Continuiamo – parte 2
di Andrea Inglese
1. La ferita
Helena Janeczek:
“Zeige deine Wunde, <
> è il titolo di un’istallazione di Joseph Beuys (…). Credo che per noi che restiamo e che di giorno in giorno decideremo di restare sia bene, sia segno partire dalla ferita, non cercando di nasconderla.”
(La ferita, lo stiamo sperimentando, non implica solo una postura fetale-depressiva, ma anche l’agitazione sghignazzante dell’infebbrato, che corre in avanti verso un’improbabile salute.)
2. Un incontro di commiato e di progetto
C’è stato l’1 luglio a Milano un incontro al “Teatro I”, che ha coinvolto ventitre persone, alcune delle quali non si erano neppure mai viste prima di persona. Persone che venivano anche da lontano: Firenze, Roma, Napoli, Parigi. C’erano: Helena Janeczek, Andrea Raos, Gianni Biondillo, Tiziano Scarpa, Sergio Nelli, Carla Benedetti, Sergio Baratto, Benedetta Centovalli, Andrea Bajani, Giovanni Maderna, Renzo Martinelli, Federica Fracassi, Antonello Spartani, Michele Rossi, Giorgio Vasta, Franz Krauspenhaar, Roberto Saviano, Gabriella Fuschini, Jacopo Guerriero, Giulio Mozzi, Antonio Moresco e il sottoscritto. C’era anche Jan Reister, che ha donato la sua intelligenza, il suo sapere e il suo tempo per far sì che, materialmente, il blog potesse nuovamente esistere. E credo sarà costretto, anche in futuro, a vegliare sull’analfabetismo telematico di alcuni di noi.
Non proporrò qui un resoconto della discussione che c’è stata tra di noi. Due ore fitte, in cui ognuno ha preso la parola, e ha espresso senza rabbia ma senza neppure eufemismi le sue ragioni e le sue critiche. La ragioni del commiato e delle critiche a ciò che NI era diventato, espresse da Moresco, Scarpa e Benedetti, a cui si sono aggiunte quelle di Sergio Nelli, Sergio Baratto e Benedetta Centovalli. La ragioni di continuare e, a volte, le critiche ai fuoriusciti sulle modalità di affrontare i conflitti interni, espresse da chi ha deciso di restare. C’è poi un piccolo numero di persone che, pur non condividendo le ragioni della fuoriuscita, ha manifestato l’intenzione di prendersi tempo per giudicare l’opportunità o meno di continuare una tale avventura dopo l’abbandono dei tre fondatori-ideatori.
Helena Janeczek:
“Su venerdì [1 luglio] vorrei aggiungere solo questo: c’era un clima di forte affetto e rispetto (molto più che di incazzatura) e secondo me di enorme onestà. L’onestà prima di tutto di non defilarsi dal conflitto, di non smussare furbescamente le posizioni.”
Ciò che di questo incontro vorrei sottolineare è la consapevolezza di tutte le ventidue persone presenti, che il funzionamento del blog non era l’unica ragione che ci teneva o ci aveva tenuti assieme, e questo è valso sia per i fuoriusciti sia per i superstiti. Il blog, insomma, non è stata né sarà per noi una semplice “vetrina” strumentale, attraverso la quale agire in perfetta noncuranza di quanto un altro membro fa o scrive. Questo credo sia la differenza fondamentale tra un blog individuale e un blog collettivo. Non si tratta di passare semplicemente da una forma monologica ad una forma polifonica. Lo abbiamo forse in certi momenti dimenticato, ma Nazioneindiana voleva essere associazione di individui oltre la rete. Non solo traiettorie parallele, ma anche nodi empatici, incontri di persone vive, che combinano le loro energie per azioni comuni, nel mondo. E mi auguro che sia veramente questo, il nostro blog, anche in virtù dei tanti progetti che stanno nascendo: non solo l’esito di attività solitarie, ma un punto di passaggio, un crocevia di gesti e di voci, dal quale poter ritornare al mondo come gruppo, modificando le nostre solitudini, moltiplicando le nostre forze d’azione sul contesto culturale che ci circonda.
Roberto Saviano (in una mail di maggio, poco dopo la lettera di abbandono di Moresco):
“E non vale l’ipotesi che ognuno ora potrà aprirsi il suo blog. Quel che io scrivevo poteva avere valore nella rete del progetto, solo invece diventa un lacerto specialistico. Che un pezzo sulla guerra di Secondigliano poteva non essere differente da una recensione d’arte, che una riflessione su Coltrane non è diversa dall’analisi sull’editoria. Questa è stata la nostra battaglia. Militare culturalmente, intelligere, unire il molteplice in un canale unico di forza e potenza dove la parola ha un imperativo nel reale, nel tempo che viviamo senza dover scadere nella cronaca o nell’immediato. Una strana e rara alchimia. Ma non saprete mai quanto si è innescato e quante tracce siamo riusciti a lasciare. Era la forza d’insieme. Il progetto molteplice, corposo, diversificato. Il Teatro I per molti di voi parrà una delle possibilità, una delle tante. Per chi, qui a sud, è malato di assenza di spazio e di possibilità il Teatro I era una forza straordinaria.”
(continua)
che palle basta!!!!