da “Ring”
Del Maestro Francesco Forlani
Perché da qualcuno o da qualcosa bisogna pur prendere
Nella camera ardente della resa dei conti
Io ed il banchiere e noi due soli un mondo
Dalle carte separati e cogli sguardi vaganti
Cerchiamo il pieno in mezzo a tanto vuoto
La crisi – e non sono scuse- è solo al suo cominciamento
Bisognerebbe chiudere ogni ponte e fare di energie un impianto
– o un’altra guerra, una rivoluzione – penso
e nemmeno sottovoce perché lui mi guarda
“Lo sa che un’altra linea di metro’ quest’oggi
per incidente al viaggiatore s’è sospesa
e gli uni e gli altri si son toccati la pancia
– qualcuno i coglioni ma solo sfiorandosi-
i tempi sono duri e in molti si perde la testa”
La prendo anch’io perché non ho patente
“una storia di frizione, e di accellerazione”
e se mi resta in tutto questo nulla una speranza
Lei, ne terrebbe credito, e voglio dire conto
Vorrei solo sapere quanto rosso mi spetta o se è finita
Si accende una sigaretta rullandola sul palmo
Di mano
Mi sembra umano
E battendo sulla tastiera poche sillabe, dei segni
Tira il fiato insieme al fumo e dice più niente
Porgo il libretto coi saluti e faccio fatica e a stento
Tutto il percorso, a piedi, dalla banca a casa.
*
Perché il più giovane di tutti aveva chiesto come si diventa poeti
Ed allora mi chiedo se di essi esista un albo
A partire da quando e come sia possibile
Inserire il titolo sul bigliettino da visita
O il nome in una nuova antologia
Se il timbro venga dall’alto e comunque un altro
Se a corrente, a tipo di verso, e voglio dire
Stridulo, soave, reo confesso, sperimentale,
Lirico, saffico, pastiche distratto, piatto,
Baciato – con la lingua o senza – crudo
– come il prosciutto – tetrattico anzi
Se sia di corda o fune, di materia viva, organico
Militante, concesso, laborioso- quante ore?- a cottimo, o a peso d’oro o di copie pagate
A un editore di provincia ignoto ai più ed ai pochi.
Se basti scriverne una, o come dice Massimo una sola
Frase – dei poeti si dimentica il resto anche se essi
Vendono la vita – e se si smetta di esserlo o si continui
Anche pagando a rate con i festival di voce
Una modesta partecipazione, una kermesse.
Mi chiedo se sia una sola questione di muse e
Avere la più bella basti o di musi- solo i più duri-
E fare panorama. Che cambia a seconda del critico che cura e prefa e postfa, e se cura se stesso è meglio.
Mi chiedo se allo stand numero otto della fiera
I novemila e passa volumi siano lumi di senso
O solo spaventapasseri che alla sera
Fanno sparire pure l’ultimo stormo – e il drang?- di rondini
Tenendosi avvoltoi distratti per compagni
*
Perché la tipa spagnola aveva detto “almeno avete mangiato”
Ci abbandoniamo ai calici come di messa
E non si parla di resurrezione
Ma di deposito di bilanci e fallimento
– Al punto che mi chiedo ma che cazzo abbiamo,
Da festeggiare – e la contabile con Superga ai piedi
Ed un sorriso trasparente come la maglia ai seni
Mantenuta
Mi porge l’altra guancia in una danza e mi dice “Almeno avete mangiato”
proprio come la iena alla compagna lo direbbe
E ai piedi giace la carogna, del capitale.
Il vino rosso gioca brutti scherzi ed unito al caldo
Fa sbottare il collega di Roma che mi insulta,
E tra i due epiteti del caso, a fascista preferisce
Piccolo borghese come se pregasse alla finestra
Con le mani giunte al filtro della sigaretta
“È severamente vietato fumare” recita il cartello.
Scambiamo fumo con parole “qui anche la casa brucia, Ed il corpo e non solo di voglia”
“Ci sono cose buone anche per borghesi e piccole che Sieno”
ferita d’ammore nun se sana, fa de me chelle che vo’
te cadean en sinne a schiocche a schiocche le cerase rosse
e tuttu lu ciardine cantaveme à doje voci
lu motive antiche
La redingote che mi stipa la camicia su ogni taglio
Dalle prime ore del pomeriggio ingrossa le ferite
Lungo il corpo ed alle gocce di sudore e vino
Faccio un bel brindisi ai borghesi
*
…e l’altra, tu non mi vuoi più bene
Di come l’oblio accompagni ogni ricordo
e quasi ne faccia un’opera completa
ed asseconda il tempo andato quello che fu
apparentato all’altro ancora presente
– sono i suoi occhi che restano come se non
fossero fuggiti col resto, o il necessaire
nel bagno a corona dello specchio, il rimmel –
e non tenere a mente ogni parola, farne suoni
indistinti a sfumare collo stridere delle rotaie
da treno in corsa – ed attenzione alla chiusura delle porte- o a perdersi in cargo in stiva – anche se in maniche di camicia – non ci sono misteri né grazia
a dare un senso ed una direzione – ma solo protezione
(immagine di Franko B: “Bath after Marat”)
Non ho idea di chi tu sia, ma il senso e il suono e la vita quelle lo so. Continua Viola