Malesia take-away
di Helena Janeczek
“Specialità cinesi e malaysiane”. Ero sicura di aver letto bene, lì sull’angolo di quel grigio palazzotto anni quaranta, subito oltre il sottopassaggio ferroviario sulla via per andare all’autostrada, casello di Gallarate? Però la volta dopo, appena si emergeva da sotto il tunnel, la scritta ricompariva: grande, in stampatello, rossa su bianco sopra la porta aperta che lasciava intravedere un banco in formica con un registratore e dietro l’accesso alla cucina. Un locale bianco senza orpelli come un qualsiasi “take-away” in qualsiasi parte del mondo.
Come diavolo ci era arrivato a Gallarate un take-away malese! Non c’è l’avevano nemmeno a Milano, dove era esistito un ristorante, un ristorante, a quanto pare, piuttosto elegante e in cui si mangiava bene, ma che dopo un anno o due aveva dovuto cedere a degli indiani. Un take-away malese a Gallarate! Ogni volta che lo trovavo sulla strada, ogni volta che lo nominavo, mi prendeva la fugace esaltazione di pensare che la città dove ero stata trapiantata aveva cambiato faccia e confini, non più soltanto le dozzine di pasticcerie prese d’assalto la domenica e i caffè delle signore in piazza, le rosticcerie del centro con i salumieri vestiti di grembiuli ricamati che avvolgono con carta e fiocco pacchetti di prosciutti, gnocchi e polenta, non più solo due timidi ristoranti cinesi che avevano cambiato gestione chissà quante volte e non offrivano piatti più stravaganti dell’involtino primavera e del pollo con gli anacardi, no, a due passi da casa mia c’era chi preparava “specialità cinesi e malaysiane” esattamente come nella bettola di Sarawak dove Yanez de Gomera si era rassegnato a mangiare gatto in umido e cane arrosto.
Il cibo dei pirati! Dovevo portarlo a casa almeno una volta, al costo di non so quale indigestione, di non so quanti Alka Seltzer, al costo di assaggiare qualcosa come il baboy che vedevo acquistare a chili dai filippini al mercato comunale di Piazza Wagner a Milano, un taglio di trippa particolarmente grossa e a buon mercato che già mi immaginavo diventare un curry piccantissimo, qualcosa di assolutamente terrificante ma assolutamente perfetto come piatto di sostanza per pirati. Sì, quella visita al take-away era dovuta, la dovevo a Sandokan e Yanez, ai tigrotti, ai dayaki, all’isola di Mompracem, ai mari del Sud attraversati da navi a vapore inglesi, da giunche barocche e agili prahos, quei mari che Salgari non aveva mai solcato, Emilio Salgari che probabilmente non avrà assaggiato neanche le melanzane, quegli ortaggi che l’Artusi a Firenze chiamava petonciani cercando di sfatarne la fama di pianta velenosa anche se apprezzata soprattutto dagli ebrei, ma ignorando in ogni caso la caponata e la parmigiana di melanzane come qualsiasi altra ricetta fritta, imbottita, al forno o a funghetto che viene preparata più a Sud. Cent’anni dopo puoi mangiartelo seduta al tavolo della tua cucina a Gallarate, il cibo che Salgari si era dovuto inventare e che anche tu avevi dovuto immaginarti quando leggevi il ciclo di Mompracem, perché allora, vent’anni fa, se esistevano si e no una manciata di ristoranti cinesi dalle parti di Via Paolo Sarpi a Milano, un italiano della zona te li mostrava come prova di abitare a Chinatown e non ci metteva piede.
Nel take-away malese di Gallarate non c’era mai nessuno. Non un cliente, d’accordo, ma nemmeno l’ombra di un cinese o di un malese dietro al banco. Andando in giro trovavi senegalesi, marocchini, qualche cinese, qualche filippina. Adesso si sono aggiunti torme di uomini dei quali saprei dire soltanto che sono arrivati dal subcontinente indiano. Hanno aperto il “Pakistan Shop” con scritte in arabo più ritratto del padre della patria in piazza della stazione e in una stradina defilata l’“Alimentari indeani” gestito da bengalesi che mi hanno trattato come una regina perché avevo affermato di sapere che esiste il Bangladesh e persino più o meno dove si trova, cosa che in fondo devo sempre a Salgari, “Misteri della Giungla Nera”. Malesi zero.
Sarà da più di un anno che il locale all’angolo dopo il sottopassaggio ferroviario è vuoto e sfitto. In fondo me lo aspettavo. In teoria rimpiango di non aver fatto in tempo a metterci piede, ma sotto sotto penso di averla fatta franca. Comunque lo dicevo già allora che i gestori avevano sbagliato, sbagliato strategia di marketing, se è così che la si può chiamare: dovevano scriverci “specialità malesi”, non “malaysiane”, scegliere un nome come “La Tigre di Mompracem”, non “Il Drago d’Oro”. Allora qualcuno come me, qualcuno che da ragazzo aveva letto, aveva amato, o aveva anche solo visto lo sceneggiato in tv, – e chi poteva essere sfuggito allora, in tempi di monopolio Rai, a quella megaproduzione internazionale, chi non ricorda Sandokan, Sandokaaan, la sigla nobilitata come trash, – sì, qualcuno al di sopra dei trent’anni si sarebbe incuriosito e impietosito. Ma ovviamente i malesi non hanno letto Sandokan.
E io che l’avevo divorato, che ad ogni nuovo soggiorno in Italia correvo a cercare i libri di Salgari e poi ci ricamavo intorno le mie storie, io che non sapevo mai se ero Sandokan o Marianna, il Corsaro Nero o Honorata van Gould, che ancora oggi vado a visitare il castello di Roquebrune solo perché deve essere quello del Conte di Ventimiglia e di Roccabruna e che continuo a non trovare totalmente ridicolo il nome Emilio, io che a quattordici anni volevo diventare antropologa e a sedici sfilavo per la libertà dei popoli oppressi, io che davvero credo di essere diventata come sono perché un estate quando avrò avuto circa dodici anni mi ero presa una cotta per Kabir Bedi, inizio del periodo salgariano, io che cosa ricordavo di quello che mangiavano i pirati?
Niente, ricordavo solo che a Yanez piaceva il whisky e che i tigrotti masticavano la noce di Betel. Però doveva esserci, c’era del cibo in quei romanzi, ne ero sicura, così come c’erano le piante e gli animali, le tigri, i serpenti, l’orang-utan, c’era sicuramente anche roba da mangiare perché era di questo che quel mondo esotico e lontano, quel mondo immaginario si nutriva e traeva vita.
“Il blaciang sorpassa ogni immaginazione.
E’ un miscuglio di gamberetti e di piccoli pesci tritati insieme, lasciati marcire al sole e poi salati. L’odore che esale quell’impasto è tale da non poter reggere, provoca anzi un senso di malessere.
I Malesi, non esclusi i Giavanesi, sono invece ghiottissimi di quel piatto immondo e lo preferiscono ai polli ed alle succulente costole della babirussa”.
Chissà quale esploratore britannico, quale missionario portoghese o olandese gli aveva riferito di questa incredibile porcheria, e lui, Emilio Salgari, pur non osando farla assaggiare al suo eroe, doveva comunque mettercela dentro, sapori tipici, caro lettore, sapori forti, non basta il rosso dei broccati o del sangue, sangue che scorre, sangue che inietta gli occhi, non basta tingere il mondo per farlo diventare vero, bisogna anche offrirne qualche assaggio, e allora per quasi una pagina annusa, senti che tanfo bestiale.
“Pasta di gamberi o blanchan. Usata nella cucina tailandese, malese e indonesiana, è fatta di gamberi e gamberetti seccati, salati e macinati. Si vende in panetti, e ha un odore molto forte. Per ridurrne l’odore (ma non per conservarla) va avvolta nella plastica, chiusa nella plastica e tenuta in frigorifero o in freezer. Usate la pasta con parsimonia e arrostitela sempre prima di aggiungerla ad altri cibi.”
Nel ”Grande libro della cucina asiatica” (Könemann, 1999), libro ricco di splendide illustrazioni e di ricette facili da replicare, la pasta di gamberi si presenta a prima vista come un dolce e poi, quando si è letto che cos’è e come si neutralizza, appare quasi identica alla bottarga, le uova essiccate e pressate di muggine o di tonno che sprigionano sempre un forte odore di pesce, cosa che scomparirebbe comunque in fotografia. Continuo dunque ad ignorare quanto puzzi davvero il blaciang o blanchan, ingrediente, secondo il libro, ormai reperibile in qualsiasi emporio orientale e quindi forse da “Alimentari indeani” a Gallarate, ma so invece che nel caso non lo si trovasse è raccomandato sostituirlo con la pasta di acciughe. La pasta di acciughe!
E allora che cosa posso dire del povero Giro Batol, il quale l’aveva conservato “per le occasioni straordinarie” e con tanto spirito di fedeltà lo offriva al suo ritrovato capitano, come riabilitare “il selvaggio figlio della foresta malese” che mai avrebbe fatto mangiare a Sandokan un condimento crudo, gli avrebbe anzi preparato una salsetta, un intingolo certo forte, ma saporito, un qualcosa che per come è fatto e per quel che contiene potrebbe quasi assomigliare alla bagna cauda.
Poteva immaginarseli, Emilio Salgari, i suoi pirati che in mezzo alla giungla preparano una specie di bagna cauda come la sua signora o chi per essa a Torino, poteva mai figurarsi che i cinesi -pur cucinando cane, scimmia e serpente – e i mangiatori e oggi anche allevatori di cavallette per frittura della Thailandia mangiassero alla fine tanta roba tanto innocua, tanti piatti così poco strampalati e così buoni da diffondersi poi in tutto il mondo? No, non poteva.
Inglesi che banchettano sempre con “beefsteaks sanguinolenti e pudding”. Malesi che mangiano frutti dolcissimi dal nome “durion” e deliziose ostriche giganti: ne basta una sola per placare la fame atroce di Sandokan e Yanez. Che cosa sarà stata, un’ abalone? E quale razza di animale era la babirussa che sempre Giro-Batol cucina e serve a Sandokan su un foglia di banano, e mentre appunto rifiuta il blaciang, no grazie, mio buon tigrotto, non è per me che non sono malese, la babirussa arrosto gli fa gola. Sarà certo stata ottima la babirussa fatta sullo spiedo, perché come dice il dizionario, la babirussa è un “mammifero artiodattilo dei Suidi” ovvero “simile a un piccolo maiale”, ma allora poteva mangiarsela, la Tigre della Malesia, che non sarà stata malese, però era stata indubbiamente un nobile sultano?
Per Allah, come a volte lui stesso esclama, che cosa fa il nostro Sandokan, si sbafa le braciole di maialino e ci sbevazza sopra pure il gin! E se poi guardi bene, continua, per Allah, a fare tutte cose di questo tipo, mangia bistecche al sangue in casa del nemico e giù un’altra volta gin e whisky, fa prigionieri bianchi, dichiara che li odia, che deve vendicarsi degli invasori inglesi, ma poi li tratta sempre con i guanti, e infine arriva lei, la bionda per cui perde la testa, sì la rapisce, però subito la sposa, moglie legittima, unica e senza veli, e visto che lascia tutto per Marianna, deve capirlo anche Salgari che quando è troppo è troppo e dopo qualche capitolo la fa morire .
Vorrei che tutto fosse come prima, parlo sul serio. Non come quando ero adolescente, passano gli anni, passano le passioni belle o cretine, chi se ne frega. Vorrei che tutto tornasse come quando Sandokan era il nostro eroe – mio e del signor Salgari – e noi potevamo amarlo con tutta la nostra immaginazione e la nostra ignoranza. Preferirei non dovermi chiedere se è mai possibile, se è proprio vera la notizia che i pirati dell’aria schiantati contro le torri di New York, quegli uomini pronti a morire in nome del profeta, si fossero ubriacati di vodka qualche sera prima. Forse preferirei che non ci fosse mai stato un take-away malese a Gallarate.
(Già pubblicato nell’antologia Mompracem – Mondadori, 2003)
Non è che non mi è piaciuto però manca un pò di ritmo. Secondo me era meglio continuare un altro pò con il discorso delle regole.
Propongo di eleggere “Rupert Toy Party” rappresentante ufficiale dei troll di Nazione Indiana. La cosa richiede un minimo sforzo di coordinamento dei vari troll di passaggio (che ne so, Pinco Pallo, Aldo Primo, Silver Surfer, Ruttomatic). Moderi un po’ i loro interventi, li pungoli se stanno in silenzio e li rimproveri se scrivono correttamente le parole. Rupert, te la senti?
Saporosissima Helena,
i miei profumati complimenti per questo pezzo gustosisimo pieno di colori e di visioni,
grazie per aver ricordato il grande Pellegrino Artusi che ogni scrittore, ogni dilettante dovrebbe leggersi per pura goduria del linguaggio oltre che immaginazione del gusto
e io tengo il suo evangelio qui,
ad un metro da me ed a volte lo consulto,
dilettandomi pure io di cucinare schifezze
ed anche il tortino di petonciani,
armonizzato però con curry
che io compro pure qui
nel mio natio borgo incasinato:
all’Asia Market da un vietnamita tale VanDhin o cose così
o da bengalesi turbolenti che tutti tre o quattro sempre fanno conti concitati affolandosi dietro ad un bancone
oppure da un cinese che però strozzina
e non ci vado più,
ora lo frequentano solo dei poveracci nigeriani che entrano ed urlano:
Cinnesseeeeee…CIIINNNEEESSEEEEEEEE!!!
Grazie per il colore
MarioB.
Mi fà molto piacere che un personaggio come Andrea Barbiere mi propone per un ruolo così interessante, e anche per certi aspetti di grande responsabilità. Io non so se sarei in grado di svolgere tale compito, anche perchè non conosco gli altri in questione, comunque ci posso provare. Magari rido il mio indirizzo e-mail: puttanedellest@libero.it. Voglio solo dire che sono una persona semplice e non me la tirerò mai per questo emozionante incarico che mi è stato affidato. Grazie.
Rupert, però se vuoi essere il sindaco dei troll occorre dare il buon esempio: mettici più errori e più ironia spicciola. Io intanto ti preparo la fascia da indossare col simbolo del troll che ride.
E’ molto bello che delle realtà così diverse si possono incontrare. Io spero che anche un giorno tu potrai fare le mie veci e io magari scrivere un post di una materia di cui sono esperto. Se noi faremo questo dimostreremo un attivo pacifismo e una mentalità aperta senza chiusure mentali.
Guardate ragazzi non perchè lo conosco ma Rupert Toy Party è veramente una persona eccezzionale. Qualche volta non viene capito perchè magari si esprime in un modo che non tutti ancora possono capire però è una persona generosissima. E allora gli voglio agurare buona fortuna per essere entrato nella squadra indiana e vedrete che con lui farete un salto di qualità. W il comunismo! ABBasso L’america!!!
Ancora per dire:
a me la babirussa mi ricorda una stupida bambolina, quella là americana,
la Barbie, ecco,
che a letto con Ken si fa dei pisoloni russanti.
Io, per ciò, la babirussa non la mangerei,
ma un pecari, sì,
poi quella cosa lì: misticanza di gamberi seccati, il blanchan, ricorda alla lontana il “garum” latino, usatissima salsa di pesce azzurro, acciughe, marinato e concentrato; forse da questa deriva la “bagna cauda”.
Un condimento forse troppo saporito come certe salse di ostriche cinesi.
MarioB.
Non so, a questo punto sarebbe bello che intervenissero anche Silver Surfer e Ruttomatic per dire la loro…
Ehi, ci sono anch’io!
Si potrebbero cucinare i trolls tipo involtini primavera,
cioè spring rolls, come dicono quelli là,
li involtoliamo ben bene nelle pagine di Voltolini,
oppure stufati con salsa di soja e cinque sapori,
se non in agro dolce infarinati,
ma sono un po’ pesanti,
poi li diamo alla Benedetti che ci faccia su un bel pezzo indigesto
Mario, le pagine di Voltolini teniamocele strette per leggerle va’.
Non ci sono più i barbieri di una volta.
dicevo, così, una copia sola, và,
di quelle da macero che son fallate,
e te le regalano in tipografia
Voltolini è assai bravo lo so,
Le scimmie mi piacquero molto
La droga mi rende libero. Non saro ‘ mai come mi volete vivere!!! I am waiting for my man!!!!!
garson, è partito il cleb dei troller guidato da Rupert Toy Party. abbiamo già molte adesioni. a settembre spacchiamo. qualunque info a puttanedellest@libero.it Gia moltiossime adesioni. nomi come Sborelli Supermerd Aldo Primo e tanti altri ancora… viv le mond!
Subject: Fw: versione correttadagli erroroi di battitura
Subject: Fw: deliri quasi estivi
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Florilegio estivo:
(che forse fra poco leggerete su marco2.clarence.com il più bel blog diaristico nei sottoboschi letterari contemporanei del mio amico e letterato marco…..il cristicchi della letteratura ma fra poco sarà il nuovo antonacci….
“DUE SPETALI DA LUZI” BY STARNUT MAN
(+ un ricordo di conversazione + due visioni + un piccolo concorso):
a) “..NOI GLI ATTANTI….”
l’essenzialismo di Luzi talvolta diviene surreale e involontariamente umoristico:
che bello “attare”….mi ricordo quando da piccolo “…attavo..”
“attare” è il verbo dell’esserci o del’essenza?
a voi attanti l’ardua sentenza…..
b) “……GRAZIE, MATRIA….”
ecco chi ha inventato la Matria…!!! Il mammone Luzi !!! …. scomparso il senso di Patria ci mancava la Matria…..Poi purtroppo la Matria Luziana (tipo avalon) è stata strumentalizzata in senso femministico e matriarcale, non capendo che si tratta di una sfumatura ontologico-spaziale-affettiva non di categoria sociale o storica……maledetta egefilia…..
Ricordo di conversazione con Silvano Agosti…….Torino 2002 o 2003…….film festival…
sotto la Mole….ore 23-24….
Lui: “Mi ricordo Pasolini che quando gli chiesi: ma che senso della storia hai? mi rispose: marxiano ovviamente…quell’ovviamente mi offese….” Stanut man ora: ricordo che gli dissi: silvano leggi qualche mia poesia…..lui legge mentalmente….e mi dice…..ma come può capirle una cuoca…una massaia…? e stanut: ma chissenefrega della cuoca?
Lui: ora si scrive così : quello che vedi….( a me piace come scrive lui)
Starnut ora: ma anche tu con sta storia della cuoca sembri Lenin….come Pasolini offese te tu offendi me…..
ti ricordo con affetto (non troppo….ricordo che tentasti di baciarmi “troppo” per salutarmi…”)
Due visioni: (ricordando che silvano ci disse che lui non prese mai droghe, neppure negli anni 70 perchè lui non fuma non beve …. il suo sballo alluginogeno è la dimessa quotidianità …..)
1°) sto cagando la testa urlante insulti di una mia brutta e antipatica collega di lavoro
e sono in imbarazzo: se la cago tutta partorisco un nemico,un mostro merdante e insultante, se la respingo dentro mi tengo un veleno in circolo…idea di ora: la strozzo stringendo le chiappe….!!! si..si…. faccio così…..
2°) visione di una figa che vomita merda….
2°) ……
Piccolo concorso: chi ci cela dietro il nome di “Starnut man”?
Marco lo sà…indovinate…avete un mese di tempo….. poi lo stesso starnut insieme a marco lo rivelerà….spiegando la cabala e il perchè di tale messinscena….
FIRMATO: STARNUT – MAN
18 AGOSTO 2005 —– in qualche posto in Italia—–