti per essere di qualità, altrimenti che diavolo di élites sono? me lo spieghi? hanno fatto le scuole migliori, avevano le biblioteche migliori, le agende più ricche, i capitali più importanti; ma a quanto pare le èlites planetarie, anche se il tuo buon senso ripugna a crederlo, non si sono dimostrate all’altezza delle sfide enormi che il sistema di sfruttamento umano e naturale ha inevitabilmente prodotto; le elites esistevano al tempo del fascismo, al tempo di hitler, esistevano elites socialiste, al tempo delle purghe… forse non erano di qualità… come migliorarle allora? mandarle in scuole migliori? mandarli a messa più spesso? non tutto il reale si ferma alla staccionata del riformismo; parlate pure delle èlites, io penso a quelli che le elites possono, volendo, anche mandarle affanculo, come è già successo spesse volte nel novecento; detto questo: puoi deridermi finché vuoi, ma io non ti sto dando nessuna ricetta pratica (quelle sono già disponibili, quelle le hai già tu); propongo solo un esercizio di visione: guardare cose diverese, diversamente; per il fare, ci vuole ben altro (prova a leggerti lo Zizek, così avrai un alto avversario rispetto al tuo punto di vista…) – scusami la congestione degli argomenti

  22. @Inglese, scusa, non avevo visto il tuo commento, quando ho risposto non c’era.
    Primo, non ti derido per niente, perché dovrei?
    Poi vorrei farti notare che sei un lettore appassionato, il che non sempre vuol dire un buon lettore, almeno delle mie righe, dalla tua risposta sembrerebbe che io abbia difeso le élites esistenti. Fanno abbastanza schifo, dico solo che ci sono state, ci sono e ci saranno, e la loro qualità è un problema di tutti, pure tuo.
    Vuoi mandarle affanculo? Fai, io mi limito a ragionare.
    Quanto alla tua descrizione delle élites è astratta, non è come tu dici, vorrei ricordarti che parlare di élites non è parlare di figli di papà, che sono dei semplici ricchi che non mi interessano, Fazio, Berlusconi, ma anche Profumo, e la lista sarebbe lunga, sono tutti di origine piccolo borghese o meglio, vengono dall’enorme “ceto medio” che anche per ragioni statistiche è la classe ormai dominante. Ma immagino che questo ti sembri un noioso discorso realistico e anch’io non ho voglia di farlo.
    Ho quasi sessant’anni, amico mio, l’esercizio di visione l’ho già fatto e non ci credo più, adesso tocca a te. Io sono solo come un grillo parlante un po’ artrosico, potrei anche tacere, e forse lo farò, comunque, e qui insisto, perché a questo ci tengo, non ti irridevo affatto, al contrario.

  23. @ Inglese
    che poi non è vero che non ci credo più, è che dopo tanti anni passati a vivere nella sola visione ho cominciato lentamente ad apprezzare chi prova a fare, e il fare è impuro.

  24. va bene; dovremmo allora cominciare da questo. Le élites italiane: qualche buono studio su di esse. Io mi sto leggendo il leggero P. Rugafiori, “Imprenditori e manager, nella storia d’Italia”, e già se ne dicono delle belle. E’ un discorso che andrebbe fatto, con materiale alla mano: storico e sociologico. Cio’ va al di fuori delle miei possibilità. Ma avrebbe senso anche farlo qui, in questa sede.

    La descrizione delle élites che ho fatto sicuramnte è astratta. Sopratutto essa non si attaglia del tutto a un paese come l’Italia, ma molto di più a paesi più classisti come l’Inghilterra e la Francia, ad esempio. Detto questo il problema è un altro: tu credi che il problema si giochi intorno alla qualità delle élites, io credo che si giochi intorno alla possibilità di fare pressione sulle élites, pressioni non solamente “istituzionali”, ma di “movimento” e “contestazione”. Detta in parole povere:senza il fuoco al culo, le élites di qualità o meno, non metteranno mai in discussione alcuni presupposti della loro egemonia e del loro primato. Questa che ti espongo è semplicemente una visione generale della storia. Ma essa non sta al di qua del fare. Oggi ognuno di noi puo’ fare qualcosa di concreto per contrastare certi andamenti deleteri della società verso l’omologazione, verso il razzismo, verso l’esclusione, ecc. Ma il fare di cui c’è bisogno è di tutt’altro genere. Possiamo appena nominarlo, immaginarlo. Ma sarà radicale, collettivo e in parte violento come è sempre stato nei momenti di grande rottura e contestazione (anni Venti, anni Sessanta). Questa visione non toglie nulla al tuo o al mio fare – più che impuro, direi “minimo”.

  25. @Inglese
    Sono abbastanza d’accordo con il discorso più articolato che fai qui, purtroppo anch’io non ho in questo momento né il tempo per leggermi qualcosa di sensato e poter essere di utilità anche agli altri né la testa, ma un discorso sulle élites, anche come tu lo abbozzi qui mi sembrerebbe importante.
    Quanto a me, no, non credo che il problema si risolva tutto nella questione della qualità delle élites, questo è ovvio, ma dove sono migliori anche la critica è di migliore qualità, più efficace e con qualche speranza di ottenere maggiori risultati, che è sempre quello che interessa a me, almeno risultati parziali.
    Tanto per fare un esempio brutale e attualissimo, se le élites fossero migliori tu non credi che fazio ( e non mi interessa qui se ha inciuciato o meno col banchiere) si sarebbe subito dimesso? Invece essendo le nostre élites quello che sono, difende la sua posizione alla Banca d’Italia come se fosse una sua proprietà.
    Non si fa la rivoluzione con questo, certo, ma si vive meglio.
    Quanto alla violenza radicale e collettiva, e io c’ero, non dimenticarti che il risultato maggiore sono stati gli anni ’80 e questo che abbiamo adesso. Da qui viene la mia sfiducia.

  26. Il riferimento al risultato degli anni 8O erano gli anni 60, ovviamente E’ stato bello, perché negarlo, molte speranze, molte illusioni, molto sangue, molti morti, molte stragi, molto Craxi subito dopo e adesso Berlusconi. C’è da pensarci bene, non per rinunciare, ma per pensare meglio.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Voci della diaspora: Anna Foa e Judith Butler

di Andrea Inglese
Perché continuare a parlare invece di tacere? Perché usare o meno la parola "genocidio"? Perché un racconto vale mille immagini e mille cifre? Continuare a pensare quello che sta accadendo, attraverso due voci della diaspora ebraica: Anna Foa e Judith Butler

Da “Ogni cosa fuori posto”

di Andrea Accardi
C’è adesso come un vuoto nella planimetria, un buco da cui passa l’aria fredda, e su quel niente di un interno al quinto piano converge e poi s’increspa tutta la pianta del condominio. Il corpo della ragazza (il salto, il volo) resta per aria come una parte che manca (nondimeno è lì in salotto, ricomposta, e l’appartamento intero la costeggia).

Wirz

di Maria La Tela
Quando fu il nostro turno ci alzammo da terra. Eravamo rimasti seduti a guardare le ragazze che ballavano con le magliette arrotolate sotto l’elastico del reggiseno per scoprire l’ombelico.

Le precarie e i precari dell’università in piazza il 29 novembre

Comunicato stampa 29 Novembre Contro tagli e precarietà, blocchiamo l'Università! – L'Assemblea Precaria Universitaria di Pisa scende in piazza contro...

“Tales from the Loop”: una tragedia non riconosciuta

di Lorenzo Graziani
Qualsiasi sia la piattaforma, la regola aurea che orienta la scelta è sempre la stessa: se sei in dubbio, scegli fantascienza. Non è infallibile, ma sicuramente rodata: mi conosco abbastanza bene da sapere che preferisco un mediocre show di fantascienza a un mediocre show di qualsiasi altro tipo.

“Sì”#3 Lettura a più voci

di Laura Di Corcia
È un libro, in fondo, sul desiderio; un libro che pare costituito da risposte, più che da domande. Un libro di esercizi di centratura. Ma anche un libro che mira a un’ecologia della mente e della scrittura "Sì" di Alessandro Broggi...
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: