Cara inerzia 1
In questa luce diffusa, nella quale non v’era né muro né albero né bestia né uomo che gettasse ombra, perfino il selciato sotto i piedi del signor Verloc si tingeva d’oro vecchio. Proprio così, il signor Verloc camminava verso occidente in una città senz’ombre, in un’atmosfera d’oro vecchio spruzzato. Luci rossorame si accendevano sui tetti delle case, sugli angoli dei muri, sui vetri delle carrozze, sulle stesse gualdrappe dei cavalli, e, infine, sulle spalle larghe del soprabito del signor Verloc, dove creavano riflessi smorzati, color ruggine. Ma il signor Verloc non aveva affatto l’impressione d’essersi arrugginito. Ammirava con sguardi di approvazione, di là dai cancelli del parco, quelle prove dell’opulenza e del lusso cittadini. Tutta quella gente chiedeva d’essere protetta. La protezione è la necessità prima dell’opulenza e del lusso. Chiedeva d’essere protetta, quella gente; e protezione invocavano i suoi cavalli, le sue carrozze, le case, i servi; protezione, le fonti della sua ricchezza nel cuore della città e nel cuore del paese; protezione contro la torbida invidia di un lavoro antigienico, l’intero ordine sociale propizio ai suoi igienici svaghi. Gli ozi del signor Verloc,
per la verità, non erano igienici, ma lui ci si trovava a meraviglia. A modo suo, vi si dedicava con una specie di fanatismo inerte, o, forse meglio, con un’inerzia fanatica. Nato da genitori solerti ad una vita di fatiche, aveva abbracciato l’indolenza per un impulso profondo, inesplicabile ed imperioso, come quello che fa preferire a un uomo, fra mille altre, quella certa donna. Era troppo pigro per divenire anche solo un demagogo, un portavoce dei lavoratori, un dirigente operaio. Troppa fatica gli sarebbe costata. Aspirava ad una forma d’ozio più perfetta: o forse era vittima di una sfiducia filosofica nell’utilità di qualunque sforzo umano. È questa una forma d’indolenza che chiede e implica un certo grado d’ingegno, e il signor Verloc non ne era privo. All’idea di un ordine sociale minacciato, può darsi che avrebbe ammiccato a se stesso, se questa manifestazione di scetticismo non avesse richiesto un certo spreco di energie. No, i suoi occhi grossi e sporgenti non erano fatti per ammiccare. Erano, piuttosto, di quegli occhi che si chiudono, gravi e con effetti maestosi, nel sonno.
Goffo e pesante nello stile di un maiale ingrassato, il signor Verloc continuò per la sua strada senza fregarsi le mani né ammiccare con scetticismo ai suoi pensieri.
Joseph Conrad, L’agente segreto – semplice storia, Rizzoli, Milano, 1953, cap. II, pp. 24-25, traduzione di Bruno Maffi.
Un certo Chuang Tze (sull’arte del buon governo che poi è il Non governo)scriveva: “Cielo e Terra non fanno nulla e non c’è nulla ch’essi non facciano. Ma quale degli uomini può raggiungere un tale far nulla?”